Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
IN 12 PAESI SI VENDE IL DIRITTO ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE
Muri, filo spinato, polizia armata al confine, respingimenti, rimpatri forzati. Questo è ciò che trovano i migranti che provano a entrare in Europa passando per l’Ungheria, la Bulgaria, l’Austria o Malta.
Ma se al posto della valigia di cartone mostri un portafoglio gonfio, i muri crollano, il filo spinato svanisce, la polizia stende il tappeto rosso.
E l’Europol in questi giorni indaga proprio su falsi passaporti individuati nei campi profughi della Grecia e destinati a presunti membri dell’Isis.
Il timore, infatti, è che i documenti possano essere usati da grandi evasori e potenziali terroristi.
Nell’Ungheria di Viktor Orban, diventata il cuore nero d’Europa, autarchica e ultranazionalista, non c’è spazio per gli immigrati.
Secondo Orban sono «dei parassiti, criminali che sovvertono la società in cui vanno a vivere». Eppure, agli extracomunitari disposti a sborsare 300 mila euro in titoli di Stato e altri 50 mila a fondo perduto, Budapest non oppone alcuna resistenza.
Chi vuole il passaporto ungherese, e di conseguenza europeo, non deve sostenere alcun colloquio, non è tenuto a conoscere la lingua del Paese d’adozione.
Nessun test medico per certificare la stato di salute. La residenza è immediata, la cittadinanza si ottiene in 5 anni.
E i 300 mila euro vengono restituiti insieme al passaporto.
In Bulgaria, dove si è passati in poco più di vent’anni dal filo spinato del blocco sovietico a quello anti-migranti, all’ufficio passaporti c’è addirittura una sorta di opzione «salta la fila».
Con 511 mila euro investiti in bond governativi (poi restituiti senza interessi) si ottiene il passaporto in 5 anni, ma se si è disposti a raddoppiare la cifra si può diventare bulgari in 24 mesi, possibilità che ha ingolosito centinaia di milionari cinesi. La Bulgaria è lo stesso Paese che ha deciso di dare premi alle «pattuglie di frontiera» di cittadini comuni che danno la caccia ai clandestini.
La più famosa è quella capitanata dal wrestler Dinko Valev, che con la bandiera sulle spalle rilascia dichiarazioni di questo tono: «I migranti sono terroristi. Ogni buon cittadino dovrebbe mobilitarsi per fermarli e salvare la patria».
Il mercato dei documenti
Ungheria e Bulgaria, insieme a Belgio, Grecia, Austria, Malta, Portogallo, Spagna, Irlanda, Lettonia e Cipro sono tra i Paesi dell’Ue che, di fatto, mettono in vendita la cittadinanza europea.
Ci sarebbe anche il Regno Unito non fosse che dal referendum sulla Brexit in poi sono i britannici ad andare in giro a questuare un secondo passaporto comunitario.
Per anni l’Europa si era tenuta fuori da questo mercimonio. Vendere la cittadinanza era una prerogativa di staterelli caraibici come Antigua e Barbuda, St. Kitts and Nevis e Dominica.
Nelle loro banche entravano assegni a cinque zeri che, miracolosamente, dopo un passaggio negli uffici pubblici, si trasformavano in passaporti del Commonwealth: non nobili quanto quelli controfirmati da Londra, ma con privilegi figli degli stretti rapporti con la Corona britannica.
A St. Kitts and Nevis, due isolotti delle Antille grandi insieme quanto l’isola d’Elba, sono stati i primi a inventarsi questa formula, nel 1984.
Erano diventati Stato indipendente appena un anno prima. E i passaporti si rivelarono un modo per fare cassa. Per anni, i ricchi dei Paesi con relazioni diplomatiche limitate non potevano far altro che volgere lo sguardo ai Caraibi per comprare una seconda nazionalità che consentisse maggiore libertà sociale, fiscale, economica.
Dopo la crisi dei subprime, nel 2008, diversi Paesi europei hanno cominciato a riflettere su come racimolare denaro fresco e attrarre investitori extracomunitari battendo nuove strade, sfruttando i buchi nelle leggi dei controllori di Bruxelles. Anche a queste latitudini a fare da apripista piccoli Stati come Cipro e Malta, con i conti in rosso e l’acqua alla gola.
Tutto filava liscio a Cipro fino a che Nicosia si trovò costretta a revocare la cittadinanza al siriano Rami Makhlouf, uomo dalla fedina penale immacolata nonchè presidente di un’azienda petrolifera e di Syriatel, la più grande compagnia telefonica del suo Paese.
Ma Rami Makhlouf era il cugino, nonchè cassiere del presidente siriano Assad: a nulla servirono i milioni depositati nelle banche locali. Dopo quell’incidente, a Nicosia hanno rivisto i loro criteri di selezione, oggi più stringenti.
Ma resta il fatto che per diventare cittadino cipriota, e quindi europeo, in tre-sei mesi basta esser ricchi e investire tra i 3 e i 5 milioni in aziende o immobili. Non c’è obbligo di residenza, nè è richiesto un colloquio preliminare.
Un business senza barriere
Di fatto a Cipro si può diventare cittadini europei per corrispondenza, come a un club del libro. Malta, invece, ha fiutato il business nell’estate del 2013.
Il partito laburista dell’isola aveva appena preso il potere e nel programma elettorale non vi erano accenni alla possibilità di vendere passaporti a facoltosi extracomunitari. Da un giorno all’altro arrivò l’annuncio del premier Joseph Muscat: con 650 mila euro di investimenti si poteva ottenere la cittadinanza europea in pochi mesi. La proposta spiazzò l’opinione pubblica.
«Nello stesso momento in cui si studiava la vendita dei passaporti ai ricchi, il governo respingeva in Libia un gruppo di rifugiati esausti che a malapena si reggeva in piedi», osserva James Azzopardi, ministro ombra per i Diritti del partito conservatore maltese: «C’era una guerra in corso, eppure il governo se ne infischiò dei diritti umani. Solo dopo 11 ore un intervento della Corte di Strasburgo riuscì a fermare gli aerei che rimpatriavano profughi. Abbiamo un governo che premia i benestanti e umilia i poveri, che prostituisce la cittadinanza maltese e, indirettamente, quella europea».
Situazioni simili si sono verificate in Grecia e Lettonia. Due dei Paesi più a buon mercato se si tratta di comprare passaporti: ad Atene bisogna investire 250 mila euro in immobili, nella Repubblica baltica ne bastano 150 mila.
Scorciatoie anti-controlli
La Lettonia è lo stesso Paese che progetta un muro di 90 chilometri al confine con la Russia per frenare l’avanzata dei migranti dall’Asia centrale.
Quest’anno il governo di Riga arriverà a spendere 3 milioni di euro per la difesa del confine orientale. Nel 2015 il budget era 500 mila euro.
Contro i passaporti facili ha avviato una battaglia nel 2014 Viviane Reding, allora commissario europeo alla Giustizia. «La consegna di un passaporto dovrebbe dipendere da genuini legami di una persona con un Paese, non dalla grandezza del suo portafoglio- afferma. La cittadinanza è uno degli elementi fondanti dell’Europa e non può essere presa alla leggera. Non deve essere in vendita». In realtà lo è eccome.
Così da due anni sono in corso negoziati Ue con gli Stati dal passaporto facile.
Tempi e modi sono in parte cambiati.
Malta è passata dal chiedere 650 mila euro e poco altro a quasi raddoppiare la cifra, pretendere investimenti sul territorio e colloqui più approfonditi.
Basta pagare e avere qualche mese di pazienza, la ricompensa sarà una delle nazionalità più ambite del pianeta, che permette l’ingresso senza visto in 168 Paesi, favorisce i contatti e moltiplica le garanzie rispetto a un passaporto siriano, russo o cinese.
Paesi come Portogallo, Spagna e Irlanda, che si stavano affacciando in questo mercato senza paracadute, «alla cipriota», rilasciano la residenza in tempi rapidi e hanno la manica larga quando si tratta di distribuire la «golden visa» (una sorta di passepartout il cui nome è già tutto un programma), ma fanno passare anche dieci anni prima di consegnare un vero passaporto.
Bruxelles ha provato ad arginare l’invasione, ma non ha molte armi per combattere.
«Non esiste una normativa o una direttiva europea che regoli il rilascio dei passaporti, quindi di fatto ogni Stato membro è libero di muoversi secondo i propri criteri senza rendere conto a nessuno – spiega l’avvocato Giuseppe Giacomini, esperto di diritto comunitario -. Ciò crea dei problemi nella libera circolazione delle persone, perchè ci si trova a che fare con cittadini diventati europei con criteri quantomeno discutibili». Questione di fondo.
«L’Europa dovrebbe individuare criteri che definiscano il rilascio dei passaporti ottenuti in cambio di denaro e investimenti, così come sono stati fissati parametri per i migranti col Trattato di Dublino – aggiunge -. Se lo si è fatto “dal basso”, si può farlo anche “dall’alto”, anche se alto e basso significa poco: uno può avere molti soldi ma non è detto che sia una persona affidabile».
Tra chi valuta gli aspiranti europei dal conto in banca c’è Henley & Partners, società con 25 uffici nel mondo e quartier generale nell’Isola di Jersey, nella Manica, paradiso fiscale dal volto pulito, con migliaia di società off-shore registrate.
Offerte su misura
Il responsabile della filiale maltese, Stuart MacFeeters, ribatte descrivendo come in realtà la faccenda dei passaporti in vendita non sia semplice come comprare un costosissimo pollo al supermercato. «Siamo cauti, attenti e non prendiamo nessun rischio – assicura -. Quando valutiamo i candidati, guardiamo tutto, dal conto in banca alla fedina penale. Ci muoviamo all’interno di contratti e accordi blindati».
Le regole per ottenere la cittadinanza sono più o meno stringenti, a seconda del Paese, ma non è solo una questione di limitazioni, anche di opportunità . «Alcuni nostri clienti possono considerare “su misura” il programma maltese, altri possono preferire quel che propone Cipro, la Svizzera o il Portogallo» argomenta.
Per MacFeeters ci sarebbe spazio anche per l’Italia, che – come Francia e Germania – ha deciso di tenere i suoi passaporti sottochiave.
«L’Italia ha forte capacità d’attrazione. Beneficerebbe di un programma di questo tipo, penso ad esempio ai tanti immobili di pregio – evidenzia -. Potrebbe essere anche un modo per far diventare comunitari i calciatori. Le società spendono milioni in acquisti, commissioni, procuratori; sborsando qualcosa in più, un brasiliano o un argentino potrebbero diventare europei in fretta».
E senza il ricorso ad avi inesistenti come accadde per i passaporti falsi dei calciatori di Serie A (Recoba, Veron, Fabio Junior, Dida).
Insomma, bastano un paio di firme, uno Stato consenziente e una prezzatrice, come diceva Reding. Sono passati due anni. Il commissario Ue non è più al suo posto.
Gli Stati europei con la prezzatrice erano un paio, sono diventati dodici e il business è in crescita.
Roberto Scarcella
(da “La Stampa”)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
AHIIDA ZANETTI: “NE VENDO MIGLIAIA E NON SOLO ALLE MUSULMANE”…”NON SI PUO’ IMPORRE A UNA DONNA COSA INDOSSARE: NON CI SONO RIUSCITI I TALEBANI, NON CI RIUSCIRANNO I SINDACI FRANCESI”
“Tutte queste polemiche almeno sono positive per gli affari. Da qualche giorno non ho neanche il t empo di respirare: il mio sito Internet è sommerso dagli ordini e vuole sapere una cosa? La maggior parte sono di donne non musulmane! Finirà che dovrò ringraziare la Francia per la pubblicità “.
Al telefono da Sidney, Australia, a un’improbabile ora della notte, la voce di Ahiida Zanetti è allegra e squillante, ma soprattutto incredula.
Sono passati undici anni da quando questa signora di origini libanesi, musulmana praticante e velata, ha confezionato per la prima volta e brevettato la sua creatura, il burkini, un “costume da bagno integrale che si indossa come una tuta e ha un cappuccio incorporato per coprire la testa”, raccontava a Repubblica.
Otto da quando un’atleta del Bahrein ha sfilato alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino con una tuta creata da lei, catapultandola sotto i riflettori del mondo.
Da allora Ahiida Zanetti non si è più fermata: “Dal 2008 – racconta – ho venduto 700mila burkini in tutto il mondo”.
Come è iniziata la sua avventura?
“In maniera piuttosto banale. Ho sempre amato nuotare. A un certo punto però avevo rinunciato, perchè non riuscivo a sentirmi comoda. Quando ho visto le mie nipoti affrontare lo stesso problema ho pensato di creare qualcosa per loro. Funzionava e così ho brevettato il modello. All’inizio facevo tutto da sola: sceglievo i tessuti, cucivo, imballavo. Ricordo le notti insonni fra i macchinari ad allattare i miei bambini. Poi il lavoro è aumentato e sono arrivata a mettere su una piccola fabbrica: ho otto persone che cuciono e due che tagliano per me, senza contare chi si occupa degli ordini, dell’amministrazione e del marketing. Ma a disegnare i nuovi modelli e controllare che tutto sia perfetto ci sono sempre io”.
Cosa pensa delle polemiche di queste settimane?
“Credo che non siano giuste: il burkini è nato per dare alle donne che amano lo sport ma che vogliono vestire in maniera modesta, come me, una possibilità di scelta. Prima dovevamo andare in spiaggia con vestiti normali, magliette e pantaloni, con il risultato di non riuscire neanche a nuotare. Ora chi vuole ha un indumento fatto appositamente per i diversi sport, con tessuti che si asciugano e che lasciano respirare la pelle. Vietarlo significa limitare la libertà di scelta delle donne”.
I francesi la vedono in maniera opposta…
“Chi indossa il burkini sceglie: di andare al mare ma di essere modesta. I francesi vedono in questa scelta e nel pezzo di stoffa che la rappresenta, un emblema di costrizione. Io ci vedo un emblema di libertà . E anche un semplice pezzo di stoffa. Trasformarlo in un emblema razzista mi pare eccessivo”.
Però in Francia il clima non è molto favorevole ai musulmani in questo momento. Non sarebbe meglio evitare le tensioni e mettere il burkini nell’armadio per ora?
“No. Se non volessimo venire incontro al mondo in cui viviamo resteremmo chiuse in casa invece di andare a nuotare, o indosseremmo le camicie ampie delle nostre madri. Vorrei sapere quali valori avremmo insultato coprendoci: se qualche politico francese me lo spiegasse gliene sarei grata. Soprattutto per un motivo”.
Quale?
“Così potrei creare qualcosa di specifico per il mercato francese, visto che sono così interessati alle mie creazioni. Se devo aprire un po’ il costume sulle spalle o accorciare le maniche me lo facciano sapere: ho già fatto tante modifiche al modello originale. Oggi ci sono burkini da atletica, per taglie comode, ampi per chi preferisce le linee morbide, colorati e con le maniche a ¾ per le ragazzine. Sarò felice di studiare un modello apposta per i francesi”. (ride)
Ironia a parte e in attesa delle francesi: chi sono oggi le clienti tipo?
“Molte sono musulmane, ma tante altre sono donne che non amano scoprirsi troppo in spiaggia: infatti realizzo burkini anche con pantaloni semi-corti e senza cuffia. In questi giorni la maggior parte degli ordini arriva da donne che finora non sapevano neanche dell’esistenza di un costume coprente e che lo hanno scoperto adesso”.
Quali sono i suoi mercati migliori?
“Stati Uniti e il Canada, ma l’Europa sta crescendo: nell’ultimo anno le vendite sono salite del 40% fra Francia, Germania, Austria e Paesi Bassi”.
Il burkini ha fatto di lei una stilista di successo: si aspettava le controversie?
“Il burkini ha fatto di me una donna felice, che fa quello che ama. Sulle polemiche dico solo che non si può imporre alle donne cosa indossare. Non ci sono riusciti neanche i Taliban. Dubito lo faranno i sindaci francesi”.
Francesca Caferri
(da “La Repubblica”)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE CONTRATTI CON BANCHE ESTERE, DA BANK OF CHINA A GOLDMAN SACHS…. E ORA TRUMP, IN DIFFICOLTA’, PROVA A FARE IL MODERATO
Le società di Donald Trump hanno un debito di almeno 650 milioni di dollari, per la maggior parte con banche straniere. ù
È quanto scrive il New York Times in una sua inchiesta.
Finora Trump aveva reso pubblico un documento sul suo stato patrimoniale che riconosceva debiti delle sue imprese per 315 milioni di dollari, cioè la metà della cifra pubblicata dal quotidiano newyorkese.
Fra i debiti che vengono indicati dal giornale, per esempio, ce n’è uno derivante da parte della Trump Tower che si trova sulla 6th Avenue a Manhattan, per la quale ci sarebbe un debito di 950 milioni di dollari: in parte sarebbe stato finanziato da Bank of China, principale entità finanziaria di un Paese che Trump ha duramente criticato in campagna elettorale accusandolo di avere agito a scapito degli interessi degli Stati Uniti; un’altra parte del debito per lo stesso immobile, invece, sarebbe in mano a Goldman Sachs, Banca che secondo Trump controlla la sua rivale, la candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton.
Per l’inchiesta il New York Times ha collaborato con la società RedVision Systems, per le informazioni immobiliari, e ha studiato i documenti che il candidato repubblicano alle presidenziali Usa ha fatto arrivare alla Commissione federale per le elezioni.
Nonostante le pressioni del Partito democratico, Trump non ha ancora pubblicato la sua dichiarazione dei redditi completa.
Intanto, sempre in difficoltà nei sondaggi e alle prese con continui cambi nello staff della campagna, Trump prova ad ammorbidire i toni su alcuni temi.
In particolare sugli 11 milioni di immigrati irregolari che vivono negli Stati Uniti. Giovedì, in Colorado, dovrebbe annunciare un nuovo piano.
A riferirlo sono alcuni leader latinos del Consiglio consultivo nazionale ispanico, con cui il magnate si è riunito a New York.
Diversi membri del gruppo riferiscono ai media locali che Trump ha chiesto loro delle idee per risolvere il problema.
(da “La Repubblica“)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
“L’IGNORANZA NON PUO’ ESSERE UNA SCUSANTE, SALVINI VA PERSEGUITO LEGALMENTE PER ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE E VILIPENDIO DELLE FORZE DELL’ORDINE”
L’unica speranza dell’Isis e terroristi fondamentalisti analoghi è quella di scatenare in Europa e Occidente in generale una reazione irrazionale che consenta ai tagliagole di ampliare la propria base di riferimento.
Da questo punto di vista hanno segnato, in parallelo ai loro rovesci sul campo, alcuni punti a favore.
Si veda ad esempio l’inutile provocazione del primo ministro francese Manuel Valls che ha vietato il cosiddetto “burkini”, costume da bagno adottato da numerose donne di religione islamica.
Questo signore ha già avuto modo di mostrare la sua incompetenza fallendo nel compito di prevenire gli attentati terroristici. D’altro canto si è dedicato anima e corpo alla repressione brutale del movimento di classe Nuit debout, mentre ora dà prova di vera e propria follia tentando senza successo di inseguire Marine Le Pen sul suo terreno.
Da quando in qua un determinato modo di vestire il corpo femminile, islamico o meno, fa parte dei valori occidentali?
Valls pensi piuttosto a riorganizzare intelligence e forze dell’ordine per impedire ulteriori attentati terroristici e lasci le donne libere di vestirsi o svestirsi come vogliono.
La palma del peggiore spetta peraltro come al solito al “nostro” Salvini, il quale non si perita di invocare la”pulizia etnica” contro migranti e rifugiati, minacciando di andare all’assalto degli alberghi che ospitano i derelitti in fuga da guerra,terrorismo, fame e miseria.
Per giunta lo ha fatto indossando indebitamente una maglietta della Polizia di Stato. In crisi politicamente, come dimostrato in modo inequivocabile dalle recenti elezioni amministrative, Salvini tenta la carta della sovversione aperta, e dimostra di essere una pessima caricatura di Trump, a sua volta caricatura di Berlusconi. Insomma, una caricatura al cubo.
Nell’Italia in cui vige ancora, nonostante il tentativo di Renzi ed altri di minarne le basi, la Costituzione repubblicana, un simile appello senza precedenti va respinto al mittente senza alcuna esitazione.
Il leader leghista rappresenta l’autentica quinta colonna dei fondamentalisti islamici in Italia e si è permesso anche di insultare e minacciare un’autorità competente e intelligente come il prefetto Morcone, nonchè di dare dello scafista a Mattarella. Usque tandem?
Occorre mobilitarsi in modo pacifico ma determinato contro i razzisti per difendere il diritto alla sicurezza e alla vita di migranti e rifugiati.
Espressioni come “pulizia etnica”evocano le pagine peggiori della recente storia europea e mondiale.
Episodi come Sebrenica, dove migliaia di bosniaci inermi vennero torturati e uccisi dalle bande paramilitari dei cetnici.
Solo Salvini poteva far ricorso a un’espressione del genere per motivare le azioni violente cui intende ricorrere. Ma l’ignoranza, come al solito, non costituisce una scusante e andrebbe perseguito legalmente per istigazione all’odio.
Come affermato dalla segretaria dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, Lorena La Spina, “E’ gravissimo indossare la nostra maglia per invocare addirittura una pulizia etnica che ci riporta indietro a una delle pagine più oscure e dolorose del nostro paese”.
Salvini in effetti andrebbe denunciato e perseguito anche per vilipendio delle Forze dell’ordine o quantomeno per diffamazione ai loro danni.
Negli attuali difficili frangenti della vita nazionale e internazionale, le Forze dell’ordine sono chiamate a svolgere una funzione difficile e delicata e di tutto hanno bisogno tranne che di un arruffapopoli che tenta goffamente di intestarsele agitando parole d’ordine di stampo nettamente razzista.
In sostanza invocando la pulizia etnica Salvini invoca un crimine contro l’umanità , una soluzione finale di hitleriana memoria che faccia “piazza pulita” della moltitudine di disperati che chiedono solo di sopravvivere.
Laddove invece il dovere dell’accoglienza deve costituire la premessa ineludibile di un ordine migliore e più umano sia su scala nazionale che internazionale.
Il triste e nefasto ping-pong fra razzisti occidentali e terrorismo fondamentalista, che tentano di gonfiarsi a vicenda, va arrestato, conducendo la necessaria opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio ma anche mettendo fuori legge e perseguendo ogni esaltazione della violenza, del genocidio e della pulizia etnica,da qualsiasi parte essa provenga.
Fabio Marcelli
Giurista internazionale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
BERLINGUER LONTANA DA RENZI, SOLO ROSSI PUO’ GIOCARSELA
Neanche Bianca Berlinguer potrebbe strappare lo scettro di segretario del Pd al prossimo congresso del partito.
Perlomeno allo stato attuale.
Secondo un sondaggio condotto da Scenari Politici per l’Huffington Post, l’ex direttrice del Tg3 si fermerebbe al 15% dei consensi, lontanissimo dal 55% di Matteo Renzi e dal 30% del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi.
Da considerare che Rossi è partito da tempo con la sua candidatura, mentre quella di Bianca attualmente neanche esiste, se non nelle “ipotesi di scuola”.
In uno scenario senza la Berlinguer e con al suo posto il presidente Matteo Orfini e il leader della minoranza dem Roberto Speranza, il vantaggio del presidente del Consiglio sarebbe anche maggiore.
Il premier si attesterebbe al 59%, seguito da Enrico Rossi al 28%, Roberto Speranza al 7% e Matteo Orfini al 6%.
Per ora Renzi può dormire sonni tranquilli, ma in politica non si sa mai.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER ORGANIZZA UN’ASSEMBLEA IL 5 SETTEMBRE… MEROLA ED ERRANI: “RENZI CAMBI LA LEGGE ELETTORALE”
Mediatori al lavoro per evitare lo scontro nel Pd sul referendum costituzionale. Ma nonostante le buone intenzioni – Vasco Errani, l’ex presidente dell’Emilia Romagna è in prima linea tentando di ricucire il rapporto con l’Anpi, l’associazione dei partigiani – i fronti del No e del Sì si agguerriscono, la contrapposizione si esaspera.
Il 5 settembre a Roma si terrà un’assemblea per sostenere il No al referendum, che vede tra gli organizzatori Massimo D’Alema.
Inviti sono stati spediti ai bersaniani Speranza, Stumpo, Zoggia, Gotor, Fornaro, oltre che ai parlamentari del Pd che hanno già sottoscritto un documento contro la riforma della Carta voluta da Renzi, come Franco Monaco e Angelo Capodicasa.
D’Alema chiama a rapporto mezzo partito per discutere e sondare chi è disposto a un comitato “La sinistra per il No”, e ci saranno alla convention di settembre anche l’ex ministro Flavio Zanonato, Carlo Pegorer, l’europarlamentare Antonio Panzeri.
Un bel gruppo di dem, perchè il tam tam si estende e si ingrossa a livello locale, nei circoli. Una spina nel fianco di Renzi.
Reazioni da non sottovalutare.
Il sindaco di Bologna, Virginio Merola in un’intervista – oggi nell’edizione bolognese di Repubblica – lancia l’allarme sul nodo “molto più profondo” che la spaccatura sul referendum, svela: “Io avverto il rischio di una frattura irreparabile. Temo che ci si rassegni a costruire due partiti in uno, pronti a tirare le fila dopo il voto. Una cosa per me intollerabile a Bologna dove è nato l’Ulivo. Perchè o siamo capaci di fare tutti insieme l’interesse dell’Italia oggi, in sei mesi che saranno decisivi con tensioni economiche e sociali fortissime, o tutto il Pd si condanna all’inutilità “.
Per Merola, schierato con il Sì, “Renzi deve fare fino in fondo il segretario e farsi carico dell’unità del partito, proponendo lui per primo e subito una nuova legge elettorale. Un Italicum più democratico, con gli elettori che scelgono i parlamentari in collegi uninominali… Bisogna svelenire un clima che altrimenti diventa irrespirabile”. E se non lo fa?
“Porta il Pd a sancire una spaccatura tra due partiti, una formazione neocentrista e minoranze irrilevanti pronte a rifare i Ds. Questo è il momento di scelte forti e urgenti”.
La rottura con l’Anpi, che si sta consumando in questi giorni mettendo la sordina ai partigiani non invitati alle Feste dell’Unità o avvertiti di non fare campagna per il No, è solo la punta dell’iceberg?
Matteo Orfini, il presidente del Pd, circoscrive il “caso Anpi”.
A Carlo Smuraglia, alla guida dell’associazione dei partigiani, rivolge l’invito a salire sul palco della Festa dell’Unità di Roma, o dove preferisce per confrontarsi sul referendum.
Però niente stand di propaganda e soprattutto “non tiriamo in ballo la Resistenza che è di tutti”.
“L’Anpi è ufficialmente invitata alle Feste dell’Unità , ma fare i banchetti di propaganda per il No non è possibile”.
Per il Pd e il premier Renzi la riforma costituzionale è la madre di tutte le battaglie quindi il Sì al referendum è blindato. ”
Hanno mancato di rispetto verso la storia dell’Anpi”, ha accusato in un’intervista a Repubblica Smuraglia, ritenendo “per rispetto di se stessi” opportuno evitare le Feste perchè i partigiani non possono esprimere liberamente le loro idee e posizioni. Replica Debora Serracchiani, la vice segretaria
“Confrontarsi con tutti e fare valere le ragioni del Sì è non solo opportuno ma nell’interesse di chi ha promosso il referendum”. Però “niente ricatti” .
Quindi ok al dialogo con l’Anpi, no agli ultimatum, ad esempio sull’Italicum da cambiare.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
“FINO A POCHI ANNI FA ANCHE LE NOSTRE SUORE FACEVANO IL BAGNO VESTITE”… “E’ UN’IMPOSIZIONE COSTRINGERE A SCOPRIRSI PER FARE IL BAGNO”
“Burkini? Che male c’è? Mi mette più a disagio un topless”.
Il divieto di indossare il costume integrale in spiaggia adottato da alcune città francesi non piace alle donne, giovani e meno giovani, arrivate al Meeting di Cl a Rimini. Girando tra gli stand della kermesse ciellina per parlare delle polemiche di questi giorni, solo una ammette di essere a disagio davanti a una donna che fa il bagno completamente vestita: “E’ anche una questione di igiene”.
Tutte le altre intervistate non condividono in alcun modo i provvedimenti adottati in alcune città della Francia e allo studio in Germania.
“Potrebbe essere un’imposizione anche doversi scoprire per fare il bagno — dice una signora — A me il burkini non disturba. Patisco un po’ per loro a vederle così coperte in acqua. Ma non dimentichiamoci che fino a pochi anni fa anche le nostre donne andavano in giro coperte, e le suore facevano il bagno vestite”.
Un’altra spiega di essere più a disagio “davanti a un topless”, purchè “il burkini lasci scoperto il volto, per questioni di sicurezza”.
Poco distante una ragazza le fa eco: “Se una ha una certa dignità del proprio corpo e lo vuole nascondere, non vedo perchè no. Mi sembra più sensato di certa gente che senza pudore va in spiaggia in topless”.
Per tutte comunque lo stop al burkini non favorisce l’integrazione. Anzi, è un ostacolo.
“Si fa tanta pressione su una questione che alla fine è minoritaria, mentre bisognerebbe fare molta più attenzione al dialogo interreligioso. Un confronto che produca qualcosa di positivo, e che serva all’integrazione vera e propria”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 21st, 2016 Riccardo Fucile
VALLS DICE CHE IL BURKINI E’ INCOMPATIBILE CON I VALORI DELLA FRANCIA, POI VENDE L’ANIMA PER I PETRODOLLARI
Il sonno della ragione dei politici europei, impegnati a rincorrere qualunque retorica pur di speculare su qualche voto, produce mostri come la polemica francese sul burkini. A sua volta preziosa perchè, letta in controluce, spiega tutto non solo della Francia, afflitta da una classe di governo di rara mediocrità , ma dell’ Europa intera e, alla fin fine, di questo Occidente insopportabilmente pigro dal punto di vista morale e ipocrita.
Qualche fatto. Pochi giorni fa il sindaco di Cannes, David Lisnard, ha emesso un’ ordinanza per vietare sul territorio del suo comune l’ uso del burkini, l’ orribile costume da bagno che copra tutto il corpo della dona, capo compreso, ed è usato da certe donne musulmane.
Nell’ ordinanza, Lisnard si richiama alla necessità di difendere “i buoni costumi” e “la laicità ” e “di far rispettare le regole d’ igiene e sicurezza”. L’ ordinanza, ovviamente, è stata subito replicata dai sindaci di altri comuni della Costa Azzurra ed è poi finita davanti al magistrato per gli altrettanto ovvi ricorsi.
A dispetto del nome, il burkini c’ entra poco col burka.
In Italia il burka, che copre anche interamente il volto, è fuori legge… per legge: la legge Reale del 1975, che disciplina la tutela dell’ ordine pubblico e proibisce, appunto, di rendersi irriconoscibili coprendo il volto. Ma il burkini, che in definitiva somiglia a una muta completa da subacqueo, da noi dovrebbe essere proibito con un provvedimento ad hoc. Detto questo, ci sono alcune ragioni precise che rendono l’ operato dei francesi non solo una farsa ma una farsa pericolosa.
Frequento da anni la Costa Azzurra, alla maniera di tanti altri piccoli borghesi del Piemonte e della Lombardia. Mini appartamento a Mentone (in società con mia madre e mio fratello), poi da lì si va qua e là .
In questi anni di burkini ne avrò visti, a dir tanto, tre.
Mi sfugge quindi come il sindaco di Cannes (75 mila abitanti, d’ estate almeno oltre i 100 mila) possa sentire minacciati, tutti insieme, i costumi, la laicità , l’ igiene e la sicurezza del suo ricco Comune.
Soprattutto mi pare incredibile che il sindaco non noti una contraddizione.
Lui vieta i burkini in spiaggia, ma nel centro si vedono donne abbondantemente velate (le stesse che hanno finito di fare il bagno?) che, pasturando stuoli di bambini e restando disciplinate nell’ ombra dei mariti entrano nei ristoranti, escono dalle boutique con mazzi di pacchetti, vanno a curiosare nelle agenzie immobiliare, fanno acquisti in gioielleria e così via.
In quei casi, a quanto pare, il sindaco Lisnard non vede alcun pericolo per la laicità e l’ igiene, anche se le donne sono coperte proprio come se avessero il burkini.
Che sia una questione di quattrini? Veli e coperture vanno bene tra i negozi, perchè da sotto quei veli escono gli euro. E non vanno bene in spiaggia, dove qualche turista potrebbe adontarsi e portare i propri euro lontano dal comune di Cannes?
Si diceva prima del magistrati e dei ricorsi che si è trovato a esaminare.
L’ ordinanza del sindaco Lisnard è stata sdoganata. Anche alla luce, ha sentenziato il magistrato, dello stato di emergenza proclamato dopo la strage di Nizza del 14 luglio. Curioso anche questo: Mohamed Bouhlel, il camionista che uccise 84 persone investendole sul lungomare, era uno piscopatico violento che andava a donne, beveva, non frequentava la moschea e non osservava il Ramadan, il mese del digiuno che è uno dei cinque precetti che definiscono il musulmano.
Quel che è peggio, però, è che sulle stesse posizioni si è allineato anche il premier Manuel Valls, che si è lanciato in frasi importanti.
“Il burkini è incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica, ed è l’ espressione di un’ ideologia basata sull’ asservimento della donna”.
Forse il burkini è incompatibile con la Francia, ma tutto il resto no.
Voglio dire: il burkini offende la Repubblica e le donne ma ciò che produce il burkini e, soprattutto, produce quella visione estrema dell’ islam, l’ asservimento delle donne e molte altre cose al premier Valls va benone. Anzi: lui lo ama, lo ritiene indispensabile.
Fu proprio Valls, qualche mese fa, a dire che la Francia ha con l’ Arabia Saudita una “relazione strategica”.
Quindi importante, anzi irrinunciabile. Eppure Valls sa come sono vestite le donne saudite.
Sa che non possono guidare. Sa che per mandare una donna a correre alle Olimpiadi di Rio, anche lei per altro vestita con una sorta di burkini su cui nessuno ha protestato, hanno dovuto trovarne una che fosse accompagnata in Brasile da un parente maschio e avesse il permesso di padre e marito.
Sa anche, Valls, che il wahabismo saudita è la forma più radicale e conservatrice di islam oggi praticata nel mondo.
E che i wahabiti, usando i petrodollari, propagandano quella visione dell’ islam in tutto il mondo, finanziando scuole coraniche radicali, gruppi estremistici, financo gruppi terroristi. Ma ciò che offende e indigna Valls è il burkini.
Di più. La frase sulla “relazione strategica” fu pronunciata subito dopo che il presidente Hollande aveva concesso la Legion d’ Onore, massima onoreficenza francese, a Mohammed bin Nayef, principe ereditario della monarchia saudita e ministro degli Interni. In quel momento del 2016 , Bin Nayef aveva già firmato 70 condanne a morte (una fu eseguita due giorni dopo il ritiro della Legione) e, come ministro degli Interni, è responsabile proprio di quel sistema perverso di leggi civili e leggi religiose che tiene le donne saudite nello stato in cui sono, quasi prive di diritti e, ovviamente, obbligate a indossare il burkini. Ma Valls non era turbato dal fatto di onorare un tale personaggio. No, lui si turba per il burkini.
D’ altra parte i politici francesi sono tipi particolari.
Nel 2015 per ben tre volte i vertici del sistema politico d’ Oltralpe si sono recati in Arabia Saudita, il Paese dove l’ asservimento delle donne è più palese, a omaggiarne i dirigenti. Due volte Hollande e una lo stesso Valls il quale, il 12 e 13 ottobre, ha firmato contratti per 10 miliardi di euro.
Quei soldi coprivano anche un’ abbondante fornitura di armi prodotte in Francia. Il che significa solo una cosa: che per un po’ di denaro, il buon Valls e il buon Hollande andavano a rafforzare il regime che da della negazione della laicità e dell’ asservimento delle donne due caposaldi della propria visione del mondo.
Per non parlare del fatto che molte di quelle armi saranno probabilmente passate a gruppi armati fondamentalisti, per esempio l’ Isis. Tutto questo però non è incompatibile con i valori della Repubblica francese. Tutto questo non sconvolge Valls. A lui lo sconvolgono solo i burkini.
Alla fin fine, è sempre la solita storia. Siamo moralmente pigri e miseri, per quattro petrodollari diamo via l’ anima e altro. Quindi proprio non possiamo prendercela con le centrali che alimentano nel mondo, concretamente, il fanatismo, il radicalismo islamico, il terrorismo. Così ce la prendiamo coi simboli. Il che è una vera stupidaggine.
Perchè i simboli appartengono a tutti i musulmani, Il terrorismo e le armi solo a una parte di loro. Per denaro, quindi, preferiamo prendercela indistintamente con l’ islam, scontentando quindi tutti i musulmani, e lasciare in pace chi, in definitiva, ci spara addosso.
E’ il marchio di fabbrica di questa Europa imbelle, senza nerbo e senza visione. E il trionfo delle teorie dello “scontro di civiltà ” partorite dai neocon americani e da quelli che li hanno seguiti.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dal 2000 a oggi le vittime di atti terroristici sono aumentate di nove volte.
Come diceve Nanni Moretti. Continuiamo così, facciamoci del male.
Fulvio Scaglione
(da “Famiglia Cristiana”)
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