Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
PROCESSO DI OTTO ORE IN CONSIGLIO COMUNALE TRA URLA E INSULTI
In un attimo il Campidoglio diventa un tribunale.
Il sindaco di Roma Virginia Raggi ha l’aria di chi è tornata al suo mestiere di avvocato mentre l’assessore all’Ambiente, Paola Muraro, sembra la cliente da difendere dalle accuse di conflitto di interesse per essere stata consulente in Ama per dodici anni.
Il “processo” nell’Aula Giulio Cesare dura quasi otto ore.
Muraro non parla, Raggi invece le fa da scudo non citando mai le tre telefonate – seppur non penalmente rilevanti – che l’allora consulente di Ama fece a Salvatore Buzzi, in carcere per Mafia Capitale, per conto dell’ex direttore generale Giovanni Fiscon, anche quest’ultimo coinvolto nell’inchiesta.
Quindi, “che ruolo aveva realmente in Ama l’allora consulente Muraro? E che rapporto aveva con i vertici indagati?”, chiede l’accusa, cioè il Partito democratico.
L’aula si riscalda piano piano, si sentono urla e insulti da entrambe le parti.
Raggi, nel primo intervento durato oltre quarantacinque minuti, svicola la domanda che il Pd le rivolge: “Era una semplice consulente”, risponde il sindaco rivolgendo a sua volta una domanda: “Non si può eccepire che Muraro non sia competente, forse è diventata troppo scomoda?”. Sarcastica, a volte ironica, molto pungente nei confronti di chi c’è stato prima, Raggi — niente toga, ma pantalone bianco e canotta – difende e attacca: “Altri consulenti in Ama hanno ricevuto compensi ben più onerosi del milione e centomila euro della Muraro e mai nessuno ha detto nulla”
Così lo scontro tra accusa e difesa inizia ad essere sempre più aspro. E diventa tutto al femminile.
Prende la parola la capogruppo dem Michela Di Biase: “Che cosa avreste detto voi grillini, se uno di noi avesse avuto rapporti professionali con Panzironi e con Buzzi?”. Frasi urlate. Nell’aula Giulio Cesare sono arrivati anche gli attivisti M5S: “Stai zitta! Vi siete mangiati tutto”. Ma Di Biase non lo accetta: “E Di Battista? Dov’è oggi Di Battista? Non lo vedo tra il pubblico a gridare onestà -onestà . Che fine ha fatto il vostro grido di sempre?”.
L’argomento non è stato ancora centrato.
Iniziano gli interventi degli altri partiti di opposizione, sugli scranni in ordine sparso e con molti assenti.
Il consigliere Onorato della Lista Marchini osserva: “Non mi sembra che Muraro abbia vinto un bando per diventare consulente in Ama. Quindi mi chiedo, come mai i vertici dell’azienda, così discussi, hanno scelto proprio lei?”.
E poi ancora: “Perchè, sindaca Raggi, ha come assessora chi ha vigilato male su Ama?”.
La difesa inizia a innervosirsi.
Parla Paolo Ferrara, il capogruppo M5S: “Siete senza vergogna”. I toni sono questi.
Interviene Stefano Fassina: “Il sindaco ha fatto un racconto meticoloso del passato. Per 42 minuti su 45 ha parlato delle colpe degli altri, che i romani conoscono benissimo altrimenti il Movimento 5 Stelle non avrebbe vinto le elezioni. Mi chiedo, l’assessore Muraro ha la distanza necessaria da Ama per procedere a una battaglia difficile?”.
Intanto il sindaco ha lasciato il suo posto per sedersi accanto all’assessore da difendere perchè quanto detto fino ad ora non è certo bastato.
Prende appunti in attesa della controreplica, che arriva subito dopo l’intervento della capo dei dem Di Biase: “Raggi, ha parlato come una maestrina. Ha illustrato buone intenzione e di più non ha fatto. Quindi, quale ruolo ha avuto Muraro in Ama”.
Raggi precisa il ruolo della Muraro: “Era un interlocutore tecnico”. Poi difende Stefano Vignaroli, accusato di aver avuto contatti proprio con Cerroni e di essere in conflitto di interessi poichè vice presidente della commissione Ecomafie: “Sfido chiunque a dire che Vignaroli non si intenda di rifiuti, posso assicurarvi che tutto quello che sta facendo lo sta facendo nell’interesse di Roma”.
Difesa totale insomma quanto valida non si sa.
Salvo ovviamente — come ripetono i 5Stelle — un’inchiesta a carico dell’assessore all’Ambiente con accuse gravi.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
TRECENTO PERSONE ALLE ESEQUIE DEL GIOVANE NICANDRO, MORTO DOPO AVER CERCATO DI DARE FUOCO ALLA CASA DI UN PARENTE
Le esequie di Nicandro Casamonica, il 27enne morto il 7 agosto scorso mentre tentava di dare fuoco all’abitazione di un suo parente mentre tentava di dare fuoco ad una abitazione di un suo parente per vendicare l’onore della sua famiglia dopo che la sorella Concetta era fuggita con un cugino già sposato, tornano a far parlare per il loro sfarzo anche se mercoledì non c’erano cavalli, carrozze e un elicottero come avvenne per i funerali show, giusto un anno fa, di Vittorio Casamonica, capofamiglia del clan al centro di numerose indagini sulla criminalità organizzata nella Capitale.
Lancio di petali, auto di lusso e oltre 300 persone alle esequie del giovane Casamonica, in via Francesco Di Benedetto, nella zona della Romanina.
Palloncini bianchi e azzurri e oltre trenta corone di fiori sono stati posti fuori dalla villa di tre piani, dove si è svolta la cerimonia con rito evangelico.
I colpi di acceleratore in omaggio al defunto
Forte la commozione dei tanti parenti presenti e della madre del giovane che è stata colta da malore, tanto che è dovuta intervenire un’ambulanza del 118 per soccorrerla.
Quando la bara ha lasciato la villa, dai primi piani dell’abitazione sono stati lanciati petali di fiori bianchi e dalla Ferrari nera appartenuta al defunto sono partiti colpi di acceleratore come ad «omaggiare» il feretro.
La bara è stata poi adagiata su una Maserati adibita a carro funebre per raggiungere il cimitero di Ciampino. L’auto con a bordo la salma è stata quindi seguita da un lento e commosso corteo. Il 22 agosto dell’anno scorso le esequie di Vittorio Casamonica scatenarono violentissime polemiche a vari livelli.
Nella chiesa di Don Bosco, nel quartiere Tuscolano, andò in scena un evento sfarzoso con tanto di elicottero, salma trainata da cavalli e musica del padrino in sottofondo. Un evento hollywoodiano e folkloristico che finì sui media di mezzo mondo portando anche alla netta presa di posizione dell’Osservatore Romano che parlò apertamente di «vergogna».
Un caso che mise in crisi sia la politica della Capitale, con l’ex sindaco Ignazio Marino in testa, e sia i vertici delle forze dell’ordine.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA MISURA ADOTTATA DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI
I consigli comunali di Corleone (Palermo), Tropea (Vibo Valentia), Bovalino (Reggio Calabria) e Arzano (Napoli) sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. La misura è stata deliberata dal Consiglio dei Ministri su proposta del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Il caso del Comune siciliano, da cui partì la scalata di Totò Riina e Bernardo Provenzano ai vertici di Cosa Nostra, era già approdato lo scorso gennaio nella commissione Antimafia della Regione.
Qui il sindaco Leoluchina Savona aveva messo a verbale la propria preoccupazione per il ritorno in paese di alcuni soggetti legati ai clan.
Da un’inchiesta della procura di Palermo, sfociata poi nell’Operazione Grande Passo, emerge anche come i reggenti del clan mafioso locale incontrarono addirittura la prima cittadina, grazie all’amicizia che lega uno degli uomini poi arrestati e Giovanni Savona, fratello della sindaca.
L’incontro è avvenuto il 3 settembre del 2014 ed era stato fissato perchè alcuni degli uomini coinvolti dall’operazione antimafia puntavano a prendere in affitto uno stabilimento caseario di proprietà del comune.
Eletta nel 2012 alla guida della città con una lista civica di centrodestra, Savona è considerata un sindaco antimafia: dall’inchiesta della procura di Palermo non emerge alcuna consapevolezza sul ruolo degli uomini incontrati allo stabilimento di proprietà del comune, e non è quindi tra gli indagati.
Dopo la notizia dello scioglimento della sua amministrazione, è stata interpellata proprio su questo episodio: “Quello che è successo a me potrebbe capitare a chiunque — ha spiegato -. Quando le persone si presentano hanno il certificato antimafia in mano, tra l’altro io li ho ricevuti al Palazzo di Città e al caseificio, che ho fatto visitare negli anni a migliaia di persone quando ero consigliere comunale. Sono venuti dal Piemonte, dalla Lombardia, dalla Sardegna, dalla Danimarca”.
Intervistata a caldo dalla Adnkronos ha inoltre aggiunto che lo scioglimento per mafia si abbatte come “un macigno” sul suo paese: “Il nome che questa città si porta dietro è pesante di per sè”.
E poi contrattacca: “C’è stato un accanimento politico molto potente nei miei confronti — dice -. Le persone oneste sono scomode. Non si è fatto in passato uno scioglimento per mafia, non lo si è fatto neanche ai tempi di Ciancimino e si è fatto ora che c’è una persona onesta”.
Nel paese sulla costa tirrenica della Calabria invece l’accesso antimafia, che ha portato allo scioglimento del Comune, già commissariato, era stato disposto il 22 ottobre del 2015, su proposta dell’allora prefetto di Vibo Valentia, Giovanni Bruno, e si era concluso il 22 aprile scorso.
Gli accertamenti erano mirati a fare chiarezza sulle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nell’amministrazione del sindaco Giuseppe Rodolico, eletto con una lista civica, che era caduta a inizio agosto sul voto di bilancio.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
IL PRESENTATORE RINGRAZIA FALCO, FINITO IN MANETTE PERCHE’ “PRESTANOME DEL BOSS ZAGARIA”…INTERVIENE LA PROCURA: “PROCEDURE DI LICENZIAMENTO AVVIATE”
Non è la prima volta che dal palco di una manifestazione canora si inviano messaggi di saluti a persone ristrette in carcere per presunti legami con i clan .
“Vi chiedo solo un minuto di tranquillità , un ringraziamento speciale va all’uomo che ha voluto fortemente, ideato e realizzato la struttura nella quale ci troviamo. Un impegno trentennale tendente sempre verso il raggiungimento di ambiti successi, colui che giorno dopo giorno ha assemblato con entusiasmo la sua opera, il suo gioiello che è diventato oggi il centro commerciale Jambo. Gradirei un grande applauso per Alessandro Falco… ciao Ale” chiude così il “patron” della trasmissione tv We Can Dance, Dino Piacenti dal palco nella serata conclusiva del GoBeer Expo 2016 che vedeva di scena il rapper salernitano Rocco Hunt.
Il palco per la manifestazione era stato allestito nel parcheggio del Jambo a Trentola Ducenta, cittadina del casertano.
Il comune è stato sciolto per infiltrazione mafiosa lo scorso 11 maggio.
Il centro commerciale Jambo, dal valore stimato di ben 60 milioni di euro, finì sotto i riflettori della cronaca giudiziaria il 10 dicembre del 2015, quando gli uomini della Squadra Mobile di Caserta e i Ros dei carabinieri arrestarono 28 soggetti tra camorristi, prestanomi, imprenditori e amministratori pubblici.
A finire nelle maglie della magistratura partenopea furono il capoclan dei casalesi Michele Zagaria, detto capastorta, ritenuto dall’inchiesta “l’effettivo socio di maggioranza della società proprietaria della struttura commerciale”, il sindaco in carica di Trentola Ducenta, Michele Griffo, e proprio uno dei titolari del mega centro commerciale, l’imprenditore 57enne Alessandro Falco, cui venne sequestrato il “gioiello di famiglia”.
Il giovane Ortensio Falco, fratello del titolare e socio, nonostante la richiesta di arresto avanzata dai pm della Distrettuale di Napoli, resta a piede libero.
Gravissimo il quadro indiziario a carico dell’imprenditore Falco che durante il blitz delle forze di polizia non fu trovato in casa. Irreperibile si costituì cinque giorni dopo al commissariato di polizia di Aversa.
Tutti in paese ricordano il piccolo centro commerciale Jambo nato per volere del capostipite dei Falco, Don Vincenzo, padre dei fratelli Alessandro e Ortensio agli albori degli anni ’90 e che in 25 anni si è trasformato da esercizio medio-piccolo del valore di 2 miliardi di lire ad uno dei più grossi centri commerciali della Campania.
Conti, bilanci, dichiarazioni dei redditi, frequentazioni dubbie, racconti di numerosi collaboratori di giustizia che incastrano i Falco, tutto al vaglio degli inquirenti: al ras dei casalesi Michele Zagaria durante la sua latitanza, venivano recapitate tramite uomini del clan valigie piene di soldi, frutto dei proventi della florida attività commerciale della struttura trentolese.
In un’occasione, a proposito dell’acquisto dei terreni limitrofi per l’ampliamento del centro commerciale, Alessandro Falco venne prelevato da uomini di un clan rivale (Lorenzo Ventre) e messo a testa in giù perchè si era permesso di entrare in un territorio che non era di competenza degli Zagaria.
Sempre secondo il racconto dei collaboratori di giustizia, lo stesso Michele Zagaria avrebbe incontrato nei locali della struttura i responsabili per indicare i nomi delle persone che avrebbero potuto lavorare all’interno del centro. Un indotto quello del Jambo che supera le 1.500 unità e che dà lavoro a numerosi giovani e famiglie nell’agro aversano, dominato dallo strapotere della mafia casalese.
Domenica sera prima del concerto di Rocco Hunt era giunto il momento delle premiazioni. Sul palco con i presentatori della serata anche il direttore commerciale storico della struttura, Edmondo Pedone.
Commosso, quasi in lacrime, riceve la targa ricordo dell’evento.
Ma le cose vanno fatte perbene: lo show man Dino Piacenti organizzatore della kermesse non bada a spese e dona al povero direttore Pedone anche la targa per i fratelli Falco, ringraziandoli di cuore per tutto ciò che hanno fatto nella loro vita imprenditoriale. Una brutta pagina per lo spettacolo e per la legalità .
Dopo una dettagliata relazione degli amministratori giudiziari sull’accaduto, il Gip di Napoli Federica Colucci, nel suo provvedimento ha usato parole durissime nei confronti di coloro che si sono resi protagonisti e che hanno segnato negativamente l’evento conclusivo di domenica: “I comportamenti sono gravissimi. È inaccettabile che una persona, di fatto pagata dallo Stato, pubblicamente elogi e ringrazi un uomo attualmente detenuto perchè lo stesso Stato gli contesta reati gravissimi” di mafia.
Su richiesta del pubblici ministeri Catello Maresca in forza alla Distrettuale Antimafia partenopea e Francesco Curcio della Direzione Nazionale Antimafia, il Gip Colucci, nella giornata di ieri ha avviato un’indagine interna e iniziato la procedura per il licenziamento di dipendenti che non risultino in linea con la gestione della struttura posta sotto sequestro giudiziario.
Concessi dal giudice cinque giorni allo showman Piacenti per chiarire “chi ha redatto il foglio che ha letto sul palco” e al direttore commerciale Edmondo Pedone chiarimenti su “i motivi che lo hanno portato ad accettare la targa”.
Nicola Baldieri
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
ATTACCARE UN MINISTRO IN QUANTO DONNA NON PUO’ ESSERE AMMISSIBILE… SE IL DIRETTORE DEL QN HA DOVUTO DIMETTERSI PER AVER DEFINITO CICCIOTELLE LE ARCIERE OLIMPICHE, ATTENDIAMO LE DIMISSIONI DEL RECIDIVO TRAVAGLIO
Come ogni mattina faccio la mia rassegna stampa. Prima di passare agli approfondimenti, per prima cosa raccolgo tutte le prime pagine, guardo i titoli, i cappelli e – ovviamente – anche le vignette. Lo faccio più che per lavoro per una questione culturale, cerco di aggiornarmi e tenere il passo con le linee editoriali e i temi dei vari quotidiani nazionali.
Stamattina però quando sono arrivato alla lettura del Fatto Quotidiano ho subito notato la vignetta di Mannelli in prima, e come reazione ho avuto una sorta di fastidio. La riguardo con attenzione dicendomi “forse non l’ho capita”, e riprendo ad osservarla con più attenzione.
Ebbene la mia conclusione è stata netta e lapidaria: vignetta inutile, non fa ridere, non fa pensare, colpisce Boschi in quanto donna e non nel suo operato.
Fin qua tutto bene, la satira può piacere o meno, può essere apprezzata o meno, può anche essere criticata e ovviamente bollata diversamente.
Guai a toccare la satira, guai a censurare la satira, guai.
Sopratutto sulle vignette, abbiamo avuto la tragedia di Charlie Hebdo e ho ancora davanti agli occhi il pianto di Luz quando ha dovuto presentare la vignetta della copertina del numero successivo al massacro nella loro redazione.
Ma il problema in questo caso è diverso, è la recidività del Fatto Quotidiano sulla Boschi e il suo essere donna di potere.
Sì, perchè spesso, direi troppo spesso, si leggono articoli che, senza girarci intorno, attaccano il Ministro Boschi nella sua dimensione più intima e, se vogliamo, più debole secondo i canoni di chi ha nella testa – citando una mia amica di Napoli – la “mazzamma”, ovvero tutti quei pregiudizi sulle donne che davvero ricordano l’800.
Prendo a caso il loro direttore e qualche trafiletto di qualche articolo:
“Boschi trivellata dai magistrati” (5 aprile 2016, di Marco Travaglio);
“Boschi si occupi di cellulite” (12 luglio 2016)
“Decisamente più difficile sarà spiegare al pupo come fu che mamma divenne ministro” (13 luglio 2015
E potrei andare avanti per ore.
Allora, non voglio mettermi contro la satira di Mannelli, ci mancherebbe, però io non posso fare a meno di pensare che questa posizione del Fatto Quotidiano nei confronti del Ministro Boschi sia quantomeno becera, indegna, non definibile come giornalismo e inqualificabile come linea editoriale, sopratutto quando si è in campagna referendaria e l’obiettivo politico è screditare la Boschi e il suo operato sulla riforma.
In questi giorni abbiamo assistito a una indignazione collettiva circa le nostre arcieri e quel titolo de “Il Resto del Carlino” che le ha definite “cicciottelle”, caso che ha addirittura fatto rimuovere il direttore, ebbene, io ritengo che questo metodo, questo improntare la critica politica cercando di ferire la donna più che il politico, facendo allusioni sessiste alla pari dei peggiori B movies degli anni ’70 (che pure apprezzo) sia ormai da condannare senza se e senza ma, e perchè no, se si rimuove un direttore per quel “cicciotelle”, figuratevi cosa dovrebbe accadere se dici ad una donna di occuparsi di cellulite o – peggio ancora – alludi al fatto che sia stata tra le braccia di più persone per diventare ministro.
Agli editori, ma soprattutto ai lettori del Fatto Quotidiano, la sentenza.
Per me già stata scritta, poi, Fate Vobis.
Tommaso Ederoclite
Ricercatore, Politologo
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
LE DIRETTIVE AI CORPI D’ELITE AUTORIZZATI DIRETTAMENTE DA RENZI
Il governo italiano ammette per la prima volta ufficialmente che commando delle forze speciali siano stati dislocati nei teatri di guerra in Iraq, ma soprattutto in Libia. La notizia è contenuta in un documento appena trasmesso al Comitato di controllo sui servizi segreti (Copasir), e classificato “segreto”.
Nel documento, redatto dal Cofs (Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali), si specifica che si tratta di operazioni effettuate in applicazione della normativa approvata lo scorso novembre dal Parlamento, che consente al Presidente del Consiglio di autorizzare missioni all’estero di militari dei nostri corpi d’elite ponendoli sotto la catena di comando dei servizi segreti con tutte le garanzie connesse. Immunità compresa.
Dunque, è bene chiarire subito che in Libia tecnicamente non siamo ancora in guerra. Primo, perchè i commando del 9° Reggimento “Col Moschin” del Gruppo Operativo Incursori del Comsubin, del 17° Stormo Incursori dell’Aeronautica Militare e del Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri (e le forze di supporto aereo e navale) non rispondono alla catena di comando della coalizione dei trenta e più paesi che appoggia il governo del premier Fayez al-Sarraj, ma direttamente al nostro esecutivo. Secondo, perchè si tratterebbe di missioni limitate nel tempo, che partono dalle basi italiane.
Ma almeno adesso non c’è più alcun dubbio sul fatto che nel supporto alle operazioni contro l’Isis non ci sia solo la mano delle forze speciali americane, britanniche e francesi.
In Libia, a singhiozzo, ci siamo anche noi.
Cosa abbiamo fatto e cosa stiamo facendo in queste ore è scritto nero su bianco nell’informativa inviata al Copasir, su cui il Governo sarebbe pronto ad alzare il livello di segretezza fino ad apporre il sigillo del Segreto di Stato.
Fonti della Difesa hanno confermato ufficiosamente il contenuto del documento, che dopo mesi di indiscrezioni e smentite — l’ultima con Matteo Renzi a Repubblica che diceva che “le strutture italiane impegnate nella lotta contro Daesh sono quelle autorizzate dal Parlamento, ai sensi della vigente normativa”, era in realtà un’ammissione della possibilità di applicare il testo della legge approvata a novembre — fa chiarezza sulla presenza delle nostre forze speciali in due teatri di guerra in rapidissima evoluzione.
(da “Huffingtnopost”)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
IL MAGNATE HA PASSATO IL SEGNO, UN ELETTORE REPUBBLICANO SU CINQUE CHIEDE CHE SI RITIRI
Donald Trump alza ancora l’asticella a livelli fin qui considerati inarrivabili. Un’ennesima battuta-shock per il candidato repubblicano alla Casa Bianca, che arriva quasi a invitare a sparare alla sua rivale democratica Hillary Clinton che, tra le altre cose, vuole una stretta sulle armi da fuoco: “Il popolo del secondo emendamento potrebbe fermare Hillary Clinton”, ha affermato il tycoon durante un comizio, riferendosi a chi difende il diritto di avere in casa fucili o pistole.
“Uno che istiga alla violenza non può fare il presidente. Per questo Trump è pericoloso”, replica lo staff della ex first lady.
“Quando ho letto le sue parole, francamente non potevo credere lo avesse detto. Sono andato a vedere il video e mi sono reso conto che era esattamente ciò che aveva detto”, ha spiegato Tim Kaine, candidato dem alla vice presidenza
La strategia di Trump è sperimentata. Dopo la battuta a effetto e, soprattutto, dopo le inevitabili reazioni indignate e le critiche dei media, The Donald non fa marcia indietro ma corregge il tiro.
Ha spiegato di aver voluto semplicemente incoraggiare i sostenitori del diritto a portare le armi affinchè si impegnino di più politicamente.
Secondo i sondaggi, però, la strategia non paga.
Secondo l’ultima rilevazione di Ipsos un elettore repubblicano su cinque è a favore di un ritiro del tycoon dalla corsa alla Casa Bianca.
Prendendo in considerazione l’intero bacino di elettori, di ogni colore politico, è il 44% ad auspicare un’uscita di scena di Trump prima del voto del 6 novembre.
“E’ giunta l’ora per i repubblicani di ripudiare Donald Trump una volta per tutte” è il durissimo commento del New York Times, per il quale oggi “gli americani si ritrovano a doversi interrogare se davvero il tycoon abbia istigato chi possiede armi ad assassinare Hillary Clinton. Di rado, forse mai, gli americani si sono ritrovati davanti a un candidato così disposto a scendere nella bigotteria e nell’intolleranza più profonde”, scrive l’Editorial Board del quotidiano, sottolineando come Trump “quando è circondato dall’adulazione della folla è incapace di controllare se stesso”.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
MINORENNI IN VIAGGIO DA ROMA: COSI’ NASCE L’EMERGENZA IN LOMBARDIA
Il match Rihanna contro Fresalam Mussie inizia alle 22,15, quando sarebbe ora di iniziare a prepararsi per andare alla stazione.
Mulugheta, origini eritree, è un volontario di via Cupa, la strada di Roma dove chi arriva dall’Africa fa tappa prima di andare verso Nord.
È un fan di Fresalam Mussie, lo mette a tutto volume e inizia a ballare. «Parla della nostra libertà , della libertà del popolo eritreo, non puoi non ascoltarlo!»
Samson ha vent’anni di meno. Non gli importano le parole di chi gli ricorda quello che ha deciso di abbandonare. Nella sua libertà ci sono Rihanna, l’hip hop, il cappellino da rapper e il viaggio di stasera.
Spara con tutto il volume che il cellulare di un amico gli consente l’ultimo brano di Rihanna e finisce di preparare lo zaino. Non ha molto da portare con sè: un caricabatteria, un ricambio di biancheria e di jeans e tanti fogli di carta, piccoli, ripiegati in modo da farsi anche più piccoli e diventare invisibili in fondo allo zaino.
Alle undici di sera si va. Sono in sette a lasciare via Cupa: tutti minori, tra i quattordici e i sedici anni. I responsabili del Baobab Experience li hanno nutriti, vestiti e ospitati per quasi due settimane. Due giorni fa sono arrivati anche i soldi per il biglietto, è tempo di andare.
NIENTE LACRIME
Abbracci, sorrisi, strette di mano. Nessuna lacrima, nessun rimpianto. Nemmeno da parte di Zebib, 15 anni, che a via Cupa aveva trovato un fidanzato. Lo saluta in un angolo buio, lontano dagli sguardi degli altri, quindi si unisce al gruppo.
«Dove dovrei andare? Sono loro la mia famiglia», spiega in un misto di inglese e arabo.
La famiglia di Samson e gli altri è nata tra le onde che molti di loro non avevano mai conosciuto, è un patto di sangue tra persone che hanno visto insieme la morte e insieme ne sono fuggiti. Quando sono sbarcati a Taranto i minori sono stati divisi ma Samson e altri sei sono riusciti ad arrivare insieme a via Cupa. E ora quando si presentano agli altri dicono: «This is my sister», oppure «This is my brother».
Ancora insieme hanno preso la strada del Nord con il treno della notte per Milano.
Il telefono squilla di continuo. Qualcuno dall’altra parte vuole sapere se sono partiti e impartisce le istruzioni da seguire all’arrivo. Con chi parli Samson? «Con mio fratello», risponde ovviamente.
IN VIAGGIO CON LO SCONTO
Verso l’una del mattino arriva il controllore. Osserva i ragazzi che occupano tutti lo stesso scompartimento, legge più volte le cifre riportate sui biglietti. Non si preoccupa del fatto che siano dei minori a migliaia di chilometri di distanza dalla loro casa, vuole solo avere rassicurazioni che siano davvero così giovani da usufruire dello sconto per ragazzi.
È il vantaggio di questo treno, il motivo per cui è diventato una delle tratte preferite per i minori non accompagnati in viaggio verso Nord: nessun controllo in grado di fermare la loro marcia.
Alle due ogni altro rumore si placa. Tutti dormono sui sedili duri e sporchi degli scompartimenti. O, almeno, ci provano.
Il telefono di Samson ricomincia a squillare alle sei e un quarto. Il treno ha superato da poco l’alba a Piacenza, non manca molto per Milano. Il «fratello» ripete ancora una volta le istruzioni. Sam e gli altri rispondono in tigrino, annuiscono.
Alle sette e undici minuti il convoglio arriva alla stazione di Porta Garibaldi. I ragazzi che hanno superato il deserto e il Mediterraneo si guardano intorno, disorientati.
Forse le istruzioni non erano poi così chiare, scoprono ora. Non trovano nulla di quello che avevano immaginato. Si siedono su una panchina, aspettano.
Che cosa aspetti Samson? «Aspetto mio fratello. Sta dormendo».
Ma dove vuoi andare? A Como o a Milano Centrale? «In Svizzera, in un Paese d’Europa».
amson per andare in Svizzera bisogna arrivare prima a Como: hai soldi a sufficienza? Figurarsi, hanno speso tutto quello che avevano per il biglietto di questa notte.
Samson, vuoi andare in un posto come il Baobab di Roma? Fa cenno di si: Milano non è la Svizzera ma il confine è meno lontano di ventiquattr’ore fa, sa che conviene fermarsi qui e aspettare.
Sul piazzale della stazione Centrale finalmente il volto di Samson si illumina: «Mio fratello mi aveva detto di venire qui, c’è l’autobus 87».
E’ la linea dei migranti, porta all’hub per gli stranieri in transito.
Samson, sai che corri il rischio di non trovare posto? Siete oltre tremila in questi giorni a Milano. Samson fa un gesto con la mano, come per dire: nessun problema. Ha ragione.
Alla fermata dell’hub i ragazzi scendono e corrono verso un punto in fondo alla strada. All’angolo si bloccano per un secondo, increduli: «Ehi, brother! Ehi, sister!».
Sono i fratelli e sorelle da cui li avevano separati dopo l’arrivo in Italia. Sono arrivati prima a Milano e hanno guidato Samson e gli altri fino a ricongiungersi. Come in una famiglia. Sperano di riuscire ad arrivare insieme in Svizzera.
Non sanno che cosa li aspetta.
Flavia Amabile
(da “La Stampa“)
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Agosto 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA GIORNALISTA CORTEGGIATA E INVITATA A MOLTE FESTE DELL’UNITA’
Un Papa straniero. Anzi, una Papessa.
Sarebbe questa – secondo quanto scrive oggi Il Fatto Quotidiano – l’ultima tentazione della minoranza dem a proposito del candidato da opporre all’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi.
E il nome sarebbe quello di Bianca Berlinguer, appena defenestrata dalla carica di direttrice del Tg3 dopo sette anni di servizio.
Un’idea, una suggestione, che secondo quanto scrive il quotidiano diretto da Marco Travaglio riscuote parecchi consensi dentro il partito, soprattutto tra i big della minoranza.
È stato Roberto Speranza, leader dei riformisti bersaniani, a buttarla lì in un paio di conversazioni: “Se c’è lei, io mi faccio con gioia da parte”
Il nome della Berlinguer piacerebbe anche ad Andrea Orlando e Matte Orfini, oltre all’ex dalemiano Gianni Cuperlo.
E proprio Orfini sarebbe sempre più convinto che la igliore arma per sfidare il premier in carica sia appunto un Papa straniero, una figura fuori dal partito.
Anche per questo, primo della Berlinguer, l’ultimo nome ipotizzato – riferisce il Fatto – sarebbe stato quello dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
Sia Speranza, sia Cuperlo avrebbero sentito la stessa Berlinguer questi giorni, se non altro per esprimerle la loro “vicinanza”.
Un sentimento condiviso da Matteo Orfini, che sulla Rai si è pubblicamente smarcato dal premier. È come se la tentazione BB avesse avviato per la prima volta un serio dibattito sul post Renzi, riavvicinando anime un tempo amiche e poi divise dall’appoggio del premier- segretario.
Intanto, per l’ex direttrice del Tg3 fioccano gli inviti alle feste dell’Unità .
Due dal particolare valore simbolico: quelli di Modena e Bologna, che ricorda il Fatto “oer importanza e prestigio valgono quanto la Nazionale, che quest’anno si svolge a Catania”.
(da “Huffingtonpost”)
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