Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
BUFERA SULL’INTERVENTO DI SANNICANDRO: “NON SIAMO SUBORDINATI DELL’ULTIMA CATEGORIA”… DOPO LE PROTESTE LE SPIEGAZIONI: “NON ABBIAMO NE’ INPS NE’ INAIL”
La frase suona doppiamente infelice se messa in bocca a un parlamentare di Sinistra Ecologia e Libertà , per una vita nel Pci e poi in Rifondazione Comunista: “Non siamo lavoratori subordinati dell’ultima categoria dei metalmeccanici! Da uno a dieci noi chi siamo?”.
A pronunciarla in aula nei giorni scorsi è stato Arcangelo Sannicandro, avvocato e deputato pugliese, e non in pochi nel suo partito hanno subito rilevato l’inopportunità del paragone per chi, in teoria, è cresciuto a pane e classe operaia (o braccianti agricoli, come nel caso di Sannicandro).
Il contesto del suo intervento era la risposta a un ordine del giorno dei Cinque Stelle, i quali chiedevano all’Ufficio di presidenza di ridurre l’indennità di carica dei deputati da 10mila euro lordi a 5mila, al netto dei rimborsi per la diaria e per l’esercizio del mandato: in sostanza, il passaggio da 5mila euro netti a 3.200.
Tra le altre cose, Sel in parlamento un metalmeccanico della Fiat in carne e ossa l’ha mandato per davvero, cioè il senatore Giovanni Barozzino, a suo tempo licenziato dall’azienda dopo uno sciopero.
Senza dimenticare che tra i banchi del partito siede un altro ex leader dei metalmeccanici della Fiom, Giorgio Airaudo.
Insomma, la presa di distanze di “censo” dalle tute blu da parte di un esponente comunista ha creato un piccolo putiferio in Sinistra Italiana, tanto che Sannicandro ha dovuto spiegarsi meglio su Facebook, caldamente invitato a farlo dai compagni di partito: “Tentavo di stabilire alcuni dati essenziali per affrontare il problema dell’indennità di carica dei deputati in modo oggettivo e non demagogico. Ho chiarito preliminarmente una ovvietà che è scomparsa dal lessico e dall’orizzonte culturale di tanti sia a destra che a sinistra, e cioè che i deputati e i senatori non sono lavoratori subordinati nè autonomi. E cioè non sono operai, impiegati, artigiani, commercianti o liberi professionisti. Così come dice la Costituzione siamo rappresentanti attraverso cui il popolo esercita la sua sovranità . Se ciò non fosse sufficientemente chiaro, aggiungo che i deputati non sono assicurati nè all’Inps e nè all’Inail e nè ricevono le prestazioni da questi all’occorrenza erogate, nè sono inquadrati in un contratto collettivo nazionale”.
Continua l’avvocato pugliese, che nel 2014 ha dichiarato un reddito di oltre 400mila euro: “Della mia professione voglio solo ricordare che è stata esercitata solo e sempre dalla parte dei lavoratori, anche metalmeccanici, insensibile alle lusinghe e non intimidito da pesanti minacce. Comprendo la malafede e la disonestà intellettuale degli avversari politici, ma mi sorprende la superficialità con cui vengono recepite le strumentalizzazioni da parte di coloro che dovrebbero essere adusi ad avvertirle immediatamente”.
Sempre sui social, arriva la risposta di Mirco Rota, segretario generale della Fiom in Lombardia: “Le sue parole sono un flash perfetto di come la politica ha rappresentato il lavoro subordinato, quello che una volta si diceva sicuro, garantito e con i diritti riconosciuti. Oggi se lavori rischi di essere comunque povero, se fai il parlamentare ti puoi sistemare per il testo della tua vita. Un tempo i metalmeccanici erano il riferimento per chi voleva cambiare l’Italia, oggi anche per la sinistra sono una classe a cui è meglio non assomigliare in niente e per niente”.
A proposito di operai, comunque, fino a pochi anni alcune formazioni della sinistra come Democrazia proletaria prevedevano di livellare lo stipendio dei propri eletti in parlamento e nei consigli regionali a quello di un quarto livello metalmeccanico. Il resto andava direttamente al partito.
Un modo – si diceva allora – per non allontanarsi dalle esigenze e dai bisogni della “classe operaia”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
NELLA LETTERA A “REPUBBLICA” PARISI PROPONE DI SEPARARE IL LUOGO DELLE RIFORME DALL’ATTIVITA’ LEGISLATIVA “PER UN PAESE PIU’ MODERNO”
Caro direttore, ho letto l’articolo di Stefano Folli su Repubblica di ieri.
Propongo l’Assemblea Costituente perchè sostenere le ragioni del No impone di battere la propaganda renziana del “o Sì o caos”.
Chi è per il No e ha uno spirito riformatore deve indicare una prospettiva e determinare un campo di ragionevolezza e responsabilità per il dopo referendum. L’Assemblea Costituente non ha nulla a che vedere con le larghe intese, che sono la causa del nostro gigantesco debito pubblico.
Anzi, è l’esatto contrario, proprio per avere Governi con una maggioranza chiara, non rabberciata di giorno in giorno con lo scempio dei transfughi, con migrazioni opache che certo non aiutano l’immagine di una politica ormai logorata nell’opinione pubblica, è necessario separare il luogo delle riforme costituzionali da quello dell’attività legislativa.
Il centrodestra e il centrosinistra sono alternativi, competono per il futuro Governo del Paese.
L’Assemblea Costituente non è un modo per sdrammatizzare il referendum.
E’ l’unica proposta concreta per avviare una fase riformatrice efficace, rapida e consapevole.
Se c’è volontà e forza politica una legge snella, di 2 o 3 articoli, che abolisce il Senato e istituisce l’Assemblea Costituente, può essere approvata in pochi mesi, insieme alla legge elettorale, per poi andare al voto già nella primavera del 2017.
La riforma costituzionale del Presidente del Consiglio è confusa, rischia di creare un grave contenzioso tra Regioni, Comuni e Stato, non garantisce nessuna stabilità di Governo nè rapidità nel processo decisionale.
Ha avuto un percorso parlamentare confuso, con maggioranze mutate nel tempo, circostanza che ha ulteriormente squalificato sia il suo contenuto che il dibattito politico che ha accompagnato il processo parlamentare e oggi, la campagna referendaria.
Ha ragione il Presidente della Repubblica, dobbiamo portare il confronto sul merito della riforma.
Non dobbiamo arrivare a votare sotto la minaccia del crollo della nostra economia. La riforma Renzi non è l’ultima spiaggia.
Subire questa pessima riforma pensando che per parecchio tempo non si potrà mettere mano all Costituzione vuol dire condannare il nostro Paese alla inefficienza, alla marginalità , al declino politico ed economico.
Questa riforma va respinta. Bisogna votare No. E devono poter votare No anche coloro, e sono tanti, che pensano che questa riforma sia un gran pasticcio ma che sia necessario scongiurare il vuoto politico.
Nei prossimi anni i Paesi europei saranno chiamati a prove molto difficili, abbiamo molta incertezza di fronte a noi.
Risultati elettorali incerti in molti Paesi, una forte spinta anti-europea, gravi fratture politiche e sociali conseguenti la pressione migratoria, un’evidente drammatica debolezza dell’Europa sul difficile fronte del terrorismo accompagnata da un sempre maggiore disimpegno degli Stati Uniti.
Una evidente marginalizzazione dei Paesi europei proprio nello scenario dal quale sono più colpiti. Il rafforzamento delle relazioni politiche tra la Russia e la Turchia la dicono lunga sull’incapacità dell’Europa di gestire il drammatico scenario internazionale.
A questo quadro di grave incertezza dobbiamo aggiungere i problemi interni generati da un Governo che assolutamente non all’altezza della situazione: crisi del sistema bancario, gravissimo debito pubblico al quale non si mette mano, crisi economica, disoccupazione, aumento della povertà , incapacità di gestire i flussi migratori, finanziamento del sistema sanitario, incapacità di attrarre investimenti.
La profonda frattura che sarà generata dall’esito del referendum rischia di portare l’Italia in un lungo periodo di instabilità , debolezza e ulteriore vulnerabilità .
L’Italia ha bisogno di riforme, profonde, efficaci, chiare. Abbiamo bisogno di un Governo sì forte, ma soprattutto stabile, di una chiara ripartizione di competenze tra Governo centrale e Amministrazioni locali, una sola Camera, meno Regioni, una chiara scelta verso il federalismo fiscale che avvii una dinamica positiva tra territori competitivi, e un Parlamento la cui maggioranza corrisponda alla maggioranza degli italiani. E’ necessario costruire con ordine una nuova Costituzione che, dopo 70 anni, dia un quadro solido e coerente al nostro Stato.
Una Costituzione che accompagni l’Italia nel futuro con solide basi democratiche, che le consentano di tornare ad essere un’economia forte, luogo di crescita e di opportunità per tutti.
Stafano Parisi
(da “La Repubblica”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
LA RIVOLTA CONTRO I BRACCONIERI ITALIANI: PIZZICATO GABRIELE CIMADORO, COGNATO DI DI PIETRO
Sono sempre di più i cacciatori italiani protagonisti di atti di bracconaggio all’estero. L’ultimo episodio è accaduto in Serbia e sta diventato un caso sulla stampa locale sia per la gravità delle condotte che per uno dei protagonisti: Gabriele Cimadoro, ex parlamentare della Repubblica, prima con Ccd poi con Idv, ex sottosegretario con il governo D’Alema e cognato dell’ex leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro.
Il personaggio era insieme ad altri tre uomini in un villaggio serbo, quasi al confine con la Romania, a cacciare uccelli.
Peccato che lo stesse facendo tramite l’utilizzo di richiami acustici vietati in tutto il mondo.
Scoperto dagli ambientalisti di Birdlife Serbia è stato subito denunciato alle autorità , ma l’ex politico non ha gradito tant’è che ha aggredito i volontari dell’associazione ecologista.
Una volta arrivata la polizia all’uomo è stata fatta una multa.
Intervistato dall’Eco di Bergamo, ha detto: “Ho solo preso una multa per l’utilizzo di richiami acustici”.
Il caso è stato sollevato in Italia dal Wwf che ha commentato: “La tutela dell’avifauna migratoria non ha confini. Grazie all’attività dei volontari che in tutta Europa vigilano per il rispetto delle Convenzioni Internazionali, proteggendo un patrimonio di tutti i cittadini che i bracconieri, soprattutto italiani, tendono a considerare cosa loro”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
ESPOSTO AL TAR DEI PENDOLARI MILANO-TORINO… SARANNO COSTRETTI A PAGARE IL BIGLIETTO ORDINARIO PERCHE’ “NON SONO REMUNERATIVI”
Larsia Ventra e Daniela Boccioli guidano un «esercito» di almeno 12mila passeggeri. Hanno aperto un conto corrente per la raccolta fondi e registrato qualche giorno fa il primo comitato «pendolari veloci» all’Agenzia delle Entrate, presentando un esposto al Tar di Torino, città dove ha sede l’Authority dei Trasporti.
«Non ci stiamo – dicono – a rischiare di vedere cancellati per sempre gli abbonamenti sulla Torino-Milano che Italo non ha più e Trenitalia potrebbe eliminare dal primo gennaio».
Nuovo Trasporto Viaggiatori ha deciso, mantenendo al momento solo gli abbonamenti sulla Roma-Napoli e sulla Bologna-Milano.
Trenitalia starebbe pensando di eliminarli dal 2017, ma il condizionale è d’obbligo. L’authority, guidata da Andrea Camanzi, ne ha fissato il perimetro in un regolamento dal titolo profetico: «Diritti minimi».
Quasi a sottolineare che anche loro, percepiti come utenti di serie A rispetto a chi «frequenta» i convogli regionali, hanno bisogno di tutele «minime» altrimenti inesistenti.
Stop agli abbonamenti sull’alta velocità .
Non remunerativi. Persino improduttivi, perchè sottraggono posti a chi è disposto a pagare un biglietto a prezzo pieno. Torino-Milano, Reggio Emilia-Milano, Bologna-Firenze, Roma-Napoli, Napoli-Salerno.
I pendolari veloci rischiano di tramutarsi in panda in via di estinzione.
Pagano cifre mensili comprese tra i 203 euro, per chi fa avanti e indietro tra Bologna e Verona, e i 417 della Bologna e Milano (tariffe Trenitalia, seconda classe).
Quasi sempre meno del costo di una stanza in affitto.
«La questione ha cominciato a complicarsi un anno fa quando Trenitalia ha palesato la necessità della prenotazione obbligatoria del posto – racconta Leonardo Pellegrini, portavoce del comitato Torino-Milano – per questioni di sicurezza. Al momento l’ipotesi è però rimasta sulla carta, perchè quasi mai c’è posto per tutti i 1.600 abbonati». Analoghe rimostranze, supportate da Federconsumatori, sono sorte un po’ dovunque. Sulla linea Venezia-Milano, ad esempio, stanno progressivamente sparendo i treni «Frecciabianca» per essere rimpiazzati dai «Frecciarossa», con una riduzione di tempo sì, ma con un aggravio di costi.
Le resistenze dei passeggeri, però, rischiano di trovare pochi appigli.
L’alta velocità ferroviaria è sottoposta a una competizione internazionale, in cui diversi operatori stranieri (leggi la francese Sncf e la tedesca Deutsche Bahn) servono anche le nostre tratte.
E in cui ogni posto deve produrre profitti. Non sono ammessi contributi pubblici, perchè si configurerebbero come aiuti di Stato. Tanto meno è utilizzabile il criterio di pubblica utilità , pre-condizione del trasporto regionale in cui il rapporto con Ferrovie dello Stato è gestito attraverso una serie di contratti di servizio stipulati con le regioni.
Ecco perchè a nulla potrebbe servire il tentativo della regione Piemonte che sta sondando il terreno per capire se può supportare i pendolari riconoscendo la differenza economica tra il costo pagato da ogni singolo abbonato e il prezzo di mercato deciso dagli operatori. Certo non è un momento a bassa conflittualità , questo, per il trasporto pendolare.
C’è da registrare più di qualche malcontento per la scelta di Trenitalia che ha deciso di rivoluzionare la validità dei biglietti.
Non più due mesi, ma 24 ore.
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
BOTTE E RISPOSTE NELLA SFIDA TUTTA AL FEMMINILE
Show da quattro soldi come sostiene la claque grillina giunta in gran numero per non far mancare il suo appoggio alla prima sindaca M5s?
Oppure prove di un futuro grande scontro alle prossime elezioni del sindaco di Roma?
Quello andato in scena ieri mattina nella sala Giulio Cesare del Campidoglio è stato un botta e risposta preparato, cercato e curato nei minimi dettagli da entrambe le protagoniste: Virginia Raggi, sindaca di Roma e Michela Di Biase, capogruppo Pd in Campidoglio e fra cinque anni chissà .
Il primo affondo spetta a Michela Di Biase.
È il primo intervento, una mossa voluta per avere il massimo dell’attenzione.
Si alza, il busto e il volto rivolti sempre soltanto verso la sindaca, le mani appoggiate al banco quasi per cercare un sostegno.
Senza l’ombra di un sorriso fa i complimenti alla sindaca per l’esposizione più «fluida» rispetto ai precedenti interventi, per la capacità di esporre con parole sue. Incassa i rimbrotti del presidente De Vito che le chiede di non divagare, e prosegue con quattro domande sull’assessore Muraro sempre senza staccare gli occhi da Virginia Raggi e chiamandola ripetutamente «sindaco» anche se la sua rivale ha più volte avvertito di preferire la finale in «a».
Le domande riguardano il ruolo dell’assessore, i compensi, le altre consulenze e, infine, il contenuto del dossier, quella che Michela Di Biase definisce «la cosa più sfiziosa».
Sono domande note da tempo, Virginia Raggi ha un pacco di fogli con le risposte pronte.
Prima però replica ai complimenti sulla sua maggiore fluidità di parola: «Ringrazio la consigliera per la precisa interrogazione. La rassicuro, ho scritto anche le risposte perchè comunque sono lunghe e non avendo una memoria così brillante per ricordare venti pagine di intervento, mi aiuto con degli appunti. Migliorerò, sa, sto imparando a fare la sindaca, sarò sempre più fluida, non tema».
Fine della parentesi, da quel momento in poi l’intervento prosegue con le risposte attese.
A differenza della sua rivale politica Virginia Raggi parla guardando l’aula gremita di amici. Appare lo stesso poco a suo agio.
Aggiusta di continuo una camicia di seta che ha il difetto di aprirsi un po’ troppo sulla scollatura e tormenta i capelli liscissimi, che starebbero benissimo in ordine senza alcun intervento.
Fa confusione con i fogli quando passa da una pagina all’altra, nessuno le ha spiegato che se fossero liberi invece che spillati sarebbe tutto più semplice.
Termina troppo spesso con un «Bah» le frasi ad effetto. Ma, come ha ammesso, sta imparando: anche questi dettagli saranno presto superati.
La risposta fila via rinnovando la sua fiducia piena all’assessore Muraro con un linguaggio ancora da avvocato: «Non si può eccepire che non sia competente, forse è diventata troppo scomoda?»
Sfora i cinque minuti previsti dal regolamento.
Il presidente De Vito concede una replica a Michela Di Biase.
La capogruppo del Pd dichiara tutta la sua insoddisfazione per la risposta della sindaca e conclude con un cavallo di battaglia dem di questi giorni: che cosa avrebbe fatto il M5s se fossero emersi contatti del Pd attuale con Buzzi e Cerroni.
Obiezione giusta ma, nella foga, scivola malamente su un congiuntivo.
La tribuna grillina esplode in un boato di fischi e urla. La capogruppo Pd aspetta con calma che smettano e ricomincia a parlare. Con tutti i congiuntivi al loro posto.
Il primo round è un pareggio.
Flavia Amabile
(da “La Stampa“)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
SINDACI LAZIALI E UMBRIA: “NON USINO I NOSTRI TERRITORI, LA RAGGI PENSA DI ESSERE SU SCHERZI A PARTE”
L’ipotesi prospettata ieri dalla sindaca Virginia Raggi sullo smaltimento dei rifiuti non piace.
Oggi si è sollevato un coro di no, a cominciare da quello della presidente dell’Umbria e del sindaco di Orvieto.
«Si chiede priorità di conferimento rispetto a terzi che già conferiscono verso impianti Acea già esistenti (S. Vittore e Aprilia-Orvieto-Terni) incardinati sull’inderogabile principio comunitario di prossimità e validazione operativa del 51% di proprietà comunale», aveva detto ieri Raggi.
Immediate le reazioni.
«Non autorizzeremo mai in nessun modo l’arrivo nella nostra discarica di rifiuti di qualsiasi altro territorio e meno che mai da parte della capitale d’Italia. Il sindaco Raggi deve rivedere immediatamente la sua strategia e la sua politica per quanto riguarda i rifiuti», dice il sindaco di Orvieto, Giuseppe Germani, a proposito dell’ipotesi prospettata ieri dalla sindaca di Roma, Virginia Raggi, di inserire gli impianti della città umbra tra quelli dove trasferire i rifiuti della Capitale.
Germani apprende «con stupore» che Raggi «vorrebbe risolvere i propri problemi scaricando su altre città e altri territori i propri rifiuti e proponendo la soluzione più antica del mondo cioè quella di smaltire i rifiuti in discarica. Se questo è il nuovo che avanza abbiamo di che preoccuparci».
Germani sollecita quindi la sindaca di Roma a «rivedere immediatamente la sua strategia e la sua politica per quanto riguarda i rifiuti» e si augura «che il Movimento di cui lei fa parte a tutti i livelli prenda immediatamente le distanze da una simile dichiarazione, se realmente formulata in Consiglio comunale a Roma».
La presidente dell’Umbria sull’ipotesi che la nuova giunta comunale di Roma possa inviare anche nella discarica di Orvieto i rifiuti cittadini commenta così su Facebook: «Ma che siamo su Scherzi a parte?».
«Attendo dichiarazioni – dice ancora la presidente – dei 5 stelle umbri in merito ad Orvieto e Terni. Ovviamente spero che la notizia sia infondata altrimenti – conclude Marini – mi trovano, questa volta, ai posti di combattimento».
L’Umbria, «sin da ora, dichiara la completa indisponibilità ad accogliere i rifiuti di Roma, visto che il nostro obiettivo è garantire la durata più lunga possibile alle discariche dell’Umbria che dovranno lavorare esclusivamente al servizio della nostra comunità ».
È la ferma replica dell’assessore all’Ambiente della Regione Umbria, Fernanda Cecchini, alle parole della sindaca, che rispedisce così al mittente l’ipotesi di conferire i rifiuti di Roma nella discarica «Le Crete» di Orvieto.
«Il sindaco di Roma -avverte Cecchini- ha scelto un assessore all’Ambiente altamente competente, quindi farebbe bene che si facesse spiegare come funziona la gestione dei rifiuti, perchè forse non è al corrente del fatto che i rifiuti urbani destinati ad operazioni di smaltimento devono essere smaltiti nella regione in cui vengono prodotti e che inoltre, per utilizzare gli impianti, non basta esserne proprietari, ma è necessaria una condivisione con le istituzioni locali e la comunità ».
«Occorre precisare – afferma l’assessore Cecchini – che i rifiuti provenienti da altre regioni possono essere conferiti in discariche fuori dal territorio di provenienza solo con il raggiungimento di un’intesa tra le Regioni interessate. Pertanto, per utilizzare l’impianto di Orvieto, occorrerebbe un’intesa tra la Regione Umbria e la Regione Lazio».
Concludendo, l’assessore evidenzia quanto sia «bizzarro» che, «per risolvere un’emergenza di un territorio che conta 5 milioni di abitanti, si chieda di utilizzare impianti di una regione che ne conta 900 mila, come appunto l’Umbria».
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
MERCOLEDI’ A VILLA CERTOSA LA SOBRIA FESTA PER MARINA… IN FORZA ITALIA L’IDEA DI UN EVENTO IL 29 SETTEMBRE
«Hai visto com’è diventato bello questo parco? Hai visto questi nuovi alberi? Là in fondo abbiamo intenzione di piantare…». I
l tono di voce è pacato, l’animo sereno, la vitalità tanta, tantissima, pari solo alla decisione che «mi sono imposto», quella di «non violare le ferree prescrizioni che mi hanno imposto i medici».
La mania del giardino non è un dettaglio malinconico, come lo era nel Pu Yi immortalato da Bernardo Bertolucci nell’Ultimo Imperatore, ch’era finito a fare il giardiniere nell’immenso orto botanico di Pechino in cui lui – ultimo imperatore Quing della Cina – giocava da bambino.
È, piuttosto, la voglia di godersi appieno Villa Certosa, che nell’ultimo ventennio è stata teatro di turbolenze politiche e non, più che buen ritiro in cui ricalibrarsi in vista della nuova stagione.
L’ennesima metamorfosi
Il Silvio Berlusconi immortalato (e postato su Instagram) da Flavio Briatore, nella seconda immagine dal giorno dell’uscita dal San Raffaele (la prima è stata quella che lo vedeva al fianco dei nuovi proprietari del Milan), celebra nell’estate del 2016 la sua ennesima metamorfosi.
Libero dalle angosce pre-campionato del Milan appena ceduto, libero (momentaneamente) dall’ennesima ricostruzione di quel centrodestra che vorrebbe affidare alle mani di Stefano Parisi, e libero anche da quella «corte» di fedelissime cancellata dall’intervento della famiglia, l’ex presidente del Consiglio si dedica a tempo pieno al lavoro di nonno.
Tra la visione dei nipotini che già circolano per casa e l’attesa (delle figlie Barbara ed Eleonora) di quelli che nasceranno.
Una nuova stagione berlusconiana
Famiglia, figli, nipoti. Nipoti, famiglia, figli. L’ennesima spia di questa nuova stagione berlusconiana sta nella pianificazione della festa per i cinquant’anni della primogenita Marina, andata in scena mercoledì.
Lista degli invitati ridotta all’osso, nessun nome del jet-set, nessun effetto speciale se si elimina la voce secondo cui per allietare la serata era stato chiamato nientemeno che Andrea Bocelli (che ieri, tra l’altro, era proprio nella vicina Corsica).
Berlusconi, insomma, fa di tutto pur di non violare i diktat dei medici che gli hanno imposto il riposo e per non forzare nessuna delle tappe che mancano al suo ritorno sulla scena.
Che non è previsto alla convention del centrodestra promossa da Stefano Parisi, in programma subito dopo l’estate.
Ma il 29 settembre, giorno del suo ottantesimo compleanno, che più d’uno – così si vocifera all’interno di Forza Italia – vorrebbe trasformare in un «Silvio Berlusconi day».
Con tanto di super-parata di ospiti, selezionati tra le centinaia di big della politica, dell’imprenditoria, dello spettacolo e del calcio che con lui, a vario titolo, hanno lavorato.
Voglia di «tornare in campo e dare le carte»
«Sarà quello il giorno del suo ritorno sulla scena», spiegano a mezza bocca dal partito. Prima ci sarà solo il tempo per prendersi cura degli amati giardini e per continuare la sua lunga pausa da telecamere e riflettori.
Già , perchè Berlusconi vuole arrivare in forma anche all’appuntamento col referendum. Escluse, per adesso, partecipazioni attive ai comitati per il No, rimane invece intatta la voglia di «tornare in campo e dare le carte» – così dicono i suoi – qualora il governo Renzi cadesse.
Ricostruendo un nuovo patto del Nazareno, come maligna qualcuno? Oppure muovendosi nella direzione diametralmente opposta? Chissà .
Di certo c’è che Berlusconi, al momento, non vede nuovi incarichi per se stesso.
La prova l’hanno avuta tempo fa i rappresentanti della «Sacra Famiglia» di Cesano Boscone, il luogo in cui l’ex premier scontò i servizi sociali, che gli avrebbero offerto la presidenza dell’ente.
Ricevendo, in cambio, due cose. Un piccolo «no» e anche un grande «grazie».
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
FINO A POCHE SETTIMANE ERA RESPONSABILE DEL COMANDO OPERATIVO INTERFORZE
Generale, allora l’Italia avrà compiti di addestramento delle truppe libiche?
“Per ovvie ragioni posso solo parlarne in termini generali. L’Italia con il tempo si è ricavata questo ruolo, perchè l’addestramento è un’attività più digeribile per l’opinione pubblica. In Afghanistan si faceva il mentoring, molto più importante. E’ l’affiancamento delle unità per sostenerle nella pianificazione e condotta delle operazioni. Ma sulla Libia non posso aggiungere nulla”.
La Storia insegna che gli istruttori spesso sono la prima tappa di un impegno più diretto. Che ne dice?
“Per l’immaginario collettivo addestramento vuol dire far fare “attenti” e “riposo”, far sparare nei poligoni, ma il mentoring è molto più importante dal punto di vista tattico. Non so se si sia deciso di fare questo in Libia. Ma come attività ha una sua evoluzione: non si può “mentorizzare” un’unità e poi abbandonarla. Non necessariamente sarà attività sul campo, ma anche pianificazione. L’Afghanistan ce l’ha insegnato: bisogna andare con loro, vedere come si muovono, fornirgli le capacità che non hanno”.
Allora è corretto o no dedurre che la decisione di schierare istruttori non significa per forza un prossimo invio di truppe di terra?
“No, non lo implica automaticamente. In Libia, è chiaro che l’addestramento è in funzione delle operazioni. L’addestramento è un’attività costante, che va fatto a prescindere dalle operazioni. Invece il mentoring va fatto sulla base dei programmi, si pianifica in vista di un’operazione precisa”.
Ma la decisione di fare addestramento sarà sufficiente?
“L’impegno militare deve conseguire da una linea politica chiara. E in Libia ci sono crisi a diversi livelli, che si fronteggiano con mezzi diversi. Una strategia limitata al bombardamento di Sirte non sarebbe sufficiente. Ci sono difficoltà con Bengasi, con Haftar, ci sono problemi con Tobruk, che devono essere risolti dalla diplomazia. Poi c’è il flusso dei profughi in arrivo dal Ciad, dal Sudan, dal Niger. Come si può fermarlo? Certo non con i bombardamenti. Servono campi di accoglienza, operazioni di convincimento, servizi sanitari. Lo schieramento militare non basta”.
Un maggiore impegno italiano sul terreno che cosa potrebbe prevedere?
“Nel caso di operazioni sul territorio libico, se ci fosse una richiesta del governo, dovrebbero intervenire unità di manovra, reggimenti di fanteria che controllino il territorio, forze speciali per interventi rapidi. L’Italia non se la può cavare con le Forze speciali. Avremmo bisogno anche di organizzare un sostegno militare a Organizzazioni non governative per la gestione dei profughi. Servirebbe il controllo dello spazio aereo, sia come trasporto che come possibilità di intervento. Insomma, dovremmo trasformare la nostra vulnerabilità , cioè la vicinanza, in un punto di forza, con la possibilità di intervento immediato”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 11th, 2016 Riccardo Fucile
“OGGI E’ RIMASTO SOLO IL MERCATO, IL CENTROSINISTRA DEGLI ANNI ’90 E’ STATO LA CULLA DELLE POLITICHE ATTUALI”
“Renzi mi cita per attaccare la minoranza Pd? Non mi monto di certo la testa, per me i cognomi che meritano di entrare nel lessico politico sono altri: Ingrao, Amendola, Lombardi… e poi la ricostruzione di quell’esperienza del centrosinistra degli anni Novanta, nonostante arrivi dal premier, mi pare fuori contesto. Spaesata”.
Fausto Bertinotti, storico leader di Rifondazione, scansa il paragone fatto da Renzi alla festa dell’Unità di Bosco Albergati nel Modenese: “Quel mondo è finito, noi siamo l’ultima storia del Novecento. Oggi quelle costruzioni ideologiche sono state spazzate via, è rimasto solo il mercato…”.
Non sono finite le divisioni nel centrosinistra.
“Allora si poteva pensare a una distinzione sulle grandi opzioni politiche, e dal centrosinistra ci distingueva l’interpretazione della globalizzazione. La loro era una apologia, la nostra una critica radicale, eravamo altermondialisti, integrati contro apocalittici. Oggi tutti i conflitti che vediamo sono nel campo degli integrati, della governabilità , lo scontro non è più tra destra e sinistra, del tutto assimilabili, ma tra “alto” e “basso” della società . Oggi scegliere tra centrodestra e centrosinistra è come bere la Coca Cola o la Pepsi”.
Renzi, citandola, paragona se stesso a Prodi. Condivide?
“Lui rivendica l’eredità di quel centrosinistra, che effettivamente parte con Prodi e finisce con Renzi. Capisco che i nostalgici dell’Ulivo possano soffrire ma è la verità . C’è stata una involuzione? Non spetta a me dare giudizi, io dico che c’è continuità e non riguarda solo l’Italia. Vale per Manuel Valls, e per le altre socialdemocrazie che hanno subito una mutazione genetica”.
Bersani non sarebbe d’accordo…
“Chi ha governato la globalizzazione? Chi ha inventato i trattati di Maastricht? Chi ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione? L’unica critica fondata a Renzi, come a Valls, è di essere i gestori delle politiche di austerity elaborate dal capitalismo finanziario globale. Il centrosinistra degli anni Novanta è stato la culla delle politiche che Renzi attua oggi”.
Se al referendum la minoranza dem vota no, Renzi rischia di finire come Prodi sotto i colpi di Rifondazione?
“L’esito del referendum non dipende dalla manovre dentro il ceto politico. Ma dal rapporto tra “alto” e “basso” della società , come in Gran Bretagna. Per chi sta in basso, le forze che stanno in alto sono sostanzialmente omologate. Il No fonda le sue radici sul basso e per questo ha maggiori chance di successo…”.
(da “La Repubblica“)
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