Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
MINACCIA DI RITORSIONE I CONCITTADINI AFFINCHE’ NON ACCOLGANO I PROFUGHI, ISTIGA A DISOBBEDIRE A LEGGI DELLO STATO E DICHIARA IL FALSO DIFFONDENDO DATI TAROCCATI… OVVIAMENTE LE ISTITUZIONI FANNO FINTA DI NULLA INVECE CHE COMMISSARIARLO E DENUNCIARLO
Il sindaco di Bondeno (Ferrara) , il leghista Fabio Bergamini ‘diffida’ i suoi concittadini esortandoli a non accogliere in casa ‘finti’ migranti.
E stavolta siamo alle minacce e al delirio: “Riterrò i cittadini personalmente responsabili nel caso in cui dovessero prendersi in casa i profughi” dichiara.
Responsabli di che? Di ottemperare a una norma prevista dalla legge italiana ( e non padagna) che a sua volta si rifà a convenzioni internazionali?
Tutto ha inizio nei giorni scorsi quando la prefettura di Ferrara ha avviato un’indagine conoscitiva finalizzata a verificare la disponibilità di ulteriori immobili ubicati nella provincia e potenzialmente idonei ad ospitare i cittadini stranieri, mettendo a disposizione di chiunque voglia affittare immobili per l’accoglienza, sull’homepage della prefettura, un apposito modulo per comunicare la propria disponibilità , secondo le modalità contenute in un avviso pubblico datato 11 agosto avente come oggetto “manifestazione di interesse per utilizzo immobili da destinare al servizio accoglienza stranieri”.
Quindi il sindaco comico non solo istiha i concittadini a non ottemperare a una legge dello Stato, ma arriva pure a “diffidarli”, rivendicando il reato quando afferma che “come sindaco mi riservo di intraprendere tutte le azioni utili a scoraggiare l’accoglienza”.
Non contento diffonde dati falsi atti a turbare l’ordine pubblico quando afferma che “solo il 2-3 per cento degli stranieri che richiedonolo stato di rifugiato ne hanno diritto”, smentito dai dati ufficiali certificati che attesta la percentuale di richieste accolte al 40%.
Un sindaco che in un Paese normale sarebbe già stato commissariato in 24 ore e denunciato all’autorità giudiziaria.
Ma dato che siamo in Italia, accontentavevi di usare la suddetta delibera seguendo i consigli dati a suo tempo da Bossi circa l’utilizzo del tricolore.
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
DENUNCIA DELLA CGIA DI MESTRE: “TEMPO MEDIO DI PAGAMENTO 131 GIORNI, IL DOPPIO DELLA MEDIA UE”
Il governo, parecchio tempo fa, aveva dato per risolto il problema dei mancati pagamenti alle aziende da parte delle pubbliche amministrazioni; ma la Cgia (associazione degli artigiani) denuncia che molti dei vecchi debiti non sono stati ancora pagati e altri se ne accumulano in continuazione, tanto che si è tornati al totale di 65 miliardi di arretrati che aveva fatto scattare l’allarme al suo tempo.
«A nostro avviso il dato è sottodimensionato — segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo — ma dall’ultima stima elaborata dalla Banca d’Italia emerge che i mancati pagamenti della pubblica amministrazione ammontano a 65 miliardi di euro: 34 a causa dei ritardi di pagamento e altri 31 sono legati ai tempi di pagamento contrattuali, che secondo la direttiva europea entrata in vigore nel 2013 non possono superare i 30-60 giorni dall’emissione della fattura».
Il problema, secondo la Cgia, sta proprio in questo punto.
«Secondo Intrum Justitia, che monitora annualmente i ritardi di pagamento di tutte le P.a. d’Europa, l’Italia rimane fanalino di coda nella graduatoria dei 27 Paesi Ue — prosegue Zabeo – con un tempo medio di pagamento registrato quest’anno di 131 giorni. Un arco temporale più che doppio rispetto al limite fissato da Bruxelles. In altre parole, a differenza di quanto sostiene la Banca d’Italia, noi riteniamo che anche una buona parte di questi 31 miliardi di euro siano ascrivibili alla cattiva abitudine della nostra Pa di pagare con grave ritardo i propri fornitori».
«Non vorremmo — conclude Zabeo — che per rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici, per ritoccare le pensioni e per far quadrare i conti pubblici dopo la frenata del Pil si decidesse, tra le altre cose, di ritardare ulteriormente i pagamenti della P.a.. Una prassi, quest’ultima, che fino a qualche anno fa ha consentito a molti esecutivi di recuperare ingenti somme di liquidità , gettando però sul lastrico moltissime imprese».
Luigi Grassia
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
“NEL 2017 IL MIO RIVALE SARA’ SARKOZY”
In attesa del verdetto delle primarie socialiste sulla sua ri-candidatura, il presidente francese Francois Hollande si confessa in un libro firmato dai giornalisti Antonin Andrè e Karim Rissouli, in uscita questa settimana per le edizioni Albin Michel, di cui il settimanale Le Point svela alcuni estratti.
Tra i pensieri di Hollande, anche la convinzione che nel 2017 affronterà Nicholas Sarkozy per l’Eliseo.
Il volume, ‘Conversazioni private con il presidente’, raccoglie prese di posizioni e confidenze rilasciate da Hollande in una serie di oltre trenta interviste, svolte lungo tutto il suo mandato.
Dal peso della carica ai giudizi sui rivali politici, dalla disoccupazione ai dissidi interni nel governo, gli argomenti menzionati sono numerosi e spesso delicati.
Essere presidente, ammette Hollande, “è molto più duro di quanto avessi immaginato”, ma il suo bilancio gli pare tutto sommato positivo e capace di lasciare una traccia.
“Ho risolto il problema (di cadere nell’oblio): il Mali, la risposta agli attentati, il matrimonio per tutti, la legge Macron… una volta risolto quel problema, si può fare di tutto per proseguire”
Ciò non significa però, dice Hollande in un altro passaggio, che intende candidarsi a tutti i costi per un secondo mandato il prossimo anno.
“Non farò la scelta di candidarmi se, evidentemente, non potesse tradursi in una possibilità di vittoria”, spiega, aggiungendo che “non sarebbe un dramma” se non dovesse essere rieletto, ma anzi “potrebbe essere una sorta di liberazione di non essere più là …”.
Nel libro non manca qualche stoccata al grande avversario Nicolas Sarkozy, che “ha più qualità degli altri ma anche più difetti” e a suo parere sarà il candidato del centrodestra alle presidenziali, ma anche al Premier Manuel Valls, dipinto da alcuni come il suo vero grande rivale nella corsa all’Eliseo.
“Ha dimostrato di essere stato all’altezza per tre anni”, dichiara Hollande, ma con il passaggio parlamentare forzato della riforma del mercato del lavoro ha commesso “un errore rilevante di comunicazione”.
E, in generale, “fa un errore quando pensa che il dibattito sia tra due sinistre. Non c’è stata comunicazione verso i francesi, c’è stata comunicazione da una parte della sinistra contro un’altra parte della sinistra. Questo non permette di chiarire quello che facciamo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
L’INTERESSE DI INVESTITORI E IMPRENDITORI HA OBBLIGATO I RESIDENTI ORIGINARI DELLA ZONA AD ANDARSENE
Il porto di Rio de Janeiro di questi tempi è un immenso cantiere colorato, punteggiato di gru e operai impegnati ad assemblare, una rotaia dopo l’altra, la nuova linea ferroviaria leggera che sfreccia attraverso la Zona Sud.
Tutti gli edifici sono in ristrutturazione, oppure sul punto di cadere a pezzi. Su alcuni sono apparsi cartelli con la scritta “alugo”, in affitto, ma i più sembrano solo abbandonati. Tra questi c’è casa di Paulo.
Nato a Rio nella favela di Rocinha 61 anni fa, da tre Paulo Cezar De Paula vive con la moglie Damiana e il figlio undicenne Izac in una baracca di otto metri quadri, costruita all’interno di uno dei tanti depositi dismessi.
Il suo hangar azzurro si trova a pochi passi dalla Cidade do Samba, dove carri colorati aspettano tutto l’anno il carnevale, e a due fermate di tram da Praà§a Maua, il cuore della città olimpica, dove sorge il nuovo Museo del Domani, disegnato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava.
«Vivere qui nella zona portuaria è come stare in una miniera d’oro» spiega Paulo, che di lavoro fa il parcheggiatore.
«La mia famiglia e io viviamo qui dentro per evitare che qualcuno da fuori venga e occupi lo stabile al posto nostro».
Nel 2013, i De Paula e altre 120 famiglie furono sfrattati dall’edificio abbandonato che occupavano da sette anni, dopo che il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti D’America, Donald Trump, svelò il progetto di costruire cinque Trump Towers da 38 piani nel quartiere in cui si trovavano, Porto Maravilha (il Porto Meraviglioso.)
Le torri erano parte del ben più ampio piano di riqualificazione urbana da 2.2 miliardi di euro previsto dalla città per la zona del porto – determinante nella scelta di Rio come futura città ospite dei Giochi del 2016.
Come spesso avviene nelle grandi città , l’interesse di investitori e imprenditori edili ha obbligato i residenti originari della zona ad andarsene, perchè sfrattati o incapaci di far fronte all’aumento degli affitti, lasciando così spazio all’arrivo di classi più alte.
Le quotazioni immobiliari nella zona di Gamboa, dove dovevano essere costruite le Trump Towers prima che il progetto entrasse nell’attuale fase di stallo, è salito del 400% dopo il lancio del piano urbano Porto Maravilha nel 2009, stando ai dati raccolti dall’organizzazione non governativa brasiliana ComitઠPopular da Copa e das Olimpiadas do Rio de Janeiro.
L’edificio che i De Paula e le altre famiglie occupavano prima di essere sfrattati era stato abbandonato dalla segreteria del porto di Rio più di 20 anni prima.
«Ci sono così tanti edifici abbandonati là fuori, e così tanta gente che ha bisogno di una casa» continua Paulo. La loro esperienza era durata sette anni ed era stata un successo: gli abitanti dell’edificio lo avevano rimesso a posto e se ne prendevano cura, e avevano stabilito alcune regole rigide – come il divieto di consumare alcol – che ne facevano un posto sicuro anche per i più piccoli. «Ma con l’arrivo di tutti questi nuovi progetti e uffici hanno dovuto cacciarci via».
Più di 670 famiglie in totale sono state rimosse con forza dalle loro case da quando il progetto di rinnovo della zona del porto è cominciato.
Nonostante le proteste, e le numerose pressioni affinchè i Giochi Olimpici lascino un’eredità positiva nelle città che li ospitano, la ristrutturazione del porto di Rio sembra destinata a diventare solo l’ennesimo spinoso esempio di quali tensioni siano generate dallo sforzo per conservare il passato e investire nel futuro.
«C’è una connessione diretta tra progetto di riqualificazione urbana di Porto Maravilha e il progetto Olimpico. Le Olimpiadi servono come elemento catalizzatore di risorse per il piano di riqualificazione e legittimano queste trasformazioni» osserva Orlando Santos Jàºnior, professore di pianificazione urbana all’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ). «Ogni cosa è giustificata dalle Olimpiadi».
Per alcune delle città che hanno ospitato le Olimpiadi ci sono state delle conseguenze positive: una decisiva spinta democratica a Seoul, un miglioramento della rete dei trasporti a Pechino – con un aumento di capacità per quattro miliardi e mezzo di persone – e un piano di riqualificazione urbana rivoluzionario a Barcellona, da tanti oggi ancora considerata l’Olimpiade modello.
Nonostante la corsa contro il tempo e una pioggia di critiche da parte dei media, impegnati soprattutto a lanciare l’allarme sui rischi di contaminazione per gli atleti che dovevano gareggiare nell’inquinata baia di Guanabara o sull’eventualità di contrarre il virus Zika, Rio è di fatto riuscita a completare le enormi sedi sportive destinate a ospitare le gare e alcuni musei di prim’ordine, a ristrutturare l’aeroporto, e a costruire strade e una rete ferroviaria leggera che aiuti a sveltire gli interminabili spostamenti tra il centro della città e le periferie.
L’eredità più importante – e più controversa – dei giochi, però, sarà quasi sicuramente la ristrutturazione multi-miliardaria del porto.
Un’area storicamente popolare, il porto è stata la culla del patrimonio afro-brasiliano del paese, dove, secondo le ultime stime, sono sbarcati tre milioni di schiavi Africani tra il 16esimo e il 19esimo secolo.
Il piano di riqualificazione urbana era già stato incluso nella candidatura di Rio a Cidade Olimpica nel 2016.
Quando venne lanciato nel 2009, diventò il primo accordo pubblico-privato del paese, nel quale il governo brasiliano si trovava in associazione con un consorzio di tre imprese locali che comprendeva Odebrecht e OAS – entrambe coinvolte nel gigantesco scandalo di corruzione della compagnia statale Petrobras, costato al Brasile, secondo le stime, tra i 7.9 e i 11.4 miliardi di euro.
La “rivitalizzazione”, come l’hanno chiamata gli ideatori del progetto, includeva l’abbattimento del Perimetral, la leggendaria circonvallazione sopraelevata che percorreva la costa della città per un chilometro, e prevedeva la costruzione di tunnel e il rinnovo di strade, marciapiedi, e di 700 chilometri di impianti idrici e fognature.
«L’area portuale aveva bisogno di investimenti» afferma Clarissa da Costa Moreira, una ricercatrice specializzata in pianificazione urbana. «Ma in ogni città del mondo si è obbligati a includere una percentuale di alloggi sociali, non ho mai visto una cosa del genere».
Negli anni ’90, Moreira lavorò con il comune di Rio per elaborare un programma pilota di ristrutturazione e riabilitazione di edifici in disuso prima di restituirli ai loro residenti originari. Il programma pilota non fu poi portato avanti, e Moreira sostiene che il progetto di riqualificazione urbana sia stato dato in mano a imprese edilizie con poca attenzione ai bisogni della classe operaia e delle fasce della popolazione che tradizionalmente abitavano il quartiere. «Il progetto esiste dal 2009, e hanno presentato un piano per costruire alloggi sociali solo a causa delle forti pressioni sociali e mediatiche nel 2015, sei anni dopo».
Proprio nel 2009 fu deciso che 380 famiglie sarebbero state rimosse da Morro da Providàªncia, la collina che sorge alle spalle del porto e che ospita la più vecchia favela della città , perchè la zona era stata dichiarata ‘a rischio geologico’.
Altre 291 sarebbero state sloggiate per far spazio a una funicolare che avrebbe facilitato i trasporti. In totale, un terzo degli abitanti di Morro da Providàªncia fu minacciato di perdere la propria casa.
Un’agguerrita campagna mediatica e una conseguente azione legale riuscirono a mettere temporaneamente in pausa il progetto del governo, fino a oggi ancora in sospeso, ma nel frattempo 140 famiglie erano già state sfrattate, secondo uno studio del ComitઠPopular. La vicenda ora è in attesa di giudizio.
Anche le famiglie come quella di De Paula, che hanno perso la propria casa per fare spazio alle Trump Towers nel 2013, hanno trovato un accordo con il comune di Rio, dopo lunghe trattative che hanno visto coinvolti pubblici ufficiali della città , attivisti dei diritti umani e residenti.
Questi ultimi potevano scegliere se ricevere un compenso economico per lo sfratto o essere trasferiti in alloggi sociali.
«Ci hanno offerto di trasferirci in quartieri periferici, lontani dal centro», ricorda Roberto Gomes do Santos, 49 anni, che aveva preso parte alle trattative con il comune subito dopo gli sfratti. «Ma noi abbiamo combattuto molto per ottenere questo edificio nel centro, così che i più poveri, che hanno costruito questa parte della città con il proprio sudore, non ne vengano cacciati».
Mentre i gruppi collettivi più organizzati sembrano trovare un modo di rispondere alle pressioni del governo della città , un’altra comunità nativa dell’aera portuaria è sempre più a rischio.
I caseggiati popolari più tradizionali di Rio – che di solito ospitano piccoli monolocali autonomi con bagno e cucina in comune, abitati da un massimo di sei persone ciascuno – sono una testimonianza della storia della città .
Furono costruiti nei primi anni di vita del porto, per alloggiare lavoratori della zona e discendenti degli schiavi africani liberati. Conosciuti da tutti come cortià§os, questi caseggiati non sono però riconosciuti dal governo della città di Rio, che in questo modo ne esclude i residenti da qualsiasi tipo di trattativa.
Questo è il caso di Luis Carlos Rodrigues, che vive da solo in un caseggiato popolare nel vivace centro di Porto Maravilha.
Affitta una delle 59 stanze singole a disposizione nell’edificio a due piani, per poco meno di 100 euro al mese. I residenti, quasi tutti uomini e lavoratori – e per la maggior parte brasiliani, eccetto qualche immigrato – condividono la cucina sul ballatoio e un bagno.
Per tutti, l’ubicazione dell’edificio è la sua qualità più importante. Rodriguez per esempio, che è un venditore ambulante, deve essere il più vicino possibile alle arterie commerciali del centro, per vendere Coca Cola, biscotti, noccioline e, quando piove, ombrelli.
«Questo tipo di abitazioni è legale a San Paolo ma non a Rio» racconta il professore universitario Orlando Santos Junior, che attualmente è impegnato in uno studio approfondito su questi caseggiati popolari, il primo nel suo genere.
«L’illegalità automaticamente mette gli abitanti dei cortià§os in una situazione molto precaria. I proprietari degli immobili non garantiscono loro delle condizioni di vita adeguate, perchè sanno che queste case potrebbero essere chiuse da un momento all’altro».
Il governo sostiene di avere un potere limitato sugli interventi di natura sociale previsti dal piano di riqualificazione urbana, dato che il denaro investito non viene direttamente dai suoi conti. Secondo la città – e il CDURP, la Companhia de Desenvolvimento Urbano da Regià£o do Porto do Rio de Janeiro, ovvero l’ente creato per rappresentare il governo nelle lunghe trattative con il consorzio vincitore – le quote di denaro pubblico investite nell’accordo pubblico-privato derivano dalla vendita di diritti sull’aria degli immobili nella zona del porto, dove le imprese edili non avevano il permesso di costruire oltre una certa altezza. I ricavati delle vendite di questi diritti sull’aria dovrebbero poi essere investiti nel progetto di Porto Maravilha, insieme a capitali privati.
L’offerta però non ha suscitato l’interesse che il governo sperava.
Nel mezzo di una profonda crisi finanziaria, pochi investitori hanno comprato diritti sull’aria per portare avanti progetti immobiliari nella zona del porto, facendo sì che una grande quantità – pari a quasi un miliardo di euro – fosse alla fine comprata dalla Caixa Econà’mica Federal, la banca di proprietà del governo.
Il denaro usato per comprare i diritti sull’aria veniva dal fondo di indennità della banca, creato negli anni ’60 per proteggere dipendenti licenziati senza una giusta causa. Alcuni critici del progetto sostengono che l’uso di fondi federali lo renda un investimento pubblico.
«Per loro è importante sostenere che sia un investimento privato e non pubblico, così da evitare che l’opinione pubblica prenda parte nella vicenda» sostiene Renata Neder, consigliere per i diritti umani di Amnesty International in Brasile.
Altri sostengono anche che il porto nella sua forma odierna sia un’estensione della terraferma costruita artificialmente dal governo e di conseguenza, in quanto suolo pubblico, debba avere a cuore gli interessi di tutta la popolazione.
Ma Rio sembra aver preso una strada diversa.
«Il dibattito su questi progetti è stato completamente rimosso dalla sfera pubblica e le Olimpiadi sono servite come giustificazione», conclude Santos, «nulla viene discusso perchè tutto serve alle Olimpiadi».
Caterina Clerici, Diane Jeantet
(da “La Stampa“)
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
L’INSOLITO CRESCENDO DI DICHIARAZIONI SCONSIDERATE SAREBBE MOTIVATO DAL FATTO CHE TRUMP FIN DALL’INIZIO NON HAI MAI PENSATO REALMENTE A DIVENIRE PRESIDENTE
Donald Trump non ha mai voluto diventare davvero presidente degli Stati Uniti. Lo so per certo. Non vi dirò come.
Non sto dicendo che io e Trump abbiamo condiviso lo stesso agente, lo stesso avvocato, lo stesso stilista o che, se l’avessimo fatto, questo avrebbe significato qualcosa.
E di certo non sto dicendo di aver origliato nelle agenzie, nei corridoi della Nbc o altrove. Ma ci sono alcune persone che stanno leggendo proprio adesso, loro sanno chi sono.
E sanno anche che ogni parola contenuta nei prossimi paragrafi si riferisce a fatti realmente accaduti.
Trump era scontento del suo accordo come presentatore e star dello show di successo della Nbc “The Apprentice”. Per farla breve, voleva più soldi.
Precedentemente, aveva ventilato l’idea di correre per la presidenza, nella speranza che l’attenzione così ottenuta potesse garantirgli una posizione più forte nelle negoziazioni. Ma sapeva bene, poichè autoproclamatosi Re degli accordi commerciali, che il semplice dichiarare che farai una cosa vale nulla, ma farla sul serio ti fa ottenere l’attenzione di quei “bast…”.
Trump aveva iniziato a parlare con altri network della possibilità di spostare il suo show. Un altro modo per ottenere influenza (la paura di perderlo per qualcun altro): quando ha “segretamente” incontrato il dirigente di uno dei network, e la notizia si è diffusa, la sua posizione si è rafforzata.
In quel momento Trump sapeva che era tempo di giocare la mano vincente.
Ha deciso di correre per la presidenza. Ovviamente, non avrebbe dovuto correre davvero per la carica di presidente: solo fare il suo annuncio, tenere qualche mega-raduno pieno zeppo di decine di migliaia di sostenitori e aspettare che i primi sondaggi di opinione lo vedessero al primo posto, cos’altro altrimenti!
A quel punto avrebbe ottenuto l’accordo che desiderava e milioni di dollari in più rispetto a quelli che riceveva in quel momento.
Così, il 16 giugno dello scorso anno, ha percorso le sue scale mobili d’oro ed ha parlato. Senza uno staff per la campagna elettorale, nessun apparato a sostenere una campagna in 50 stati (d’altra parte non aveva bisogno di nessuna delle due cose perchè, ricordiamolo, non sarebbe stata una vera campagna elettorale) e senza un copione prestabilito, è uscito dai binari ed ha indetto una conferenza stampa in cui definiva i messicani “stupratori” e “spacciatori” e s’impegnava a costruire un muro per negare loro l’accesso al confine
Rimasero tutti a bocca aperta.
I suoi commenti risultarono così offensivi che la Nbc, lungi dall’offrirgli un salario più alto, lo licenziò in tronco con una laconica dichiarazione: “A causa delle recenti dichiarazioni di Donald Trump sugli immigrati, la NbcUniversal mette fine ad ogni rapporto commerciale con il Signor Trump”.
La rete dichiarò, inoltre, la cancellazione dei concorsi di bellezza gestiti da Trump: Miss Usa e Miss Universo. Boom.
Trump ne fu scioccato. Basta così con l’arte della negoziazione. Non se lo aspettava, ma si è attenuto lo stesso al piano per aumentare il suo “valore” agli occhi degli altri network, mostrando loro che milioni di americani volevano Lui come Leader.
Sapeva ovviamente (e le persone di cui si fidava glielo avevano detto) che non c’era alcun modo di vincere molte (se non alcune) primarie, che di certo non sarebbe stato il candidato repubblicano e che non sarebbe mai e poi mai diventato il presidente degli Stati Uniti. Ovviamente no! E neanche lo voleva!
La presidenza è un lavoro vero e noioso, devi vivere nel “ghetto” di Washington DC, in una piccola casa vecchia di 200 anni, umida, tetra e con soli due piani.
Un “secondo piano” non è un attico. Ma niente di tutto questo rappresentava una reale preoccupazione, perchè “Trump for President” era solo una trovata che sarebbe durata pochi mesi.
Poi è successo qualcosa. E francamente, se fosse accaduto a voi, forse avreste reagito allo stesso modo. Trump, con sua somma sorpresa, ha infiammato il paese.
Soprattutto quei cittadini tutt’altro che miliardari. È balzato dritto al primo posto nei sondaggi degli elettori repubblicani. I suoi raduni hanno iniziato a contare fino a 30,000 sostenitori. La Tv ha abboccato.
È diventato la prima celebrità americana capace di farsi ingaggiare per ogni show in cui voleva apparire… salvo poi non presentarsi di persona in studio!
Da “Face the Nation” al “Today Show”, fino ad Anderson Cooper, bastava fare una semplice telefonata per essere mandato in onda live.
Avrebbe potuto tranquillamente starsene seduto sul suo wc d’oro nella Trump Tower, per quel che ne sappiamo – e i media sembravano non avere alcun problema. Anzi Les Moonves, dirigente della Cbs, ha notoriamente ammesso che Trump è stato un toccasana per gli indici di ascolto e per la vendita di spot pubblicitari. Musica per le orecchie del narcisista rifiutato dalla Nbc.
Trump si è innamorato di se stesso ancora una volta e ben presto ha dimenticato la sua missione: ottenere un accordo vantaggioso per uno show televisivo. Ma state scherzando! Quella è roba da perdenti come Chris Harrison, chiunque egli sia (il presentatore di “The Bachelorette).
Non era più il re degli affari, ma il Re del Mondo. Ogni sua piccola riflessione veniva discussa ed analizzata ovunque e da chiunque per giorni, settimane, mesi! Questo non era mai accaduto in “The Apprentice”!
Presentare uno show? Ma lui era la star di tutti gli show e, presto, avrebbe vinto quasi tutte le primarie!
E poi… potete vedere il momento in cui ha finalmente realizzato quanto stava accadendo… quel momento di rivelazione: “Sarò davvero il candidato repubblicano, la mia vita ricca e meravigliosa è finita”.
È stata la notte in cui ha vinto le primarie del New Jersey. Il titolo su Time.com (http://time.com/) recitava. “Il discorso sommesso di Trump dopo la vittoria in New Jersey”.
Non una delle solite arringhe avventate e rabbiose, ma un discorso deprimente. Non c’era energia, felicità : solo la presa di coscienza che avrebbe dovuto portare a termine la trovata che aveva escogitato. Non sarebbe stata più solo una recita. Doveva lavorare sul serio
Presto, tuttavia, il karma gli ha presentato il conto.
Definire i messicani “stupratori” avrebbe dovuto squalificarlo fin dal primo giorno (come la dichiarazione secondo cui Obama non sarebbe nato negli Stati Uniti, rilasciata nel 2011).
No, ci sono voluti 13 mesi di commenti razzisti, sessisti e stupidi perchè iniziasse finalmente a rovinarsi con le sue mani mettendo a segno una tripletta: l’attacco alla famiglia di un militare ucciso, le offese alla medaglia al valore militare (la Purple Heart) e l’invito ai possessori di armi ad assassinare Hillary Clinton.
In quest’ultimo weekend, l’espressione sul suo volto la diceva lunga: “Odio tutto questo! Rivoglio il mio show!”.
Ma è troppo tardi. È merce avariata, la sua immagine è irreparabile. Uno zimbello mondiale e, peggio ancora, destinato a perdere.
Ma lasciate che vi snoccioli un’altra teoria: immaginiamo che Trump non sia così stupido o folle come sembra.
Forse il crollo delle ultime tre settimane non è stato un caso. Forse fa tutto parte di una nuova strategia per sottrarsi ad una corsa che non ha mai voluto portare a termine.
Perchè, a meno che non sia semplicemente “pazzo”, l’insolito crescendo quotidiano di dichiarazioni sconsiderate si spiega solo supponendo che Trump stia facendo tutto questo consapevolmente (o inconsciamente) così da doversi ritirare o incolpare gli “altri” per averlo buttato fuori.
Molti ora subodorano la mossa finale perchè sanno che Trump non vuole fare questo lavoro sul serio e, cosa ancora più importante, non può tollerare di essere definito ufficialmente e giuridicamente un perdente – perdente – la notte dell’8 novembre.
E non lo farà .
Credetemi, l’ho conosciuto. Ho trascorso un pomeriggio con lui. Preferirebbe invitare i Clinton e gli Obama al suo prossimo matrimonio anzichè avere la lettera scarlatta marchiata sulla fronte dopo la chiusura degli ultimi seggi, la sera in cui andrà in onda l’ultimo episodio del Donald Trump Show, cancellato per sempre.
Michael Moore
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
DA UN ANNO IMPEDISCE LA CIRCOLAZIONE MA NESSUNO LO RIMUOVE
Compie un anno «di vita» il grande masso che, staccatosi dalla parete della montagna il 18 agosto del 2015, ha invaso la strada che collega Castelcivita con Ottati e lì è rimasto ad ostruire il passaggio.
Nel silenzio delle istituzioni chiamate ad intervenire.
Il Comune accusa la Provincia, questa prende tempo, in un rimpallo burocratico umoristico su chi avrebbe titolo ad imtervenire e rimuoverlo.
Niente da fare, è passato un anno e il masso rimane sempre sulla carreggiata, impedendo la circolazione delle vetture.
I cittadini degli Alburni, che ogni giorno vivono i disagi di una viabilità compromessa da quest’intralcio, hanno deciso sarcasticamente di festeggiare con torta e candeline.
Ecco quindi come si presenta oggi quel pezzo di roccia, «vestito a festa», di cui recentemente si è occupato Sergio Rizzo sul Corriere della Sera.
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
SIAMO 32° IN GRADUATORIA NELLA CAPACITA’ DI GOVERNARE E FORNIRE SERVIZI PUBBLICI
L’Italia ha un sistema pensionistico che non garantisce un futuro ai giovani, ci sono pochi aiuti alle famiglie, un indice di povertà fra i più alti, e investimenti insufficienti in istruzione e in ricerca.
Questi non sono problemi isolati uno dall’altro: secondo il nuovo rapporto della Fondazione Bertelsmann (pubblicato in Italia in esclusiva da La Stampa) la scarsa capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini è dovuta a un sistema politico la cui efficienza si piazza appena al 32° posto fra i 41 Paesi dell’Ocse (cioè occidentali o assimilabili).
Ci sono aspetti positivi, che il rapporto individua nel Jobs Act e nelle misure fiscali del governo Renzi a favore delle aziende, ma il percorso delle riforme necessarie è appena all’inizio.
TRE GRADUATORIE
Il nostro Paese si piazza un po’ meglio nella classifica della democrazia (23° posto) e in quella relativa alla qualità della «governance» (cioè l’efficacia e la trasparenza dell’azione di governo, un 25° posto).
Tenendo conto di tutte le variabili, l’Italia si merita un voto di sintesi 5,35 (su 10) per l’efficienza del sistema politico, mentre lucra un 7,23 per la democrazia e un 6,16 per la qualità della «governance». Forse la gran parte di noi si aspettava un voto più basso per quest’ultima voce.
Da notare però che in questo quadro non lusinghiero l’Italia sta un po’ risalendo la china in tutte e tre le classifiche Sgi appena citate: l’azione del governo Renzi viene più volte valutata in positivo dal rapporto Bertelsmann, per quanto senza trionfalismo.
LA FIGURACCIA DEL G7
Un altro aspetto curioso del rapporto rivela che (entro certi limiti) mal comune, mezzo gaudio: se noi italiani ci piazziamo male fra i 41 Stati dell’Ocse, anche gli altri del club ristretto del G7, cioè i grandi Paesi che si incontrano periodicamente per stabilire le linee strategiche del mondo sviluppato, e che (si suppone) devono dare l’esempio a tutti gli altri, in realtà si piazzano male nell’Sgi delle prestazioni politiche: soltanto due dei Grandi, cioè la Germania e il Regno Unito, si collocano fra i primi dieci (al sesto e al nono posto rispettivamente) mentre gli Stati Uniti, che come indole danno lezioni a tutti, sono appena al 26° posto; per fare un’analogia con la classifica della serie A di calcio, gli Usa sarebbero nella parte destra, cioè fra chi non lotta neanche per la Uefa League.
Invece ai primi cinque posti si piazzano i Paesi scandinavi e la Svizzera e all’ultimissimo la sempre più derelitta Grecia.
QUELLO CHE FUNZIONA
Per focalizzarci sull’Italia, e cominciando dalle note positive, il rapporto Bertelsmann parla bene della riforma del mercato del lavoro, perchè ha promosso (è il giudizio della Fondazione) «contratti di lavoro più flessibili, ma allo stesso tempo a lungo termine e meno precari».
Un’altra lode (cauta) arriva per le riforme del sistema fiscale volute da Renzi, definite «elementi di stimolo per un’economia in crescita nel 2015, dopo tre anni di recessione». Sempre secondo lo studio, «soprattutto le agevolazioni fiscali concesse alle imprese e ai redditi bassi hanno stimolato l’economia».
Su questo aspetto, come sulla politica del lavoro, in Italia le opinioni sono discordi, ma la Fondazione Bertelsmann, stilando una sotto-classifica sulle riforme del fisco, dice che «l’Italia è il Paese che si è mosso di più e meglio fra i 41 dell’Ocse negli ultimi anni», essendo salita dal 33° posto del 2014 all’attuale 19°.
MOLTO RESTA DA FARE
Da qui a dire che va tutto bene ce ne corre. L’indice di povertà in Italia è altissimo: un 12,7% da confrontare (per esempio) con il 5,7% di uno Stato tutt’altro che ricco come la Repubblica ceca.
Il rapporto identifica come «particolarmente problematici i settori della politica familiare e delle pensioni». Nelle politiche a sostegno della famiglia l’Italia è al 36° posto, e la carenza è acutissima negli asili nido, cosa che «contribuisce a spiegare la bassa natalità e la bassa presenza delle donne nel mercato del lavoro».
Sulle pensioni il rapporto Bertelsmann prende una posizione controversa, lodando la crescita a 67 anni dell’età di uscita dal lavoro e lancia l’allarme per le «nere prospettive previdenziali dei giovani».
Soluzioni? Bisognerebbe migliorare queste prospettive «investendo di più nell’istruzione e nella ricerca».
Quest’ultima raggranella solo l’1,31% del prodotto lordo contro la media Ue del 2%. Ma la Bertelsmann non si aspetta grandi cambiamenti, con il debito pubblico al 132,6% del Pil.
LO STILE DI COMUNICAZIONE DI RENZI
Il rapporto avanza riserve sulla maniera in cui il governo italiano gestisce la comunicazione.
Di frequente Matteo Renzi comunica di persona con i mass media o attraverso Twitter, anticipando provvedimenti sulle più varie questioni, «fino a oscurare le comunicazioni delle altre personalità di governo».
Ma capita che lo faccia senza tener conto dello stato di avanzamento dei vari dossier. Questo «talvolta dà l’impressione che certe politiche governative non siano sufficientemente meditate». È la sindrome che qualcuno in Italia ha definito «annuncite».
Luigi Grassia
(da “La Stampa”)
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL CAPO DELL’IMMIGRAZIONE, UN PIANO PER OCCUPARLI CON COMUNI E PRIVATI: “AVRANNO UN RIMBORSO SPESE CON CUI SI PAGHERANNO L’ASSISTENZA”
«Coinvolgiamo nel lavoro i migranti».
L’idea viene dal Viminale, dal prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione.
Prefetto, cosa intende?
«Alcuni sindaci hanno già attivato progetti di volontariato che vedono i migranti protagonisti. È ora di fare un passo in avanti».
Sa di affrontare un tema poco popolare?
«Sì, ma non possiamo più lasciare queste persone appese in attesa di un destino che cada dall’alto. E che si abbrutiscano passando la giornata ad attendere il pranzo e la cena».
Pensa a tutti i migranti?
«Solo quelli che sono legittimamente sul nostro suolo: i rifugiati o chi ha già presentato la richiesta di asilo».
Possono o devono lavorare?
«Possono, nell’interesse loro e della collettività . Per carità , nessun obbligo. Semmai possiamo pensare a un meccanismo premiale».
Di che tipo
«Chi mostra buona volontà e capacità di inserirsi nel nostro contesto sociale potrebbe ottenere un’attenzione diversa nell’accoglienza».
Una corsia preferenziale?
«C’è il permesso umanitario. Attualmente viene dato per motivi di vulnerabilità ai bambini e ai malati. Potremmo usarlo in questo senso. Dopo un anno la verifica servirebbe da incentivo a comportamenti virtuosi».
Il lavoro presuppone una paga. O pensa a un volontariato gratuito?
«Non penso a una paga con tariffe nazionali. Ma a una retribuzione che potrebbe essere ridotta: la decurtazione servirebbe per recuperare i costi dell’accoglienza».
Mira al rientro delle spese o all’integrazione?
«Miro a dare loro un futuro e far sì che non siano solo un peso per la comunità : l’inclusione, poi, impedisce la radicalizzazione e giova alla sicurezza. Questa emergenza si può trasformare in un’occasione di sviluppo».
Le diranno: e gli italiani che non hanno un lavoro
«Io mi occupo di immigrati. Dei cittadini italiani se ne dovrebbero occupare altri ministeri. Se mi danno l’incarico cercherò soluzioni per quel problema. Attualmente mi piacerebbe che a rompermi la testa non fossi solo io che sono un prefetto».
E allora chi?
«La soluzione non può essere dirigista con un “super-qualcuno” che decide su tutto e tutti. Ma con chi è sul territorio. Presidenti di Regione e sindaci per primi».
La casa ai rifugiati genera proteste. Anche, come anticipato dal Corriere, a Capalbio: lì due cittadini hanno fatto ricorso al Tar.
«Nè Capalbio nè Portofino potranno sottrarsi alle proprie responsabilità perchè i sindaci temono di perdere consenso».
Ma 50 rifugiati in un comprensorio nel centro storico non è una scelta criticabile
«L’accoglienza diffusa è quella che noi preferiamo. Si poteva prevedere una soluzione diversa».
Il sindaco lamenta che è stata imposta dal prefetto.
«Se ci fosse un progetto adeguato i prefetti si asterrebbero dal fare bandi di gara. È ovvio che non puoi fare il furbacchione, prendendoti due immigrati e pensando di essere a posto. Altrimenti finisce così: il prefetto, che da qualche parte li deve mandare, trova l’albergo e fa la gara».
L’Europa a febbraio aveva sollecitato progetti per impiegare i rifugiati. L’idea nasce da lì?
«No. L’Europa è chiusa nelle piccole paure. Servono un salto di qualità e politici coraggiosi».
Quali lavori potrebbero svolgere i profughi?
«Ci sono settori che hanno bisogno: l’agricoltura, le costruzioni, l’assistenza agli anziani».
Come evitare lo sfruttamento e i business criminali?
«Ci sono sanzioni penali. C’è un protocollo sulla legalità . Non pensiamo di trattarli come schiavi. Certo, dove c’è il formaggio arrivano i topi. Bisogna tenere lontano affaristi e garantire trasparenza. Ma non possiamo più essere prigionieri dei “no” dei sindaci che mirano più alla caduta di Alfano o di Renzi che a risolvere la situazione».
Virginia Piccolillo
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 18th, 2016 Riccardo Fucile
E’ IL SIMBOLO DELL’ORRORE DELLA GUERRA
A volte basta una sola, potentissima foto per racchiudere l’orrore di una guerra intera. Nelle ultime ore a far indignare e commuovere l’opinione pubblica riguardo ai bombardamenti che la Siria subisce quotidianamente c’è lo scatto di un bambino indifeso e scioccato, seduto all’interno di un’ambulanza con lo sguardo perso nel vuoto e la faccia coperta per metà dal suo sangue.
Visibilmente frastornato, Omran Daqneesh – questo il nome del bambino – ha cinque anni e ieri è rimasto contuso insieme ad altri bambini nel quartiere Qaterji, a causa di un bombardamento aereo. L’attacco non ha ancora un autore certo – si potrebbe trattare ugualmente di un’azione di un esercito siriano come di un attacco russo – e ha distrutto diverse abitazioni ad Aleppo.
Nel video girato dalla testata locale Aleppo Media Center si vede chiaramente il momento dell’arrivo dell’ambulanza e quello in cui i soccorritori tirano fuori dalle macerie Omran, per posizionarlo poi all’interno dell’ambulanza stessa.
Oltre al video del recupero sono state scattate diverse foto al bambino, rimasto totalmente muto a causa dello shock.
Secondo il Telegraph, il piccolo sarebbe poi stato portato al più vicino ospedale e sarebbe stato curato per le ferite riportate alla testa. Coccolato dai medici, ora Omar starebbe molto meglio. Almeno fisicamente.
Il volto sporco e insanguinato del bambino siriano – che ha dovuto passarsi più volte la mano sulla faccia per realizzare cosa fosse successo – è l’immagine perfetta di un guerra che troppo spesso fa vittime tra i civili e che ormai sembra essere del tutto fuori controllo.
Il video e la foto arrivano a pochi giorni dalla pubblicazione di una lettera inviata al presidente Usa Obama da un nutrito gruppo di medici siriani, nella quale si chiedeva aiuto per i tanti civili colpiti dai bombardamenti. Ma questa foto e questo video valgono molto più di tante parole.
Intanto l’inviato speciale dell’ Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ha annunciato di avere sospeso l’attività della sua task force umanitaria affermando che i continui combattimenti ostacolano gli aiuti ai civili. De Mistura è tornato a chiedere una tregua di almeno 48 ore, in particolare ad Aleppo.
(da “Huffingtonpost”)
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