Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
ICONOGRAFIA POTENTE MA GLI ACCORDI GUARDANO PIU’ AGLI INTERESSI NAZIONALI DI ITALIA, GERMANIA E FRANCIA CHE ALL’EUROPA
Otto minuti e 59 secondi che entreranno nella storia.
È la durata della visita lampo sul suolo del cimitero di Ventotene del trio che prova a governare l’Europa.
Sviando i cronisti di mezzo mondo e in un ampio tratto di mare sotto controllo, Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande hanno reso omaggio alla tomba di Altiero Spinelli, uno dei firmatari del Manifesto di Ventotene e che su quest’isola fu confinato, compiendo un gesto che vale molto più delle parole offerte ai giornalisti in conferenza stampa.
Mai come oggi l’Europa ha bisogno di gesti concreti, di immagini, di esempi da seguire, e i tre leader prima di fronte alla lapide di uno dei padri dell’Europa di oggi e poi affacciati dal poggio che ospita il piccolo sacrario, hanno mostrato, almeno nell’iconografia, di crederci ancora nell’Unione.
Poi ovviamente ci sono state le parole e le dichiarazioni.
Tre i possibili risultati, che dovranno essere confermati comunque dal vertice di Bratislava. Innanzitutto per l’Italia, nonostante la cautela della cancelliera Merkel (”la flessibilità è già prevista nel Patto di stabilità ” ha ripetuto oggi sulla Garibaldi come suo solito mantra), sarà presumibilmente possibile usare una decina di miliardi di euro nel 2017 per ridurre le tasse, in quanto ”ha fatto le riforme”; la Francia, il cui presidente della Repubblica Hollande ha rilanciato l’idea renziana di una Ventotene sede europea dell’Erasmus nelle vecchie celle del carcere di Santo Stefano, avrà più controlli alle frontiere e meno Schengen; la Germania appoggerà la politica europea di sostegno allo sviluppo in Africa con il Migration Compact, ma senza abbandonare i saldi rapporto di sostegno alla Turchia di Erdogan.
Sparita totalmente dai radar del vertice di Ventotene la Brexit e per un motivo molto semplice: il Direttorio europeo è molto diviso sul punto.
Renzi e Hollande, numeri alla mano e preoccupati per il buon andamento dei consumi e della borsa britannica a dispetto della scelta inglese di abbandonare l’Unione, vogliono trattative rapide che sanciscano subito il divorzio di Londra dai 28 paesi dell’Ue.
La Germania di Angela Merkel vuole – e forse alla fine la spunterà – un lungo addio, preoccupata che le esportazioni verso la Gran Bretagna possano flettere e intaccare quel l’enorme surplus che rende Berlino il motore degli scambi commerciali col resto del mondo .
È ancora così in Europa: serve la politica per rispondere a crisi, migranti e terrorismo, ma comanda l’economia.
In serata un segnale di speranza concreto arriva infine da un’associazione di europeisti di Ventotene: vogliono trasformare la scuola elementare intitolata a Spinelli ed ora semi-abbandonata, in un asilo per piccoli rifugiati.
Ci riuscissero sarebbe una bella notizia e già che ci sono e che l’isola si spopola per 10 mesi all’anno, potrebbero anche dare uno schiaffo morale a Capalbio e ospitare nelle case degli ex confinati ed evasi i 50 profughi siriani che in molti non vorrebbero nelle belle case pregiate di villeggiatura del borgo toscano.
Sarebbe un bell’inizio per la nuova Europa, che forse verrà .
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
INDICATO COME “PRINCIPE EREDITARIO DELLA JIHAD, POTREBBE PRENDERE IL POSTO DI AL ZAWAHIRI E TOGLIERE SPAZIO ALL’ISIS
Nell’ultimo messaggio diffuso il 14 agosto ha detto: «Rovesciate il regno saudita e liberate il Paese dall’influenza statunitense».
Poi, l’esortazione ai giovani sauditi a unirsi ad Al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) e riprendere i combattimenti dai santuari in Yemen.
E’ Hamza Bin Laden a parlare, quello che molti indicano come il possibile e futuro leader di Al Qaeda.
«Principe ereditario jihadista», come lo definisce la Suddeutsche Zeitung, Hamza all’epoca del raid di Abbottabad, nel 2011, ha vent’anni.
A differenza del fratello Khalid, che venne ucciso durante l’operazione dei Navy Seal in Pakistan, Hamza sopravvive.
Figlio di Khairiah Sabar, una delle tre mogli di Bin Laden, è l’unico che risulta “scomparso” dopo l’incursione nel rifugio del padre.
In realtà quando i militari statunitensi fanno irruzione nel compound, Hamza si trova altrove.
In una lettera confiscata nel rifugio si scoprirà come il padre avesse manifestato il desiderio che studiasse in Qatar «affinchè rifiutasse i sospetti intorno al Jihad». Hamza dunque sembra essere il figlio preferito di Osama Bin Laden, il prescelto. Come racconta David Ignatius sul Washington Post, «il tono della lettera è quello di un padre che sente la fine vicina e vuole che il figlio segua la sua strada».
Nel 2001, durante l’attacco dell’11 settembre era al fianco del padre in Afghanistan. In un video del 2005, dal titolo i Mujahideen del Waziristan, lo si vede mentre partecipa ad un’incursione nella regione del Waziristan.
Fino al 2011, quando il padre viene ucciso.
Di Hamza dopo Abbottabad si perdono le tracce. Rimangono solo vecchi filmati che lo mostrano mentre gioca coi cugini in Afghanistan tra i rottami di un elicottero statunitense e una vecchia foto che lo mostra vestito come il padre, con un turbante bianco e un gilet mimetico.
Di lui oggi sappiamo poco e non abbiamo immagini. Ma è con la nascita di Isis e con la rottura di Al Baghdadi dal vecchio leader di Al Qaeda Al Zawahiri, che il nome di Hamza torna alla ribalta con sempre maggiore frequenza.
Nel 2015 Al Zawahiri in un audio lo presenta al mondo. In maggio è lui, in un nuovo messaggio, a spingere per l’unione delle fazioni jihadiste in Siria, in contrapposizione all’ascesa di Isis.
Poi in luglio, un altro audio, in cui minaccia gli Stati Uniti di vendicare la morte del padre
La retorica dei suoi discorsi è quella classica qaedista, rivolta contro l’Occidente e contro il nemico americano.
E se il suo ruolo appare per il momento più propagandistico che operativo, Hamza potrebbe rappresentare il ricambio generazionale necessario ad Al Qaeda per rinnovarsi e recuperare terreno su Isis, soprattutto ora che il gruppo di Al Baghdadi è in difficoltà .
«Hamza è il nuovo volto di Al Qaeda e ha il vantaggio di portare il cognome di suo padre», ha sottolineato l’analista del Brooking Institution.
Il nome di Bin Laden dunque potrebbe rappresentare un richiamo potente anche nelle fila di Isis, soprattutto dopo le sconfitte militari in Siria, in Iraq e in Libia. Ma non solo.
Ayman al-Zawahiri, diventato leader di Al Qaeda dopo la morte di Bin Laden, ha 65 anni e rappresenta la vecchia generazione di qaedisti, la stessa che non ha saputo rinnovarsi a sufficienza e che è stata scavalcata da Al Zarqawi prima e da Al Baghdadi poi, decisi – a differenza degli anziani – a instaurare uno Stato Islamico.
Hamza potrebbe davvero essere il principe ereditario che riprende il posto ai vertici della galassia jihadista, usurpato dal Califfo.
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
ALLE PRIMARIE DE “I REPUBBLICANI” DI NOVEMBRE DOVRA’ VEDERSELA CON L’EX PRIMO MINISTRO JUPPE’
“Ho deciso di essere candidato per le elezioni presidenziali del 2017. La Francia esige che le si dia tutto. Ho sentito di avere le forze per combattere questa battaglia in un momento così tormentato della nostra storia”.
Con questa frase, nella quarta di copertina del suo libro “Tout pour la France” atteso in libreria mercoledì, l’ex presidente Nicolas Sarkozy annuncia ufficialmente la sua discesa in campo per le primarie con cui il centrodestra francese sceglierà il suo pretendente all’Eliseo.
La frase è stata anticipata dallo stesso ex presidente sul suo profilo Facebook ufficiale nel pomeriggio di lunedì, un post accompagnato dal commento: “Questo libro è il punto di partenza”.
Il prossimo passo sarà presentarsi alle primarie del suo partito: “I Repubblicani“, che avranno luogo a novembre. La piena ufficialità verrà data entro il 25 agosto, data limite perchè il 61enne Sarkozy si dimetta da presidente del partito. “Non mi ha detto niente” sulla data, ha confidato oggi a Le Parisien il fedelissimo Brice Hortefeux, ex ministro dell’Interno.
Sconfitto nel 2012 dal socialista Francois Hollande dopo un primo mandato da presidente, Sarkozy cerca ora la sua rivincita contro il suo successore, che nel frattempo ha subìto un crollo di popolarità .
Sarkozy ha come principale avversario interno l’ex primo ministro Alain Juppè, 71 anni.
Attuale sindaco di Bordeaux, Juppè è per ora favorito ed è esponente di una destra moderata, dal “volto umano”, rivolta agli elettori centristi.
I nomi in campo sono anche quelli dell’ex primo ministro Francois Fillon, sostenitore di una dura politica di rigore economico, dell’ex ministro Bruno Le Maire e della combattiva 43enne Nathalie Kosciusko-Morizet, ex portavoce di Sarkozy ora in rotta con lui.
Mentre Sarkozy scalda i motori, il presidente francese Francois Hollande è già a caccia del rilancio della popolarità per ottenere la ricandidatura.
E la prima mossa passa dai social network, dalla popolare applicazione per messaggi effimeri Snapchat, su cui Hollande ha inviato due ‘snap’ prima della riunione del consiglio dei ministri.
Il primo messaggio è una semplice foto del colloquio preliminare con il Premier Manuel Valls, accompagnata da una didascalia e da una bandierina francese.
Il secondo è un breve video girato nella sala in cui si riunisce il consiglio dei ministri, in cui si vede Hollande circondato dai membri del governo.
Per lo staff del presidente non è il primo tentativo di comunicare tramite i social network più popolari, ma in passato le cose non sono sempre andate come si sperava. Nel marzo scorso, la trasmissione in diretta su Periscope dell’incontro tra Hollande e un gruppo di dipendenti di un sito di e-commerce si era trasformata in un clamoroso autogol, con una pioggia di commenti sarcastici e di prese in giro.
Per Hollande, la cui popolarità resta storicamente bassa, la missione dell’autunno è ritrovare consenso ma anche serrare i ranghi di un partito socialista sempre più spaccato, in cui l’ala sinistra è in aperto conflitto con l’attuale posizione del governo. Come provano le candidature alle primarie di due degli ex ministri più polemici sulla svolta liberal dell’esecutivo, Benoit Hamon e Arnaud Montebourg, oltre a quella della ex leader verde Cecile Duflot.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
E’ L’AZIENDA AUSTRALIANA CHE FORNISCE LE SUPPELLETTILI CHE ARREDANO I VILLAGGI DEGLI ATLETI A CURARE LA VENDITA
Le Olimpiadi sono finite, le luci si spengono su Rio de Janeiro, ma intanto un’azienda australiana sta già pensando a come dare una seconda vita alla sedia che ha accolto la campionessa nera di ginnastica artistica Simone Biles e al lettino dove sono stati massaggiati i polpacci del campione di nuoto Michael Phelps dopo aver vinto il suo ventitreesimo oro alla fine della staffetta mista.
Venduti in stock, insieme, a tutte le altre suppellettili dei giochi, grazie a un sito di aste online. Insomma, per assicurarsi la sedia di un campione, bisogna comprare l’intero contenier.
A mettere in vendita il materiale è la Rgs Events, azienda di Melbourne, Australia, che poi è la stessa che lo fornisce dal 2000, cioè dalle Olimpiadi di Sidney quando vinse per la prima volta il bando di fornitura.
Grazie ad un accordo con l’americana B-Stock Solutions – azienda che collabora con grandi aziende come Walmart e Amazon proprio per liquidare i materiali rimasti nei magazzini.
Che già dalla settimana scorsa ha avviato le aste online.
Quattordici audizioni che in tre giorni (sono terminate ieri) hanno fatto piazza pulita di ogni materiale contenuto nel 3604 alloggi dove hanno vissuto i 18 mila atleti, accuratamente divisi in 40 diversi container.
A essere venduti sono 1 milione e trecentomila oggetti divisi in lotti.
Tutto, ma proprio tutto è insomma già pronto a sparire. A essere vendute sono infatti le 135 mila sedie usate dagli atleti, ma anche 350 lettini da massaggi, 20 mila letti, 102 mila lampade, 10 mila armadietti, 42 mila tavoli e perfino 2500 cestini della carta straccia: ma anche schermi televisivi, megafoni, ombrelloni, cassaforti, asciugamani, lenzuola, usati esclisavamente durante i 17 giorni dei giochi.
Le offerte sono arrivate da tutto il mondo e chi ha comprato ha fatto dei veri affari: come gli ignoti compratori di un lotto di 4mila sedie bianche vaultato 76 mila dollari che si è accaparrato per appena 5136 dolari (l’offerta più alta dell’asta) il malloppo, di fatto pagando ogni sedia appena 1 dollaro e 28 centesimi.
A fare le offerte sono state soprattutto aziende americane, ma non solo: a registrarsi all’asta c’erano infatti contendenti di 36 paesi, soprattutto responsabili di grandi alberghi, organizzatori di eventi, scuole, e rivenditori di oggetti di seconda mano. Quel che resta di invenduto, sarà donato ad altri eventi sportivi: come i giochiolimpici giovanili di Buenos Aires.
I materiali venduti, invece, saranno consegnati a settembre, subito dopo la fine dei giochi paraolimpici, il 18 settembre.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
PRESE TOTO’ RIINA, ORA ALLEVA RAPACI E HA UNA CASA FAMIGLIA PER MINORENNI IN DIFFICOLTA’ ALLA PERIFERIA DI ROMA
«Le mie aquile? Sono qui grazie ai miei amici Apache». Come gli Apache? «Gli Apache delle bianche montagne. Sono sempre stati un riferimento per me, in certi momenti duri ho pensato molto alle loro tecniche di combattimento. Al loro modo di apparire e svanire, di essere pochi e sembrare tanti. Poi un giorno ho visto un indirizzo su una rivista e ho scritto al loro capo, Ronnie Lupe…».
Ultimo – il capitano Ultimo, quello della squadra Crimor e della cattura di Totò Riina – spedì una lettera al capo della tribù.
Per parlargli del dolore, dei giorni consumati a caccia di assassini e latitanti, della tristezza che provò quando vide saltare in aria un’autostrada, «e insieme a quell’autostrada andò via un pezzo grande di speranza e di libertà ».
Eppure – chiudeva quella lettera – «nessuna tragedia sarà mai paragonabile al genocidio della nazione Apache».
Incredibilmente Ronnie Lupe rispose e ancora oggi ripensandoci si emoziona, Sergio De Caprio, classe 1961, nome in codice Ultimo, scelto «perchè ho visto troppa gente che sgomitava per arrivare al primo posto».
L’incontro con il capo Apache
Ma torniamo al capo Apache. «Dopo la sua risposta io e miei uomini lo incontrammo. È stato con noi due giorni senza dire una parola, ci scrutava in silenzio. Alla fine del secondo giorno ci ha detto: vi ho osservati. Siete come questa mano: se la vedi aperta sono cinque dita, se la vedi chiusa è la forza di un pugno. Ci ha raccontato delle sofferenze della sua gente e ci ha parlato della famiglia delle aquile alla quale lui chiede sempre un parere prima di prendere una decisione».
È stato quel giorno che l’idea di avere un’aquila ha cominciato a cercare spazio nei pensieri di Ultimo (nel frattempo diventato colonnello e oggi operativo al Noe). «Tanti anni dopo quell’incontro mi è capitato di vivere un periodo davvero nero – racconta lui –. Stavo male, sono finito in ospedale ma nessuno capiva cosa avessi». Era il tempo delle accuse per la non perquisizione al covo di Riina, Ultimo fu travolto dal processo (poi è stato assolto), «ma per favore avevamo detto solo le aquile, non voglio parlare di mafia nè di quello che ho sentito in aula, nè voglio gloriarmi della cattura di Riina… Io nel frattempo sono andato avanti, non mi sono mai fermato».
Il rapporto con gli animali
Riprendiamo. «Ero in ospedale e una notte ho fatto un sogno: mi venivano addosso moltissimi falchi ma invece di beccarmi mi sfioravano, quasi delle carezze. Per me quello era un messaggio di Ronnie: mi suggeriva di curarmi con i falchi. Quando sono uscito sono andato dai falconieri, ho fatto un corso e ne ho preso uno. Non sono mai più stato male. E appena ho potuto sono passato dal falco alle aquile. È così che sono guarito».
Oggi il capitano Ultimo ha due aquile reali – un maschio di nome Wahir e una femmina che si chiama Lacrima, nate in cattività –, una falconeria e rapaci di vario genere nella casa famiglia che ha tirato su assieme ad amici, volontari e uomini della sua vecchia squadra.
Si occupano di minorenni in difficoltà alla periferia est di Roma, nella Tenuta della Mistica.
Tra Lacrima e Wahir
«Qui creiamo sopravvivenza» racconta lui mentre infila il guanto di cuoio per tenere sul braccio le sue aquile.
«Per me è una preghiera fare giustizia senza chiedere niente in cambio, è una preghiera fare il prete-carabiniere cercando di creare tutta l’eguaglianza e la bellezza possibile nella sopravvivenza di chi viene alla nostra porta e la trova aperta».
Si infila nel capanno a prendere Lacrima. Due metri e più di apertura alare, «la potenza, la bellezza e la perfezione messe assieme» la presenta lui.
«Quando vola volo con lei, la vedo planare e plano con lei, quando arriva sento addosso il soffio del vento. Se un giorno volesse andare è libera di farlo, finora è sempre tornata».
Le aquile hanno un partner per la vita e sia per lei sia per Wahir il partner è Ultimo.
In primavera, quando arriva, loro fanno versi d’amore per lui e lui ricambia con parole, carezze e ramoscelli per costruire il nido. Un giorno ha raccolto una penna. L’ha impacchettata e l’ha spedita al suo amico Apache.
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL TIME
“Hanno trasformato il web in una fogna di ostilità e violenza. E vedere ciò che stanno facendo al resto di noi è anche peggio”.
A scriverlo è il TIME, che ha dedicato la copertina ad uno dei fenomeni più distruttivi della rete: i troll.
Il troll è un utente, spesso sotto falsa identità , che trae piacere nel disturbare la quiete pubblica con messaggi provocatori, irritanti, violenti, fuori tema o semplicemente senza senso.
Una vera e propria piaga, di cui ci si può rendere facilmente conto leggendo i tanti commenti pieni d’odio sotto le notizie pubblicate sui social network.
“Quest’articolo non è una buona idea – scrive il giornalista del TIME, Joel Stein -. Perchè ciò di cui si cibano i troll è l’attenzione”.
Sulla cover, è riportato il disegno della creatura fantastica, generalmente malvagia, da cui trae origine il termine.
“La parola ‘troll’ è andata presto riferendosi ai mostri che si nascondono nell’oscurità e che aggrediscono le persone. I troll di Internet hanno una sorta di manifesto, che dice che ciò che fanno deve avere come scopo le risate. Ciò che fanno per provocare questo divertimento può andare dagli scherzi intelligenti agli insulti violenti – aggiunge l’autore -. I troll hanno trasformato i social media e la board dei commenti in un gigantesco spazio che ricorda i film per adolescenti, pieno di epiteti razzisti e misoginia”.
Bersaglio dei troll può essere qualsiasi argomento: dall’omosessualità al ruolo delle donne, dall’immigrazione ai film. Ma ciò a cui mirano, di solito, è entrare direttamente in contatto con i “piani alti”. Specialmente in campo politico, questo dà loro un’enorme soddisfazione e una vasta eco.
A dimostrarlo, come riporta il TIME, è il caso di Steve Smith, un account di un utente mai esistito, dietro il quale si celava un uomo dalla fede politica fortemente repubblicana e che utilizzava i social per insultare altri rappresentanti politici.
Con il tempo, ha ammesso di essere diventato dipendente dal bisogno d’attenzione: “Mi sono rovinato quando ho iniziato questa cosa. La mia ex moglie mi ha lasciato – ha detto al TIME -. Ma su Twitter riuscivo a comunicare direttamente con gli autori di certi articoli o comunicati. I miei tweet totalizzavano anche un milione e mezzo di visualizzazioni. Era un’attenzione molto più grande di quella che avrei ottenuto se avessi chiamato le persone e avessi detto loro: ‘Avete mai considerato che Trump potrebbe diventare Presidente?'”.
L’azione dei troll, proprio perchè portata avanti da persone senza identità e mosse dalla voglia di distruggere, può letteralmente “annientare” individui in carne ed ossa che passano del tempo online o condividono lì il loro lavoro.
“In questa nuova guerra culturale, la battaglia si espande a qualsiasi argomento, perfino ai video games, alle pubblicità di vestiti, addirittura a remake di film anni ’80”, scrive l’autore dell’articolo, portando un esempio: a luglio, i troll hanno preso di mira il remake del film Ghostbusters. Leslie Jones, in particolare, è stata insultata così pesantemente su Twitter con parole razziste e sessiste che ha pensato di lasciare il lavoro.
“Ero sola nel mio appartamento – ha raccontato – e mi sentivo intrappolata. Leggendo tutti quei commenti, pensavo: ‘Non posso combatterli’. Non sapevo cosa fare. Dovevo chiamare la polizia? Poi hanno ottenuto la mia mail e hanno iniziato a mandarmi insulti, mi dicevano che mi avrebbero tagliato la testa. Non vogliono esprimere un’opinione, vogliono solo spaventarti”.
Secondo una ricerca del Pew Research Center risalente a due anni fa e riportata da TIME, il 70% dei giovani tra i 18 e i 24 anni che usano Internet hanno sperimentato questo tipo di violenza e il 26% delle donne della stessa età ha ammesso di aver sperimentato lo stalking online.
“Questo è esattamente ciò che i troll vogliono”, scrive l’autore.
Secondo un altro studio, invece, il 5% degli utenti che si autodefiniscono “troll” presentano dei tratti della personalità molto marcati, come narcisismo, psicopatia, machiavellismo e, primo tra tutti, sadismo.
Ciò che vorrebbero, insomma, è far soffrire o vedere soffrire le loro vittime, traendone piacere.
“I troll rappresentano l’antitesi di come le persone normali conversano le une con le altre”, ha spiegato Whitney Phillips della Mercer University e autrice del libro “This Is Why We Can’t Have Nice Things: Mapping the Relationship Between Online Trolling and Mainstream Culture”.
Ma la cultura dei troll può influenzare anche come gli utenti nontroll trattano gli altri. Già nel 1999, Judith Donath, che aveva documentato la pratica, scriveva: “I troll possono danneggiare il gruppo in molti modi. Possono interrompere le discussioni, dare cattivi consigli, minare la fiducia reciproca della comunità degli utenti. Inoltre un gruppo di discussione che sia stato oggetto di attacco di un troll può ‘sensibilizzarsi’ e rifiutare di discutere o rispondere a domande oneste ma ingenue, scambiandole per ulteriori messaggi del troll”.
Insomma, leggere centinaia di insulti può renderci avvezzi a simili esternazioni, privarci della sensibilità giusta per giudicarli: semplicemente si passa avanti, non ci si indigna e si è più propensi, secondo quanto riportato dai ricercatori della University of California, a insultare a nostra volta.
Ecco perchè, forse, il fenomeno dei troll è ancora più distruttivo di ciò che appare.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
QUANDO IL “PADRONI A CASA A CASA NOSTRA” VIENE APPLICATO DAGLI ITALIANI… MARISA, 21 ANNI, BARISTA: “NON LO PERDONO”
«Mio fratello sembrava un diavolo. Mi ha puntato addosso il fucile e ha sparato. Sono caduta e ho chiuso gli occhi per il dolore».
Marisa Putortì, 21 anni, ricorda i momenti della sua gambizzazione ad opera del fratello Demetrio, quattro anni più grande, che le ha sparato per «gelosia» e per «punire» alcuni atteggiamenti della sorella.
Dopo la morte del padre Carmelo, sei anni fa, Demetrio pensava di sostituirsi alla figura paterna in famiglia e, per questo, era diventato «ossessivo» nei confronti della sorella, tanto da proibirle frequentazioni e rimproverarla per il suo modo di vestire. «Era ormai da anni che non andavamo d’accordo – racconta Marisa nel suo letto in ospedale–. Neanche ci salutavamo più. A lui dava fastidio ogni cosa che facevo… Se mi truccavo o andavo in giro con la minigonna, se fumavo o mi fermavo in paese a parlare con uomini più grandi. Chissà cosa gli raccontavano di me i suoi amici».
Poi si blocca e gira lo sguardo verso suo figlio Carmelo, cinque anni, frutto dell’amore adolescenziale con il suo attuale compagno, Massimo D’Ambrosi, 24 anni e un lavoro saltuario.
Quindi riprende il racconto. «Ero vigile in ambulanza. Sentivo i medici che si auguravano che i pallini non avessero colpito l’arteria femorale, “altrimenti non ci arriva in ospedale”, dicevano tra loro, mentre io tremavo, pregavo e pensavo: sopravvivrò?».
In ospedale al capitano Francesco Manzone, comandante della compagnia di Tropea che l’ha interrogata, Marisa ha taciuto il nome del suo sparatore.
«Pensavo ci arrivassero da soli», dice con pudore. «Non l’ho fatto per proteggere mio fratello. Lui è uno schizofrenico. Non lo odio però, provo solo indifferenza». Perdonarlo? «Non me la sento proprio – continua –. Voglio che paghi per quello che ha fatto e quando lui uscirà di prigione io me ne andrò da Nicotera».
Voglio vivere come le mie coetanee
Demetrio Putortì 24 ore dopo aver sparato alla sorella si è costituito ammettendo le sue responsabilità . È in stato di fermo. I carabinieri stanno cercando di capire chi abbia fornito il fucile al giovane e dove sia finita l’arma.
Si indaga sui rapporti tra Demetrio e ambienti della criminalità locale, con i quali sembrerebbe avesse dei rapporti. Poi c’è il rebus dell’auto con la quale il giovane si è presentato sul luogo del ferimento.
Pare l’avesse acquistata sulla parola qualche giorno prima da un amico. Sabato pomeriggio Vincenza Pirelli, madre di Demetrio, ha incontrato nella caserma di Tropea il figlio. L’ha baciato e abbracciato.
Nessuna parola? «Tra madre e figlio non ce n’è bisogno», dice la donna. Che poi sorride alla figlia mentre le comunica i tempi della degenza.
Marisa è stata operata perchè i pallini del calibro dodici le hanno bucato le gambe e spezzato il femore destro.
Soltanto tra qualche mese potrà tornare a servire ai tavoli del «Bombo», il bar del centro di Nicotera Marina dove venerdì sera è avvenuta la sparatoria e dove lei era stata assunta sei mesi fa.
Adesso nella stanza tutta per lei del reparto di Ortopedia dello Jazzolino di Vibo Valentia, Marisa sfoga la sua rabbia e continua a fare piani per il futuro: «Non ho vissuto l’adolescenza perchè il destino e l’amore hanno voluto che diventassi improvvisamente grande. Non ho finito gli studi tecnici, e mi sono pentita. Ora però che grande sono diventata veramente, voglio vivere come vivono le mie coetanee. Lavorare, andare a ballare, avere un sacco di amici, ma anche uscire con il mio Carmelo ed essere fiera di lui. Tutto questo volevo fare. Voglio farlo, senza essere controllata».
Carlo Macrì
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
LA RIVOLUZIONE INFORMATICA ROTTAMERA’ MIGLIAIA DI POSTI DI LAVORO… ECCO COME FUNZIONA L’ASSEGNO MINIMO NEL MONDO E QUALI SONO I RISCHI
La Bibbia inizia con Dio indaffarato a creare il mondo. Il diritto/dovere al lavoro è sancito dall’Onu nella Dichiarazione universale dei Diritti. La Costituzione italiana fonda la Repubblica sul lavoro.
Eppure, non tutti sono d’accordo che il lavoro nobilita. Da anni i dimostranti all’Euroday strillano: il lavoro è schiavitù. Da mesi gli scioperanti a Parigi sventolano striscioni: il lavoro è un crimine contro l’umanità .
IL DIBATTITO POLITICO
Conflitto generazionale, confronto tra conservatori e riformisti?
O la fine dell’epoca che ha generalizzato l’opportunità di guadagnarsi la vita sudando, e l’inizio dell’età che generalizza il diritto a un reddito sfaticato?
A parte millenari principi religiosi (carità ) e umanitari (filantropia), il concetto del diritto al benessere senza controparte risale a qualche secolo addietro.
Manifestato al tempo delle rivoluzioni francese (Franà§ois Huet) e americana (Thomas Paine), è stato portato avanti da economisti (Stuart Mill, Maynard Keynes e Milton Friedman) e visionari (Martin Luther King).
Tutti loro hanno auspicato misure per promuovere la giustizia sociale, ridurre il ruolo coercitivo dello Stato e restaurare la libertà individuale – finanche l’emancipazione dal lavoro.
Nasce così il concetto Rug, reddito universale garantito – l’auspicio che la società si organizzi in modo da permettere a ciascuno di re-orientare la vita a proprio piacimento.
L’obbligo del lavoro per sostentarsi è sostituito dal diritto di soddisfare i bisogni personali, nulla escluso – neppure il dolce far niente, il divertimento fine a stesso.
Una formulazione rivoluzionaria, per alcuni utopistica, che supera tanto il concetto marxista dell’economia redistributiva (tassare i ricchi per assistere i poveri) quanto il concetto capitalista dello Stato assistenziale (proteggere chi è in condizioni di indigenza).
IN EUROPA
Nel mondo il concetto Rug esibisce connotati diversi.
In Italia il proposto reddito di cittadinanza mira a garantire il raggiungimento della soglia Ue di rischio povertà : 780 euro/mese condizionati alla disponibilità al lavoro (il ministero delle Finanze evidenzia l’assente copertura di bilancio: 17 miliardi, pari 1% del Pil).
La Gran Bretagna già offre un reddito di base: 500 euro/mese, in aggiunta a varie prestazioni gratuite (indennità -casa e sanità ).
In Olanda diverse municipalità , Utrecht tra esse, partecipano al programma pilota weten wat werkt (conoscere cosa funziona): assegni mensili fino a 1000 euro sono offerti, alcuni senza controparte, altri in sostituzione di tradizionali forme d’assistenza.
In Finlandia l’esperimento di reddito universale inizierà alla fine dell’anno, per 24 mesi e un costo di 20 milioni di euro: l’obiettivo è riformare la politica sociale, creare un incentivo al lavoro e rafforzare i vincoli familiari.
In Svizzera, la proposta di un vitalizio sociale (euro 26 mila/anno a ogni cittadino, a prescindere da età , lavoro e patrimonio) è stata rottamata in un recente referendum: prevedeva una spesa annua di 18 miliardi di euro.
NEL RESTO DEL MONDO
Anche fuori dell’Europa l’idea prende piede. In Canada, l’esperimento degli Anni 90 nello Stato del Manitoba porta a risultati ambigui: i genitori passano più tempo con i figli (buon auspicio), ma aumentano anche il consumo di cannabis, l’ozio e la disoccupazione.
Dopo un quarto di secolo, il Canada intenderebbe riprovarci con un progetto di 15 mila dollari/anno per ogni adulto. I fondi non esistono ma i sostenitori affermano che 2/3 di essi potrebbero essere generati ristrutturando e riducendo le altre spese federali. Negli Usa, dove metà della vita è passata lavorando (con il 50% di questa metà assorbito dal fisco), l’Alaska da tempo distribuisce annualmente 2000 petrodollari a ogni cittadino.
La proposta del candidato democratico Sanders di estendere il progetto a tutto il paese è irrealistica: secondo il Center for Policy Priorities (d’ispirazione riformista) costerebbe 3 mila miliardi di dollari – pari al totale delle entrate federali. Brasile e India manifestano il desiderio di lanciare simili esperimenti per rimediare all’inefficienza dello stato sociale e gestire evidenti lacerazioni sociali: per ora nulla di concreto.
Il reddito universale garantito è più che la risposta ai dimostranti di Parigi. Neppure si basa solo su una ragione morale: «La giustizia verso la folla di poveri che ci circonda» (parole di Francesco).
LA RIVOLUZIONE INFORMATICA
A porlo sul tavolo c’è una circostanza sistemica e improrogabile: la rivoluzione informatica in corso rischia di vanificare ogni sforzo di guadagnarsi il pane. Dispositivi elettronici che vincono a scacchi, guidano l’automobile e stampano lamiere possono ugualmente controllare il traffico, coltivare la terra, assistere in banca, consegnare la posta, insegnare a scuola e servire al ristorante.
Gli scienziati del Mit stimano che, in una generazione, metà dell’umanità potrebbe non trovare più lavoro; secondo i futurologi di Oxford, metà dell’occupazione odierna sarà distrutta nel prossimo quarto di secolo.
C’è effettivamente da temere che la demolizione di posti lavoro, in corso da un decennio, continui inesorabilmente. Non tutti concordano.
Si osserva che negli ultimi due secoli, molteplici rivoluzioni industriali hanno distrutto occupazione e reddito in vecchie attività , creandone volumi maggiori in nuovi settori: nel tempo la proporzione di gente attiva sul mercato del lavoro è cresciuta e con essa il tenore di vita.
Personalmente, dubito usufruiremo di un risultato analogamente positivo in futuro.
I ROBOT
L’attuale progresso verso la robotizzazione è una nuova forma di globalizzazione.
Ieri, a seguito della globalizzazione della produzione, la nostra industria è stata distrutta: Europa e America hanno perso le manifatture, delocalizzate in Oriente. Oggi, la globalizzazione dell’automazione in ufficio e in azienda distrugge i servizi (2/3 dell’occupazione): l’intelligenza artificiale sostituisce il ragionamento umano, circuiti e sensori sostituiscono nervi e braccia, voci sintetiche assistono gli utenti. L’interazione tra la globalizzazione geografica (ieri, a favore della Cina) e la globalizzazione strumentale (oggi, a favore dei robot) può solo risultare in ulteriore disoccupazione e abbassamento dei salari reali.
Il recente dibattito tra Obama e gli imprenditori di Silicon Valley rende evidente la contiguità tra le due globalizzazioni.
Al Presidente che chiede il rimpatrio delle aziende trasferite in Cina, la risposta è tutta un programma: «La relocalizzazione verso gli Usa è iniziata. Sostituiamo operai in Cina con robot in America».
In altre parole, i proprietari delle nuove tecnologie sono patriottici: accumulano reddito, senza preoccuparsi se il lavoro è un’eccellenza o un crimine.
CONTRO LE DISEGUAGLIANZE
Per colmare la crescente disuguaglianza sociale prima che l’antitesi diventa irreversibile, magari violenta, il reddito universale garantito è interessante – se riusciamo a superare le differenti valutazioni tra pubblico, imprenditori e governi. Nell’Unione Europea 2/3 dell’opinione pubblica è a favore, secondo il sondaggio telematico della Delia Research.
Nel mondo degli affari prevale l’opinione negativa, espressa dall’amministratore del colosso svizzero-svedese Abb, Ulrich Spiesshofer: «Un aiuto che garantisce il tenore di vita minimo è auspicabile; un reddito che spezza il legame tra sforzo e beneficio è impensabile».
Ai politici tocca mediare. A livello concettuale l’assegno universale, garantito e incondizionato potrebbe essere finanziato eliminando gli inefficienti meccanismi d’assistenza attuali (indennità di disoccupazione, buoni alimentari, contributo affitto, etc) e soprattutto riducendo burocrazia, sprechi, privilegi, costi della politica, prezzi manipolati e usura.
È improbabile che questi eccellenti programmi di riforma siano messi in pratica.
Un pessimo Rug è invece probabile: un altro assegno da 80 euro, magari moltiplicato per dieci, garantito per vincere le elezioni.
Antonio Maria Costa
(da “La Stampa”)
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Agosto 22nd, 2016 Riccardo Fucile
POPOLAZIONE A PICCO E CULLE VUOTE, MA FRANCIA E GRAN BRETAGNA RESTERANNO STABILI:.. MANCANO MISURE A SOSTEGNO DELLE FAMIGLIE
Popolazione a picco e crollo della natalità .
La fotografia scattata dall’Eurostat è impietosa. Se escludessimo dalla contabilità demografica la variabile migratoria, nel 2050 gli italiani si ridurrebbero dai 60,6 milioni del 2015 ai 51,5 del 2050.
Per toccare il picco minimo a 39,4 milioni nel 2080. Effetto di un progressivo calo delle nascite che, dalle 519 mila dell’anno scorso scenderebbero a 375 mila nel 2050 prima del tonfo a quota 308 mila nel 2080.
Uno scenario apocalittico che ha fatto scattare l’allarme al ministero per gli Affari regionali, dove la questione demografica è considerata prioritaria e sono allo studio possibili interventi. A cominciare da una serie di misure a sostegno delle famiglie e della natalità .
Ma se nelle dinamiche demografiche si tenesse conto dei flussi migratori, le proiezioni dell’Ufficio statistico dell’Ue cambierebbero radicalmente.
Aggiungendo, infatti, alla contabilità i numeri dei nuovi arrivi da Paesi extracomunitari, la popolazione sul territorio italiano salirebbe a 67 milioni nel 2050 per assestarsi a 65 milioni nel 2080.
Con un significativo miglioramento anche del trend delle nascite: 572 mila nel 2050 e quasi 571 mila nel 2080.
«In realtà , i dati Eurostat sono persino più ottimistici della situazione reale, tenuto conto che, rispetto alle proiezioni, nel 2015 la popolazione italiana si è assestata al di sotto dei 60 milioni e i nuovi nati sono stati circa 488 mila – sottolinea il ministro per gli Affari regionali con delega alla famiglia, Enrico Costa -.
Numeri destinati, negli anni, a peggiorare e che ci indicano la necessità di politiche strutturali, organiche e stabili a sostegno della natalità che non può essere una questione lasciata ai piani nazionali dei singoli Stati Ue ma va affrontata e coordinata a livello europeo».
La dinamica demografica inquadrata dall’Eurostat per l’Italia, del resto, va di pari passo con quella comunitaria.
A variabile migratoria zero, la popolazione dell’Unione europea è destinata a scendere dai 507 milioni del 2015 ai 466 del 2050. Fino a precipitare a 399 milioni nel 2080.
E anche le nascite crollerebbero da 5,1 milioni dell’anno scorso, a 4,1 nel 2050 e a 3,6 nel 2080.
Tutta un’altra musica, invece, tenendo conto dei flussi migratori: 525 milioni nel 2050 e 520 nel 2080 per la popolazione; 5 milioni di nuovi nati nel 2050 e 5,1 nel 2080, sostanzialmente stabili rispetto al 2015.
LE ECCEZIONI VIRTUOSE
Non mancano, però, eccezioni virtuose tra i Paesi dell’Ue. A cominciare dalla Francia che, anche in caso di neutralizzazione della variabile migratoria, vedrebbe la sua popolazione aumentare dai 66 milioni dell’anno scorso ai 69 del 2050, assestandosi a quota 68 nel 2080.
Stessa dinamica in Gran Bretagna: 64 milioni nel 2015, 67 nel 2050 e di nuovo 64 nel 2080. «Sono casi che devono far riflettere perchè ci dicono che in questi Paesi le politiche adottate a sostegno della famiglia sono state improntate all’insegna della stabilità – prosegue Costa -. In Italia, al contrario, sono state adottate negli anni poche misure strutturali e caratterizzate da troppa incertezza: un intervento una tantum, anche se meritevole, non porta risultati nel medio-lungo termine».
Nei dati Eurostat, spicca anche un ulteriore aspetto legato all’invecchiamento della popolazione.
A migrazione zero, l’età media degli italiani salirà dai 44,8 anni del 2015 ai 52,8 del 2050 fino ai 53,2 del 2080.
Mentre, tenendo conto dell’effetto dei flussi migratori, resterebbe stabilmente al di sotto dei 50 anni: 44,7 nel 2015, 47,8 nel 2050 e 48,9 del 2080.
Antonio Pitoni
(da “La Stampa”)
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