Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
LA MOSSA DI SPERANZA CHIUDE IL DIBATTITO METTENDO SUL TAVOLO IL PARERE DEGLI SCIENZIATI… E’ PREVALSA LA PRUDENZA, NONOSTANTE LA PRESSIONE DELLE IMPRESE
Lo diceva chiaramente ad Huffpost il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo: “La chiusura di molte attività , che abbiamo recentemente disposto, dovrà sicuramente protrarsi. La riapertura è prematura”.
Ma erano tante e concordanti le fonti nel governo che confermavano a metà pomeriggio questa linea: il dibattito su cosa e come riaprire non è all’ordine del giorno, se non riguardo a limitatissime e specifiche filiere.
Un dibattito che pure era aperto, e sul quale è intervenuto all’ora di cena a gamba tesa il ministro della Salute Roberto Speranza: “Nella riunione svoltasi stamattina con il comitato tecnico scientifico è emersa la valutazione di prorogare tutte le misure di contenimento almeno fino a Pasqua”.
Un modo per mettere il parere degli esperti come diga al possibile farsi strada di pareri contrari.
Dal 3 aprile l’Italia rimarrà ferma per almeno altre due settimane. Solo in prossimità della Pasqua si inizierà a ragionare su uno sblocco, che sarà comunque mirato e graduale.
Un indirizzo condiviso con Giuseppe Conte: “Il governo – ha aggiunto Speranza – si muoverà in questa direzione”. Fine del dibattito.
Il premier ha chiesto a tutti i ministri di far pervenire entro la mattinata di martedì sulla sua scrivania le valutazioni su urgenze e aree che soffrono meno.
Da Palazzo Chigi confermano che è cosa di queste ore una valutazione approfondita e onnicomprensiva su come e quando riaprire con gradualità . Ma spiegano anche che, alla luce dello scenario attuale, non è argomento all’ordine del giorno della prossima settimana.
Il sentiment è chiaro: dopo la scelta del lockdown, non portare fino in fondo questa linea e prestare il fianco a un’ondata di ritorno della diffusione segnerebbe la fine politica di qualunque velleità di condurre la ricostruzione.
Il premier è rimasto scottato dalle critiche sulla progressività delle misure adottate. Chi lo conosce bene spiega che non ha alcuna intenzione di prestare il fianco a quel che potrebbe succedere dal punto di vista del contagio nel caso di una riapertura troppo accelerata.
Dal Pd, ma soprattutto dal Movimento 5 stelle, arrivano parole di fuoco sul pressing in questo senso di Matteo Renzi. “Procedere con la leggerezza sarebbe da irresponsabili – attacca una fonte di governo pentastellata — la bussola del presidente del Consiglio ha sempre avuto la tutela della salute come suo Nord”.
D’altra parte è pur vero che tutti gli scenari possibili sono al vaglio in queste ore nei briefing di governo.
Si ragiona sul dettaglio: la riapertura delle singole filiere, la distinzione delle zone geografiche prendendo a riferimento l’andamento del virus, anche la differenziazione — che al momento non sembra intercettare un ampio consenso — per fasce d’età . Conte le sta vagliando, ma al contempo tira il freno a mano.
Una discussione è in corso, coinvolgendo anche imprese e sindacati. Al momento tuttavia riguarda solo le filiere cosiddette “secondarie”, vale a dire quelle che sono di supporto a chi produce beni di prima necessità .
Da Confindustria è forte la spinta a sbloccare il settore che produce macchine agricole e utensili industriali, i “pezzi” di ricambio per le fabbriche.
Questa, come alcuni altri codici Ateco, potrebbe essere sbloccata. Un esponente di governo che sta da oltre un mese sul dossier spiega: “Per come stanno le cose fino a dopo Pasqua non si apre nulla. Se il comitato tecnico scientifico nei prossimi giorni dirà che i dati sui contagi ce lo consentono, vale a dire se il coefficiente che li determina sarà sceso sotto uno, valuteremo qualche riapertura limitata”.
La priorità sanitaria stride con la situazione economica che va via via peggiorando. Oggi è il turno di Federacciai. Il presidente Alessandro Banzato, in una intervista all’Ansa, ha levato un grido di preoccupazione: “Da noi il 95% è fermo, in Francia e Germania si continua a produrre, rischiamo di essere tagliati fuori”.
Questione questa che, insieme alle tante altre emerse negli ultimi giorni, è all’attenzione del governo. “Qualcosa si farà — spiega una fonte dell’esecutivo — ma di molto limitato. Qualcuno protesterà , e capisco già da ora quel tipo di punto di vista, ma non potremmo fare altrimenti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
LA SVIZZERA NON STAMPA MONETA, FORNISCE SEMPLICEMENTE UN CREDITO AD AZIENDE E PROFESSIONISTI A DETERMINATE CONDIZIONI
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il leader della Lega Matteo Salvini critica le misure di aiuto da parte del Governo nell’emergenza Coronavirus e sostiene che bisogna stampare moneta citando come esempio la Svizzera dove basterebbe compilare un foglio per aver a disposizione 500 mila euro:
Ci saranno comunque 400 milioni molto presto. Il fare in fretta è proprio quello che lei ha appena chiesto.
«Ci sono sindaci che mi scrivono, preoccupatissimi: non abbiamo una lira, non abbiamo personale… I 400 milioni, quanto sono a persona: 6 euro?».
Cosa si aspetterebbe ora?
«Che si stampasse moneta. La Svizzera, compilando un foglio, ti mette a disposizione fino a 500mila euro, la Gran Bretagna ti garantisce fino all’80% dello stipendio, gli Usa destinano fino a 2.000 euro a famiglia. Loro possono farlo. Noi no, perchè abbiamo l’euro. E, mi faccia dire, anche questa Europa».
A parte ricordare che i 400 milioni non sono per tutti i cittadini, ma per quelli che ne hanno realmente bisogno, proporre di «stampare moneta» citando come esempio una delle misure prese in atto in Svizzera è falso.
A spiegare la reale situazione è stato il collega Paolo Attivissimo su Twitter rivolgendosi a Matteo Salvini
Ecco la spiegazione di Paolo Attivissimo sul «foglio compilato» in Svizzera
1. Non è una elargizione: è un credito ponte. Li rivogliono indietro.
2. Sono a disposizione solo delle aziende, non del singolo privato.
3. Viene dato il 10% del fatturato annuo.
4. Non è “un foglio”, ma una procedura in sette passi.
Paolo Attivissimo riporta anche le fonti svizzere consultabili online: il sito dell’Ufficio Sviluppo Economico del Canton Ticino e il link alla richiesta di credito. Infine conclude così:
“Infine, non è che in Svizzera possiamo fare queste cose “perchè non abbiamo l’euro”. Le possiamo fare perchè abbiamo messo via i soldi per crisi come questa.
In Svizzera non si compila un modulo per «stampare moneta». Quello che viene proposto è un credito da restituire entro 5 anni fornito non all’intera cittadinanza, ma solo alle aziende e professionisti fino a un massimo di 500 mila franchi svizzeri. Non basta compilare il modulo, la richiesta deve essere approvata e se le informazioni riportate fossero false è prevista una multa.
(da Open)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IN GERMANIA E OLANDA SI RAGIONA SULLA TERZA VIA INDICATA DA GENTILONI: BOND DELLA BEI CON CONDIZIONI
“Penso che dobbiamo mettere sul tavolo la questione della solidarietà : abbiamo di fronte una situazione in cui vari paesi si indebiteranno e dunque dobbiamo usare degli strumenti sensibili. La discussione sugli eurobond non è nuova. Abbiamo avuto dei bond comunitari nel periodo della crisi del petrolio nel 1974 e allora li accettarono anche paesi che oggi sono contrari”.
Parola di Bernd Lange, europarlamentare tedesco della Spd, partito che governa con la Cdu di Angela Merkel.
Dopo gli stracci volati (a distanza) la scorsa settimana al vertice dei leader europei collegati in videconferenza, qualcosa si muove anche in Germania sui possibili strumenti comunitari da adottare per affrontare l’emergenza coronavirus.
Ma nel frattempo però eurobond e uso del Meccanismo europeo di stabilità senza condizioni sembrano usciti dal tavolo delle discussioni.
L’Eurogruppo che si riunirà il 7 aprile ragiona su una terza via: bond comunitari ma legati a missioni precise, emessi dalla Banca europea per gli investimenti (Bei).
In Germania e Olanda, che guidano il gruppo dei paesi fermamente contrari a meccanismi di condivisione del debito come gli eurobond oppure all’uso dei fondi del Meccanismo europeo di stabilità senza condizionalità , ci sono primi segnali di dibattito interno. Timidi, ma ci sono.
Lange della Spd tedesca non è l’unico. Di certo, non è il primo: sugli stessi argomenti si erano già mossi i Verdi tedeschi. I socialisti lo fanno ora per evidenti esigenze di concorrenza sull’elettorato di sinistra.
Ma al netto di tutto questo, anche tra gli economisti tedeschi emergono i primi dubbi sulla linea del governo. Achim Truger, consulente del governo in quanto componente del Consiglio tedesco degli esperti economici, dice chiaramente che i coronabonds sono un’opzione.
I suoi colleghi non sono d’accordo e insistono sull’uso del fondo Salva Stati con condizioni minime per gli Stati che ne fanno ricorso. Ma, secondo un articolo di Der Spiegel, anche il presidente della Bundesbank Jens Weidmann avrebbe consigliato al governo tedesco di abbandonare la linea contraria agli eurobond.
Anche il presidente della banca centrale olandese (De Nederlandsche Bank) Klass Knot, sarebbe sulla stessa linea. E in Olanda i laburisti della Pvda (Partito del lavoro, principale partito politico di centrosinistra), che storicamente sono sempre stati favorevoli agli eurobond, domani dovrebbero contestare la linea del premier Mark Rutte, si apprende da fonti europee.
Anche se: i laburisti in Olanda sono all’opposizione e al loro interno il dibattito è tutt’altro che tranquillo. Questo è Ronald Plasterk, leader della Pvda che accusa l’Italia di voler “approfittare della crisi”:
Parole ancora al vetriolo e niente di risolto. Ma, dopo gli scontri della scorsa settimana e dopo le parole di Ursula von der Leyen che sabato scorso ha eliminato dal tavolo gli eurobond correggendo solo parzialmente a sera, a Bruxelles è maturata la consapevolezza che vanno trovati degli strumenti europei per sopravvivere.
E per sopravvivere anche come Unione. “Abbiamo bisogno di un piano di ripresa che funzioni per tutta l’Europa”, dice Eric Mamer, portavoce della presidente della Commissione europea, in un lungo briefing (online) con la stampa.
“Siamo democrazie — aggiunge – è normale e sano che ci siano dei dibattiti. Non capisco perchè dubitiamo sempre di noi stessi: l’Ue ha superato crisi enormi nella sua storia, recente e più lontana. Siamo sempre usciti con successo da queste crisi e lavoriamo per superare anche questa crisi”.
Ecco, ma si è capito che dalla crisi si esce con una ‘terza via’, a meno di colpi di scena dei prossimi giorni.
I ministri delle Finanze torneranno a riunirsi martedì 7 aprile: il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno aveva parlato di una riunione già questa settimana, ma slitta alla prossima. Segno che nessuna soluzione è ancora matura.
Formalmente tutte le opzioni sono sul tavolo, continuano a ripetere da Bruxelles. Ma, stringendo, ne resta solo una: l’emissione di titoli europei (bonds o coronabonds) con delle rigide condizionalità . Vale a dire: legati a delle missioni precise.
In questo momento, secondo fonti europee, questa è l’unica strada che possa mettere insieme le richieste dei paesi con maggiori difficoltà economiche (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Slovenia, più tutti gli altri fino a un totale di 14 Stati) con l’indisponibilità dei paesi del nord (Germania, Olanda, Austria, Finlandia, ecc) a pagare per il loro debito.
E’ lo stesso Commissario all’Economia Paolo Gentiloni che, ospite di ‘Circo Massimo’ su Radio Capital, sgombera il campo dagli eurobond, prendendo atto del fatto che l’idea di “mutualizzare genericamente il debito non sarà mai accettata”. Per cui, dice Gentiloni, conviene “capovolgere la discussione passando da Mes e coronabond agli obiettivi e sul modo in cui finanziarli”. Ed è per questo che sempre Gentiloni parla di ricapitalizzazione della Bei, banca comune degli Stati membri che emette bond per natura.
L’idea della ‘terza via’ sembra farsi largo anche in Francia. Oggi il ministro dell’Economia Bruno Le Maire sottolinea che “non è realistico immaginare un ‘divorzio’ franco-tedesco, tanto più nel pieno di una crisi così drammatica”. E’ il segnale che la ‘terza via’ potrebbe incontrare consensi da nord a sud. Ma a quale prezzo?
(da”Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEL LAVORO: “ALLARGARE IL REDDITO DI CITTADINANZA, BONUS E SUSSIDI ESTESI ANCHE AD APRILE”
“In queste ore sto lavorando al Reddito d’emergenza. Servono 3 miliardi e procedure semplificate, in modo da poterlo erogare in pochissimo tempo”.
Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo fa parte di quel pezzo di governo più incalzato dall’emergenza sanitaria, sociale ed economica che ha investito l’Italia.
“I bonus per i lavoratori saranno prorogati anche ad aprile”, spiega, aggiungendo che sta studiando il modo di alzare quegli importi.
Sul versante economico la proposta che più farà discutere: “Proporrò un allargamento del Reddito di cittadinanza prevedendo un ‘alleggerimento’ dei requisiti d’accesso, in particolare quelli che riguardano il patrimonio immobiliare, fino al termine dell’emergenza economica”.
Ministra Catalfo andiamo con ordine. Diamo per scontato che il lockdown sarà prorogato oltre il 3 aprile. Si pone il tema del come. Ci sarà una riapertura selettiva già a partire da quella data?
Gli esperti dicono che le misure prese dal Governo nelle scorse settimane stanno funzionando. Ma, come ha spiegato il Ministro Speranza, siamo ancora nel pieno dell’epidemia. Perciò non è ancora il momento di abbassare la guardia. La chiusura di molte attività , che abbiamo recentemente disposto, dovrà sicuramente protrarsi. Si potrebbe comunque prevedere un percorso di riapertura graduale ma per ora è prematuro: sono momenti decisivi e la nostra assoluta priorità resta quella di proteggere la salute dei cittadini.
Oltre ai 400 milioni stanziati dal governo per l’emergenza alimentare si parla di un Reddito di emergenza per tutti coloro che non hanno accesso ad altri tipi di sostegno. Ci state lavorando?
I 400 milioni sono una prima, pronta risposta per consentire ai Comuni di fronteggiare l’emergenza alimentare. A ciò va affiancato un “salvagente”, un Reddito di emergenza o di garanzia per l’appunto, sul quale sto lavorando proprio in queste ore al Ministero del Lavoro. Una misura rivolta a tutti i cittadini che oggi sono privi di qualsiasi forma di sostegno al reddito. In altri termini, vogliamo raggiungere chi non è coperto dagli ammortizzatori sociali e dagli indennizzi previsti dal decreto Cura Italia o dal Reddito di cittadinanza, di cui già beneficiano 2,5 milioni di persone e che — come ricordato da molti sindaci e dal presidente ANCI, Decaro — rappresenta un importante aiuto, soprattutto in questo difficile momento. Per il Rem servono circa 3 miliardi di euro e procedure semplificate, in modo da poterlo erogare in brevissimo tempo.
Rimane il fatto che passata la crisi molti più cittadini saranno in difficoltà . Come pensate di prepararvi?
È un rischio che c’è, perchè chi già oggi ha redditi medio-bassi potrebbe ritrovarsi in una condizione di ulteriore difficoltà con un conseguente impatto negativo sulla nostra economia. Proprio per questo, dobbiamo giocare d’anticipo. Per quanto mi riguarda, proporrò un allargamento del Reddito di cittadinanza prevedendo un “alleggerimento” dei requisiti d’accesso, in particolare quelli che riguardano il patrimonio immobiliare, fino al termine dell’emergenza economica. Il motto “nessuno deve rimanere indietro” per me valeva ieri e vale oggi, ancora di più visto il momento che stiamo attraversando e il prossimo futuro.
Nel frattempo però molte fabbriche che hanno chiuso non riapriranno più. Si può pensare a un paese che va avanti solo di sussidi
Il sostegno economico dei cittadini sarà fondamentale al termine di questa emergenza, anche per evitare un crollo verticale dei consumi. A ciò bisognerà certamente affiancare un maxi-piano di sostegno alle imprese, utilizzando tutte le risorse che saranno necessarie. In questo senso, mi auguro che l’Europa dimostri il senso della sua esistenza. Non è più tempo di tentennamenti. La sospensione del patto di stabilità da parte della Commissione europea e il programma di acquisto di titoli da 750 miliardi disposto della Bce vanno nella giusta direzione, ma non bastano. È arrivato il momento di emettere eurobond. Questa non è un’emergenza che riguarda solo l’Italia ma tutta l’Ue: non c’è nulla da aspettare.
Oltre a commercianti e precari in evidente crisi, il dibattito verte su un possibile sdoganamento del lavoro in nero.
Il lavoro nero è una piaga che va combattuta, oggi e sempre. Impossibile quindi pensare ad un suo “sdoganamento”. Ma in questo momento eccezionale serve un sostegno per tutti, un intervento di carattere sociale ed economico che vada a proteggere i cittadini e le famiglie che non ce la fanno a mettere in tavola un pasto caldo per sè e per i propri figli.
Il ministro Provenzano parla di un rischio della tenuta democratica del paese. I segnali di tensione si accumulano, lei che percezione ha della crisi sociale che sembra incombere? Quanto può andare avanti l’Italia in queste condizioni?
Sarebbe stato sicuramente un rischio se non avessimo introdotto, un anno fa, il Reddito di cittadinanza. In molti lo hanno criticato ed attaccato, ma oggi questo strumento si sta rivelando fondamentale per aiutare milioni di famiglie. Inoltre, col Rem daremo un’ulteriore mano a chi è in difficoltà . Ricordo poi che con le misure inserite nel “Cura Italia” garantiamo la cassa integrazione a tutti, anche alle aziende con un solo dipendente o ai lavoratori appena assunti. Solo per il capitolo lavoro del decreto sono stati stanziati circa 11 miliardi: una cifra senza precedenti.
C’è un gran tumulto nel mondo delle partite Iva, che lamentano di aver ricevuto l’elemosina. Parliamo di un tessuto di milioni di persone che rischiano di rimanere a reddito zero per mesi, pur avendo in molti casi alle spalle una storia lavorativa solida. Il bonus verrà prolungato e rafforzato nel mese di aprile e maggio? O saranno costretti a chiedere il Reddito di emergenza?
Per le partite Iva non ci sarà bisogno di chiedere il Reddito di emergenza. Quello di marzo, com’è stato chiarito più volte, è solo un primo intervento. Il bonus verrà certamente prolungato anche ad aprile e stiamo lavorando per far sì che l’importo sia più alto degli attuali 600 euro.
E i professionisti che accedono al fondo di ultima istanza?
Sabato ho firmato il decreto che fissa le modalità di attribuzione dell’indennità . Professionisti e autonomi potranno presentare la domanda agli enti di previdenza ai quali sono iscritti. Ne beneficeranno ingegneri, architetti, commercialisti, avvocati, giornalisti, solo per fare alcuni esempi. Anche in questo caso l’obiettivo è di prevedere, per queste categorie di lavoratori, una somma superiore per il mese di aprile.
Gli altri bonus previsti per i lavoratori verranno anch’essi prorogati ad aprile? E cosa succederà nei mesi successivi? Si continuerà su questa strada o verranno utilizzati altri canali?
Rifinanzieremo e prorogheremo tutto ciò che sarà necessario, in modo tale che nessun lavoratore resti senza sostegno al reddito. Stiamo già lavorando anche su questo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ORIENTATO AD AUMENTARE L’ASSEGNO PER GLI AUTONOMI… LA VERIFICA E’ IL MINIMO DA FARE, PER MOLTI LA CIFRA SAREBBE SUPERIORE A QUELLO CHE DICHIARANO AL FISCO
Duecento euro in più – 800 invece di 600 – per 5 milioni e mezzo di lavoratori autonomi, partite Iva, collaboratori, stagionali, artigiani, commercianti, agricoli, lavoratori dello spettacolo.
Il governo, nel decreto di aprile, pensa di aumentare l’indennità per le persone ferme a causa del coronavirus.
Ma con ogni probabilità la misura sarà sottoposta alle condizioni. Probabile che i beneficiari dovranno dimostrare di essere entrati in crisi con l’esplosione dell’epidemia.
Intervistato a “Circo Massimo” (Radio Capital), il vice ministro Antonio Misiani spiega che “è ragionevole chiedere e ottenere l’aumento della cifra. Lavoriamo per farlo, sia pure introducento un minimo di selettività in più”.
Misiani parla anche di un decreto “consistente” in termini di risorse che muoverà altri fondi rispetto ai 25 miliardi già stanziato a marzo: “Faremo tutto quello che è necessario”.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IN PRATICA I VERTICI DELLE FORZE DELL’ORDINE NON RISPONDONO PENALMENTE DEI RISCHI A CUI E’ ESPOSTO IL PERSONALE PER IL CORONAVIRUS
“Siamo sconcertati dalla votazione favorevole della IV Commissione Difesa del Senato durante i lavori di conversione del D.L. n.18 2020 DDL1766 nella seduta del 26 marzo 2020 all’emendamento che di fatto (…) concederebbe uno scudo penale ai vertici delle amministrazioni del Comparto Sicurezza e Difesa in esito ai rischi a cui e’ esposto il personale nella gestione dell’emergenza sanitaria in corso” .
Lo afferma in una nota Giuseppe Tiani segretario generale del Siap.
Si intenderebbe pertanto escludere la responsabilita’ del datore di lavoro e del preposto figure espressamente previste dal D. Lgs. 81 08 e dal codice civile a meno che non venga dimostrata a loro carico la colpa grave o il dolo.
E’ una ipotesi che al di la’ dei profili di incostituzionalita’ – continua Tiani – vede la nostra netta e forte contrarieta’ tale scelta vanificherebbe tutte le conquiste volte alla tutela dei lavoratori nell’affrontare sul posto di lavoro i rischi connessi alla propria funzione ed in tal senso ci conforta apprendere che a quanto risulta il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha espresso parere contrario a tale misura. In un momento storicamente eccezionale la cui tragicita’ sara’ pienamente compresa solo tra qualche tempo le donne e gli uomini in divisa sono chiamati ad assolvere un compito decisivo nella lotta al contenimento ed alla sconfitta del virus e non puo’ minimamente essere presa in considerazione alcuna ipotesi di deresponsabilizzazione preventiva e retroattiva. – conclude Tiani – Gli effetti nefasti in termini di ammalati e deceduti sono gia’ tangibili anche tra il personale in uniforme e cio’ di cui la politica tutta si deve preoccupare e’ di fornirgli al piu’ presto tutti gli strumenti ed i dispositivi di protezione individuale necessari a combattere questa guerra piuttosto che pensare a scudi penali ingiustificati e immorali .
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
A PIACENZA, UNO DEI DISTRETTI DELLA LOGISTICA PIU’ GRANDI D’ITALIA, SI CONTINUA A PRODURRE PER I GRANDI MARCHI DELL’ABBIGLIAMENTO
Il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri dello scorso 22 marzo ha disposto la sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali ritenute “non essenziali”, al fine di contenere ulteriormente il diffondersi della pandemia di Coronavirus.
Eppure, nonostante la decisione del governo (piuttosto criticata dai sindacati per via delle tante deroghe previste), anche molte aziende che non appartengono sicuramente alla filiera dei beni essenziali stanno continuando a lavorare.
Lo ha potuto documentare anche Fanpage.it, che ha fatto un viaggio a Piacenza, in uno dei distretti della logistica più grandi d’Italia.
Nel polo logistico continua la produzione e la distribuzione di prodotti non essenziali come l’abbigliamento.
Tanti i lavoratori intercettati dai giornalisti di Fanpage.it, che lavorano per marchi come Moncler, H&M, Dolce&Gabbana, Zalando.
“Facciamo il lavoro che abbiamo sempre fatto, anche se siamo un quarto del personale: giubbotti, scarpe, magliette — dice una dipendente che lavora per conto di Moncler -. Di sicuro non siamo un bene essenziale. Più che arrabbiati è una questione d’ansia, nel senso che uno viene al lavoro, abbiamo le mascherine i guanti, ma dato che molti in questo momento sono fermi perchè non sono ritenute attività essenziali, riteniamo che anche la nostra non lo sia”.
E proprio sui dispositivi protettivi la lavoratrice ammette: “Fai conto che le mascherine sono arrivate ieri (giovedì, ndr), prima solo chi le aveva se le metteva, gli altri facevano come sempre”.
Non tutti sembrano scontenti di lavorare: “Siamo tranquilli”, dice un’altra lavoratrice, sempre per conto di Moncler, che spiega quali sono le mansioni svolte in questo periodo in cui gran parte d’Italia è ferma per l’emergenza Coronavirus: “Controllo qualità , riparazioni, un po’ di tutto. Dobbiamo lavorare — dice la donna — siamo in pochi ma va bene così”.
Anche all’interno degli uffici il lavoro continua, anche se con meno impiegati: “Ci sono comunque delle spedizioni, delle consegne in transito. I beni sono in lavorazione nonostante non siano beni primari — ammette una delle impiegate che continua a recarsi al lavoro — però da quello che sono ci sono delle deroghe per poter lavorare, per il momento”.
(da Fanpage)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
SPESA E MEDICINE A DOMICILIO: I GIOCATORI DELL’AMATORI NAPOLI DIVENTANO VOLONTARI PER SANT’EGIDIO
Maglietta e pantaloncini restano nell’armadietto, così come il paradenti. La dotazione è un’altra: mascherine, guanti e in tasca il gel igienizzante.
I giganti del rugby si trasformano in angeli al servizio di chi sta peggio a causa dell’emergenza coronavirus.
Spesa o medicinali, ci pensano (e non sono i soli) i giocatori dell’Amatori Napoli che hanno aderito all’appello della Comunità di Sant’Egidio. Si “gioca” in coppia e non c’è bisogno di placcare proprio nessuno.
Il campo non è più quello del Villaggio dell’ex base Nato di Bagnoli, ma è esteso a tutta la città . ” Sono stato ai Quartieri Spagnoli e poi nella zona di Piazza Dante”, spiega Luciano Dublino. Il suo ruolo è quello di estremo- ala ma adesso si sta dedicando agli anziani: “Io e il mio compagno Paolo Gisolfo ci siamo recati in auto a Montesanto, presso la sede della Comunità . Abbiamo ricevuto la lista della spesa e dei medicinali”.
Fila al supermercato e in farmacia, poi la consegna a domicilio. ” Qualcuno ci ha calato il famoso ” panaro”, ad altri abbiamo lasciato tutto fuori la porta proprio per evitare contatti. Il rispetto delle norme di sicurezza è fondamentale ” .
Ma il ringraziamento vale tanto pure a distanza. ” Gli anziani – continua Luciano Dublino – sorridevano con gli occhi e hanno riscaldato il nostro cuore. Ci siamo sentiti dei nipoti, pronti ad aiutare i nonni che non possono uscire di casa perchè rappresentano la categoria più a rischio per il Covid 19″.
In tasca ovviamente c’è l’autocertificazione e l’attestato della Comunità di Sant’Egidio: ” Il momento più bello – aggiunge Luciano Dublino – è stato quello dei controlli. Una pattuglia dei carabinieri ci ha fermato e noi abbiamo mostrato i nostri documenti e l’attestato del servizio per cui eravamo impegnati. Ci hanno fatto i complimenti per quanto stavamo facendo. Mi sono sentito orgoglioso”.
La turnazione all’Amatori Napoli è appena cominciata: la squadra è all’opera ormai da diversi giorni. Pasta, casse d’acqua e non solo.
“La prossima settimana è già tutta piena – spiega il capitano dell’Amatori Alessandro Quarto – nessuno si è tirato indietro sul nostro gruppo Whatsapp. L’adesione è stata massiccia. Siamo pronti ad aiutare, vogliamo restituire qualcosa alla comunità . Per noi è quasi un dovere. Arriviamo a Montesanto con auto o moto, poi ci spostiamo a seconda delle esigenze”, spiega Alessandro Quarto che abita a Fuorigrotta, a due passi dal San Paolo. “Ma la mia passione è la palla ovale ” . E l’impegno sociale. Che è quasi un dovere per l’Amatori Napoli. L’iniziativa è stata voluta fortemente dal direttore sportivo, Gabriele Gargano.
“Mi sono messo in contatto con l’assessora regionale alle Politiche sociali, Lucia Fortini, e ci siamo offerti di partecipare a qualche iniziativa. Non sapevamo neanche che percorso seguire e lei ci ha indirizzato presso la Comunità di Sant’Egidio. Non ci fermeremo qui, parteciperemo anche a un altro progetto, organizzato dal Banco alimentare. Distribuiremo pacchi di viveri di prima necessità agli indigenti. I nostri 30 giocatori hanno tutti accettato, quindi restiamo a disposizione per gli altri”.
Il rugby è stato rinviato direttamente alla prossima stagione agonistica. La Federazione ha preso la sua decisione e non ci saranno recuperi nei mesi estivi.
“Così possiamo assestarci spiega il presidente Diego D’Orazio – e prepararci per il nuovo campionato di serie A. Ovviamente resteremo vicino ai nostri ragazzi nel corso di questi mesi”. E alle persone meno fortunate. All’Amatori Napoli la solidarietà è la parola d’ordine.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELLE MISURE DI CONTRASTO E COSA NON HA FUNZIONATO… CI VOLEVA PIU’ CORAGGIO NEL CHIUDERE SUBITO
Harvard Business Review, rivista della celebre università americana, ha pubblicato un’analisi su quello che si può imparare dagli errori nel contrasto al coronavirus in Italia. Secondo gli studiosi statunitensi, “alcuni aspetti della crisi – a partire dalla tempistica – possono essere indiscutibilmente attribuiti a pura e semplice sfortuna, e che non potevano essere sotto il pieno controllo dei legislatori”.
In generale, “dobbiamo accettare che una comprensione inequivocabile di quali soluzioni funzioneranno probabilmente richiederà diversi mesi, se non anni”.
Però, “altri aspetti sono emblematici dei profondi ostacoli che i leader in Italia hanno affrontato nel riconoscere l’entità della minaccia rappresentata da Covid-19, nell’organizzare una risposta sistematica ad essa e nell’apprendere dai primi successi nell’implementazione (ndr. nelle ex rosse zone) – e, soprattutto, dai fallimenti”
Ciò che è avvenuto in Italia, secondo lo studio, è “un fallimento sistematico nell’assorbire e agire rapidamente ed efficacemente in base alle informazioni esistenti, piuttosto che una completa mancanza di conoscenza di ciò che dovrebbe essere fatto”, anche perchè c’era già stato l’esempio della Cina.
Uno dei primi fattori ad aver condizionato le scelte sarebbe un meccanismo psicologico noto come pregiudizio di conferma (confirmation bias): è il processo mentale attraverso il quale ricerchiamo delle informazioni che confermino il nostro modo di vedere le cose, scartando quelle che sono in contrasto alla nostra visione.
“Le minacce come le pandemie” – si legge nello studio – “che si evolvono in modo non lineare (per esempio, iniziano in piccolo ma si intensificano in modo esponenziale), sono particolarmente difficili da affrontare a causa delle difficoltà nell’interpretare in modo rapido ciò che sta accadendo in tempo reale”.
Il momento ideale per l’azione è all’inizio, “quando la minaccia sembra essere piccola” o inesistente. “Se l’intervento funziona davvero, sembrerà a posteriori come se le azioni forti fossero una reazione eccessiva. Questo è un gioco che molti politici non vogliono giocare”.
Nei primi momenti, in Italia, c’è stata una fase nel quale la minaccia non è stata percepita come tale: “Alla fine di febbraio, alcuni importanti politici italiani si sono impegnati in strette di mano pubbliche a Milano per sottolineare che l’economia non dovrebbe andare nel panico e fermarsi a causa del coronavirus”.
Lo studio fa riferimento soprattutto alla campagna #MilanoNonSiFerma e al caso di Nicola Zingaretti, che organizzò un aperitivo nel centro di Milano per poi risultare, una decina di giorni dopo, positivo al covid-19.
“L’incapacità sistematica di ascoltare gli esperti evidenzia i problemi che i leader – e le persone in generale – hanno avuto nel capire come comportarsi in situazioni terribili e altamente complesse in cui non esiste una soluzione facile”
Quindi, una prima lezione è riconoscere i propri pregiudizi di conferma.
Una seconda lezione è quella di evitare provvedimenti graduali. La scelta di adottare vari decreti che hanno intensificato la rigidità delle misure in modo progrssivo non è stata efficace per due motivi: “Innanzitutto, non era coerente con la rapida diffusione esponenziale del virus. I ‘fatti sul campo’ in qualsiasi momento non erano semplicemente predittivi di quale sarebbe stata la situazione pochi giorni dopo. Di conseguenza, l’Italia ha seguito la diffusione del virus piuttosto che prevenirlo. In secondo luogo, l’approccio selettivo potrebbe aver involontariamente facilitato la diffusione del virus”, scatenando, ad esempio, la reazione smodata delle persone, come nel caso degli esodi verso il Sud Italia. Un altro problema è quello di non aver avuto strumenti efficaci di contact-tracing.
Secondo la rivista, anche la frammentazione del nostro sistema sanitario, gestito dalle Regioni in modo diverso, ha contributo ad aggravare la situazione. Emblematici sono gli approcci diversi portati avanti da Veneto e Lombardia: “Mentre la Lombardia e il Veneto hanno applicato approcci simili al distanziamento sociale e alle chiusure al dettaglio, il Veneto ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus. La strategia veneta era articolata su più fronti”.
La meticolosità del metodo veneto – dove sono stati fatti più test, il tracciamento dei contatti è stato più rapido e preciso, gli operatori sanitari sono stati riforniti presto delle protezioni necessarie – ha portato a più risultati della strategia della Regione governata da Fontana.
Una nota particolarmente dolente riguarda la raccolta dati, di fondamentale importanza per capire la portata dei problemi e per scegliere le misure di contrasto.
All’inizio, “Il problema era la scarsità di dati. Più specificamente, è stato suggerito che la diffusione diffusa e inosservata del virus nei primi mesi del 2020 potrebbe essere stata facilitata dalla mancanza di capacità epidemiologiche e dall’incapacità di registrare sistematicamente picchi di infezione anomala in alcuni ospedali. Più recentemente, il problema sembra essere di precisione dei dati”, come sottolineato in Italia anche da vari giornalisti ed esperti.
Lo studio si conclude con le due grandi lezioni che andrebbero apprese dal caso italiano: “Innanzitutto, non c’è tempo da perdere, vista la progressione esponenziale del virus”. Le misure vanno implementate il prima possibile, ed in modo organico, senza essere graduali. La seconda lezione è che “un approccio efficace nei confronti di Covid-19 richiederà una mobilitazione simile alla guerra – sia in termini di entità delle risorse umane ed economiche che dovranno essere impiegate, nonchè l’estremo coordinamento che sarà richiesto in diverse parti” della sanità , sia pubblica che privata.
Quindi, “se i politici vogliono vincere la guerra contro Covid-19, è essenziale adottarne uno che sia sistemico, dia la priorità all’apprendimento ed è in grado di ridimensionare rapidamente gli esperimenti di successo e identificare e chiudere quelli inefficaci”
(da “Huffingtonpost”)
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