Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
I CANDIDATI DI MACRON SONO AL SECONDO O TERZO POSTO, MALE I SOVRANISTI… AFFLUENZA SOTTO IL 50%
In una tornata elettorale segnata dal crollo dell’affluenza alle urne a causa del coronavirus, gli exit poll sembrano decretare una sconfitta per i candidati di En Marche e di Marine Le Pen e una vittoria a sopresa degli ecologisti
A Parigi la sindaca socialista uscente, Anne Hidalgo, è nettamente in testa alle elezioni municipali, con il 30,2% dei voti secondo un primo exit poll dell’istituto Ipsos per France Television.
Seguono, staccate, Rachida Dati (Republicains) con il 22% e Agnès Buzyn (La Republique en Marche) con il 17,6%.
A Lione è dato in testa il candidato ecologista Doucet (EELV, 29%) con un netto distacco rispetto a Blanc (LR, 16,7%) e a Cucherat (LREM, 14,9).
Il candidato di En Marche è dato sconfitto anche dagli exit poll su Strasburgo dove il verde Barseghian (EELV) sarebbe intesta col 26,7%) dei voti davanti a Fontanel (LREM, 20,6%).
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
“NON E’ UNA NOVITA’, E’ IL MODO IN CUI GLI ITALIANI SI SONO COMPORTATI ANCHE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE”
L’immagine è contraddittoria: “La caratteristica degli italiani che sta venendo fuori, di fronte all’emergenza del coronavirus, è la tendenza a muoversi in ordine sparso. Anche in questa tremenda situazione, vediamo eroi e cialtroni. C’è chi rischia la pelle e chi ne approfitta. Ci sono quelli che si rimboccano le maniche e quelli che fanno i furbi. Non è una novità . È il modo in cui gli italiani si sono comportati anche nella Seconda guerra mondiale”.
All’ultima prova della storia a cui siamo chiamati a rispondere, dice Alessandro Barbero — ordinario di storia medievale presso l’Università del Piemonte Orientale e apprezzatissimo narratore storico (le sue lezioni online hanno centinaia di migliaia di visualizzazioni) — noi italiani di oggi assomigliamo parecchio agli italiani di ieri.
“Se pensiamo a come si sono comportati nell’ultimo conflitto mondiale i tedeschi, i russi, gli americani, gli inglesi, ci rendiamo conto che, con certe ovvie eccezioni individuali, si sono mossi in maniera abbastanza compatta, tutti più o meno uniti nello stesso spirito di popolo. L’Italia, invece, ha oscillato tra gli estremi. Abbiamo avuto, a tutti i livelli, esempi di incredibile impreparazione, mascalzonaggine e incapacità , che ci hanno portato a disastri militari per i quali ancora oggi tutto il mondo ci ride dietro. E abbiamo combattuto battaglie gloriose. Il popolo contadino ha dato prova di una forza di resistenza straordinaria. Così come gli abitanti delle città bombardate. Il paese ha tenuto duro in circostanze spaventose. Distrutto, ridotto alla fame, spaventato. È riuscito a rialzarsi appena la guerra è finita. Nonostante l’incompetenza, la dabbenaggine, che pure ci sono state. Ecco: la situazione, oggi, non mi sembra così diversa”.
A chi pensa?
Penso ai medici e agli infermieri che lavorano giorno e notte negli ospedali. E penso a chi è fuggito da Codogno per andare a sciare. Penso a tutti quelli che rimangono chiusi in casa per proteggere se stessi e gli altri. E penso ai politici che, anche in questa situazione, cercano di ricavare un tornaconto elettorale, spingendosi fino al limite dello sciacallaggio. Penso a chi ha messo i propri interessi in secondo piano, e penso agli imprenditori che guardano il crollo dei propri ricavi e devono tenere a bada — non sempre riuscendoci — la tentazione di dire: “Ma andiamo avanti lo stesso, se continuiamo così sarà un disastro per le nostre casse”.
Lo storico può scorgere nelle epidemie qualcosa di positivo?
All’inizio del Quattrocento, dopo la peste violentissima del 1348 e altre crisi epidemiche successive, il mondo si accorse che aveva risolto un problema. Nei primi anni del Trecento, c’erano troppe bocche da sfamare. Alla fine del secolo, era rimasta metà della popolazione. C’era cibo per tutti. Gli operai potevano rivendicare salari più alti. Cominciavano a esserci soldi anche per il superfluo. E si misero in moto parecchie innovazioni benefiche per l’economia. Certo, questo è quello che osserva uno storico, studiando un arco di tempo lungo. Mentre i contemporanei — nessuno dei quali aveva potuto vivere tutto il secolo — sperimentavano un altro sentimento: il dolore per le vite perdute.
Può succedere qualcosa del genere anche oggi?
La peste del Trecento cambiò radicalmente gli equilibri demografici mondiali. Il coronavirus non sembra possa fare niente del genere.
C’è chi dice, molto cinicamente: “Uccide i vecchi”.
Fin dagli anni cinquanta, gli scrittori di fantascienza americani hanno cominciato a immaginare un futuro nel quale l’uomo sarebbe stato messo di fronte a una scelta crudele: uccidere gli anziani, troppo costosi da mantenere, per salvare il sistema. In effetti, questo è l’incubo della nostra società . E non mi sorprende che, in questa circostanza, il tema emerga. L’astratta ragione economica, di fronte alla decimazione dei vecchi, potrebbe dire: “Bene, d’ora in poi, avremo un costo in meno da sostenere”. La ragione umana, invece, non può prendere in considerazione una conclusione del genere. Poichè dice: “Non è l’uomo che deve essere messo al servizio dell’economia, ma l’economia al servizio dell’uomo”. È il conflitto che avevano colto, nei loro romanzi avveniristici, quegli scrittori.
Non possiamo ricavarne niente di buono, quindi?
Una conseguenza positiva ci potrebbe essere. Nella mentalità collettiva, nel modo in cui concepiamo le cose. Siamo abituati a pensare che il futuro sia prevedibile. Addirittura, gli economisti e i politici credono di poter misurare fino ai decimali quanto crescerà il nostro Prodotto interno lordo. Poi, un virus sconosciuto si diffonde in Cina e tutto ciò su cui basavamo le nostre scelte politiche, economiche e sociali, frana nel giro di qualche settimana.
Perchè la prima cosa a cui abbiamo pensato è la “peste”?
Peste è il nome che gli uomini hanno sempre dato alle malattie contagiose e mortali. Nella storia, si chiama ‘peste di Atene’ la malattia che colpì la città greca nel Quattrocento avanti Cristo. ‘Peste antonina’ l’epidemia che contagiò Roma nel Secondo secolo dopo Cristo, uccidendo anche l’imperatore Marco Aurelio. Sebbene, gli studiosi sappiano che non si trattava propriamente di peste. Probabilmente, era vaiolo. Soprattutto, nel secondo caso.
Oggi lo sanno tutti che non si tratta di peste.
Eppure, la parola “peste” è una parola che mobilita il nostro immaginario. Non si riferisce tanto al batterio che causa la malattia, ma alla paura della malattia indomabile che si è trasmessa fino a noi, seguendo una catena lunghissima di memorie. Manzoni racconta che, quando la peste arriva a Milano, le autorità hanno paura di nominarla. Dicono: “Febbre, contagio”. Oggi succede la stessa cosa con la parola virus. Improvvisamente, un termine che fino a poche settimane fa usavamo in maniera disinvolta, ci terrorizza. L’altro giorno, alla radio, una conduttrice parlava di una fotografia. Diceva: “L’avete vista tutti, è diventata…”. Stava per dire “virale” e si è bloccata. Era diventata una parola spaventosa.
In questi giorni, usiamo un’altra parola familiare per uno storico: la guerra. “Siamo in guerra”, si dice. È vero?
La guerra puoi scatenarla, oppure subirla: in ogni caso, hai di fronte una controparte. Con un virus, non puoi firmare un trattato di pace. Detto questo, un elemento in comune con la guerra c’è.
Qual è?
È che le autorità possono dire alla gente: “Mi dispiace, ma in questo momento i tuoi interessi personali passano in secondo piano. Ora, devi obbedire e sacrificarti in nome di qualcosa di più grande di te”.
Ma il sacrificio richiesto è paragonabile?
Ciò che lo stato italiano ci sta chiedendo ci appare enorme. Non possiamo più uscire a fare una passeggiata, nè andare a cena fuori, e nemmeno raggiungere un amico a casa. Per un popolo che ha vissuto gli ultimi settant’anni della sua vita in pace, è una rinuncia gigantesca. Tuttavia è poco, se paragonato a ciò che lo stato chiese al popolo italiano nel 1915. Quando chiamò tutti i maschi che potevano combattere e disse a ciascuno di loro: “Ora tu lasci la tua casa, tua moglie, i tuoi figli, il tuo lavoro e te ne vai a fare una vita da cane in trincea, dove puoi crepare dilaniato dalle ferite di una bomba, oppure — se ti va bene — farai una vita orrenda per anni. E lo fai. Perchè questo è un ordine”.
Vuol dire che stiamo esagerando?
Voglio dire che il parallelo con la guerra regge fino a un certo punto. Chiederci di rimanere a casa per sopravvivere è diverso dal ricevere l’ordine di andare al macello.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
VIAGGIO TRA I SENZATETTO DI MILANO… LE MENSE DEI POVERI SONO CHIUSE E ALLA FINE ARRIVA UN MEDICO VOLONTARIO
Quello che non vedete, dalle vostre tiepide case, è che in via Agnello c’è una distrib uzione di pasta al pesto, bella calda.
Sono passate le undici di sera, nel suo centro centro Milano è vuota e immobile. C’è un grande silenzio che stupisce, lampeggiano i lampi blu dei radiomobili dei carabinieri che fanno i blocchi in San Babila, e davanti al Fatenebenefratelli, e al parco Sempione, “lei chi è? Dove va, ha il permesso?”.
Nessuno può girare, una sola l’eccezione, i senzatetto di Milano, che poi sono di tutta Italia, intrappolati nella città ferma, i centri diurni chiusi per via del possibile contagio, nessuno che fa l’elemosina perchè nessuno può uscire di casa, e senza soldi non si può comperare niente, e dove, poi. I negozi sono sbarrati, bisognerebbe spingersi verso i super e gli iper, ma chi ha la forza. Le mense dei poveri, chiuse, distribuiscono panini, roba fredda.
Questi di Fondazione Arca però hanno i contenitori termici e perciò si mangia la pasta in piedi, davanti alle ricche vetrine del Quadrilatero illuminate per nessuno, nel mezzo di una città che sembra morta, non fa neanche freddo e si pensa che in fondo va tutto bene, i milanesi sono scomparsi ma questi arrivano puntuali, primo frutta e dolce, e si cena.
“E ci dicono: state in casa. Ma quale casa, io l’ho persa tre anni fa”. Il signor Pacifico ha oltre 70 anni, e così dimostra, potrebbero però essere sessanta. “La strada consuma”, dice Patrizia Sironi, responsabile acquisti della fondazione, una delle più forti in città . Ma ieri ha penato a comprare gel disinfettanti e mascherine per operatori e clochard, “ne ho trovate 11.700, dureranno poco”.
Lo staff gira la città di notte, qualcuno dovrà pure assistere i poverissimi che non sanno dove stare. Giovedì mattina un ucraino è stato denunciato da una volante perchè camminava in via Crescenzago – “all’altezza del palo 27”, da verbale – e “non ottemperava alle disposizioni del decreto”. Poi la questura ha fatto sapere che la denuncia non avrà seguito, per lui e gli altri.
Cinque delle sette ronde notturne hanno dovuto sospendere le attività , restano Arca e Croce rossa, che in un angolo di San Babila controlla chi dorme già sotto i portici. Mancano i presidi, cioè le mascherine, magari qualche volontario si è ammalato.
Resta l’urgenza di monitorare la salute di chi vive per strada. Un domani, può succedere a chiunque di non saper più dove stare, se non davanti alla libreria Hoepli di via Ulrico Hoepli, editore.
Chi vive così è sempre un ex qualcosa, impiegato, commesso, operaio, studente, uno si chiama Francesco Maria e faceva l’elettricista a Monte Mario, Roma. Per vie traverse finiti qui, magari con un cane che amano più di se stessi, e con cui dividono il piatto di pasta e il plum cake.
Allora, il signor Pacifico racconta di essere stato una persona perbene, e tuttora lo è, nei suoi pantaloni di velluto beige e il giaccone blu, poi “il mio fratellastro mi ha portato via la casa popolare”, sembra il “Taxi nero” di Jannacci, che pure visitava gratis i clochard nell’ambulatorio di via Sismondi.
Una volta Pacifico era dipendente del Comune di Milano, faceva i cartelli stradali nell’officina di via Trentacoste, all’Ortica. “Non ho fame, giuro”, ma accetta il dolce incellofanato. Dopo, prenderà anche la pasta. Il problema non è solo di Milano, di senzatetto in Italia ce ne sono 50 mila
Qui 3 mila, d’inverno calano tutti in città perchè si sta meglio, ci sono 2.700 posti letto, le docce e le mense. Molti vestiti e scarpe, cose che dismettiamo appena passate di moda. Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Arca, è uno che gira scalzo in sandali, senza essere un francescano. Saluta tutti, anche un tipetto in giacca e cravatta rossa che lo abbraccia e dice spavaldo “io non ho bisogno di niente!”, poi prende un sacco a pelo e se ne va cantando lungo corso Matteotti.
Mouhib Abdie, responsabile dell’unità di strada, apre il cellulare e fa l’elenco: “Fondazione Fratelli di San Francesco, solo sacchetti di cibo freddo. Suore di via Ponzio, lo stesso. Mensa della carità di via Canova, Opera Pane Sant’Antonio, Opera San Francesco in Tricolore…”, la grande macchina della carità milanese si è quasi fermata.
In piazza San Carlo, una decina di persone dormono al riparo del pronao. Una tendina, un letto, un’altra tendina Quechua, dentro c’è un ragazzo con un bel cane nero, festante.
“Io sono Marco, sono un medico, ti piacerebbe se ti misurassi la febbre? “. Il dottor Montella ha 27 anni, in tuta, cuffia, occhialini, maschera FFP3, un termometro digitale in mano, misura la temperatura a Mihai, quasi coetaneo rumeno, uno che se la cavava lavorando come cameriere a Livigno, ma finita la stagione scorsa, è sceso a Milano. “35 e 5, stai bene”, dice l’infermiera Clelia Paratore, una di Lecco.
Lui: “Sì, però ho fame”. La notte dorme “da Cracco. Non dentro, naturalmente, ma davanti al ristorante. Dopo le 23 mi fanno stare. È un posto di lusso, posso dire a tutti che io, Mihai, dormo in Galleria”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
E’ L’UNITA’ DI CRISI DELLA FARNESINA CHE PROVVEDE AI RIMPATRI IN SICUREZZA, NON LE CIALTRONATE
Susanna Ceccardi, l’europarlamentare leghista già famosa per alcune perle indimenticabili quali “Giusto che i medici calabresi guadagnino meno. La Calabria non è un’eccellenza italiana, non facciamo i buonisti”, si appresta a vincere il premio per la più bieca propaganda in piena emergenza Coronavirus.
La leghista prediletta di Salvini e candidata alle regionali in Toscana, ha infatti eroicamente deciso che andrà a prendere 50 italiani andati in vacanza alle Canarie (più precisamente a Fuerteventura) e ora in attesa di tornare a casa, bloccati a Barcellona.
Ed è così che la Ceccardi ha un’idea: noleggio un pullman e vado a riprenderli io. Dopo che sulla sua pagina Facebook, giorni fa, aveva scritto a tutti di restare a casa con tanto di foto ad effetto.
Naturalmente ce lo fa sapere con video promozionali e post auto-celebrativi manco si apprestasse ad attraversare le solfatare bendata e a piedi nudi.
Comunica, anche, che in Spagna caricherà 50 italiani scelti non si sa bene in base a quale criterio selettivo (forse sceglierà solo chi ha almeno un selfie con Salvini nella gallery del telefono) e che l’autobus ha 56 posti.
Quindi, da Pisa, fa salire tre autisti, una dottoressa, un accompagnatore e carica pure l’ex ministro leghista Centinaio, quello che per chi lo avesse dimenticato aveva la casella email “terronsgohome”.
Una roba da gita delle medie all’Italia in miniatura, solo che questa leggendaria cialtrona, nonostante il decreto nazionale, sta facendo una cosa molto seria. Molto diseducativa. Molto pericolosa.
Primo perchè per andare a riprendere gli italiani all’estero esiste la Farnesina e i suddetti italiani non sono sotto bombardamento aereo, ma a Barcellona.
Secondo perchè quell’autobus attraversa tre paesi, e sono tutti paesi in piena emergenza, soprattutto la Spagna (ricordiamo che oggi in Spagna è stata vietata la circolazione, ci sono 6.000 contagiati, 200 morti e il paese si appresta a diventare uno dei principali focolai d’Europa).
Terzo perchè riempire un autobus da 56 posti vuol dire non rispettare alcuna distanza di sicurezza, vuol dire che più i passeggeri potrebbero aver contratto il virus ed essere asintomatici, contagiando gli altri, vuol dire fregarsene di ogni norma, decreto, indicazione di buonsenso.
E se è vero, come racconta, che la Ceccardi ha avuto tutte le autorizzazioni dal Governo e dalla protezione civile, questo è ancora più grave. Perchè mai una politica in cerca di facile propaganda dovrebbe poter fare ciò che gli altri cittadini non possono fare?
Abbiamo deriso, bacchettato, perculato quelli che assaltavano i treni per il sud, sanzioniamo quelli che vanno a farsi una corsetta sotto casa, cazziamo quelli che vanno al mare e poi l’eurodeputata può scorrazzare in pullman per l’Italia e l’Europa per portare a casa gli italiani che se ne stavano alle Canarie mentre qui si riempivano gli ospedali?
Se ne deduce che chiunque di noi possa essere autorizzato, dunque, ad andare a prendere i figli in Olanda, le zie a Parigi, i cugini in Polonia, i fratelli in Marocco.
Io domani noleggio un camioncino Bofrost e vado a recuperare due amici in Danimarca. E poi faccio come la Ceccardi, mi fotografo pure davanti al mezzo, con le mani in tasca e l’aria di chi ucciderà il Coronavirus a mani nude.
Chissà se alla fine, tra l’altro, saremo costretti ad andare a riprendere anche lei.
(da Tpi)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
UN VIDEO INVIATO DA UN ORFANOTROFIO IN MALAWI SOSTENUTO DA ALCUNI CITTADINI DI BERGAMO
La situazione nel Nord Italia è molto stressante, specie a Bergamo, la cui provincia è diventata a tutti gli effetti il focolaio del paese. È quindi molto rinfrancante il video che questa mattina ha condiviso sui social il sindaco Gori: “C’è un orfanotrofio in Malawi, che alcuni amici di Bergamo aiutano da trent’anni. Da lì ci arriva questo messaggio: Forza Italia, tutti insieme ce la faremo!”.
Sono bambini, bambini lontanissimi che probabilmente nella vita hanno conosciuto quasi solamente la miseria. Eppure, in questo momento di difficoltà per il nostro paese, ci mandano questo abbraccio virtuale.
Forse ignorando che qui, proprio in questa Italia, c’era gente che li avrebbe voluti fuori, che voleva ‘difendere la razza bianca’, che diceva ‘aiutiamoli a casa loro’.
C’era, perchè dopo il Coronavirus, se qualcosa di buono ne deve venire fuori da tutta questa storia, faremo bene a ricordarci di gesti come questo, per non cadere più negli errori che ci avevano trasformato in un paese da incubo anche prima dell’epidemia.
(da Globalist)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
TUTTI I CHECK-IN IN PARTENZA DA FIUMICINO SPOSTATI AL TERMINAL 3
La compagnia Alitalia, in coordinamento con l’Unità di Crisi della Farnesina, sta predisponendo una serie di voli speciali per permettere a migliaia di connazionali di rientrare in Italia, e continuerà anche ad operare verso alcuni Paesi che hanno disposto provvedimenti restrittivi ai cittadini italiani e a passeggeri che hanno soggiornato in Europa.
In piena emergenza per il coronavirus questo è il piano della compagnia aerea. Dopo la decisione di quasi tutte le compagnie aeree internazionali di sospendere i collegamenti con il nostro Paese, l’azienda continuerà a garantire, laddove non vi siano restrizioni al traffico aereo, collegamenti internazionali con Bruxelles, Berlino, Francoforte, Monaco, Parigi, Marsiglia, Nizza, Cairo e Algeri, mentre sulla rete di lungo raggio la compagnia aerea continuerà a volare verso San Paolo, Rio de Janeiro, Johannesburg, Nuova Delhi, Tokyo e — fino al 17 marzo — Miami e Buenos Aires.
In Italia proseguiranno i servizi aerei con almeno un volo andata e ritorno quotidiano da e per la maggior parte degli aeroporti rimasti operativi a seguito del decreto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Decollerà nella serata di lunedì 16 marzo da Roma Fiumicino un volo speciale per le Maldive che, per rispettare il divieto di ingresso nel Paese agli italiani, farà un preventivo scalo tecnico al Cairo per cambiare l’equipaggio.
Per l’Egitto sono infatti già partiti piloti e assistenti di volo che, prendendo servizio dal Cairo, potranno garantire, nel rispetto delle normative aeronautiche sui limiti di impiego, un volo di andata e ritorno per Malè senza scendere dall’aereo.
Il Boeing 777 arriverà alle Maldive, senza passeggeri, alle ore 13:15 locali del 17 marzo e il rientro a Fiumicino è previsto alla mezzanotte del 18 marzo. Nella medesima prospettiva di assicurare un servizio pubblico essenziale, Alitalia continuerà ad operare da Roma Fiumicino due voli al giorno su New York e su Londra per permettere ai cittadini italiani e stranieri, tra i quali molti studenti, di rientrare nei rispettivi luoghi di residenza.
Alitalia ha ricordato infine che dal 16 marzo, dopo la chiusura temporanea dello scalo di Milano Linate, sposterà le proprie attività operative al Terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa dal quale garantirà il collegamento con Bari, Cagliari, Catania, Lamezia Terme, Napoli, Palermo e Roma Fiumicino. Dal 17 marzo, inoltre, tutte le operazioni di check-in per i voli nazionali, internazionali e intercontinentali della compagnia in partenza da Roma Fiumicino saranno effettuate al Terminal 3, a seguito della chiusura del Terminal 1.
(da Fanpage)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
DIMENTICA CHE NOI ABBIAMO FATTO LO STESSO E LO ABBIAMO FATTO PRIMA DEGLI ALTRI
Le buone notizie bisogna sempre darle per prime, è quindi è una buona notizia che siano in arrivo dalla Cina 150 ventilatori polmonari e cinque milioni di mascherine.
Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in una diretta Facebook, rispondendo al “grido d’aiuto” che arriva da medici, infermieri e operatori sanitari. “Dalla Cina arrivano 150 ventilatori polmonari, che si vanno ad aggiungere ai 40 arrivati l’altra sera — fa sapere il titolare della Farnesina — A questi si aggiungono cinque milioni di mascherine Ffp2, abbiamo firmato un contratto in queste ore, e due nuove equipe mediche, che stanno partendo in queste ore dalla Cina, per venire ad aiutare i nostri medici dal punto di vista delle informazioni pratiche che hanno usato per sconfiggere il virus a Wuhan”.
E intanto, fa sapere sempre Di Maio, Francia e Germania hanno sbloccato l’export di mascherine e tute medicali. Che era bloccato dal 6 marzo.
Detto questo, però, il ministro degli Esteri si è lanciato in una polemica contro gli stati cattivi che bloccano il materiale sanitario destinato all’Italia che in bocca a lui stona un pochino visto che abbiamo fatto lo stesso e lo abbiamo fatto prima degli altri.
Vediamo le date. Sostiene Di Maio: “Oggi ho sentito il ministro brasiliano, quello tedesco, della Corea del Sud e australiano in una conferenza per coordinarci”. Ci sono “alcune mascherine acquistate da ditte italiane bloccate alla frontiera in altri Paesi”, e in tutto ciò “alcuni Paesi stanno provando a requisire le mascherine per usarle”. Ma al di là del fatto che “lo scalo doganale è solo un’esigenza del commercio internazionale”, continua, “ho detto ai ministri che ho sentito che denunceremo, in tutte le sedi internazionali competenti, i Paesi che si macchieranno della pratica ignobile di requisire mascherine destinate a Paesi in difficoltà ” quale è l’Italia oggi. “È inaccettabile che materiale medico destinato all’italia venga fermato per strada”, stigmatizza Di Maio.
C’è però un problema dietro questo ragionamento.
Ovvero che, come scriveva l’agenzia di stampa ANSA il 4 marzo, l’Italia “già da qualche giorno” aveva bloccato l’esportazione di mascherine prodotte sul territorio nazionale per evitare la carenza sul territorio (un obiettivo evidentemente fallito, come raccontano le cronache). Gli altri paesi hanno fatto (la Francia e la Germania, che per fortuna ci hanno ripensato — probabilmente dopo averne fatto incetta) e stanno facendo (altri, che Di Maio non ha citato) quello che è più logico in una situazione del genere: prepararsi ad assistere un numero molto alto di propri cittadini. Esattamente quello che l’Italia forse avrebbe avuto il tempo di fare se si fosse mossa una settimana prima.
Detto questo, Ursula Von der Leyen si è schierata con l’Italia rivolgendosi proprio a francesi e tedeschi, e questo sembra un segnale piuttosto diretto. Anche perchè quello che ha detto è vero: prima o poi anche gli altri Stati avranno bisogno di solidarietà e aiuto, come oggi l’Italia.
Detto questo, rimane che la bella notizia è un’altra: ovvero che “dalla Cina arrivano i primi 150 ventilatori polmonari oltre ai 40 arrivati l’altra sera”. Non basta, “a questi si aggiungono 5 milioni di di mascherine del tipo Ffp2, abbiamo firmato il contratto in queste ore, e due nuove equipe mediche che stanno partendo dalla Cina”, come ha detto Di Maio.
Le buone notizie sono queste, le polemiche lasciamole da parte.
(da NextQuotidiano”)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE DEGLI ITALIANI CHE VIVONO L’EMERGENZA CORONAVIRUS NEGLI ALTRI PAESI
Vivere l’emergenza coronavirus è difficile, lo stiamo sperimentando quotidianamente. Viverla da lontano, quando si è residenti in un altro Paese del mondo lo è ancor di più. Perchè si percepisce ancora di più la lontananza dagli affetti e perchè si vive in un contesto che, a livello di misure di sicurezza, sembra essere ancora lontano rispetto ai metodi impiegati in Italia. A ciò si aggiunge la sottovalutazione del problema in molti Paesi del mondo, delle loro autorità e dei loro stessi cittadini.
Va da sè che gli italiani all’estero si sentano ancora più soli e con una maggiore responsabilità sulle spalle: quella di far capire a chi vive insieme a loro la quotidianità che il coronavirus è un’emergenza seria, da non prendere sottogamba. Per questo Insieme in Rete, associazione che promuove l’esercizio consapevole della cittadinanza digitale, ha lanciato l’iniziativa ‘Insieme nel mondo’: una raccolta di video-testimonianze di tanti italiani che vivono e lavorano all’estero e che stanno affrontando l’emergenza coronavirus in un contesto che, spesso, non combacia con la percezione del rischio che c’è in Italia.
Tutti gli italiani all’estero possono inviare la propria testimonianza all’indirizzo insiemeinrete2018@gmail.com e possono così contribuire ad allargare questa community virtuale che ha l’obiettivo di raccontare come gli italiani vivono l’emergenza nelle varie parti del mondo e di fornire indicazioni utili a tutte quelle persone che affrontano l’emergenza coronavirus lontano dal loro Paese. Video che arrivano da Barcellona, da Bruxelles, da Londra, da Edimburgo, da Toronto, da San Francisco, dalla Polonia, da Berlino, da Atene, da Lisbona, da Coimbra, da Blekinge (Svezia): alcuni esempi per dare l’idea dell’ampiezza di questa rete che si sta formando.
«L’Italia è stata tra i primi a dover fronteggiare il coronavirus, una pandemia che viviamo tutti con enorme preoccupazione, in special modo per le zone più colpite dall’emergenza sanitaria — ha sottolineato Flavio Alivernini di Insieme in Rete -. Gli italiani in questi giorni si stanno attenendo a regole molto stringenti, stanno restituendo al mondo una rappresentazione plastica di quanto la nostra comunità nazionale sia determinata e compatta nel contenere il nemico. All’estero vivono sei milioni di italiani e noi vogliamo fare un piccolo sforzo per cercare di portare la loro voce quanto più possibile vicina alle loro famiglie. Ci faremo raccontare le loro storie, le loro paure, le loro speranze. “Insieme in rete” metterà a disposizione i propri canali di comunicazione per lanciare i tantissimi video che stiamo già ricevendo da ogni parte del mondo».
Barcellona
E le prime testimonianze stanno già arrivando. Steven Forti (apri qui per la sua testimonianza video), docente e attivista che vive a Barcellona, ad esempio, ha parlato subito dopo che il presidente spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato il lockdown in tutto il Paese, con misure molto simili a quelle che sono entrate in vigore in Italia: «La comunità italiana in Spagna è molto numerosa — ha spiegato Steven Forti -. Gli italiani hanno cercato di far capire sin da subito alla popolazione spagnola che non si poteva continuare a vivere come se nulla fosse successo. E in questo hanno avuto un ruolo molto importante: le sardine di Barcellona, ad esempio, hanno fatto un comunicato invitando tutti a stare in casa. Stupisce questa presa di coscienza così lenta: fino a qualche giorno fa a Valencia si stava celebrando una delle feste più attese dell’anno, le Fallas. Ma dal fine settimana del 15 marzo, la situazione in Spagna è praticamente identica a quella italiana».
Bruxelles
Il funzionario europeo da Bruxelles Francesco Cerasani (apri qui per la sua testimonianza video), invece, traccia un quadro totalmente diverso della situazione: «Nonostante i belgi siano abituati a misure di lockdown, soprattutto in caso di minacce terroristiche, sto vedendo ancora troppa gente per strade. Mi sembra che non si sia compresa la gravità della situazione in questo momento: ho visto persone che continuano a frequentare i parchi, anche con i bambini. Inoltre, nell’ultimo giorno prima della chiusura dei ristoranti e dei locali, c’erano ancora tanti ragazzi che sono andati a cena fuori e si sono assembrati in diversi punti della città . Le comunità italiane a Bruxelles che sono tantissime hanno insistito moltissimo sui social network per chiedere delle misure più stringenti alle autorità locali. Il mio pensiero va soprattutto a quegli italiani che sono qui da meno tempo e che vivono una situazione ancora non ben definita dal punto di vista del contatto con il sistema sanitario belga: in questa situazione è molto importante avere un contatto con il proprio medico curante ed è bene che questa situazione venga prevista soprattutto da quei giovani che vivono a Bruxelles da meno tempo, magari con il supporto delle nostre autorità ».
Londra
La giornalista e scrittrice Cristina Marconi (apri qui per la testimonianza video), invece, vive il paradosso di una Gran Bretagna intimorita dalle parole di Boris Johnson, ma allo stesso tempo ancora stoica in una resistenza all’emergenza. «È vero che i supermercati si stanno svuotando, che mancano alcuni generi come la cartaigienica, ma è anche vero che nel week-end si sono viste scene di pub ancora pieni. La strategia di Boris Johnson ha generato panico, ma dopo che la stampa e gli esperti hanno criticato il premier, il governo ha lasciato trapelare quelle che saranno le prossime misure di contenimento del virus. Si parla di una quarantena di quattro mesi per gli anziani al di sopra dei 70 anni e l’adozione di misure speciali per le persone che violano la quarantena. L’opinione pubblica non è ancora del tutto consapevole di quanto sia pericoloso questo virus. Ma si sta ragionando sulla lunga prospettiva: sia per quanto riguarda l’economia nazionale, sia per quanto riguarda eventuali tensioni sociali»
Toronto
Il ricercatore e analista di economia politica a Toronto Nicola Melloni (apri qui per la testimonianza video) racconta di una comunità italiana in Canada in apprensione per quanto sta accadendo: «La situazione del coronavirus in Canada è in continua evoluzione. Le risposte del governo sono state abbastanza timide, lasciando al settore privato se e come continuare le attività lavorative. Le scuole resteranno chiuse approfittando anche di un periodo di vacanza previsto ogni anno in questo periodo. I segnali della politica sono contrastanti: le autorità locali dell’Ontario, ad esempio, hanno invitato i cittadini a uscire e ad approfittare di questo periodo di break. Ovviamente, sappiamo tutti in Italia quanto questi consigli contraddittori rispetto alla situazione attuale possano essere dannosi. Nelle prossime ore si potrà confermare lo stop alle attività commerciali. Il Canada risente della vicinanza con gli Stati Uniti, che è una bomba a orologeria: il confine è molto lungo ed è difficile da controllare nel caso dello scoppio di una epidemia. Come italiani in Canada, si risente molto dell’effetto dei collegamenti con il nostro Paese che saranno completamente tagliati. Non riusciremo a tornare in Italia, se ce ne fosse la necessità e questo per noi è motivo di grande apprensione»
San Francisco
Isabella Weiss, da Valbranca — San Francisco, racconta così l’emergenza coronavirus negli Stati Uniti (apri qui per la testimonianza video), una delle grandi potenze accusata di aver sottovalutato la portata della malattia: «Finalmente Trump ha ammesso che c’è un problema, mentre lo aveva negato fino a qualche giorno fa. Dopo la dichiarazione d’emergenza, siamo molto preoccupati: sono stati fatti pochissimi test e non sappiamo quale sia la situazione dei positivi. In California siamo 40 milioni di persone e i test ricevuti sono stati meno di 8000. Non siamo tranquilli per niente, nonostante il fatto di aver dato più poteri agli stati e di aver dato libertà agli ospedali di assumere più personale».
Polonia
Paola Floris è una studentessa Erasmus che sta completando i suoi studi all’università Niccolò Copernico di Torun, il capoluogo della Pomerania, in Polonia (apri qui per la testimonianza video). «Anche qui sono stati sospesi i voli con l’estero, mentre sono consentiti gli spostamenti all’interno del Paese. Sono state sospese anche le attività commerciali non essenziali nel Paese. Pochi studenti Erasmus hanno deciso di lasciare la Polonia: non possiamo fare altro che rispettare le norme e uscire soltanto per fare la spesa».
Berlino
Anche Federico Quadrelli (apri qui per la testimonianza video) è uno studente che vive a Berlino e che sta sperimentando le difficoltà del contagio, con le università chiuse e il forte senso civico che lo porta a restare in Germania. «La percezione è molto diversa dall’Italia: le persone, anche in virtù di alcuni dati rassicuranti, continuano a vivere una vita normale, andando nei locali e a fare la spesa. Le scuole sono chiuse a macchia di leopardo, perchè l’istruzione — essendo la Germania una Repubblica Federale — è una materia di competenza dei vari Land tedeschi. Tuttavia, non è vero che non si sta muovendo nulla, dal momento che le università sono chiuse e sono state sospese anche le sessioni di laurea e, inoltre, sono state sospese tutte le manifestazioni pubbliche. Qui si vive abbastanza tranquillamente, io resto qui in Germania, resto a casa e ne approfitto per leggere i tanti libri che ho acquistato»
Atene
Michele Sergi, invece, pubblica un video da Atene (apri qui per il contenuto integrale): «Riguardo al coronavirus, la situazione è ancora abbastanza tranquilla. Non ci sono numeri rilevanti, ma il governo greco aveva già preso alcune misure precauzionali, come la chiusura delle scuole e la cancellazione degli eventi di massa, compresi gli eventi sportivi. I ristoranti sono chiusi da questo week-end, tranne quegli esercizi che preparano pasti d’asporto. Per il resto, non ci sono grosse limitazioni: non è vietato uscire, non è vietato circolare per le strade. Le passeggiate con amici sono permesse. Il governo ha comunque diramato un’allerta e ha invitato la popolazione a restare a casa il più possibile, incentivando le aziende a operare in regime di smartworking».
Edimburgo
C’è anche chi, come Sara Badilini, è arrivata a Edimburgo nel corso dell’emergenza coronavirus, quando questa non era ancora nella sua fase acuta (apri qui per il video completo). Non ha avuto alcun problema a lavorare per il suo ente di volontariato in questi giorni, mentre all’aeroporto le hanno chiesto solamente la provenienza: l’unico ostacolo sarebbe stato rappresentato da un suo arrivo da una delle zone rosse. «Quattro giorni fa mi hanno chiesto di mettermi in isolamento per due giorni, cioè quando sarebbero scaduti i 14 giorni dal mio arrivo nel Regno Unito dall’Italia. Ma io, nei 12 giorni precedenti ho girato in maniera indisturbata per la Scozia, avendo contatti stretti con persone che viaggiano sui mezzi pubblici, con le persone al lavoro, con il mio coinquilino. L’emergenza non è affatto avvertita come in Italia»
Coimbra
Andrea Zaniboni è in Erasmus a Coimbra: «La situazione in Portogallo è molto diversa dall’Italia, qui c’è un solo caso. La gente è ancora molto tranquilla, ma da questo fine settimana anche i portoghesi hanno iniziato a capire che l’unico modo per bloccare la diffusione del virus è quello di restare a casa. Le scuole e le università sono chiuse, ma non sono ancora state prese misure drastiche. Anche io, da oggi, ho deciso di non uscire più, anche sulla base di quello che è successo in Italia e di quello che mi raccontano i miei familiari e i miei amici».
Lisbona
Marcello Sacco da Lisbona offre un ulteriore punto di vista sul Portogallo nel corso di questa emergenza coronavirus (apri qui per il video completo): «La sensazione è che anche qui si sia sottovalutata l’emergenza. Non è mancato chi, anche tra voci autorevoli, ha dato la colpa a quanto successo in Italia alla scarsa organizzazione nel nostro Paese. Tuttavia, occorre ricordare che uno dei casi più famosi di coronavirus al mondo, quello dello scrittore cileno Luis Sepulveda, è partito proprio dal Portogallo. Qui l’autore aveva partecipato a un festival letterario. Dopo questa prima fase di negazione, tuttavia, il Paese ha dovuto fare i conti con il virus, che è arrivato anche qui. Ora, si stanno prendendo misure più serie, legate soprattutto alla chiusura di scuole e università ».
Svezia
Il coronavirus è emergenza anche in Svezia, dove abbiamo raccolto la testimonianza di Paola Canu-Kullman, che ha inviato il suo video da Blekinge: «La situazione è abbastanza tranquilla: il governo cerca di mantenere la calma o almeno di dare una parvenza di calma. La comunicazione avviene spesso, in modo tale da tenere la nazione informata e da dimostrare che il governo è forte. Le misure precazionali sono quelle consigliate dall’Oms e che vengono seguite anche in tutta Europa. In Svezia sono stati cancellati tutti i concerti e i grandi eventi, così come gli assembramenti di persone. La maggior parte delle popolazione in Svezia è concentrata nelle grandi città ed è proprio qui che si concentra il contagio».
Andalusia
Le parole di Claudio Pizzo, Jaà«n, Andalusia (apri qui per il video completo): «Siamo preoccupati, speriamo che finisca tutto al più presto. Non siamo ancora ai livelli dell’Italia, ma le previsioni sono che ci arriveremo anche qui. Confido nel buonsenso delle persone, che resteranno a casa. Tuttavia, il lavoro continua: e questa la vedo come una contraddizione. Mi auguro che la situazione migliori anche da voi in Italia. In Andalusia fa molto caldo, potrebbe essere questo il motivo di un contagio diverso del virus».
(da Giornaletttismo)
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Marzo 15th, 2020 Riccardo Fucile
SU 10 CONTAGIATI 7-8 SONO UOMINI, 2-3 SONO DONNE
L’istituto Mario Negri di Bergamo è in prima linea per la lotta al coronavirus. Che ha mostrato diverse anomalie nel suo contagio e che, adesso, potrebbe far emergere una ulteriore caratteristica della sua dimensione.
Secondo Guido Bertolini, il responsabile del laboratorio di epidemiologia dell’istituto bergamasco, il coronavirus colpisce più gli uomini che le donne. Le sue parole, raccolte dal quotidiano La Repubblica, aprono un nuovo scenario sul contagio.
«Non abbiamo dati della qualità che vorremmo — ha affermato — ma le statistiche dopo tre settimane iniziano ad essere chiare: su dieci contagiati in modo grave, 7 sono uomini e 3 sono donne. Negli anziani arriviamo al rapporto 8 a 2. La direzione per studiare questo virus passa anche dall’assetto ormonale dei due sessi»
Secondo l’immunologo del Mario Negri, la chiave potrebbe essere proprio negli ormoni. La produzione di estrogeni da parte delle donne, infatti, è solita creare resistenze naturali contro molte patologie, come ad esempio quelle cardiovascolari. Tuttavia, si tratta soltanto di una ipotesi, anche perchè — con la menopausa — la produzione di estrogeni cala e, nonostante ciò, nei soggetti più anziani il rapporto del contagio tra uomo e donna (in base ai dati statistici sin qui analizzati) è addirittura maggiore. Dunque, potrebbero esserci anche altre spiegazioni.
Resta il fatto che le affermazioni dell’immunologo Guido Bertolini si basano — come ammesso dallo stesso scienziato — su dati che non hanno standard elevatissimi di qualità . Tra questi, possiamo citare anche il fatto che non è ancora chiara, dal punto di vista dei dati ufficiali, l’esatta quantità dei contagiati in Italia e nel mondo, comprendendo in questa fase anche gli asintomatici che, al momento, non sono sottoposti a tamponi.
In ogni caso, l’immunologo Bertolini ricorda: «Non significa assolutamente che le donne devono stare meno attente degli uomini: tutti devono rispettare rigorosamente le prescrizioni del governo».
(da agenzie)
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