Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL FINANCIAL TIMES: “TUTTE LE RISORSE DEVONO ESSERE MOBILITATE PER PROTEGGERE IMPRESE E LAVORATORI, COMPRESE QUELLE DEL SETTORE FINANZIARIO”
“Una tragedia di proporzioni bibliche”: è in questi termini che l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi parla della pandemia da corovirus, in un intervento sul Financial Times.
E non solo per la perdita di vite umane, ma anche per le conseguenze economiche. I governi, scrive Draghi, devono mobilitare tutte le risorse disponibili, non importa se il costo è l’aumento del debito pubblico perchè l’alternativa, “una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi fiscale, sarebbe ancora più dannosa per l’economia” e in futuro per la credibilità del governo.
Agire, agire subito, senza remore per i costi del debito anche perchè “visti i livelli attuali e probabilmente anche futuri dei tassi d’interesse” rimarranno bassi.
“Livelli più elevati di debito pubblico diventeranno una caratteristica economica e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato”, ribadisce Draghi.
L’ex presidente della Bce è particolarmente rimpianto in questi giorni per la risolutezza con cui seppe affrontare la crisi dell’Unione Monetaria Europea, per il suo “whatever it takes” pronunciato in occasione di un discorso il 26 luglio del 2012 alla Global Investment Conference di Londra, che diede inizio alla politica del quantitative easing, salvaguardando l’euro, affermazione risoluta ben diversa dall’atteggiamento dell’attuale presidente della Bce, Christine Lagarde.
Draghi elogia le azioni intraprese finora dai governi europei, definendole “coraggiose e necessarie”, e sicuramente degne di sostegno. Ma non bastano: il costo ecomomico sarà enorme, e inevitabile.
“Una profonda recessione è inevitabile”. L’importante è che non diventi la tomba dell’Europa: “è il compito specifico dello Stato – scrive Draghi – utilizzare le proprie risorse per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock dei quali il settore privato non è responsabile, e che non può assorbire”. E’ sempre successo, e non a caso Draghi cita la Prima Guerra Mondiale.
“In primo luogo bisogna evitare che le persone perdano il loro lavoro”, raccomanda Draghi, altrimenti “emergeremo dalla crisi con un livello di occupazione stabilmente più basso”, e le famiglie faranno fatica a ritrovare un loro equilibrio finanziario.
Per questo non è sufficiente rinviare il pagamento delle tasse: bisogna immettere subito liquidità nel sistema, e le banche devono fare la loro parte, “prestando danaro a costo zero alle imprese” per aiutarle a salvare i posti di lavoro.
Subito: “i costi dell’esitazione potrebbero essere irreversibili”. La memoria delle sofferenze degli anni 20 “dovrebbe metterci in guardia”.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
LA BELLA SANITA’ LEGHISTA FINISCE SUL WALL STREET JOURNAL
Era il 22 febbraio quando Angelo Giupponi, direttore dell’Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) di Bergamo, inviava un’email all’assessorato al Welfare della regione Lombardia, diretto da Giulio Gallera.
Il medico sottolineava “l’urgente necessità di allestire degli ospedali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid-19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedaliere”.
Solo il giorno prima, Mattia, 38enne di Codogno, era risultato positivo al tampone per il Coronavirus, e tutti gli sforzi della Regione erano concentrati sulla creazione della “zona rossa” in provincia di Lodi.
Le vittime del virus in Italia erano ancora contenute (il 21 febbraio la prima vittima confermata del Coronavirus, Adriano Trevisan, morto in Veneto). Quel 22 febbraio, la risposta dei dirigenti regionali all’allarme lanciato da Giupponi, come raccontato dal medico stesso al Wall Street Journal, che lo ha riportato in un articolo del 17 marzo, è stata: “Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate”.
Le paure espresse dal dottor Giupponi appena un mese fa, oggi sono diventate realtà , come denunciato da TPI in questa inchiesta, che documenta come Bergamo è diventato il “lazzaretto” d’Italia, e come conferma la lettera scritta da 13 medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, e pubblicata oggi sul New England Journal of Medicine Catalyst Innovations in Care Delivery.
“A Bergamo l’epidemia è fuori controllo”, scrivono i medici. “Il nostro ospedale è altamente contaminato e siamo già oltre il punto del collasso: 300 letti su 900 sono occupati da malati di Covid-19. Più del 70 per cento dei posti in terapia intensiva sono riservati ai malati gravi di Covid-19 che abbiano una ragionevole speranza di sopravvivere”.
“La situazione è così grave che siamo costretti a operare al di sotto dei nostri standard di cura”, prosegue la lettera. “I tempi di attesa per un posto in terapia intensiva durano ore. I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono in solitudine senza neanche il conforto di appropriate cure palliative. Siamo in quarantena dal 10 marzo”.
“Stiamo imparando che gli ospedali possono essere i principali veicoli di trasmissione del Covid-19”, continua la lettera di denuncia dei medici, “poichè si riempiono in maniera sempre più veloce di malati infetti che contagiano i pazienti non infetti. Lo stesso sistema sanitario regionale contribuisce alla diffusione del contagio, poichè le ambulanze e il personale sanitario diventano rapidamente dei vettori. I sanitari sono portatori asintomatici della malattia o ammalati senza alcuna sorveglianza. Alcuni rischiano di morire, compresi i più giovani, aumentando ulteriormente le difficoltà e lo stress di quelli in prima linea”.
(da TPI)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
CHIUSI I CALL CENTER “IN USCITA” E NON IN ENTRATA E ALCUNI SETTORI CHIMICI E METALMECCANICI… NELL’ELENCO PERO’ NE ENTRANO ALTRE
La corsa contro il tempo contro la minaccia degli scioperi sembra per il momento fermarsi, con il raggiungimento dell’intesa dei sindacati confederati con il governo, in questa fase di emergenza Coronavirus.
È questo l’esito del confronto conclusivo tra i ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
È stato rivisto l’elenco delle attività produttive considerate essenziali e indispensabili, e che quindi restano aperte e in funzione, dopo che la prima lista era stata considerata troppo ampia dalle rappresentanze sindacali e dopo che erano stati annunciati per oggi, 25 marzo, scioperi in vari settori (e alcuni si sono effettivamente svolti).
Nella lista aggiornata dei codici Ateco — che identificano le attività che resteranno aperte mentre il paese resta in lock down per combattere il contagio — restano le attività dei call center, che pure avevano fatto discutere, ma «con l’esclusione delle attività in uscita (outbound) e dei servizi telefonici a carattere ricreativo». I call center in entrata «possono operare in relazione a contratti stipulati con soggetti che svolgono attività economiche che restano aperte».
Saltano, rispetto alla precedente lista: la fabbricazione di spago, corde, funi e reti. Resta la fabbricazione di carta, ad esclusione dei codici 17.23 e 17.24. Resta la fabbricazione di prodotti chimici ma vengono esclusi di codici: 20.12 — 20.51.01 — 20.51.02 — 20.59.50 — 20.59.60. Esce dalle attività che resteranno aperte la ‘fabbricazione di articoli in gomma’. Resta la fabbricazione di articoli in materie plastiche ma vengono esclusi i codici 22.29.01 e 22.29.02. Escono: fabbricazione di macchine per l’agricoltura e la silvicoltura, fabbricazione di macchine per l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco (incluse parti e accessori), commercio all’ingrosso di altri mezzi ed attrezzature da trasporto.
Non erano previsti, e ora lo sono, i codici per la fabbricazione di vetro cavo, di radiatori e contenitori in metallo per caldaie per il riscaldamento centrale e di imballaggi leggeri in metallo.
Inserite anche le attività di fabbricazione di macchine automatiche per la dosatura, la confezione e per l’imballaggio, di fabbricazione di macchine per l’industria della carta e del cartone (incluse parti e accessori), e le attività delle agenzie di lavoro temporaneo (interinale) — in relazione a quanto resta in piedi.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
NESSUN INDULTO, SOLO APPLICAZIONE DELLA NORMA VOLUTA NEL 2010 DAL CENTRODESTRA … DECIDE IL GIUDICE CASO PER CASO, POSSIBILITA’ APPLICAZIONE BRACCIALETTO ELETTRONICO
Fino ad oggi sono solo duecento i detenuti che hanno ottenuto di poter trascorrere a casa la parte restante della pena, ma potrebbero diventare 6mila. Almeno secondo le cifre diffuse dal ministro Alfonso Bonafede durante il question time sulle misure di prevenzione del contagio da coronavirus all’interno delle carceri.
È una previsione fatta al netto di quelle che saranno poi le valutazioni della magistratura di sorveglianza, ma che supera di molto le prime stime, che ritenevano che il dl avrebbe avuto effetto al più su 3mila detenuti.
L’effettiva possibilità delle persone che hanno una pena residua di al massimo 18 mesi e non hanno commesso reati particolarmente gravi, però, per usare le parole del Guardasigilli, “dipenderà da diversi requisiti e variabili (come per esempio, il domicilio idoneo) che dovranno essere accertati dalla magistratura”.
In Italia, ad oggi, sono 15 i detenuti risultati positivi al Coronavirus, ha spiegato il Guardasigilli. Le carceri preoccupano perchè il contagio potrebbe essere accentuato dagli spazi ridotti. E dal sovraffollamento.
Anche in Francia – dove il problema della presenza di detenuti maggiore alla capienza delle strutture, come spiega Antigone in un report dell’estate 2019, è tutt’altro che sottovalutabile – si punta a far uscire dalle carceri 6mila detenuti, consentendo però la detenzione domiciliare a chi ha ancora da scontare meno di due anni, e non un anno e mezzo come in Italia
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
PRIMA VOLEVA TESTARE TUTTI, POI NO…. HA DETTO DI AVER ACQUISTATO UN MILIONE DI KIT PER TEST RAPIDI MA CHI LI HA VISTI?…FINORA LA CAMPANIA E’ LA REGIONE CHE HA FATTO MENO TEST IN RAPPORTO ALLA POPOLAZIONE
Ha fatto il giro del mondo il video in cui il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca minaccia di mandare l’esercito a prender quelli che quelli che passeggiano per strada e di intervenire col lanciafiamme per bloccare le feste di laurea in violazione delle regionali e governative sull’epidemia di Covid-19.
Il Presidente sceriffo chiede (e ottiene) l’Esercito nelle strade, vuole il pugno di ferro contro i trasgressori ma che sta facendo per fermare la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 in Campania?
Il 17 marzo De Luca (che è anche assessore alla Sanità ) annunciava l’acquisto da parte della Regione di un milione di “antibody determination kit”, i cosiddetti test rapidi, con lo scopo di “avviare uno screening di massa”.
Su Twitter il Presidente spiegava che i kit sarebbero stati utilizzati sui pazienti sintomatici e avrebbero consentito di avere «un risultato non certo ma altamente probabile».
Il giorno dopo De Luca precisava che «il monitoraggio di massa attraverso i “test rapidi” e i kit che sta acquistando in questi giorni la Regione Campania, saranno riservati nella prima fase al personale sanitario». Medici, infermieri e operatori sanitari sono in prima linea e svolgono un servizio essenziale quindi ha senso assicurarsi che il contagio non si estenda a chi lavora negli ospedali e si prende cura dei pazienti.
Tutto corretto, se non fosse che De Luca poi aggiunge che la Regione valuterà «di volta in volta le aree sociali più esposte a contatti, e mirando soprattutto ai soggetti asintomatici» spiegando che la miglior prevenzione «al di là degli screening» è la responsabilità di ogni cittadino e «il rispetto rigoroso delle normative in vigore».
Questo ragionamento però non solo è il contrario di quanto annunciato il giorno prima (quando la Regione voleva testare i sintomatici) ma anche dell’idea di screening di massa.
La Campania è una regione che ha poco più di cinque milioni di abitanti, proprio come il Veneto (che però si trova in una situazione differente dal punto di vista della diffusione dell’epidemia) e il Lazio che invece ha un numero di ricoverati e di positivi al Covid-19 comparabile alla regione governata da De Luca.
In Campania i positivi sono 992, in Lazio 1.545. I ricoverati con sintomi sono 345 in Campania e 747 in Lazio mentre i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 181 in Campania e 94 in Lazio.
Le due regioni quindi sono più o meno simili per numero di abitanti e per numero di casi totali (1.728 e 1.110). L’unica differenza sostanziale riguarda — guarda caso — il numero di tamponi eseguiti.
La regione governata da Nicola Zingaretti ha eseguito 18.371 tamponi, quella di De Luca — che ne ha acquistati un milione (ma non si sa se sono ancora arrivati) — ne ha eseguiti meno di un terzo: appena 6.297.
Ancora più preoccupante è il dato che in rapporto alla popolazione residente la Campania è la regione che ha eseguito meno tamponi in assoluto.
Si può minacciare quanto si vuole la popolazione, si possono fare tutti i video in cui si annunciano pene esemplari oppure mandare l’esercito per strada ma alla fine della fiera quello che serve — a detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità — è fare test.
Mentre De Luca diceva che la cosa più importante è il rispetto delle regole il direttore dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus spiegava che il metodo più efficace per prevenire la diffusione dell’infezione da coronavirus e salvare vite umane è interrompere la catena di trasmissione. E per farlo bisogna eseguire i test e isolare le persone infette.
A meno che De Luca non ritenga che l’Esercito possa sparare al coronavirus o che col lanciafiamme si possa bruciare SARS-CoV-2 sarebbe bene che iniziasse a fare quello che serve per fermare la diffusione del virus in Campania.
C’è ovviamente un problema: mentre se si tratta di mandare l’esercito in strada si può fare la voce grossa con lo Stato centrale per quanto riguarda i tamponi ogni regione deve fare la sua parte.
Altre regioni — con tutti gli errori del caso — stanno dimostrando che è possibile aumentare il numero di test eseguiti. In Campania il Presidente preferisce giocare con il lanciafiamme.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
600 EURO A ROMA, 150 EURO A PISTOIA, 70 A NAPOLI: LA GIUNGLA DELLE ANALISI PRIVATE
D’accordo, sappiamo tutti come va il mondo. C’è sempre una corsia preferenziale per i furbi, per gli amici di, per i ricchi, per i privilegiati.
Quando però quella corsia preferenziale è la corsia di un ospedale, la faccenda diventa più fastidiosa. Se poi succede durante una pandemia, in un momento storico in cui siamo tutti più fragili e in balia degli eventi, quei privilegi diventano ancora più urticanti. Parliamo della faccenda tamponi per il Coronavirus.
Sappiamo ormai bene che vengono fatti solo a chi manifesta sintomi evidenti, che avere febbre, congiuntivite, dolore alle ossa, inappetenza, perdita di gusto e olfatto, emicrania, tosse, nausea, mal di gola, fiato corto e un congiunto o un figlio o un collega positivo non basta. No, bisogna stare malissimo. In quel caso, di norma, fanno il tampone.
C’è anche chi non arriva in tempo all’ospedale, se è molto sfortunato. Il tutto è abbastanza inaccettabile, ma lo diventa ancora di più se si prova a capire come mai esiste una corsia riservata ai privilegiati.
Come mai, se sei un giornalista noto o un calciatore o un “figlio di” o semplicemente qualcuno con le conoscenze giuste, il tampone te lo fanno. In strutture private, direte voi. E invece non solo, ma anche in quelle pubbliche.
Ho provato ad indagare per qualche giorno e vado a raccontare il delirio sconcertante in cui sono finita.
Nicola Porro è il primo personaggio noto a fare il tampone (risultato poi ahimè positivo). Come raccontato da lui stesso, non era in condizioni gravi. Febbre e tosse. A lui il tampone è stato fatto in una struttura pubblica, lo Spallanzani. E in quella stessa struttura pubblica lo hanno fatto molti giornalisti e dipendenti di tv e carta stampata. Non era necessario arrivare lì ansimando. Poi, pare, lo Spallanzani ha visto che la categoria se ne approfittava un po’ troppo e ha chiuso la corsia preferenziale
Bruno Vespa, entrato in contatto con Nicola Zingaretti, ha fatto istantaneamente il tampone, anche se asintomatico. “Sono negativo”, ha detto. La ragione per cui un conduttore, per giunta asintomatico, goda del privilegio è un mistero. Qualcuno replica: “Lavora a contatto con molte persone, lavora per la tv pubblica”.
Se il parametro è questo, dovrebbero farlo anche a commesse, conducenti d’autobus e tram, dipendenti vari e personale sanitario. E invece no. Dove lo ha fatto? Anche lui presso un ospedale pubblico, pare.
Poi c’è tutta la categoria dei calciatori che hanno fatto il tampone. Qui si potrebbe contestare che i giocatori sono atleti, sono seguiti da staff di medici, le squadre hanno convenzioni con cliniche private che fanno i test e d’accordo.
Il caso del calciatore juventino Rugani, positivo, lascia però qualche dubbio per il fatto che l’abbiano fatto anche la fidanzata e un amico e “a domicilio, fatto dalla Asl”.
Cosa che in realtà racconta al Corriere anche Paolo Maldini, il quale sentiva di avere “un’influenza strana”: “Sono venuti i dipendenti della Asl con guanti e mascherine. Anche mia moglie e Christian (asintomatici, ndr) hanno fatto il tampone e sono negativi”. Tamponi dunque fatti dalla Asl il 17 marzo, in pieno caos, a Milano. A domicilio. Anche ad asintomatici. Mentre migliaia di cittadini malati imploravano tamponi.
Ilaria D’Amico, ospite di Stasera Italia, racconta: “Io e il mio compagno abbiamo fatto il tampone, era necessario, e siamo negativi”. Perchè Ilaria D’Amico ha accesso al tampone, se sta bene? Mistero.
L’11 marzo, la moglie di Giovanni Tronchetti Provera, terzogenito del noto imprenditore, realizza un video in cui annuncia: “Io e Giovanni siamo risultati positivi al tampone del Coronavirus, stiamo bene, siamo asintomatici”.
Secondo voci non ufficiali, i due avrebbero fatto il test presso una clinica privata. E qui si apre la questione “privata”, tra personaggi naif e storie inquietanti.
Chiamando qualche clinica privata sulla quale sono giunte segnalazioni di disponibilità ad effettuare tamponi privatamente. Quando chiamo, mi viene garantito che non si fanno tamponi.
Un paziente storico di una clinica privata, a Roma, mi garantisce di aver fatto lì un tampone per il Coronavirus, pagandolo 600 euro regolarmente fatturate sotto la dicitura “analisi cliniche”. Tampone risultato negativo. Chiamo la clinica. A
l centro prenotazione visite e analisi mi viene detto che non effettuano tamponi per il Coronavirus. Chiedo di parlare con una responsabile. Non c’è nessuno. Mi richiameranno la sera. Non mi richiamano.
Chiamo il giorno seguente. Dopo molta insistenza mi passano una suora. “Che vuole? Io sono una suora ma il mio nome non glielo dico, non sono tenuta a dirglielo. Il tampone per il Coronavirus? Deve chiamare la dottoressa del laboratorio, non lo so se lo facciamo, chieda a lei, a lei comunque non spetta fare domande”.
Il giorno dopo chiamo di nuovo e mi passano una dottoressa del laboratorio: “Non facciamo test per il Coronavirus, solo gli autorizzati lo fanno credo… (si sente che intanto parla con qualcuno del fatto che io le stia facendo un’intervista sui tamponi, ndr). Guardi forse lei non è informata ma servono le metodiche e i permessi… Lei ha una fattura, il nome della persona, come fa a sostenere queste ipotesi?”.
Spiego che sulla fattura c’è scritto “analisi cliniche 600 euro” e che il nome del dottore (che è un esterno e nella clinica privata effettua operazioni e visite) è S… “Non so neanche chi sia, non lo conosco, non lavora qui. Poi c’è una legge sulla privacy molto rigida, mi sta chiedendo informazioni private”.
“Io non ho chiesto informazioni su pazienti, ma se fate tamponi per il Coronavirus”. “Senta, non facciamo tamponi”. “Ok, quindi nega, va bene”. “No, lei utilizzi dei termini giusti. Io non nego perchè lei non mi sta facendo un interrogatorio, lei per me è una sconosciuta, che mi telefona”. “Sono una giornalista”. “E io sono una dottoressa di laboratorio, non vedo cosa abbiamo in comune da scambiare”. Non si comprende tanta ostilità .
Chiamo quindi il medico S. che lavora in un grande ospedale romano e che collabora anche con questa clinica che secondo la mia testimone avrebbe eseguito il tampone giorni fa. “Buongiorno volevo chiederle qualcosa a proposito dei tamponi per il Coronavirus che lei fa privatamente”. “Non li faccio privatamente comunque io sono ricoverato all’ospedale…..”. “In che senso?”. “Sono un paziente ora”. “Ma lei fa tamponi alla clinica….?”. “Ma quando mai. Io sono un medico. Il mio tampone l’ho fatto al Policlinico. Comunque io sto male, ho il Coronavirus, sono ricoverato, mi scusi arrivederci”.
In effetti mi informo e il dottore è stato davvero ricoverato questa notte a seguito di una crisi respiratoria, ha il Coronavirus. Ma il mio testimone conferma che non solo il dottore lavora in quella clinica da esterno ma lì l’ha operato più volte e l’ha visitato anche ieri in giornata. Tutto sempre più assurdo.
Poi c’è il laboratorio medico Biomedical che in un annuncio su Facebook spiega che fa tamponi a pagamento. La sede è a Musummano Terme, in provincia di Pistoia. Il post dice: “Biomedical, per sostenere l’emergenza sanitaria, ha allestito il servizio di indagine diagnostica con tampone per il Covid-19. Il servizio è fornito esclusivamente a domicilio previo appuntamento e in forma solo privata”. Manca solo il prezzo.
Telefono e il tizio di Biomedical al telefono mi spiega: “Copriamo solo la provincia di Pistoia, veniamo a casa e diamo il risultato in due giorni, al prezzo di 150 euro”. Considerato che il prezzo standard, come rivelato dal professor Crisanti, è di 30 euro, un discreto guadagno.
(da TPI)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
DAL CASELLO IN CITTA’ A PIEDI PER EVITARE I CONTROLLI: DENUNCIATI
Sette operai pugliesi hanno lasciato Brescia per tornare a casa non appena la loro azienda ha chiuso, per effetto del provvedimento del governo per l’emergenza Coronavirus.
I sette hanno noleggiato un furgone e guidato fino al casello autostradale di Molfetta, in provincia di Bari.
A quel punto hanno parcheggiato il mezzo e hanno proseguito a piedi verso il centro abitato con trolley al seguito, così da evitare i posti di blocco della Polizia locale.
Ma il gruppo è stato beccato dalle telecamere di sorveglianza, con inevitabile denuncia per la violazione dell’ordinanza del Viminale sull’obbligo di restare nel Comune in cui ci si trova.
I primi due, quelli ripresi dalle immagini della videosorveglianza, sono stati fermati subito dalla polizia locale e in breve gli agenti sono risaliti agli altri cinque.
Oltre alla denuncia, a tutti è stato ricordato l’obbligo di auto-isolamento per 14 giorni.
(da Open)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
DISEGNO DI LEGGE DI ORBAN PER GOVERNARE A TEMPO INDETERMINATO SENZA CONTROLLI: L’UNGHERIA VERSO LA DITTATURA SOVRANISTA
Mentre Giorgia Meloni nei giorni scorsi si preoccupava per la svolta dittatoriale del governo Conte, il suo amico Victor Orbà¡n prendeva per mano l’Ungheria per condurla ben oltre la«democrazia illiberale» a lui cara, ma verso una compiuta dittatura.
Racconta oggi il Corriere della Sera che il disegno di legge presentato da Orbà¡n lunedì in Parlamento non serve solo a dare al suo governo i poteri necessari a una gestione centralizzata dell’epidemia di COVID-19, che in Ungheria rimane almeno ufficialmente contenuta con 167 casi di contagio e 7 decessi.
Molto di più, è una delega in bianco al premier a governare a tempo indeterminato senza il controllo dell’Orszà ggyulès e i contrappesi costituzionali.
La legge non è stata ancora approvata, il quorum dell’80% necessario in prima battuta era troppo alto perfino per il Fidesz, il partito di Orbà¡n che dispone di una maggioranza di due terzi in Parlamento.
Ma la strada è tracciata, la prossima volta il quorum richiesto sarà più basso. E difficilmente il tribuno magiaro si farà sfuggire l ‘occasione di usare la paura di fronte alla pandemia per mettere definitivamente in quarantena anche la già vacillante democrazia ungherese, concentrando tutto il potere nelle sue mani.
Una volta in vigore la nuova legislazione, Orbà¡n potrebbe governare per decreto senza approvazione parlamentare fin quando lo riterrà necessario per sconfiggere l ‘epidemia. Fra gli strumenti ammessi, l’uso dei militari per dirigere e far funzionare le imprese strategiche e i servizi essenziali, scelta che solleva molti dubbi alla luce delle accuse di corruzione che pesano sui manager di Stato vicini a Orbà¡n.
E così, mentre gli amici di Salvini del patto di Visegrad sequestrano le mascherine destinate all’Italia, il dominus ungherese amicissimo di Giorgia Meloni dà spettacolo a Budapest e dintorni:
La legge speciale introdurrebbe anche pene detentive fino a 8anni per chi ostacola gli sforzi per contenere la diffusione del virus e fino a 5 anni per chi diffonde notizie false. Quest’ultima misura è particolarmente controversa. Secondo l’Istituto Internazionale per la Stampa di Vienna, le minacce contro i giornalisti, che in base alle nuove regole potrebbero essere accusati di diffondere fake news, «costituiscono un nuovo passo verso il totale controllo dell’informazione e l’ulteriore soppressione della libertà di stampa».
E l’Unione Europea? È viva ma vegeta, potremmo dire con un gioco di parole. Il messaggio contenuto nella lettera inviata oggi dal segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric, al premier magiaro dice che nell’affrontare l’emergenza del Coronavirus l’Ungheria non può adottare misure che vanno contro la propria costituzione, gli standard internazionali e l’essenza dei principi democratici: “Uno stato d’emergenza indefinito e senza alcun controllo non può garantire che saranno rispettati i principi democratici e che le misure che restringeranno i diritti umani fondamentali siano strettamente proporzionati alla minaccia per cui sono state attuate”, scrive il segretario generale che sta seguendo la “situazione in Ungheria con grande attenzione”.
Pejcinovic Buric ricoda anche che “il dibattito parlamentare, sui media e internet, oltre che l’accesso a informazioni e documenti ufficiali sono tutti elementi essenziali per uno stato democratico e particolarmente importanti in situazioni di crisi per mantenere la fiducia della società ”. Il segretario generale invita quindi le autorità ungheresi ad avvalersi degli esperti dell’organizzazione e farsi assistere nel mettere in atto le misure d’emergenza, affinchè queste rispettino i valori fondamentali del Consiglio d’Europa, democrazia, stato di diritto, e diritti umani.
La lettera del segretario generale si aggiunge all’appello fatto ieri dal commissario dell’organizzazione, Dunja Mijativic. E intanto le imprese venete segnalano per merci come grano, cereali e dotazioni per navi il blocco alle frontiere in alcuni paesi. Tra questi anche l’Ungheria. Giorgia Meloni difenderà il sistema produttivo italiano dai suoi amici europei?
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2020 Riccardo Fucile
DAI CAMPI PROFUGHI MESSAGGI DI INCORAGGIAMENTO DA CHI STA MOLTO PEGGIO DI NOI
Circolano alcune foto con dei bambini curdi che tengono in mano dei piccoli volantini con scritto «Resisti Italia andrà tutto bene» a sostegno del popolo italiani nella lotta contro il Coronavirus.
Incuriosito dalle foto ho provato a trovare la fonte, dove e quando sarebbero state scattate e se non si trattava di fotomontaggi quando in questo periodo le bufale non mancano. Per fortuna sono vere, così come sono veri altri gesti di solidarietà da parte di cittadini curdi dai campi profughi ai social.
Le foto sono state scattate nel campo profughi di Shenba dalla Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus, notiamo il simbolo nelle stesse foto, e pubblicate nella loro pagina Facebook il 19 marzo 2020:
Un altro messaggio solidale direttamente dai campi profughi di Shehba. In questo momento così difficile per l’Italia, tutte le profughe e tutti i profughi residenti a Shehba si stringono intorno a tutte e tutti noi, ben consapevoli di cosa significa vivere in un contesto come il nostro. Ci sono vicine e vicini e condividono il nostro dolore e le nostre paure: paura per i propri cari, per le persone a cui vogliamo bene, per le proprie città . Sanno fin troppo bene cosa significa non avere la possibilità di muoversi liberamente, di non poter abbracciare familiari e amici. La solidarietà che noi abbiamo dimostrato loro in questi anni di terribili conflitti ci viene restituita oggi, con l’empatia di chi sa cosa stiamo provando
Cercando attraverso i social le foto di questi splendidi bambini, di cui dovremmo ricordarci in futuro vista la loro situazione, capita di imbatterci in altri gesti di solidarietà anche molto originali come quelle dell’utente curdo ajisaeedyahya residente in Svizzera
In un video, pubblicato su TikTok e poi su Twitter, Aji tiene sopra le proprie gambe quella che sembra essere il tricolore italiano per poi srotolare il tutto mostrando la bandiera del Kurdistan, un segno di vicinanza attraverso un gioco di colori
(da Open)
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