Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
SI RACCOMANDAVA L’ISOLAMENTO E LA CHIUSURA, MA NON E’ STATO PRESO IN CONSIDERAZIONE DALLA REGIONE LOMBARDIA?
Una nota riservata dell’Istituto Superiore di Sanità – che noi di TPI abbiamo potuto visionare – evidenziava, già lo scorso 2 marzo , “l’incidenza di contagi da Covid-19 nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro, e anche in quello bresciano di Orzinuovi, raccomandandone l’isolamento immediato e la chiusura, con la creazione di una zona rossa come quella di Codogno”.
Ciò tuttavia non è mai avvenuto. E tutt’oggi quell’area è il focolaio principale che ha fatto diventare Bergamo il lazzaretto d’Italia
Nel comune bergamasco di Nembro, in Val Seriana, le sirene delle ambulanze hanno smesso di suonare, per non infierire ulteriormente su una popolazione già provata da un bollettino di guerra quotidiano. Sia qui, sia ad Alzano Lombardo — i due comuni della provincia di Bergamo con la più alta incidenza di contagi da Covid19 — molte fabbriche hanno chiuso dopo il decreto ministeriale di sabato 21 marzo. Eppure, come ci raccontano alcuni sindacalisti della zona, diverse aziende si stanno preparando per ripartire già da lunedì. Altre, invece, non si sono proprio fermate, sfruttando la possibilità di andare in deroga al decreto nel caso in cui l’attività produttiva sia agganciata a quelle consentite.
Ed è così che, paradossalmente, ci troviamo oggi davanti a situazioni come quella descritta da un operaio in una lettera aperta al premier Conte: “Buongiorno presidente — scrive Fabrizio — sono un sardo residente nella bergamasca e dopo il decreto sulla chiusura totale, che in realtà non ha chiuso niente, mi sono sentito come un figlio che viene pugnalato alle spalle. Io lavoro nel settore della gomma plastica, ma non facciamo beni primari, bensì giocattolini”.
Come la sua, scrive l’operaio, c’è un elenco infinito di ditte — accanto a quella in cui lavora lui — che non fanno beni primari, ma che restano aperte. E’ il nord produttivo che non vuole fermarsi, nonostante tutto. Nonostante questa strage.
Fabrizio si sente abbandonato e racconta nella lettera la sua atroce quotidianità : “Non sa che cosa vuol dire lavorare con la mascherina per otto ore. Con pensieri brutti, concentrazione bassa, guardando i colleghi con gli occhi lucidi. Non sa che cosa vuol dire paura. Di infettarsi. Di infettare. Tornare a casa dopo aver incrociato ancora tante ambulanze. Posti di blocco. Arrivare a casa e non abbracciare mia figlia di un anno e mezzo, che vuole le coccole che le davo sempre. Ora che siamo allo stremo e tutti gli ospedali sono al collasso, chiediamo solo di chiudere tutte le ditte, perchè il contagio avviene anche in fabbrica. Aiutateci a esser più sereni a casa con i nostri cari. Chiuda tutto. A nome di tutta la bergamasca. Fabrizio, un umile cittadino”.
Ancora una volta le fabbriche. Ancora una volta la produttività . Ancora una volta il dilemma tra salute ed economia.
E’ questo il grande nodo su cui si è incagliata la macchina dello Stato nella gestione di questa emergenza e su cui ancora di più oggi — che si sono strette le maglie — si gioca la grande partita dell’Italia contro il coronavirus.
A partire anche da zone come quelle di Nembro e Alzano, con 25 mila abitanti, 370 aziende, quattromila lavoratori e 680 milioni di fatturato all’anno. Una settimana fa su TPI abbiamo raccontato la storia di questi due comuni e del focolaio lombardo partito dall’ospedale “Pesenti Fenaroli”, mai messo in sicurezza. Una storia nella quale appare sempre più evidente come il combinato disposto di una mancanza di protocolli chiari e i forti interessi economici abbiano fatto passare in secondo piano la tutela della salute pubblica.
Secondo quanto riportato recentemente dalla Fondazione Gimbe, organo indipendente di ricerca e informazione in ambito sanitario, “i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti in ambito medico, all’informazione alla popolazione”. Tutte queste attività , inclusa la predisposizione dei piani regionali, erano previste dal”Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006.
“È inspiegabile — afferma il Presidente Gimbe, Nino Cartabellotta — che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio”. In fondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sono sempre state chiare: trova il contagio, isolalo, testalo, traccia tutti i contatti. Modello Corea del Sud, dove il primo focolaio è stato localizzato il 2 febbraio ed è subito scattata la quarantena per tutto il paese, mettendo a disposizione una App per la tracciatura di tutti i cittadini. Risultato: dall’inizio del tracciamento in due settimane i contagi sono passati da 800 a 80 al giorno. Da noi, invece, si è andati avanti un po’ a tentoni, accumulando un errore dietro l’altro, come dimostra questa nuova testimonianza di un’assistente socio sanitaria, che si trovava dentro all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo la notte tra il 22 e il 23 febbraio e che ci è stata segnalata dal giornale online “Valseriana News”.
La donna stava seguendo un paziente di 80 anni ricoverato per un check up nel reparto di Medicina generale, in una stanza condivisa con un altro paziente di 60 anni affetto da una grave polmonite. “Il nostro vicino di letto aveva la febbre alta, non riusciva a respirare — racconta l’assistente sanitaria — e chiamava l’infermiera in continuazione, perchè era evidente che stesse soffrendo molto, indossava il casco dell’ossigeno, che però continuava a cadere, era agitato, sudava e lo sentivo ripetere ‘non riuscite a capire che io sto morendo, sto morendo’. Queste parole mi sono rimaste impresse nel cervello. Gli infermieri, tra l’altro, avevano iniziato a indossare le mascherine con il filtro, quelle buone, mentre fino a qualche giorno prima li avevo visti solo con quelle chirurgiche e questo dettaglio mi aveva allarmato”.
Il giorno dopo, nell’ospedale di Alzano Lombardo, che dista appena cinque chilometri da Bergamo, vengono diagnosticati due casi di Covid19, uno di loro è transitato dal pronto soccorso e un altro nel reparto di Medicina generale. L’assistente sanitaria viene a sapere che il paziente in camera con il suo assistito è morto e che l’ospedale è stato chiuso e riaperto alcune ore dopo la notizia delle infezioni da coronavirus. Nessuno, però, la contatta, nè la sottopone a tampone, così come non vengono contattate le altre sue colleghe, che avevano prestato servizio nella struttura ospedaliera infetta e che nei giorni a seguire si sono spostate liberamente per tutta la provincia di Bergamo. Il paziente che la donna aveva in cura muore una decina di giorni dopo.
Lei, invece, si ammala: febbre, raffreddore e tosse, e mentre la intervistiamo al telefono non riesce nemmeno a finire di parlare, a causa della forte tracheite che ancora la tormenta.
“Ho cinque figli — dice — e nessuno in quell’ospedale ha pensato di proteggermi e di tutelarmi, ci ho pensato io a mandare i miei figli da un’altra parte per non contagiarli, perchè sono sicura di aver contratto il coronavirus. Lo hanno preso tutti qui, se hai l’influenza è quasi sicuramente covid, ma ormai il tampone non lo fanno quasi più a nessuno”.
Questa storia fa il paio con decine di testimonianze che stanno emergendo in questi giorni, come quella di un uomo di Villa di Serio, che nell’arco di due settimane, a febbraio, ha perso entrambi i genitori transitati per motivi diversi dall’ospedale di Alzano Lombardo.
I sintomi prima di morire erano sempre gli stessi, tutti riconducibili al coronavirus. Ma nessuno potrà mai dimostrarlo, perchè sono morti senza che venisse fatto loro il tampone. Contagiati molto probabilmente dentro all’ospedale.
Da altri pazienti o dagli stessi operatori sanitari. Un disastro insomma. Ce ne sono centinaia di storie così in questi comuni della bergamasca. Storie di abbandono, di disperazione, di rabbia e di solitudine.
Non a caso sono molte le famiglie che stanno pensando di riunirsi in un comitato per chiedere verità e giustizia per le vittime del coronavirus. L’avvocato bergamasco Roberto Trussardi è già stato contattato da alcuni parenti per avere un parere legale e non nasconde lo stupore: “Non si capisce perchè la Procura della Repubblica non abbia ancora annunciato l’apertura di un’inchiesta per il reato di epidemia colposa contro ignoti, perchè sarebbe utile sapere qual è il magistrato che se ne occupa, in modo tale che i parenti delle vittime e le parti lese possano inviare materiale e fornire una collaborazione per lo sviluppo successivo di un’indagine, che faccia luce su quanto accaduto dentro all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo. Il fatto che ancora non si sia mosso nulla mi sembra incomprensibile — aggiunge l’avvocato — così siamo in un vero e proprio limbo”.
Intanto le denunce a mezzo stampa non si fermano. E non ci fermiamo neanche noi. Nel tentativo di fare luce su questa vicenda abbiamo scoperto che l’indicazione tecnico-scientifica di “chiudere” Alzano Lombardo e Nembro era stata messa per iscritto all’inizio di marzo. Per capire meglio facciamo una premessa. Il Governo ha sempre affermato di agire sulla base delle migliori evidenze scientifiche, elaborate anche attraverso una attenta sorveglianza epidemiologica della propagazione del virus su tutto il territorio italiano. Il Comitato tecnico scientifico (Cts), che dal 3 febbraio consiglia il premier Conte sull’emergenza coronavirus, è formato da esperti e dirigenti del settore già inseriti nella pubblica amministrazione per la loro attività in campo sanitario, come ad esempio il direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità , un rappresentante della commissione salute designato dal Presidente della Conferenza delle Regioni e Province autonome, oltre a scienziati di fama internazionale, come ad esempio Walter Ricciardi.
Le decisioni del Governo sono informate dal Comitato tecnico scientifico, ma le modalità con cui il Cts lavora, con cui informa il Governo e con cui il Governo prende le decisioni non sono chiare. La cosiddetta “evidence-based policy”, ovvero la politica basata sull’evidenza scientifica prende le decisioni basandosi sulla scienza, ma non solo. Se queste informazioni vengono date al Governo in via informale o vengono messe a verbale non è dato saperlo, quello che è certo è che se dei verbali esistono, non sono pubblici. Sono secretati.
Fatta questa premessa, quello che abbiamo potuto verificare è che in data 2 marzo — una settimana dopo aver diagnosticato i primi pazienti infetti da Covid19 all’ospedale di Alzano Lombardo e mentre la maggior parte dei sindaci della Lombardia, con in testa Giuseppe Sala, sindaco di Milano, e Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, lanciavano gli slogan “Milano non si ferma” e “Bergamo non si ferma” — è stata messa per iscritto una nota tecnica dell’Istituto Superiore di Sanità , che evidenziava l’incidenza di contagi da Covid19 nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro e in quello bresciano di Orzinuovi, raccomandandone l’isolamento immediato e la chiusura, con la creazione di una zona rossa, come quella di Codogno.
Per quanto riguarda i due comuni bergamaschi veniva sottolineato un ulteriore fattore di rischio, ovvero la pericolosa vicinanza a un grosso centro urbano, dal momento che Alzano Lombardo e Nembro distano solo una manciata di chilometri da Bergamo, divenuta oggi il lazzaretto d’Italia. Questa nota tecnica veniva successivamente dettagliata e arricchita di nuove informazioni in data 5 marzo. Purtroppo non ci è dato sapere, in qualità di cittadini e nemmeno di giornalisti, se questa nota sia mai stata messa a verbale e quindi firmata da tutti i membri del Comitato tecnico scientifico e sia mai arrivata sul tavolo di Conte.
Quello che sappiamo con certezza oggi è che una zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro non è mai stata decretata — nonostante le evidenze scientifiche, nonostante i contagi e i morti in aumento; sappiamo con certezza che qualcosa è andato storto all’ospedale “Pesenti-Fenaroli”, che la popolazione di quei comuni è stata disorientata e sollecitata da una comunicazione istituzionale a dir poco schizofrenica, che gran parte degli industriali della Val Seriana, alcuni dei quali con un intenso scambio con la Cina, hanno espresso contrarietà , anche a mezzo stampa, rispetto alla creazione di una zona rossa e che si è dovuto aspettare fino all’8 marzo per chiudere tutta la Lombardia e altre 14 province, mentre già da diversi giorni c’era un’indicazione tecnico-scientifica ben precisa che raccomandava l’isolamento di quei due comuni ormai infetti.
Se il Governo ha tentennato ci chiediamo se la regione Lombardia, invece, avrebbe potuto chiudere quella zona o se semplicemente non ha avuto il coraggio di farlo, visti gli interessi in campo. Chi lo sa.
Quello che è certo è che la mancata creazione di una zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro è uno dei più gravi errori commessi nella gestione di questa epidemia.
“La stragrande maggioranza dei contagi e dei morti che abbiamo oggi — afferma il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta — sono il frutto delle azioni fatte e non fatte tra la fine di febbraio e il 10 di marzo. E’ evidente”.
(da TPI)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
SALTANO I NERVI AI CINQUESTELLE…I GRILLINI STRONCANO OGNI PROGETTO DI UNITA’ NAZIONALE
Alla fine, proprio all’ultimo intervento, la caciara sporca il clima, fino a quel momento grave, rispettoso, pieno di emozione.
Anche il “barbaro”, inteso come Matteo Salvini, aveva tenuto un tono consono. Ecco Gianluca Perilli, capogruppo dei Cinque stelle al Senato, che si mette a urlare in faccia a Salvini di non essere ipocrita, gli dà del “monumento all’incoerenza”, gli chiede “quale aiuto sia arrivato se non le dichiarazioni propagandistiche”, butta nel calderone Giorgia Meloni accusandola di aver dato del “criminale” al premier, è un buon indicatore di come da ieri il clima sia cambiato. Davvero un comizietto.
A occhio, i primi a essere imbarazzati sono quelli del governo, perchè “se voleva rafforzare Conte, non è così se si fa”.
Emiciclo semi deserto, mascherine, commessi che cospargono di disinfettante i microfoni: “Ma perchè l’ha buttata in caciara?” si chiede, ad esempio, Andrea Cangini. A frittata fatta, ti spiegano che è stata una grande mossa tattica: “Leggi tra le righe — spiega un senatore grillino, mentre Perilli sta ancora parlando — è tutta tattica. L’obiettivo è uccidere nella culla il bambino dell’unità nazionale e delle decisioni prese insieme all’opposizione”.
Il bambino sarebbe Draghi, la culla il governo per l’emergenza nazionale. È bastato un intervento sul Financial Times, a far saltare i nervi. Poi è chiaro, Conte dissimula, Perilli sbrocca.
Del resto le parole dell’ex governatore, innominato dal premier, sono diventate il filo conduttore di parecchi interventi: “Agire con forza per evitare la depressione, serve più debito pubblico. Lo Stato deve proteggere i cittadini dalla perdita del lavoro”. È proprio così. Il premier l’ha letta in chiave tutta interna, vendendo il pericolo che un peso massimo si imponga sui pesi più leggeri: “Io ci ho sempre messo e continuo a metterci la faccia”, ripete ai suoi.
Il mood è sempre lo stesso: cercare di compattare il paese nella fase emergenziale, fare i conti dopo.
E, soprattutto, non condividere la tolda di comando con Salvini. C’è un calcolo politico, certo, ma pesa anche il fattore personale e le antiche ruggini. Anche se in parecchi, anche dentro il Pd, gli dicono di “aprire e condividere” perchè, in questa situazione trasformare il consenso in protesta è un attimo. Dunque, meglio condividere le responsabilità da subito, che non si significa governissimo ma, appunto, condivisione.
La principale differenza nel discorso reiterato a Palazzo Madama dopo che ieri era andato in scena alla Camera è proprio su questo punto: “Sono disponibile a una condivisione delle misure con l’opposizione”.
Ma nulla ha aggiunto sul come e sul che cosa, al punto da sembrare un atto dovuto. E infatti Salvini è stato lesto a replicare: “La collaborazione non è un garbato ascolto. Se ci vuole collaborativi allora lavoriamo insieme, se ci è richiesto un aiuto allora lavoriamo insieme”. La stessa linea della forzista Anna Maria Bernini: “La collaborazione è un lavorare con, non obbedire, non diamo cambiali in bianco”.
Il punto è che alla fine del tunnel Conte vede Draghi come uno spauracchio per rimpiazzarlo.
E considera il gioco delle opposizioni strumentale. “E’ convinto che nemmeno Salvini e Meloni vogliano un governo Draghi — spiega un parlamentare a lui molto vicino — ma che lo utilizzino come clava per destabilizzarlo”.
Un’ipotesi alla quale il capo del governo è totalmente indisponibile. La puzza di bruciato è arrivata fin sotto il suo scranno quando il segretario della Lega ha ringraziato l’ex governatore della Bce per le sue parole: “Ci serve l’aiuto di tutti e anche il suo, sono contento di questa intervista e di quel che potrebbe nascere”. Un esponente di governo sibila: “Ma come, fino a qualche mese fa lo descriveva come complice di Bruxelles nel nostro massacro”
E’ significativo anche il silenzio del Pd sul tema. Nessuno lo nomina in aula, a partire dal capogruppo Andrea Marcucci.
Ma per quanto un pezzo del Pd non veda di buon occhio le grandi manovre intorno a Draghi (“Un suo ruolo in un futuro governo è fuori portata e fuori luogo”, ha tagliato corto il capogruppo Dem in Europa Brando Benifei), i banchi dem sono rimasti basiti nell’ascoltare Perilli.
Perchè è un gioco sottile di messaggi in bottiglia e tattiche quello di tentare di neutralizzare le opposizioni coinvolgendole, sfilandogli l’arma del consenso post crisi e dello spauracchio Draghi. Un lavorio di fioretto, che con la clava rischia di essere distrutto.
Con il bollettino di guerra puntualmente sfornato ogni giorno alle 18 dalla Protezione civile, sono iniziate in maniera conclamata le grandi manovre per il dopo.
Un dopo dal quale Matteo Renzi sembra già sfilarsi, invocando una Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza del governo di cui pure i suoi fanno parte. “Con Draghi siamo in sintonia, serve uno shock, un’azione straordinaria”, dice il premier all’Ansa che lo intercetta mentre se ne va dal Senato. Come a dire: quel che serve lo faccio io, non ho bisogno di sostituti.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
CHIUSE LE ATTIVITA’ NON INDISPENSABILI FINO AL 5 APRILE
«Non pensate: “Non potrà mai succedere a me”. Può succedere a chiunque. L’importante è che restiate a casa».
Con queste parole Vladimir Putin si è rivolto alla Russia per chiudere il Paese a causa del coronavirus. Quello che sembrava una sorta di territorio avvolto da una cortina impenetrabile comincia a patire gli effetti del contagio, esattamente come negli altri Stati del pianeta.
Infatti, il presidente russo ha annunciato la chiusura delle aziende non strategiche fino al 5 aprile e ha addirittura rinviato quel referendum a cui aveva dato la massima importanza politica, contingentando i tempi del dibattito parlamentare.
Il nuovo referendum sulla costituzione, che permetterà a Putin di restare al potere teoricamente fino al 2036 (superando gli attuali limiti costituzionali alla durata dei mandati per la carica di presidente e primo ministro), era previsto per il prossimo 22 aprile.
Ma il presidente russo ha deciso di rinviarlo per non far aumentare i contagi da coronavirus. Contagi che stanno diventando significativi anche nel Paese: secondo i dati ufficiali, da prendere sempre e comunque con le pinze, attualmente si registrano 658 casi e 2 decessi a causa del coronavirus.
Vale appena la pena ricordare che, come spiegato in questo articolo, la Russia di Vladimir Putin ha scelto una strada diversa per il protocollo di verifica della positività dei pazienti, con i tamponi che seguono una procedura diversa rispetto agli standard europei. Il presidente russo ha voluto dare una certa solennità a queste misure comparendo in pubblico in un raro discorso alla nazione.
Nei giorni scorsi, la narrazione diffusa sui social network — e si è scoperto anche in quel caso che la propaganda filorussa aveva agito as usual diffondendo alcune false informazioni diventate immediatamente virali — aveva mostrato una Russia stoicamente resistente al virus, quasi un modello di sovranismo da perseguire.
Una narrazione che adesso, alla luce del discorso di Putin alla nazione, sembra perdere forza.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
CONTROLLI SULLE PERSONE CON CUI HA AVUTO CONTATTI… MA PER TOTI E BUCCI “BISOGNA ANDARE AVANTI NEI LAVORI”… ORMAI E’ UNA PRIORITA’ (ELETTORALE) SOLO PER LORO, I GENOVESI HANNO DA PENSARE ALLA SALUTE, ALTRO CHE AI TAGLI DI NASTRI
Un operaio del cantiere del Nuovo viadotto di Genova è risultato positivo al Covid-19. L’uomo, secondo quanto riferito dalla struttura commissariale, è in buone condizioni di salute e si trova in quarantena presso il proprio domicilio.
Immediatamente è scattata la procedura di controllo. “Si sta lavorando – scrive la Struttura del Commissario – da subito, appena appresa la notizia, per ricostruire i contatti che l’operaio ha avuto sul luogo di lavoro prima di avere la febbre”.
“Abbiamo la prima persona positiva al coronavirus nel cantiere del ponte per Genova, è in albergo e sta bene, seguiamo tutti i protocolli della Asl per rintracciare le persone che gli sono state vicine negli ultime tre giorni”, ha spiegato il commissario per la ricostruzione e sindaco di Genova Marco Bucci nel punto stampa sull’emergenza Covid 19
“Anche dal punto di vista statistico poteva succedere – ha aggiunto -. Il cantiere del ponte continua seguendo tutte le disposizioni, perchè è un messaggio per tutti e una priorità per Genova”.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
UN FONDO SALVA STATI DI 500 MILIARDI, L’ITALIA POTREBBE ATTINGERE A 30 MILIARDI (CHE NON RISOLVEREBBERO I PROBLEMI)
Dopo lo scontro politico che ha tenuto banco tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 sulla riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva Stati torna al centro del dibattito economico e politico perchè potrebbe essere uno di quegli strumenti cui ricorrere per fare fronte all’emergenza legata alla diffusione del coronavirus.
Per il momento, dall’Eurogruppo del 24 marzo chiamato a prendere provvedimenti è giunto un nulla di fatto sia sul Mes sia sugli Eurobond e la palla di fatto è passata alla riunione del capi di Stato e di governo europei in calendario il 26 dello stesso mese.
Nonostante il mancato raggiungimento di un accordo, il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno, ha continuato a mostrare ottimismo.
L’Eurogruppo, ha scritto Centeno in una lettera al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, ha dato “ampio sostegno” a un “’Pandemic Crisis Support’ nell’ambito del Mes, costruito nel quadro dell’attuale Enhanced Conditions Credit Line”. Il riferimento è a una delle due principali linee di credito del Fondo salva Stati, la cosiddetta Enhanced conditions credit line o Eccl che è attivabile a patto che il paese che la richiede firmi un memorandum di intesa impegnandosi ad adottare tutta una serie di misure correttive per rimettere in ordine i propri conti.
Il fatto che Centeno parli di “ampio sostegno” implica che non ci sia unanimità tra i ministri delle Finanze dell’area dell’euro e quindi tra gli Stati membri. In sostanza anche per il ricorso al Mes si ripropone la stessa contrapposizione tra paesi del nord Europa, tra cui Germania e Olanda, e paesi del sud, tra cui Italia, Spagna e Francia, già esistente sulla questione dell’emissione degli Eurobond (o coronavirus bond o Covid bond).
Il sostegno del Meccanismo europeo di stabilità , ha aggiunto Centeno, “sarà usato per i costi collegati all’epidemia, sanitari ed economici. Nel lungo periodo, gli Stati dovranno assicurare un percorso sostenibile”
Quest’ultima è una precisazione particolarmente importante che fa venire fuori uno dei nodi del contendere: le condizioni che un paese si deve impegnare a rispettare nel caso di attivazione del Mes.
Come detto, l’Eccl implica che il paese che richiede l’aiuto del Fondo salva Stati si impegni in maniera rigorosa a rimettersi in carreggiata. Ma in questa fase di pandemia i paesi del sud, tra cui appunto l’Italia, domandano condizioni più leggere se non addirittura nulle.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nei giorni scorsi aveva sottolineato la necessità di una rimozione totale delle condizioni affinchè gli Stati membri possano beneficiare della potenza di fuoco da 500 miliardi del Mes. Possibilità che sembra trovare contrari i più intransigenti paesi del nord Europa.
“Abbiamo un ampio consenso sul fatto che il Pandemic Crisis Support è una salvaguardia rilevante per ogni Stato che aderisce al Mes toccato dallo shock simmetrico dovuto alla pandemia, e sarebbe disponibile per tutti sulla base di una valutazione iniziale delle istituzioni”, ha scritto Centeno nella medesima lettera a Michel. Qui si giunge a un altro dei nodi del ricorso al Mes: l’apertura del meccanismo a tutti i paesi membri dell’area dell’euro. La questione sta particolarmente a cuore ai paesi del sud Europa, preoccupati che un’istanza singola da parte di un solo paese possa scatenare le ire dei mercati finanziari.
“C’è anche un ampio sostegno — ha spiegato Centeno — che dovrebbero essere spostate sul Pandemic Crisis Support risorse significative e che il Mes potrebbe fissare come parametro di base il 2% del Pil dello Stato interessato (per l’Italia la percentuale dovrebbe tradursi in 35-36 miliardi, ndr), che può essere aggiustato in base all’evoluzione della pandemia. Rendere disponibile il Pandemic Crisis Support del Mes sarebbe un importante e tempestivo primo passo, basato sugli strumenti esistenti”, ha concluso Centeno, che ha proposto di sviluppare i dettagli tecnici entro il 5 aprile.
“Crediamo che i leader europei — commentano gli analisti di Barclays Research — approvino l’idea dell’attivazione del Mes ma crediamo che ci vorranno diverse settimane per l’accordo finale”. Inoltre, aggiungono da Barclays, “il Mes sarebbe lo strumento più potente ed efficace per limitare lo stress sui mercati finanziari e i rischi per l’Italia. Autorizzerebbe poi la Bce a lanciare interventi illimitati sotto il cappello dell’Omt, il programma annunciato da Mario Draghi nel 2012 e mai utilizzato”.
Nell’ambito delle trattative in corso intorno al Meccanismo europeo di stabilità , Antonio Villafranca, coordinatore della ricerca dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), suggerisce che “l’Italia potrebbe ritirare il suo veto all’approvazione del nuovo trattato chiedendo in cambio due cose: che l’ambito di intervento del Mes venga ampliato per includere appieno fattispecie di rischio come quelle che stiamo vivendo con l’emergenza coronavirus; che le regole sulla eligibility per l’accesso alle linee di credito del Mes vengano ‘sospese’”.
“D’altra parte — osserva Villafranca — sarebbe davvero paradossale che mentre l’Ue approva la sospensione del Patto di stabilità e crescita mantenga invece vivi praticamente gli stessi criteri per l’accesso ai crediti del Mes. Questi parziali cambiamenti alle finalità e ai criteri di accesso ai crediti potrebbero essere del tutto temporanei e legati alla eccezionalità della crisi del coronavirus. Si tornerebbe invece all’applicazione alla lettera del trattato sul Mes non appena la crisi sarà passata. Un compromesso che potrebbe andare incontro alle preoccupazioni dei paesi del nord Europa, e rendere più ‘digeribile’ l’approvazione del Mes anche nel nostro paese”.
Un’idea che sembra essere molto vicina a quella proposta da Centeno.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
“IL NUMERO REALE DEI CONTAGIATI E’ QUATTRO VOLTE SUPERIORE AI DATI DIFFUSI”
È convinto che l’emergenza coronavirus durerà ancora a lungo e che non dobbiamo farci illusioni: Paolo Setti Carraro, chirurgo di guerra e volontario con “Emergency” e “Medici senza frontiere”, intervistato dal Corriere della Sera, offre il suo punto di vista, data l’esperienza maturata in Afghanistan, Sud Sudan, Sierra Leone, Iraq, Haiti, Yemen, Striscia di Gaza e in aree flagellate dall’Ebola.
“Sarà lunga. Eventuali consolidamenti nel calo dei contagi non possono illuderci. I divieti devono durare. Il peggio non è affatto passato. Il numero reale dei contagiati è tre, quattro volte superiore ai dati diffusi. Forse per giugno, potremmo aver spento i focolai. Forse”.
Secondo Setti Carraro, è arrivato il momento di puntare tutto sulla prevenzione.
“Servono equipe strutturate e coordinate che tengano sotto controllo le persone a domicilio, persone che hanno parenti ricoverati, persone sintomatiche e asintomatiche. Telefonate ogni giorno, aggiornamenti sulle condizioni fisiche, sostegni morali. Questa gigantesca crisi ci sta già fornendo importanti spunti di riflessione. La nostra sanità è una delle migliori. Poche nazioni, penso al Giappone, hanno numeri come i nostri di sopravvivenza ai tumori. Ma in Italia, come in tutta Europa, manca una politica decisa e articolata di medicina sociale, di formazione culturale, di promozione di stili di vita corretti”.
Prosegue poi facendo il paragone con l’Ebola.
“In Congo, hanno affrontato Ebola pur in un contesto terribile, con intorno 47 bande armate, i famigerati signori della guerra: distruggevano i centri medici, uccidevano i dottori… Hanno affrontato Ebola con decisione e coesione, in Congo, grazie a tanti medici in prima linea, giovani africani, non il solito occidentale gradasso che insegna come gira il vento. […] Ho visto un comportamento disciplinatissimo e virtuoso, in quelle terre, di pura responsabilità ; voglio vedere qui le spiagge e le montagne a Pasqua, sperando di essere smentito. Il virus non è un’influenza di stagione, non passa con il caldo”.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
“LE MISURE RESTRITTIVE SONO TROPPO BLANDE”
«Le protezioni per gli operatori sanitari? Ci mandano al fronte con i fucili con i proiettili di gomma».
Ricorre a un’immagine sintetica ed efficace, Giovanni Belcari, medico della Centrale operativa del 118 per l’area Pisa-Livorno, nel descrivere quanto sta accadendo nell’Italia in lotta contro il Coronavirus.
Sindacalista nazionale per il 118 dello Snami, il Sindacato nazionale autonomo medici italiani, Belcari è netto: se da noi il personale medico, dai dottori agli infermieri, è risultato più esposto al Coronavirus rispetto ad altri paesi, ciò è frutto di scelte sbagliate e di un sistema sanitario che è stato «destrutturato».
Non ultimo, di fronte a un virus dalla letalità così elevata il medico reputa troppo blande le misure restrittive adottate: a suo parere dovrebbe circolare solo personale medico, vigili e polizia.
Belcari, qual è la situazione per gli operatori sanitari italiani, quanto a protezione dal contagio?
È quanto più eterogenea. Due sono i fattori: uno è la differente distribuzione dell’infezione a livello nazionale; l’altro e più importante fattore è la diversa capacità a livello ragionale di reggere l’onda d’urto dell’infezione.
A cosa si riferisce?
Il quadro toscano per esempio è con l’acqua alla bocca, è al limite. Eppure ha numeri infinitamente inferiori alla Lombardia che, pur male, ma regge. Quindi negli anni la programmazione del sistema sanitario ha avuto risposte differenti nei diversi sistemi sanitari regionali. Se la Toscana avesse gli stessi contagiati della Lombardia qui avremmo un’ecatombe.
Come personale sanitario avete protezioni adeguate?
No, anche se alcune realtà sono in grado di reggere un impatto molto più grosso rispetto ad altre. Da noi mancano gli strumenti con i quali i medici proteggono sè stessi mentre visitano i pazienti. Alcune regioni inviano presidi medici come mascherine che hanno evidenti vizi nella certificazione, non sono idonee quando non sono evidentemente inutilizzabili. E poi ci si stupisce se abbiamo un tasso di ammalati altissimo rispetto ad altre realtà europee? Mandiamo al fronte gente a combattere con proiettili di plastica. Così spesso i medici si trovano davanti a un terribile dubbio: curare ammalandosi o rifiutare di curare. È terribile. E se, da medico, mi ammalo poi non posso curare.
Le mascherine?
Con il sindacato abbiamo chiesto una perizia che peraltro è stata effettuata gratuitamente dato l’alto valore simbolico della questione, a uno dei massimi esperti nazionali di certificazioni di presidi medici a Torino, l’ingegnere Alice Ravizza, per quelle che abbiamo ricevuto e riceveremo in Toscana: esse non hanno subito rigorosi test a norma di legge e non hanno assolutamente dimostrato un profilo di efficacia come maschera filtrante. La mancanza di certezze su un profilo di efficacia e sicurezza di questi presìdi è assolutamente inaccettabile e intollerabile
Come valuta il comportamento dei cittadini? È decisivo anche nei vostri confronti.
Mi ha sorpreso in positivo: non mi sarei aspettato una simile aderenza alle normative regionali e nazionali dai cittadini. Ma queste normative sono troppo blande: una infezione con una letalità così alta necessita misure draconiane, solo vigili, medici e polizia possono andare in giro, nessun altro. Voglio però aggiungere una constatazione: in Germania hanno 28mila posti letto in terapia intensiva, da noi cinquemila. Quando sarà finita, pagheremo lo scotto della destrutturazione del sistema sanitario regionale e nazionale, anno dopo anno, legge dopo legge, con costi che non oso immaginare. Una destrutturazione che ha nomi e cognomi ben precisi.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
LE MINACCE E GLI INSULTI DEL DISCUSSO SINDACO INCOMPATIBILI CON IL SUO RUOLO ISTITUZIONALE
La notizia arriva direttamente dal Viminale, la sede del ministero dell’Interno che dal settembre 2019 è guidato da Luciana Lamorgese.
In una nota viene spiegato che sono stati segnalati all’autorità giudiziaria i comportamenti del sindaco di Messina Cateno De Luca, ex democristiano e fondatore del movimento civico Sicilia Vera. Si tratta solo dell’ultimo capitolo di uno scontro tra ministero e sindaco di Messina iniziato a causa delle misure per limitare la diffusione del Coronavirus.
Le azioni del primo cittadino sono state denunciate «perchè censurabili sotto il profilo della violazione dell’articolo 290 del Codice penale (Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate)».
Nella nota si chiarisce anche che il ministro Lamorgese ha preso questa decisione «a seguito delle parole gravemente offensive, e lesive dell’immagine per l’intera istituzione che lei rappresenta, pronunciate pubblicamente e con toni minacciosi e volgari».
Tutta la vicenda comincia lunedì 23 marzo, verso le 11.00. Il sindaco di Messina Cateno De Luca diffonde un comunicato in cui dice: «Questa mattina ho visto video e foto del flusso incontrollato di macchine che stanotte hanno attraversato lo Stretto dalla Calabria per raggiungere la Sicilia. Mi sono reso conto che qua c’è qualcuno che gioca con la nostra vita e la nostra pazienza».
E scaglia il primo attacco verso il governo: «Bene, la mia pazienza è finita sto preparando una diffida contro il Governo nazionale, il Prefetto di Messina, di Reggio Calabria e dei Questori: voglio capire che cosa è successo stanotte. Voglio la prova e il riscontro dei controlli fatti e li voglio entro stasera. Io oggi sarò lì, a costo di bloccare la nave»
Qualche ora dopo, circa alle 16.00, il governatore della regione Sicilia Nello Musumeci raccoglie l’appello di Cateno De Luca e diffonde altre dichiarazioni: «Nessuno deve più entrare in Sicilia, lo sa il ministro dell’Interno, lo sa il premier Conte, lo sa il ministro Boccia, lo sanno tutti a Roma. In Sicilia i provvedimenti parlano chiaro: lo Stretto lo possono attraversare solo le forze dell’ordine e armate, i sanitari e i lavoratori pendolari».
A questo punto si muove anche il Viminale che emette una nota dove sconfessa le accuse di Musumeci: «Non rispondono al vero le accuse del presidente Musumeci — mosse per di più in un momento in cui le istituzioni dovrebbero mostrarsi unite nel fronteggiare l’emergenza — secondo le quali sarebbe in atto un flusso incontrollato verso le coste siciliane, tant’è che, ieri, tutte le persone che hanno traghettato sono risultate legittimate a farlo». Il ministero dell’Interno ha anche specificato nel dettaglio come è stato gestito il flusso:
I transiti giornalieri per la Sicilia hanno fatto registrare una costante diminuzione dai 2.760 di venerdì 13 marzo ai 551 di ieri, domenica 22 marzo.
La domenica precedente, 15 marzo, il traffico era consistito in circa il doppio di auto e quasi il triplo di passeggeri, rispettivamente 469 e 1384.
In particolare, ieri, sono traghettati da Villa San Giovanni a Messina 551 viaggiatori e 239 autovetture. Tutti i viaggiatori sono stati controllati prima di salire a bordo. Dei 551 viaggiatori, 136 sono risultati appartenenti alle Forze dell’ordine che giornalmente attraversano lo stretto per motivi di lavoro; i restanti 415 sono tutti risultati appartenenti alle altre categorie legittimate ad effettuare il traghettamento
Nella nota del Viminale in cui si rende conto della denuncia non è chiaro per quali comportamenti specifici il ministro Lamorgese abbia deciso di muoversi.
Ma su Twitter circolano una serie di video riconducibili al 23 marzo in cui il sindaco di Messina attacca frontalmente Lamorgese: «Ministero degli Interni, con tutto il rispetto, vai a fanculo».
Il sindaco poi continua leggendo una serie di verbali sulle persone arrivate in Sicilia che sono state fermate dalle Forze dell’Ordine
A questo parole potrebbe fare riferimento il Viminale: «Proprio in una fase emergenziale in cui dovrebbe prevalere il senso di solidarietà e lo spirito di leale collaborazione le insistenti espressioni di offesa e di disprezzo, ripetute per giorni davanti ai media da parte del primo cittadino di Messina all’indirizzo del ministero dell’Interno, appaiono inaccettabili, e quindi censurabili sotto il profilo penale».
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2020 Riccardo Fucile
NON TUTTI GLI IMPRENDITORI PIANGONO MISERIA
Il Gruppo Mutti ha deciso di devolvere 500mila euro all’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma che oggi, come tutte le strutture sanitarie nazionali e regionali, è in prima linea per fronteggiare l’emergenza Covid-19.
“Abbiamo ritenuto fondamentale intervenire economicamente a supporto del territorio dove operiamo per dare il nostro sostegno a una struttura d’eccellenza che si trova a lavorare, tutto il giorno, in condizioni d’emergenza, impegnandosi in prima linea per la salute dei pazienti. Oggi, oltre alla vicinanza spirituale e al rispetto delle regole, alle strutture servono fondi per sostenere il loro operato e il nostro Paese. Chi può, deve intervenire” spiega Francesco Mutti.
La necessità di un intervento si è resa evidente di fronte ai numeri che l’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma rileva ogni giorno e che rappresentano non solo pazienti ma nomi e volti delle famiglie oggi direttamente colpite dalla pandemia.
Il Gruppo Mutti, da parte sua, è anche impegnato a garantire la disponibilità del bene primario del cibo, fondamentale come la salute.
“Per questo – aggiunge Francesco Mutti — oltre all’attivazione di una copertura assicurativa extra relativa al Covid-19 per i dipendenti a tempo indeterminato e determinato, abbiamo disposto una maggiorazione del 25% sulla retribuzione di coloro che, anche in questi giorni, stanno permettendo alla nostra azienda e, al Paese stesso, la continuità produttiva. Intendo sia tutto il personale impiegato nel processo produttivo e nella logistica, sia i soggetti cooperativi del nostro indotto”.
A livello territoriale l’azienda sta inoltre predisponendo diverse donazioni a livello nazionale, tra le quali l’invio dei suoi prodotti all’Emporio Solidale di Parma e all’Ospedale da Campo di Bergamo.
(da agenzie)
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