Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
IL “PREGATE” DEL PAPA, L'”UNITEVI” DI MATTARELLA: IL PROFONDO DIALOGO TRA LE DUE SPONDE DEL TEVERE, NEL GIORNO DEL PICCO DEI MORTI
Parole che, in fondo, uniscono in un dialogo profondo le due sponde del Tevere. Il Pastore, privato del popolo, che prega e invita alla preghiera, da solo davanti al Crocifisso di San Marcello, in un silenzio rotto dal rumore delle sirene. L’altra preghiera laica del capo dello Stato, che invita all’“unità ”, non come formula retorica, ma come impegno sostanziale nel paese.
E dell’Europa, dove sembra essersi smarrito il senso di una missione comune e di una risposta condivisa e urgente. E capace solo di prendere tempo di fronte al baratro tra la solennità delle parole e gli antichi tic nazionali con l’occhio ai propri bilanci.
Con la durezza di un europeista convinto, Mattarella si rivolge direttamente a quei falchi del rigore che, neanche in una situazione come questa, hanno capito che siamo a un tornante storico. Di “minaccia per tutti” che richiede una solidarietà anche “nel comune interesse”, “prima che sia troppo tardi”.
Il Papa. Il Capo dello Stato. Sia detto senza alcuna enfasi, è davvero un’immagine storica, nel giorno in cui si registra un nuovo picco dei morti, che dà il senso dell’unicità e della drammaticità della situazione.
Sottolineata dalla contemporaneità delle due “preghiere”. Mai il Papa è stato “costretto” a rinunciare al rapporto con il suo popolo, soprattutto nei momenti in cui, come nel brano del Vangelo letto, si sente smarrito come i discepoli quando in barca sono sorpresi da una improvvisa tempesta: Gesù dorme e loro, prima che le acque si calmino vacillano.
Quelle “fitte tenebre” che nel discorso del capo dello Stato sono le “immagini di questi giorni che sarà impossibile dimenticare”. Parole semplici, crude, realistiche. Semplicemente la verità delle cose, senza illusioni sulla durata, senza rimozioni, senza l’ansia di tranquillizzare, senza rassicurazioni di circostanza, senza paternalismo: le comunità spezzate, la strage di anziani in alcune aree del paese, l’impossibilità di avere un corpo da piangere. Mattarella parla senza aggettivi e con parole misurate: non un solo aspetto del dolore è taciuto o eluso.
In questo realismo e, perchè no, in questa drammatizzazione intesa come rappresentazione di una realtà che è drammatica in sè, c’è tutto il senso di una profonda sollecitazione, che impegna il paese, con consapevolezza e facendo ricorso a tutte le energie di cui è disponibile.
C’è il senso di una paura che avvolge l’Italia, dell’epidemia ma anche della carestia, del non farcela, e dei primi segnali di inquietudine sociale che si manifesta nell’assalto ai supermercati, nel “terrore dei soldi”, nell’angoscia degli lavoratori che attendono notizie sulla cassa integrazione.
Davanti all’ignoto la preghiera cattolica sta nella riscoperta di Dio, nel non smarrire il senso della solidarietà proprio nel momento della solitudine, la fede come risposta alla paura. La riscoperta che “siamo una cosa sola” e che “nessuno si salva da solo”.
Ed è il significato profondo delle parole del capo dello Stato, a partire dal riconoscimento dello sforzo straordinario che stanno compiendo medici e infermieri, forze dell’ordine e amministratori, operatori dei servizi e delle attività essenziali. I famosi eroi di tutti i giorni che, ricorda Francesco, “non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste nè nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia”.
L’ecumenismo di una sponda del Tevere è un tutt’uno con l’afflato “unitario” dell’altra sponda. Unità , parola che in tempi normali scivola come omaggio formale, come bon ton di fronte a una politica litigiosa e scomposta è invece un fatto impegnativo, nel senso che impegna la volontà di ognuno. Non è data, si costruisce.
E in tal senso il discorso di Mattarella è davvero un discorso dell’unità nazionale, intesa come unità di un paese quando la posta in gioco è la sua stessa sopravvivenza, in cui nessuno può tirarsi fuori, “maggioranza, opposizione, soggetti sociali, governi dei territori”.
Un appello che va ben oltre questo gioco delle parti per cui uno prima si dice disponibile a collaborare col governo, poi propone l’uscita dell’Italia dall’Euro e l’altro offre un ascolto più formale che sostanziale.
La realtà , impone, da subito un salto di qualità , perchè non c’è un tempo per l’emergenza sanitaria e poi un tempo per l’emergenza economica, ma la crisi è un unico gorgo che rischia di risucchiare il paese se non si pone in essere, rapidamente, “ogni sforzo per non lasciare indietro nessuno”. Tutto il possibile.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
IL VIDEOMESSAGGIO ALLA NAZIONE
“Nell’Unione Europea la Banca Centrale e la Commissione, nei giorni scorsi, hanno assunto importanti e positive decisioni finanziarie ed economiche, sostenute dal Parlamento Europeo. Non lo ha ancora fatto il Consiglio dei capi dei governi nazionali. Ci si attende che questo avvenga concretamente nei prossimi giorni”.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si rivolge agli italiani nel mezzo dell’emergenza coronavirus. E bacchetta chi in Ue non ha contribuito al raggiungimento di un accordo. ″Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse”, ha continuato il capo dello Stato.
Agli italiani Mattarella ha detto: “Mi permetto nuovamente, care concittadine e cari concittadini, di rivolgermi a voi, nel corso di questa difficile emergenza, per condividere alcune riflessioni – ha detto il capo dello Stato in un videomessaggio – Ne avverto il dovere. La prima si traduce in un pensiero rivolto alle persone che hanno perso la vita a causa di questa epidemia; e ai loro familiari. Il dolore del distacco è stato ingigantito dalla sofferenza di non poter essere loro vicini e dalla tristezza dell’impossibilità di celebrare, come dovuto, il commiato dalle comunità di cui erano parte. Comunità che sono duramente impoverite dalla loro scomparsa”.
Dopo aver ringraziato medici e infermieri, e tutte le persone che sono in prima linea nella lotta al Covid-19, ha fatto riferimento alle misure di contenimento del contagio: ″Vorrei ringraziare tutti voi. I sacrifici di comportamento che le misure indicate dal governo richiedono a tutti sono accettati con grande senso civico, dimostrato in amplissima misura dalla cittadinanza”.
(da agenzie)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
L’ITALIA ORMAI DIPENDE DA BCE ED EUROPA
Escono le prime stime sull’andamento del Pil italiano e com’era prevedibile sono terribili. L’epidemia e il conseguente lock down del Paese stanno colpendo duro l’attività produttiva, conseguentemente crollano l’occupazione e i redditi, si azzerano gli investimenti, chiudono molte aziende.
Nei giorni scorsi era stata Goldman Sachs a squillare l’allarme con una previsione di decrescita dell’11 per cento nel complesso di quest’anno.
Oggi è Prometeia a proiettare un ombra di cupo pessimismo sugli andamenti dell’economia nazionale. Il centro studi bolognese, anche nell’ipotesi che potrebbe rivelarsi ottimistica di una “lenta e selettiva riduzione dei blocchi produttivi a partire da inizio maggio”, prevede una caduta del Pil del 6,5 per cento quest’anno e una graduale ripresa a partire dall’autunno che porterebbe a un rimbalzo del 3,6 per cento nel 2021. I mesi più difficili saranno quelli del primo semestre 2020 quando la decrescita potrebbe arrivare al 10 per cento.
La recessione si abbatterà sui vari settori con intensità variabile, colpirà soprattutto il turismo e i trasporti meno la manifattura e all’interno di quest’ultima i suoi segmenti produttivi in maniera diversificata. Anche The European house-Ambrosetti infine prevede una contrazione in una forbice tra il -3,5% e il -11,5%. Questo lo scenario.
Prometeia e Ambrosetti fotografano tuttavia una situazione in movimento. Le previsioni hanno un grado di affidabilità relativo in questa fase e le cose potrebbero rivelarsi migliori ma anche peggiori.
Forse è anche inutile ripeterlo, l’Italia è giunta al tragico appuntamento con il Coronavirus come un corridore già in affanno, avendo alle spalle due trimestri di crescita negativa e la prospettiva di un più 0,2 per cento nel 2020, un deficit pubblico abbastanza sotto controllo ma un rapporto debito Pil del 135 per cento in aumento. L’uragano Covid-19 ci pone ora nella condizione meno desiderabile tra tutti i paesi europei.
L’Italia non ha lo spazio fiscale sufficiente per sostenere l’aumento della spesa sanitaria e reflazionare l’economia. Altri, come la Germania e la Francia soprattutto, ma perfino la Spagna, con un debito inferiore al 100 per cento de Pil, ce l’hanno. Il Paese, questa è la verità , non ha profittato delle fasi in cui le vacche erano grasse per mettere fieno in cascina e ora ne paga le conseguenze.
L’Italia per reggere l’onda d’urto provocata dal virus ha bisogno che si realizzino due condizioni: un livello dei tassi d’interesse sui Btp abbastanza basso da indurre i mercati a considerare sostenibile il debito pubblico italiano e una iniezione di capitali a basso costo forniti da una qualche istituzione europea.
Per questo la madornale gaffe commessa da Christine Lagarde due settimane fa ha determinato la discesa in campo addirittura del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E sempre per questo il premier Conte e il ministro Gualtieri, con l’aiuto di Madrid e Parigi, stanno disperatamente cercando di convincere, finora con scarso successo, i partner europei ad accettare che il Mes (Meccanismo europeo di stabilità ) lanci una emissione di Corona Bond, in sostanza eurobond garantiti da tutti i paesi ma destinati a sostenere finanziariamente quelli più i difficoltà . In pratica una forma di mutualizzazione del debito.
Finora è stata soddisfatta la prima condizione. La Bce ha cambiato rotta rispetto alle prime mosse e Madame Lagarde si è rivelata per quello che è, una colomba. I massicci acquisti di titoli di Stato italiani da parte dell’Eurotower hanno già portato a una significativa marcia indietro dello spread che pare destinata a proseguire.
Ma la realizzazione della seconda condizione è andata a sbattere contro il muro di ghiaccio dei falchi, quei paesi del nord europei guidati dalla Germania che non vogliono pagare per il debito altrui.
Conte e il premier spagnolo Sanchez hanno puntato i piedi al summit dei capi di Stato di mercoledì e ogni decisione è stata rinviata. Ma è difficile che il muro dell’opposizione nord europea cada. Più probabile che si apra un varco, la via vero un compromesso che potrebbe anche essere onorevole per l’Italia: il Mes allarga i cordoni della borsa ma chi riceve un prestito si deve sottoporre a una condizionalità attenuata rispetto a quella originariamente prevista.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
LA STRUGGENTE PREGHIERA SOLITARIA DEL PAPA SUI LASTRONI BAGNATI DI PIAZZA SAN PIETRO
Sui lastroni bagnati sotto il cielo plumbeo, e freddo, il Papa, il Pescatore, appare solo. Il vestito bianco contrasta come non mai con quei lastroni grigi, bagnati e scivolosi.
Mai nella storia la benedizione Urbi te Orbi (alla città di Roma e al mondo) con il santissimo Sacramento è stata accompagnata da un’indulgenza così plenaria e così straordinaria. Un’indulgenza per credenti e non credenti che, perchè sia efficace, basta averla desiderata.
Per il resto, ad avere fede è stato lui, Francesco. È stato lui ad averci accompagnato tutti nella preghiera davanti all’altare “con la fede rocciosa di Pietro”.
Sul sagrato di Piazza San Pietro è come se già fosse stato celebrato il tributo Pasquale. Il Giovedì Santo con il canto millenario composto da San Tommaso D’Acquino, il Tantum Ergo; il Venerdì Santo con l’esposizione del Crocifisso miracoloso che salvò Roma dalla peste nel 1522, fatto trasportare dal Papa quasi in una nascosta via Crucis, dalla Chiesa di San Marcello al Corso fino in Vaticano.
E infine le campane della basilica sciolte a distesa, a festa. C’è un contrasto totale tra il bianco dei paramenti del Pescatore (si chiama appunto anello del Pescatore, quello che il Papa indossa appena eletto e che verrà distrutto alla sua morte) e il grigio delle pietre bagnate del sagrato e delle colonne della basilica.
Non ci sono fedeli, non ci sono pellegrini. Non ci sono colori, non ci sono fiori. Ma è comunque una Pasqua. Un “passaggio” è stato consumato: dalla morte (fisica e spirituale) a una speranza di vita, racchiusa nella gloria dell’oro dell’ostensorio e dell’oro del panno che copre il corpo di Cristo sulla croce, bagnato dal sangue delle ferite e dai rigagnoli di pioggia che cadono fino a terra. Lì accanto l’immagine antichissima della Madonna Salus populi romani.
Il brano scelto per la lettura del Vangelo è quello famoso della barca degli apostoli che sta per essere travolta dalla tempesta, mentre Gesù a poppa (che – ricorda il Papa – è “la parte della barca che affonda per prima”) dorme e i discepoli disperati lo svegliano chiedendogli di salvarli, sono perduti. E lo rimproverano: “Non ti importa di noi?”. Gesù sedata la tempesta rimprovera i suoi perchè non hanno ancora fede.
Anche in queste settimane “una tempesta inaspettata e furiosa”, la tempesta del coronavirus, si è abbattuta sulla barca dell’umanità . Il tempo della prova, dice il Papa, “non è il tempo del Tuo giudizio, ma del nostro giudizio”, di ciò che conta veramente per noi, del nostro giudizio di valore, il tempo della conversione, di “reimpostare la rotta della vita verso di Te”, il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. Noi che ci sentivamo “forti e capaci di tutto”, che “non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami”, “ abbiamo proseguito imperterriti”. Ingannati dai nostri stessi “trucchi”. Presi “dall’affanno di onnipotenza e di possesso”, abbiamo tagliato le nostre radici, abbiamo scartato quegli ultimi da cui adesso dipende la nostra vita, le persone più semplici e generose che si prodigano per aiutare, assistere, curare, dai medici alle badanti, ai trasportatori .
“La tempesta – dice – smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità . Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità . La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità ”. Oggi noi abbiamo scoperto, sostiene Francesco, che nessuno si salva da solo, che dobbiamo remare insieme.
Ancora: “Siamo andati avanti a tutta velocità , sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.
Dopo le litanie recitate, per invocare la fine di tutti i mali che ci opprimono, davanti al sagrato vuoto, al mondo vuoto e stranamente silenzioso, davanti alla notte, il Papa innalza l’Ostensorio, come se si fosse prossimi alla fine del mondo. Le campane suonano distesa, ma il loro suono si intreccia con le sirene, con le sirene delle ambulanze.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
“OCCORREVA PREVEDERE L’ARRESTO IN FLAGRANZA DI REATO PER CHI METTE A RISCHIO LA SALUTE PUBBLICA E IL SEQUESTRO DEL MEZZO”
Le sanzioni per chi viola le limitazioni agli spostamenti stabilite dal governo non sono sufficienti. Ci voleva più coraggio e consentire, come il nostro ordinamento giudiziario già prevede per reati ben meno gravi, la possibilità dell’arresto in flagranza di reato per chi viola gli obblighi della quarantena ed è dunque accusato di delitto colposo contro la salute pubblica.
E’ l’analisi del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che apre un dibattito sull’adeguatezza delle sanzioni decise nel decreto legge del 25 marzo.
“A fronte del susseguirsi di decreti e circolari in tema di contenimento dell’epidemia da Convid-19, una vera e propria sovrapposizione di “grida manzoniane” – dice Patronaggio -, il cittadino, ma anche l’operatore professionalmente più qualificato, si trovano sempre più spesso disorientati.
“In ultimo, il DPCM del 25 marzo, che ha depenalizzato, di fatto, l’inosservanza al divieto di uscire da casa, induce grandi perplessità . Se è vero, come è vero, che in un sistema giuridico la sanzione penale è quelle più grave e maggiormente afflittiva (si pensi, senza alcuna condivisione, che in Cina i contravventori al divieto di uscire di casa venivano arrestati e deportati in luoghi lontani dai centri abitati), non si comprende come a fronte di un fenomeno così grave e diffuso, si sia scelta la strada della sanzione amministrativa, non prevedendo, fra le altre cose, il sequestro dell’automezzo del contravventore”.
“Il legislatore – è l’analisi del procuratore di Agrigento – avrà pensato, nella sua discrezionalità , che qui non si vuole mettere in discussione alcuna ma che non può andare esente da ragionate e misurate critiche, che la sanzione amministrativa pecuniaria di importo elevato fosse un deterrente maggiore della sanzione penale prevista dall’art. 650 c.p., o a maggior veduta, dall’art. 260 del T.U. delle Leggi Sanitarie. Invero, in tale ragionamento vi è una errore di prospettiva, non essendosi riflettuto sulla circostanza che “quello che è uscito dalla porta ritornerà dalla finestra”: Si pensi infatti che non solo le Prefetture, organo deputato alla inflizione della sanzione amministrativa, saranno ingolfate ma lo sarà inevitabilmente (e probabilmente inutilmente) anche il sistema giustizia perchè numerosissimi saranno i ricorsi al giudice di pace avverso la sanzione amministrativa erogata”.
Sequestro di auto e moto e arresto in flagranza, secondo il magistrato, sarebbero stati invece opportuni.
“Non avere previsto il sequestro del mezzo da affidare in custodia allo stesso contravventore – sostiene il magistrato – è stato un errore di valutazione, se solo si pensi che la violazione del sequestro amministrativo sfocerebbe inevitabilmente nel reato di cui all’art. 334 c.p. . La strada da percorrere era forse quella coraggiosa, e forse impopolare, della introduzione di una nuova fattispecie penale, punita con la pena della reclusione (si sarebbe così alzato il livello della prescrizione incombente fin dal loro nascere sui previsti reati contravvenzionali ) con la possibilità di arresto facoltativo da parte della polizia giudiziaria, da scontare agli arresti domiciliari (art. 381 c.p.p.). Le garanzie per il cittadino-indagato sarebbero state affidate alla stessa polizia giudiziaria, in prima battuta, e al P.M. in fase immediatamente successiva, che avrebbero valutato la gravità della infrazione in relazione alla pericolosità dell’indagato desunta dalla sua personalità e dalle circostanze del fatto, ordinandone l’immediata liberazione in tutti i casi di errata o infedele applicazione della norma” .
“Il ricorso all’arresto facoltativo in flagranza di reato, da scontare agli arresti domiciliari (del resto oggi tutti i cittadini ligi alla legge lo sono di fatto), non deve scandalizzare se solo si rifletta sul fatto che appare ben più grave mettere in pericolo la salute dei propri concittadini che rubare al supermercato, truffare qualcuno attraverso una falsa inserzione pubblicitaria o appropriarsi dei beni di un socio – osserva il procuratore di Agrigento – E’ possibile che dietro le scelte del legislatore vi sia una latente sfiducia nella magistratura inquirente e una complessiva inaffidabilità del sistema repressivo penale, dove sempre più spesso le pene inflitte non vengono espiate dando luogo a quella elusione della effettività della sanzione penale di cui si è molto discusso nel corso di questa legislatura.
La magistratura e la società tutta, devono prendere spunto da questa grave vicenda emergenziale per affrontare un nodo irrisolto della odierna vita politico-sociale: il sistema giustizia è in grado di affrontare gravi problemi di sicurezza nazionale?
Ieri l’altro il terrorismo e la mafia, e ancora ieri la corruzione ed oggi il contenimento dell’epidemia, ovvero si deve continuare a procedere senza progettualità e senza convergenze di energie e di saperi, lasciando il contrasto a gravi fenomeni criminali a politiche talvolta incerte e contraddittorie? Arrestare l’epidemia è un obbligo che oggi non può essere eluso: ognuno con i suoi strumenti e i suoi mezzi, con estrema fermezza ma sempre nel rispetto delle garanzie e delle libertà democratiche”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
SE TOTI E BUCCI VOGLIONO INAUGURARE AD OGNI COSTO IL PONTE PER FINI ELETTORALI CI VADANO LORO IN CANTIERE, E’ ORA DI FINIRLA DI METTERE A RISCHIO I LAVORATORI
Dopo il primo caso di Covid-19 al cantiere del nuovo ponte di Genova i lavori hanno già subito un contraccolpo. L’operaio, un uomo di Reggio Emilia, è dipendente della Fagioli, una delle aziende principali in azione sul viadotto.
L’uomo è isolato e in cura in albergo, i 49 colleghi sono stati rintracciati e messi in quarantena per due settimane
Intanto un secondo operaio, dipendente di una ditta di pitturazioni, ha la febbre: sono scattati ulteriori controlli
Questa mattina si è tenuta una videoconferenza tra i costruttori e i sindacati, mentre nel pomeriggio, se ne svolgerà un’altra tra sindacati confederali, di categoria e struttura commissariale
Il consorzio PerGenova, in accordo con i protocolli sanitari applicati dalla Asl, ha dato avvio a una sanificazione ancora più approfondita rispetto a quella che veniva effettuata già nei giorni scorsi e che interessa gli spazi comuni come docce, mense, spogliatoi e mezzi di lavoro
In queste ore gran parte delle lavorazioni sono sospese a causa delle forti raffiche di vento.
«Sappiamo che questo cantiere è un simbolo per tutta Italia ma in questo momento va messa al primo posto la salute dei lavoratori»: così Federico Pezzoli, segretario generale della Fillea Cgil di Genova ribadisce, alla luce del primo caso di Covid nel cantiere del ponte di Genova, un concetto espresso da giorni dai sindacati di categoria. «Non ci interessa se si tratterà di rinviare di un mese il taglio del nastro, diciamo da giorni che bisogna rallentare se non fermare i lavori, adesso accadrà volenti o nolenti» afferma. I sindacati non hanno apprezzato che la notizia del contagio sia arrivata durante la conferenza stampa della Regione in diretta Facebook.
(da agenzie)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
EUROBOND O PIANO B?
Entro la fine della prossima settimana l’Italia pretende «una soluzione adeguata alla grave emergenza che tutti i Paesi stanno vivendo».
Il governo italiano chiede di mutualizzare in tutta Europa il debito (e quindi i suoi interessi) che gli Stati dovranno per forza fare per affrontare l’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19.
Questo perchè gli Stati possono sì oggi aumentare ciascuno il proprio debito, ma domani, finita l’emergenza, dovranno ripagarlo e rischiano di dover varare manovre lacrime e sangue per poterlo fare.
Invece se si emettesse debito europeo attraverso una delle formule che implicano la partecipazione del Fondo Salva Stati e del MES la condivisione del debito nell’intera Europa in primo luogo abbasserebbe gli interessi sullo stesso e in secondo luogo renderebbe più agevole ripagarlo o trattare per dilazioni in caso di estrema necessità .
In questa posizione, Conte non è solo. Ieri, raccontano le cronache del summit, per sei ore ha portato avanti l’affondo insieme allo spagnolo Pedro Sanchez. E a chiedere gli Eurobond per reagire alla recessione da Covid-19 c’erano anche Emmanuel Macron, il portoghese Antonio Costa e poi ancora i leader di Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Slovenia e Grecia, ovvero il gruppo dei nove autore della dirompente lettera della vigilia con la quale chiedevano di sfatare il tabù dei titoli a dodici stelle.
Sull’altro fronte l’austriaco Sebastian Kurz, l’olandese Mark Rutte e gli altri falchi del Nord che vogliono rinviare ogni decisione. Coperti da Angela Merkel. Finisce con un compromesso: entro due settimane arriverà un piano Ue. Ora la lotta si sposterà sui contenuti.
Racconta oggi Repubblica:
Conte blocca il summit, rifiuta di dare il via libera alle conclusioni, di fatto un veto, fino a quando non saranno stati fatti passi avanti. Il vertice doveva finire alle sette del pomeriggio, dura fino alle dieci di sera. I nordici cercano di allungare i tempi di una qualsiasi decisione europea senza dare date precise. I mediterranei spingono: entro la prossima settimana. Dopo sei ore di discussioni si trova il compromesso che recita così: «L’Eurogruppo (i titolari delle Finanze, ndr) entro due settimane porterà le sue proposte tenendo in conto la natura senza precedenti della crisi». I rigoristi insistono per limitare queste idee all’uso del Mes, sul quale hanno sempre l’arma della condizionalità per mettere la mordacchia agli altri. Tanto che Merkel dirà : «Noi preferiamo il Mes». I mediterranei vogliono allargare il mandato dei ministri fino agli Eurobond.
Passa la via di mezzo: non viene citato alcuno strumento e ci si affida al presidente del Consiglio europeo Charles Michel che insieme a von der Leyen, Sassoli, Lagarde e Centeno tra 14 giorni porterà un “Piano Ue per la ripresa”. Cosa ci sarà dentro è tutto da vedere. La battaglia prosegue.
Il piano B dell’Italia con Cassa Depositi e Prestiti
La Stampa racconta oggi che di fronte alle resistenze dei partner Ue, mentre seguiva il filo di un discorso duro e angosciato, ha minacciato: «Tenetevi i soliti aiuti». «Faremo da soli, spenderemo quanto serve» ha rilanciato Luigi Di Maio. Ma che significa fare da soli?
Fonti interne al governo spiegano che i piani sono molteplici, ma con un protagonista in comune: Cassa depositi e prestiti.
Nelle ultime ore i contatti tra Cdp, Tesoro, Bankitalia sono continui e frenetici perchè c’è da superare una sacca di resistenza tra i funzionari della vecchia guardia di via XX Settembre. La storia è semplice.
La Germania ha messo 150 miliardi di maggiore spesa pubblica, il doppio dell’Italia. Non solo: è pronto un pacchetto di circa 400 miliardi di garanzie pubbliche ai prestiti, ai quali si aggiungono i 100 miliardi della Kfw, la banca pubblica che, al netto delle differenze di costituzione (non ha in pancia il risparmio postale dei cittadini), è la Cdp dei tedeschi. Quello è il modello. Quella anche la cifra. 100 miliardi.
Ma a oggi è solo un traguardo. Perchè nero su bianco il Mef ha messo solo 500 milioni che con la leva finanziaria valgono i 10 miliardi di Cdp. In una catena di garanzie statali che attivano controgaranzie, quelle risorse servono a liberare liquidità . Questi più altri sette di plafond per facilitare l’accesso al credito corrispondono al totale — 17 miliardi — delle misure attivate a sostegno delle imprese da Cdp assieme a Sace Simest. Fatti due semplici conti, il Tesoro dovrebbe mettere venti volte tanto, cioè dieci miliardi di garanzia per ottenere con l’effetto leva i 100 miliardi di controgaranzie della banca controllata dal ministero.
In questa fame di liquidità , Cdp è in grado di offrire tempi più rapidi rispetto ad altri fondi dello Stato, come quello a garanzia delle piccole e medie imprese, appeso alle lungaggini dei decreti attuativi.
Altro strumento di Cdp che stuzzica il governo nella ricerca disperata di fonti di finanziamento del debito, sono i Basket bond, mini-bond di distretto emessi dalle imprese per soddisfare la necessità di finanziamento a medio-lungo termine.
Il punto però è sempre lo stesso: basteranno?
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA A ENRICO BUCCI, DOCENTE DI BIOLOGIA DELLA TEMPLE UNIVERSITY: “NON CAPISCO L’UTILITA’ DEL RITO SERALE DELLA PROTEZIONE CIVILE”… “IL PICCO? IMPOSSIBILE FARE PREVISIONI”
Picchi e cali? Prevederli “è impossibile”, dice subito Enrico Bucci.
I dati registrati sono poco indicativi della situazione dell’andamento del contagio da Covid-19 nel nostro Paese e il professore di Biologia dei sistemi alla Temple University di Philadelphia, da giorni impegnato nello studio dei numeri di contagiati, guariti, deceduti in Italia in seguito all’epidemia da Covid-19, ammette di chiedersi che senso abbia la conferenza stampa della Protezione civile, ogni giorno alle 18. Si domanda, Bucci, come “questo rito serale possa risultare utile” in una situazione, come quella determinata dalla circolazione del virus in Italia, in cui a differenza di quanto accade negli altri Paesi, ci sono “tanti focolai, che se non contenuti – precisa – matureranno a tempi diversi, prolungando la crisi”. Impossibile, dunque, fare pronostici sulla fine dell’incubo in cui il Covid-19 ha precipitato il Paese, anche se a furia di “previsioni utilizzando dati intrinsecamente inutili allo scopo, un giorno qualcuno avrà indovinato e sarà felice di poterlo dire al mondo. Nelle lotterie c’è sempre un vincitore”.
Professor Bucci, è assodato che il numero dei contagiati è più alto di quello registrato e comunicato ufficialmente. Per il capo della Protezione civile, Borrelli, e diversi scienziati è “credibile” il rapporto di uno a dieci – un malato certificato ogni dieci non censiti. Lei concorda?
Diciamo che più che concordare io, sono altri ad aver raggiunto le stesse conclusioni cui da tempo siamo giunti insieme al gruppo di colleghi con cui dal primo momento analizziamo il contagio italiano.
“I dati in arrivo dalla Lombardia sono ormai inutilizzabili, la situazione è fuori controllo”, ha dichiarato qualche giorno fa. Il governatore Fontana si è detto preoccupato. È proprio impossibile interpretare l’andamento nel nostro Paese di questa pandemia che sta sconvolgendo il mondo?
Ciò che è impossibile è fare previsioni che non siano qualitative; per esempio affermando che picchi o cali siano in vista ad una certa data. I dati, per intrinseche limitazioni alla loro qualità , permettono solo di prevedere che certe misure sono opportune, che la fase dell’epidemia in una data regione è iniziale o più avanzata, che si stanno o meno effettuando test in numero ragionevole e poche altre cose.
Se i dati non sono indicativi, che senso ha la conferenza stampa, ogni giorno alle 18, della Protezione civile?
Me lo chiedo anche io, forse perchè per mia limitazione non colgo il significato che per la politica può avere comunicare dei numeri – qualunque numero – e non mi capacito di come questo rito serale possa risultare utile a scopi diversi da quelli dall’analisi quantitativa.
Poi c’è la questione dei tamponi, eseguiti con modalità disomogenee e criteri diversi a seconda delle Regioni.
In qualche Regione, come la Lombardia, ci sono state anche contemporaneamente direttive contraddittorie, provenienti dalla Regione e dallo Stato, per decidere chi campionare e su quale base eseguire i test.
A proposito dei tamponi, Fontana oggi ha parlato di “speculazioni vergognose”, ricordando che, da indicazioni dell’Iss, vanno fatti solo ai sintomatici. Eppure, come ha ricordato il virologo Pregliasco, studi effettuati a Vo’ Euganeo hanno dimostrato che il 75% dei contagiati era asintomatico. Insomma, ha senso fare i tamponi in maniera mirata o bisogna farli in modo, per così dire, più esteso?
“Dipende dalla situazione in cui ci si trova. Quando si ha a che fare con un piccolo focolaio – un focolaio cioè che può essere devastante, ma è ristretto a livello locale – il sistema di campionamento estensivo e tracciamento va benissimo; e può contenere l’epidemia. Quando però cominciamo ad avere un’epidemia territorialmente molto diffusa, come in Lombardia (ricordiamo che qui il virus circola almeno da dicembre), allora è necessario indirizzare tutti gli sforzi sulla diagnosi clinica dei pazienti da curare e sulla protezione del personale sanitario e non impegnato sul fronte del contenimento”.
Per quale ragione?
La ragione è semplice: o riusciamo a tracciare e bloccare un’epidemia prima che la crescita esponenziale diventi troppo ripida, quando abbiamo risorse sufficienti a tracciare tutti, o è meglio concentrarsi sullo sforzo clinico.
Atteso, dunque, che i positivi al tampone non ci danno alcuna idea di quanti essi siano in realtà , esiste un modo per stabilire quanti sono i contagiati nel nostro Paese?
Nelle fasi non troppo avanzate, si possono seguire i ricoveri in terapia intensiva e i decessi, perchè facendo ragionevoli assunzioni sulla proporzione tra questi e gli infetti, sulla base di quanto osservato in altri Paesi, si può ricavare il numero degli infetti. Un modo del tutto alternativo consiste nell’esaminare la differenza genetica tra gli isolati di virus italiani: quanto più sono diversi, tante più persone devono essere state infettate per dar luogo alle divergenze osservate.
In Italia l’epidemia sembra procedere a macchia di leopardo. Lei è riuscito a farsi un’idea sull’andamento del contagio?
Procede a macchia di leopardo perchè, come affermato da tutti gli esperti e noto da tempo, l’epidemia si dissemina in un primo momento seguendo gli spostamenti su lunga distanza soprattutto per motivi professionali e commerciali, ed in un secondo momento cresce laddove si innescano focolai in maniera molto più localizzata attraverso i contatti sociali.
Professore Bucci, da noi l’epidemia si sta diffondendo a velocità maggiore che in altri Paesi?
In generale, con l’eccezione di alcuni Paesi, direi di no.
Perchè non riusciamo a contenerla?
I motivi sono molti, e vanno dalle caratteristiche di infettività del virus, alla sua tardiva identificazione (si è pensato che controllare gli arrivi dall’estero solo da una certa data in avanti fosse sufficiente, sperando irrealisticamenteche il virus non fosse ancora arrivato), fino ad arrivare alle caratteristiche del nostro sistema sanitario, non concepito per contenere malattie infettive nè per fronteggiarle.
Ogni giorno si annuncia una data sul picco dei contagi. Si possono fare previsioni realistiche sui tempi?
L’unica previsione realistica è che, a forza di avere centinaia di modellisti impegnati ogni giorno a produrre previsioni utilizzando dati intrinsecamente inutili allo scopo e a correggere le proprie previsioni di pochi giorni prima, un giorno qualcuno avrà indovinato e sarà felice di poterlo dire al mondo. Nelle lotterie c’è sempre un vincitore.
Una delle espressioni più frequenti dell’Italia chiusa in casa è “quando tutto questo finirà ”.
Si può solo guardare ad altri Paesi, e dire che il peggio in singoli focolai è passato in circa due mesi; in Italia, però, abbiamo tanti focolai, che se non contenuti matureranno a tempi diversi, prolungando la crisi.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 27th, 2020 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI UNA INFERMIERA
“Siamo diventati carne da macello. È uno schifo quello che sta accadendo. La gestione del Cardarelli è fallimentare. Così come inizialmente è stata la Lombardia, accadrà lo stesso per la Campania: faremo gli stessi morti e pure di più della Lombardia! E ci contageremo tutti, come birilli“.
La voce, indignata e allo stesso tempo impaurita, è di un’infermiera dell’ospedale Cardarelli di Napoli, che preferisce restare anonima e denuncia a TPI che “sta per scoppiare una bomba-contagio da Coronavirus”, proprio lì, nel più importante polo sanitario del Mezzogiorno.
In Campania i casi sono saliti sopra i 1.400: lo ha comunicato nell’ultimo bollettino l’Unità di Crisi della Protezione Civile regionale. 145 positivi in un solo giorno, record di aumento dei contagi da quando l’epidemia è partita anche qui, su 1.061 tamponi analizzati. Per quanto riguarda i decessi, invece, il numero è salito a 84, mentre le persone guarite sono 58.
L’emergenza Coronavirus è piombata su una sanità campana già al collasso, dove la carenza di medici è strutturale. Il Covid-19 è una tragedia che si abbatte su ospedali dove il personale sanitario non è sufficiente per curare i malati.
“Il 30 per cento dei medici sono contagiati glielo dico io — spiega l’infermiera nell’audio shock che TPI ha potuto ascoltare — Per esempio c’è un medico che da 8 giorni sta a casa, con la febbre alta e una bambina di 20 mesi. E non gli vanno a fare il tampone. Siamo al paradossale! Un altro OSS ha la moglie che lavora in tribunale e è risultata positiva ma lui ha continuato per giorni ancora a venire a lavorare e ha disseminato magari il virus. Due infermieri, entrambi con la febbre forte a casa per quattro giorni. A una di loro hanno fatto il tampone solo quando l’hanno dovuta portare in terapia intensiva… Vi rendete conto?!”.
L’unica misura che è stata presa finora, confermano a TPI dalla direzione sanitaria del Cardarelli, è il blocco in entrata e uscita della Medicina d’urgenza (per cautela, dopo la positività del primario) e la chiusura per la mattinata del pronto soccorso per interventi di sanificazione.
Il problema è l’isolamento dei contagi che non avviene: “Abbiamo fatto una rivolta per far fare i tamponi ai medici con sintomi sospetti, ma niente. Li negano ripetutamente. Noi abbiamo questi potenziali focolai nella convivenza con pazienti a rischio, in più! I reparti stanno per scoppiare da quanto sono pieni”, sottolinea l’infermiera.
“Noi sanitari non ce la facciamo più — denuncia la nostra fonte — veniamo al Cardarelli con l’angoscia e la paura addosso. Fare il tampone significa capire e isolare i casi, invece qui non ci vogliono far capire e sapere niente. Siamo carne da macello, questo siamo”.
Questa mattina, venerdì 27 marzo, uno dei medici napoletani contagiati è morto per Coronavirus: è la 18esima vittima positiva al Covid-19 nella città Napoli. L’uomo di 65 anni era docente di Medicina interna all’università Federico II e responsabile del programma infradipartimentale di Emergenze cardiovascolari e complicanze onco-ematologiche dell’azienda ospedaliera universitaria.
Ma i medici contagiati sono oltre venti in tutto. E non solo al Cardarelli. Avevano fino all’altro ieri ruoli guida tra Monaldi, Pascale, Nuovo Policlinico (della Federico II) e Vecchio (Ateneo Vanvitelli): e oggi sono o ricoverati in reparto, o costretti a casa da sintomi tenuti sotto controllo.
Tutto in dieci giorni, tutto a partire dalla paziente “1”, in camice bianco, del Cardarelli. È la dirigente contro la quale sono state lanciate nelle ultime ore pesanti accuse via social: “rea” di rientrare da un presunto viaggio a Milano presso una delle sue figlie, senza senza mettersi in quarantena. “Tutto falso” , spiega invece la famiglia.
È cominciato tutto il 6 marzo scorso, infatti, quando la dirigente, primario della Obi (Osservazione breve intensiva) del più grande ospedale del sud, ha preferito rimanere a casa in preda ad un malessere che accusava da giorni; ma che, come sempre, non le aveva impedito di prestare il suo coordinamento in una divisione tanto impegnativa.
Poco dopo, la tosse, la febbre alta, poi la polmonite. Sua figlia M., avvocato, ora racconta in uno sfogo su Facebook: “Ho letto cose bruttissime sul web. Sì lo so, ho capito che dopo mia madre si sono ammalati tanti altri primari, sono stati contagiati uno dietro l’altro. Ma vogliamo dare la colpa a un primario che è in prima linea?”.
Dal 6 marzo, cominciano a “cadere” — chi con sintomi più gravi, chi con lieve febbre — gli altri medici. E alla responsabile della Obi, si aggiungono tra i positivi: il primario del Trauma center e il suo aiuto, il responsabile della Terza Medicina e quello dell’Urgenza, il primario della Endocrinologia e il dirigente “aiuto” dell’Ortopedia. Decapitati anche la Neurochirurgia e la Cardiologia riabilitativa, oltre a un infermiere.
Un bilancio già duro, che diventa allarmante se al numero dei camici bianchi contagiati — e ammalati — si aggiunge quello di operatori sanitari che hanno chiesto il congedo per malattia. Un numero impressionante. “Ben 249” , ha scritto nero su bianco, non senza provocare polemiche, il primario del Dipartimento delle Emergenze, il dottor Ciro Mauro.
Ma i 300 medici della task force, reclutati attraverso la call del ministero della Salute, andranno al momento solo al nord. Precisamente nelle tre province più colpite dalla pandemia di Bergamo, Brescia e Piacenza. L’infermiera ricorda un’inquietante verità : “Ci possono anche inviare mascherine e guanti, ma cosa ci facciamo se non ci sono medici?! Trascurare la Campania significa trascurare deliberatamente un pericolosissimo nuovo focolaio“.
(da TPI)
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