Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
“NON SAPEVO FOSSE PROIBITO”… E POI PRETENDIAMO CHE I CITTADINI COMUNI RISPETTINO LE ORDINANZE
«Non sapevo che a Villa Borghese fosse vietato correre e fare attività sportiva». Così il deputato di Forza italia, Valentino Valentini ha cercato di giustificarsi con le forze dell’ordine che domenica lo hanno sorpreso a correre a Villa Borghese, con tanto di tuta sportiva della Camera dei deputati.
Insomma, un nostro rappresentate, dal quale sarebbe lecito aspettarsi un comportamento esemplare in questi giorni difficilissimi, è stato trovato dalla polizia municipale di Roma ad infrangere le regole che in questi giorni tutti noi siamo chiamati a seguire per tuteleare la salute di tutti.
Soprattutto i runner negli ultimi giorni sono entranti nell’occhio del ciclone, tanto che da più parti si era chiesta una “stretta” contro chi – magari con la scusa di una corsa o di una passeggiata – poteva rendersi involontariamente oggetto della propagazione del virus.
Per questo negli ultimi giorni è entrato un vigore un decreto che vieta di fare sport all’aperto se non nelle vicinanze della propria abitazione, e la Sindaca di Roma Virgnia Raggi, con un’ordinananza, ha chiuso i parchi e le ville di Roma.
Il parlamentare, conseguentemente, è stato denunciato ai sensi dell’articolo 650 del codice penale per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità .
Valentino Valentini ha 57 anni, ne compirà 58 a giugno, ed è un parlamentare di lungo corso di Forza Italia. Vicinissimo a Silvio Berlusconi, di cui, dopo la vittoria elettorale del 2001, è diventato capo dell’ufficio del Presidente del Consiglio, consigliere speciale per le relazioni estere e tutor delle imprese italiane all’estero.
Valentino Valentini è inoltre divenuto noto al grande pubblico grazie a una celebre foto del 2016, in cui viene ritratto insieme a Silvio Berlusconi che, appena dimesso dall’ospedale San Raffaele, si appoggiò alla spalla del suo consigliere mentre si avvicina alla macchina. Valentini, nello scacchiere di Silvio Berlusconi è l’uomo chiave nei rapporti con la Russia, ma al tempo stesso in grado di tessere relazioni diplomatiche più che buone anche con gli Stati Uniti.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
SONO LA META’ RISPETTO A 20 GIORNI FA MA SONO LA DIMOSTRAZIONE CHE LA STRETTA DEL GOVERNO NON ESISTE NEI FATTI
Ancora oggi dopo decreti, ordinanze, circolari nazionali e locali ogni giorno in Veneto si spostano più di tre milioni di persone, esattamente 3,228.397.
Venti giorni fa però erano quasi il doppio, sfioravano i sei milioni i movimenti di coloro che in auto, a piedi prendendo il bus attraversavano città , comuni, province e alcuni andavano anche fuori dalla Regione.
“Abbiamo i dati perchè abbiamo iniziato a censire gli spostamenti, ovviamente in forma anonima, con il gestore telefonico Tim, e la mia ordinanza ha ridotto i transiti nel territorio regionale del 44,6%”.
Rivendica il presidente della regione, Luca Zaia, riferendosi all’ordinanza di venerdì 20 marzo, che impone la chiusura domenicale degli esercizi commerciali e che per portare a passeggiare il cane si debba rimanere entro 200 metri dalla propria abitazione mentre nel resto del paese ci si limita ad un più generico, “Nei pressi” di casa.
L’indagine sviluppata da Tim-Olivetti con l’Azienda digitale del Veneto e Azienda Zero, riguarda gli spostamenti tracciati dalla rete Tim, e segue un movimento quando da un punto di origine si esce fuori dalla propria cella telefonica e nel punto di destinazione si sta fermi per più di mezzora.
Un’indagine che fotografa una regione, racconta come ci comportiamo, cos’è cambiata la vita, gli spostamenti in Veneto dai primi del mese visto che le rilevazioni sono state fatte ogni lunedi dal 2,il 9, il 16 e infine il 23 marzo.
Il 2 marzo la situazione nella regione parla di 291 casi di pazienti contagiati dal Covid, di tre morti. Il turismo comincia ad andare in crisi e piovono le disdette anche per Venezia mentre i voli calano del 60 % e fioccano le prime multe perchè molti locali non rispettano le distanze di un metro
Quel giorno gli spostamenti furono quasi sei milioni nella regione: 5.834141, il 32% all’interno dei comuni, il 54% fuori, tra le province si muoveva il 10% dei veneti e un 3,4 continuava ad andare fuori dalla regione.
L’8 marzo arriva il decreto firmato dal presidente del consiglio Giuseppe Conte che chiude 14 province, le cosiddette zone rosse dalle quali non si può entrare ed uscire. In Veneto Venezia, Padova e Treviso sono arancioni, ovvero quelle da cui si può entrare e uscire per andare al lavoro o per motivi strettamente necessari; bar e ristoranti devono chiudere entro le 18. Nel resto del Veneto resta in vigore la distanza di un metro tra i clienti dei locali
L’effetto immediato c’è, ma meno di quello che sui potrebbe pensare, quasi mezzo milione di persone se ne restano a casa o comunque si registrano mezzo milione di spostamenti in meno: altre 5.386188 continuano a spostarsi, il 55 fuori dal comune, il 33 in città o nel paese dove vivono. Cala chi va fuori provincia, 8,8% e chi esce dal Veneto, 2,9%.
Passano i giorni, la situazione peggiora. Il bilancio del Covid in Veneto il 16 marzo è sempre più pesante, sono 2541 gli infetti, 77 le vittime e l’onda non accenna a fermarsi. Ma i comportamenti cominciano a cambiare e gli spostamenti scendono a 3.605.678: il 38,19 in meno rispetto all’inizio del mese.
Il 22 marzo arriva il decreto che vieta anche l’accesso ai parchi, ai giardini, concede i movimenti solo nei pressi di casa mentre nella regione Veneto l’ordinanza specifica: non si può andare a più di due cento metri dalla propria abitazione.
E si arriva cosi a un nuovo calo: 3.228. 397: che porta al 44,66 per cento in rispetto ai primi di marzo.
In pratica nonostante il coronavirus continui a dilagare un veneto su due continua a uscire e spostarsi sul territorio come se nulla fosse.
Figurarsi nelle altre Regioni…
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
CRITICHE PER LE SUE PAROLE SUI “CONTAGIATI REALI”, CONFUSIONE SULLE MASCHERINE CHE NON CI SONO
C’è un problema ai piani più alti, tra chi deve prendere le decisioni e gestire l’emergenza. Interviste discordanti, pareri diversi e soprattutto previsioni in contraddizione. Stefano Vaccari, responsabile dell’organizzazione del Pd, a metà giornata sbotta. In piena lotta al Coronavirus, i dem accusano il capo della Protezione civile Angelo Borrelli di parlare troppo mentre “in emergenza chi è a capo della catena di comando deve fare e parlare il meno possibile”. Si registra anche il passo in avanti di Goffredo Bettini, fra i dirigenti Pd più ascoltati da Nicola Zingaretti, che chiede “un tavolo di lavoro permanente che contribuisca a dirigere le operazioni da compiere, la cui responsabilità resta a capo degli organismi istituzionali preposti”.
A pesare, a far traboccare il vaso già abbastanza colmo, sarebbero state le polemiche degli ultimi giorni, ma soprattutto l’intervista rilasciata oggi a Repubblica dal capo della Protezione Civile. Una intervista intempestiva da parte di chi guida una macchina complessa come quella allestita alla Protezione Civile, viene spiegato, soprattutto se si “danno i numeri”, se alle cifre ufficiali se ne sostituiscono altre: non 63 mila contagiati in Italia, cioè quelli attuali, ma 600mila, quelli che potrebbero diventare. Un numero impressionante ma – viene osservato da una autorevole fonte del Pd — “difficilmente verificabile”.
Al di là dei numeri, c’è anche un altro tema, dai risvolti fortemente pratici e attuali. Il tema delle mascherine. “Non si può andare in guerra con la fionda”, si è detto più volte in queste settimane. Quindi, non si può combattere il Coronavirus senza i dispositivi di protezione, non essendoci peraltro neanche una cura o un vaccino per questo male. Negli ospedali mancano le mascherine, fondamentali per evitare il contagio. Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, sempre nell’intervista di oggi, ammette le difficoltà di approvvigionamento: “Dovremmo poter comprare i ventilatori da terapia intensiva nei supermercati, le mascherine ad ogni angolo e invece stiamo faticando”. Nello stesso giorno, però, sul Fatto Quotidiano il ministro degli Esteri Luigi Di Maio annuncia che l’emergenza mascherine è stata risolta. Qualcosa, quantomeno nella comunicazione, ancora una volta non quadra.
Borrelli sostiene anche che “mascherine dall’estero non ne arriveranno più”. Ciò che è certo è che ogni mese all’Italia servono cento milioni di mascherine ed è un dato dal quale non si può sfuggire in un momento in cui dagli ospedali arrivano urla disperate di medici che chiedono protezioni. Basti pensare che quasi cinquemila operatori sanitari sono stati contagiati. Quindi, mentre Borrelli dice che non arriveranno più mascherine dall’estero, Di Maio annuncia che è stato chiuso un accordo con la Cina per un totale di 100 milioni di mascherine, che nel tempo arriveranno. Oggi ne sono arrivate un milione e mezzo e nell’arco dei prossimi sette giorni si dovrebbe arrivare a un totale di 6 milioni. Bisognerà capire cosa succede nelle prossime settimane.
Il ministro degli Esteri è ottimista, Borrelli invece tutt’altro. E questo è stato un altro motivo di attrito. Il capo della Protezione Civile ha spiegato che “broker internazionali, e senza scrupoli, si presentano agli amministratori delle aziende medicali con la valigetta dei contanti. Accaparrano e vanno a vendere allo Stato che offre di più. Noi, per troppo tempo, ci siamo dovuti rivolgere alle strutture centralizzate degli acquisti pubblici, procedure lente”.
Parole pesantissime, corrette in parte dal commissario per l’emergenza Domenico Arcuri che ha parlato di speculatori e di guerra commerciale tra paesi in emergenza, ringraziando poi Di Maio per il lavoro fatto per reperire il materiale. Anche il ministro degli Esteri ha dovuto correggere le parole del capo della Protezione civile in questa confusione dentro la tolda di comando.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
L’OPINIONE DI BURIONI, PREGLIASCO E RICCIARDI
Gli scienziati italiani concordano con Angelo Borrelli.
Il capo della Protezione Civile ha affermato in un’intervista alla Repubblica che i contagiati dal Covid-19 in Italia sono molti di più di quelli registrati ufficialmente. È d’accordo Roberto Burioni, sono d’accordo Massimo Galli e Fabrizio Pregliasco, è d’accordo il professore Walter Ricciardi, membro dell’Oms e consulente del Governo. Insomma, la sottostima c’è, ma al momento non se ne conosce l’entità . Impossibile stabilirla con certezza.
Per Borrelli, “è credibile” il rapporto di uno a dieci – un malato certificato ogni dieci non censiti (ciò porterebbe la cifra ufficiale degli oltre 63 mila casi totali a più di 600 mila).
E se il direttore del dipartimento Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, intervenendo ad Agorà , ha definito “l’ipotesi di Borrelli molto vicino alla realtà , anche se non abbiamo dati sicuri per poterlo dire”, il virologo dell’Università San Raffaele di Milano, Roberto Burioni, utilizza lo stesso aggettivo scelto del capo della Protezione civile: “Borrelli ha dato un numero credibile, non mi stupirei se risultasse vero anche alla luce di valutazioni epidemiologiche più accurate – dice ad HuffPost – Da scienziato ho qualche difficoltà a mettere una cifra accanto a quest’affermazione, ma è fuor di dubbio che i malati sono molti di più di quelli censiti ufficialmente. L’infezione è molto estesa, lo si capisce anche dai numeri, assai rilevanti, relativi a ricoveri e morti”.
Ma, allora, ha senso continuare a dare i dati sul numero dei positivi ogni giorno nella conferenza stampa della Protezione civile?
“Non so come si potrebbe fare per avere dati più precisi e aderenti alla realtà – prosegue – Potremmo puntare sull’informatica, magari si potrebbe pensare a un sito oppure a una applicazione attraverso i quali le persone potrebbero segnalare di essere contagiate”, ragiona Burioni, che prima dell’esplosione di quella che l’Oms ha classificato come “pandemia” aveva più volte invitato a non sottovalutare il rischio coronavirus.
Ecco, a tal proposito, le misure assunte dal Governo bastano o servono altri provvedimenti?
“Non vedo cosa si possa fare più di quello che è stato già fatto – risponde Burioni – Adesso la responsabilità è individuale. Spero che ognuno di noi abbia compreso l’importanza di stare in casa per scongiurare il rischio di contagio, per sè e per gli altri”. Quanto all’inversione di tendenza “è presto per parlarne, lo si potrà fare tra qualche giorno e speriamo di avere buone notizie”.
Dello stesso avviso, il virologo dell’Università di Milano, Fabrizio Pregliasco, che definisce “verosimile” il rapporto tra malati e censiti indicato da Borrelli. “In qualsiasi epidemia – sottolinea – ancor di più per una patologia molto sfumata come questa, i casi notificati sono sottostimati. Si va da cinque volte a un numero più alto”.
Vale a maggior ragione per la diffusione del contagio da Covid-19 nel nostro Paese “ora che l’esecuzione dei tamponi viene praticata solo a soggetti sintomatici con esigenza di ricovero. Possiamo affermare con certezza che in particolare nel Nord Italia, e segnatamente in Lombardia, c’è una diffusione in comunità di questa patologia. Ancora, gli studi effettuati a Vo’ Euganeo hanno dimostrato che il 75 per cento dei contagiati era asintomatico”.
Nonostante questo, le cifre ufficiali diffuse ogni giorno nella conferenza stampa delle 18 “costituiscono un dato di trend. Mantenendo invariata la modalità di rilevamento – va avanti il virologo – si ha una stima rappresentativa dei casi più impegnativi, una dimensione che ci serve monitorare pur nella consapevolezza di una sottostima del fenomeno”. Acquisita la quale, cosa si deve fare, dunque?
Per Pregliasco “bisogna continuare a stringere. I segnali, sia pur timidi, che stiamo registrando, ci dicono che dobbiamo proseguire sulla strada intrapresa”.
“Al Nord si comincia a vedere qualche risultato – precisa Walter Ricciardi – mentre al Centro e al Sud probabilmente in questa e nella settimana successiva registreremo ancora aumenti. Speriamo che nel giro di due, tre settimane, sempre che vengano rispettate le indicazioni del Governo, il trend che si inizia a registrare al Nord si stabilizzi in tutto il Paese”. Quanto al numero dei contagiati, per il consulente del Governo il rapporto indicato da Borrelli “è una stima verosimile. Che nel caso dei virus respiratori, come è il Covid-19, ci sia una sottonotifica è sicuro. Ma che il rapporto sia uno a dieci non c’è nessuno in grado di dirlo con certezza. Servirebbero gli studi di prevalenza, che vanno effettuati facendo le analisi del sangue alle persone. Devono essere svolti, certo, ma in questo momento di emergenza – conclude Ricciardi – è stata data priorità a salvare la vita delle persone”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
L’ESPERIENZA MATURATA NEI PAESI IN GUERRA DIVENTA RISORSA PER IL NOSTRO PAESE… ALTRE ONG SI METTONO A DISPOSIZIONE
Ricordate gli insulti dei sovranisti? Loro, gli amici dei clandestini e perfino gli amici dei terroristi.
Poi nel momento del bisogno anche la Lombardia a guida leghista ha capito che l’organizzazione fondata da Gino Strada era una risorsa e non un problema.
E adesso i medici di Emergency arriveranno nell’ospedale di Piacenza, uno dei territori più colpiti dal Covid-19, per supportare l’attività di “compartimentazione”, per evitare che pazienti positivi al virus possano entrare i contatti con i pazienti degli altri pazienti.
La firma dell’accordo verrà siglata nei prossimi giorni tra la presidente dell’Ong Rossella Miccio e il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.
“Stiamo formalizzando con una serie di Ong protocolli di lavoro comune negli ospedali dell’Emilia-Romagna – ha annunciato il commissario per l’emergenza, Sergio Venturi -. Gino Strada ci ha già dato disponibilità una decina di giorni fa”.
Il personale di Emergency che sta rientrando da alcuni paesi in guerra, verrà impiegato in “attività di supporto sulla compartimentazione degli ospedali” per “impedire che negli ospedali si mescolino pazienti positivi e pazienti normali”. Questa collaborazione “sicuramente partirà da Piacenza”.
“Altre Ong sono state – ha aggiunto Venturi – contattate. E’ un impegno comune”. Per questa prima collaborazione “il presidente Bonaccini e la presidente di Emergency sigleranno un accordo nei prossimi giorni”.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “L’OSPEDALE NON E’ IN GRADO DI AFFRONTARE L’EMERGENZA: NON ABBIAMO NE’ PERSONALE, NE’ STRUMENTI”
Nella Locride non resta che sperare che il virus non si diffonda.
L’impreparazione cronica dell’unica struttura — l’ospedale di Locri — , il ritardo nella preparazione delle misure d’emergenza e la lentezza degli esiti dei tamponi stanno alimentando l’ansia e le paure dei cittadini e dei sindaci stessi, che hanno lanciato vari comunicati verso le istituzioni per colmare il ritardo nel quale si trova l’unica struttura sanitaria.
“Siamo nelle mani di nessuno”, si legge nell’ultimo comunicato emanato dal Comitato dei sindaci della Locride. “In questo momento ci devono essere idee chiare, direttive precise, ma regna solo la confusione, il pressapochismo. Come si fa a non avere una gestione dell’emergenza sanitaria?”.
La struttura di Locri deve garantire le prestazioni sanitarie per “tutta la Locride, cioè 42 comuni, e anche di più. Abbiamo un bacino di 150-170 mila abitanti”, spiega ad HuffPost Giovanni Calabrese, sindaco di Locri e delegato alla Sanità del Comitato dei Sindaci della Locride. Un presidio in emergenza già prima del coronavirus.
“L’ospedale non è in grado assolutamente di affrontare l’emergenza. Non abbiamo personale, non abbiamo attrezzature, non abbiamo gli strumenti. Non abbiamo i presidi minimi: ci sono medici che hanno mascherine da 10 giorni. La situazione è molto critica, sterile e preoccupante. Dobbiamo pregare che non arrivi il coronavirus in questo territorio”.
La tenda del pre-triage “è rimasta vuota per una settimana, completamente”, ci ha raccontato Caterina Belcastro, sindaca di Caulonia e presidente dell’Assemblea dei Sindaci.
Solo lo scorso 19 marzo, un’ordinanza dell’Asp chiedeva la disponibilità del personale infermieristico per effettuare turni in straordinario. Anche impegnandosi, in molti dubitano che si possano risolvere i problemi cronici dell’ospedale in tempi brevi: “L’ospedale di Locri, per ritardi strutturali ed una serie di cose, oltre che l’adeguatezza del personale, non sarà in grado di accogliere i malati Covid. La nostra speranza è che si possa rafforzare gli hub del Riuniti di Reggio e a Catanzaro, in maniera tale che ci si possa appoggiare li per queste emergenze”, ha detto all’Huffpost il sindaco di Gioiosa Jonica, Salvatore Fuda.
Le altre proposte sarebbero quelle di riattivare l’ex ospedale della vicina Siderno — che è chiuso da anni, e per il quale servirebbe più tempo — o addirittura una nave-ospedale nel porto di Gioia Tauro.
Nella gestione dell’emergenza, ha un ruolo fondamentale l’Asp di Reggio Calabria, che al momento ha al vertice tre commissari straordinari – l prefetto Giovanni Meloni, il viceprefetto Carolina Ippolito e il dottor Domenico Giordano -, nominati dopo il decreto di scioglimento per infiltrazioni mafiose del marzo 2019.
L’azienda riceve i tamponi della zona per farli analizzare nell’unico laboratorio che, al momento, è autorizzato per le analisi sul covid-19. Una procedura che rallenta l’arrivo degli esiti. “L’ Asp dispone i tamponi. Questi tamponi vengono disposti in numero limitato in presenza di pazienti sintomatici. I risultati li abbiano aspettati per un paio di giorni, tra il primo e il secondo tampone. Come sindaci abbiamo chiesto che ci possa essere sul territorio una struttura che ci possa assicurare rapidità e una certa quantità di tamponi”, ha spiegato il sindaco Fuda.
Senza dei laboratori sul territorio, sarà impossibile accelerare le procedure: “Stiamo aspettando notizie per l’attivazione di un laboratorio sul territorio. Devono essere strutture accreditate per la microbiologia molecolare. Ma se non c’è il personale di che parliamo?”, dice rammaricato il sindaco Calabrese. Nell’ultima riunione che ha avuto con il direttore sanitario Antonio Bray, avvenuta ieri, “non è emersa una congruità di vedute”.
Nei piani dell’Asp, l’ospedale di Locri dovrebbe mettere a disposizione 12 postazioni Covid, che al momento non ci sono. Non è stato trovato nemmeno il personale specializzato che dovrebbe occuparsi dei pazienti.
Inoltre, “il personale non ha i presidi minimi, le mascherine, guanti, caschi protettivi”, ribadisce Calabrese. Nella giornata di ieri, i commissari dell’Azienda Provinciale sono stati anche soggetti di un’interrogazione parlamentare, perchè non sarebbero più a Reggio. L’onorevole Francesco Cannizzaro, deputato di Forza Italia, ha chiesto: “Che fine hanno fatto i commissari dell’Asp di Reggio Calabria? i commissari, nominati dal governo, hanno abbandonato la città e le loro responsabilita’ in piena emergenza Coronavirus. Parole simili sono state dette dal segretario della Uil reggina Nuccio Duccio durante una puntata di Non è l’Arena: “Abbiamo dei commissari prefettizi che sono arrivati ad autorizzarsi la non presenza all’interno dell’azienda”, tramite una delibera, la 147 del 16 marzo.
I primi casi nella zona sono stati comunicati molto male dall’azienda provinciale. La prima positività è arrivata nella città di Siderno: un contagio che è stato prima confermato dall’Azienda provinciale, poi smentito, poi di nuovo riconfermato.
“Su Siderno noi abbiamo avuto la conferma della positività , poi la smentita per un caso di omonimia. Alla fine è risultato positivo. Ma la notizia sbagliata è arrivata sempre da Reggio Calabria”, racconta Calabrese, che è stato il primo a diffondere la notizia sui social, e ad essere ingannato dalla comunicazione dell’Asp. Nella confusione, si scatenano “ la caccia all’untore, insulti pesanti nei confronti di queste persone”. Sui gruppi WhatsApp girano subito le generalità dei presunti casi positivi.
A Caulonia è successo qualcosa di simile: una signora è risultata positiva al Fovid-19. Il terzo tampone ha smentito la positività , ma l’Azienda Provinciale aveva precedentemente confermato.
“I protocolli non li sappiamo, non abbiamo idea di che cosa prevedono i protocolli perchè non ci sono stati comunicati da nessuno. In maniera informale ti dico che si fanno altri due dopo il primo. Dopo averci comunicato la positività del terzo tampone, e che questo tampone doveva essere mandato allo Spallanzani. Ma ti assicuro che allo Spallanzani non è mai arrivato. Successivamente hanno smentito loro stessi, comunicandoci che l’esito era negativo”.
La positività del terzo tampone era stata comunicata addirittura dalla prefettura locale, e “anche in Prefettura è arrivata una notizia sbagliata”, ci racconta il sindaco Calabrese. La signora è stata dimessa due giorni fa.
A Marina di Gioiosa Jonica, l’unico caso positivo al coronavirus riguarda un dipendente del comune. Anche in questo caso, l’esito del tampone è arrivato dopo “più di un paio di giorni”, ha dichiarato ad HuffPost il sindaco Geppo Femia. “Avevo chiesto se fosse il caso che facessimo il tampone tutti quelli che sono stati a contatto con lui, ma ci hanno detto che in assenza di sintomi non si fa il tampone”.
Fortunamente, il dipendente comunale era in auto-isolamento già da tempo: “Lui era in malattia già da giorno 9, noi abbiamo saputo della positività il 12esimo giorno, a 2 giorni dalla scadenza della quarantena. Avevo richiesto espressamente di fare il tampone, essendo uno degli ultimi ad averlo visto. Mi pento di non averlo fatto per iscritto”.
L’unica arma di cui dispongo i sindaci in questo momento sono gli appelli al distanziamento sociale: “Noi ci stiamo comportando bene, checchè ne vogliono dire, la gente non esce”, spiega il sindaco Femia. Ma il territorio non può vivere con la speranza che la situazione non cambi.
“ Noi non vorremmo che qualche numero in meno nelle regioni del Sud e nella nostra area possa far pensare che ce la possiamo cavare un po’ così, abbassando un po’ la guardia — continua il sindaco Fuda – Da più parti, voci autorevoli dicono che non dobbiamo mollare sui comportamenti e pensare che ci possa toccare di striscio. Può darsi che tra un paio di settimane possiamo trovarci nel disastro”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
DENUNCIATA PER ATTENTATO ALLA SALUTE PUBBLICA
Il sindaco di Modica Ignazio Abbate ha raccontato sulla sua pagina facebook la storia di una donna che è evasa dalla quarantena in Lombardia e comodamente in aereo ha raggiunto Catania, e da lì è arrivata in taxi fino a Modica.
Stamattina è stata ricoverata in gravi condizioni al Maggiore di Modica. E anche denunciata per attentato alla salute pubblica.
“Questa donna parte dalla Lombardia, prende aereo da Milano per Roma, poi da Roma a Catania dove chiama un taxi che la riporta a Modica. Era positiva, malata, in quarantena a Milano, è arrivata a Modica si è sentita male ed è ricoverata. Ha messo in pericolo chi l’ha trasportata e chi ha avuto contatti con lei. Proclami fatti dietro alle scrivanie e senza alcun nessun controllo, persone con la febbre addosso che passano da Milano a Roma e Catania senza alcun controllo e che possono arrivare fino a qui senza nessun controllo”, ha raccontato Abbate.
“Noi ci sforziamo nel controllare tutti da chi sta in quarantena, alle strade, ed invece una persona malata dalla Lombardia, senza pudore può contaminare una intera città . Una cosa vergognosa. Quando passera’ questo momento, chi ha responsabilità politiche e sulla nostra sicurezza ne dovrà pagare le conseguenze. Spero che chi abbia viaggiato con lei non sia stato contaminato, è una faccenda di una gravita’ inaudita”.
Il problema che solleva Abbate è anche l’assenza di un registro o di un sistema che possa permettere il controllo e il monitoraggio delle persone in quarantena, informazioni utili al contenimento del contagio.
La donna è ora ricoverata al Maggiore di Modica, centro Covid. A quanto è dato al momento sapere, è rientrata a Modica il giorno 22 lasciando la provincia pavese. Risulta siano in corso accertamenti per isolare le persone che hanno condiviso i suoi stessi voli aerei e chi ha viaggiato con lei nel taxi preso nel tragitto Catania-Modica. Il taxista è stato già posto in isolamento cautelativo.
In Sicilia in totale sono 846 i casi positivi registrati dall’inizio dell’epidemia, ma attualmente ne risultano 799 perchè 27 sono già guariti e 20 deceduti. Questa la divisione degli attuali positivi nelle varie province: Agrigento, 43; Caltanissetta, 39; Catania, 272; Enna, 55; Messina, 133; Palermo, 158; Ragusa, 8; Siracusa, 48; Trapani, 43.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
NELLE MARCHE ALCUNI ESEMPLARI GIA’ FORNITI A AREE DELLA SANITA’
Un test rapido per riscontrare l’eventuale contagio da coronavirus: il Rapid Test è di facile utilizzo, bastano poche gocce di sangue del paziente, il riscontro visivo arriva in 5 minuti e consente ai medici di conoscere subito la presenza del coronavirus Covid 19 nel paziente. Il kit è in consegna alle prime strutture ospedaliere italiane.
Nelle Marche alcuni esemplari sono già stati forniti a diverse aree della sanità e il primo grande quantitativo è in arrivo per il Gruppo Kos-S.Stefano. Moltissimi altri ospedali da tutte le regioni d’Italia stanno prendendo contatti in queste ore.
La fornitura arriva in Italia grazie alla Innoliving di Ancona, che ha stretto un accordo con la multinazionale Zhezhiang Orient Gene Biotech Co Ltd produttrice del “Rapid test per Covid 19 Mod. GCCOV-402a”.
Si tratta di un kit, regolarmente iscritto al ministero della Salute da Innoliving spa, corredato di una corposa sperimentazione clinica da parte di centri studi, ospedali e università cinesi.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2020 Riccardo Fucile
“C’E’ IL MERCATO NERO DELLE BOMBOLE DI OSSIGENO, TI SALVI SE UN AMICO TI FA UN PIACERE”
Daniela ha il Covid-19, una polmonite e parla a macchinetta, incurante dei tubicini della bombola che da giovedì scorso, per 24 ore al giorno, le garantisce un po’ d’ossigeno in più. È inarrestabile. Un fiume in piena di ricordi recenti, polemici, puntuti, scalpellati nella memoria.
Ricordi che nessun malato (non si trovasse in una situazione come questa) riuscirebbe a mettere a fuoco e a esporre così velocemente. Il tutto inframmezzato a crisi di pianto repentine, che spuntano dal nulla e poi altrettanto velocemente spariscono, ma che tolgono il fiato anche a te che ascolti.
Daniela Lupini ha 36 anni, un marito e due figli piccoli (che ormai vede dalla finestra che s’affaccia sul giardino), e abita in una villetta a Bolgare, comune di 6mila anime a 18 chilometri da Bergamo, una tra le zone più colpite dalla pandemia. Le lacrime le affiorano soprattutto quando parla di papà Antonio, 69 anni, morto nei giorni scorsi, senza il conforto della famiglia, al San Raffaele di Milano.
Daniela, come sta?
Oggi respiro meglio grazie all’ossigeno. Un giorno si migliora, un altro si peggiora. Un passetto avanti, uno indietro. Va così.
Com’è iniziata la sua storia?
Mia suocera lavora in una RSA, la clinica San Francesco, a Bergamo, dove sono morti i primi pazienti Covid, non verificati. Lei spesso mi aiutava in casa con i bambini. A un certo punto ha poche linee di febbre, le fanno la Tac e il tampone in qualità di sanitaria; risulta positiva al Coronavirus. Un’asintomatica. Che però nel frattempo, suppongo, ha passato il virus ai miei figli (37.5 di febbre per un paio di giorni, in una forma lieve) e a mio cognato. I miei figli l’hanno poi passato a me.
Ma suo padre?
Era in vacanza ad Alassio con mia madre, c’era qualcuno febbricitante. Torna l’8 marzo e di notte inizia ad avere febbre alta. Quella che a me aveva preso già dal 5. Il 9 chiamo il medico di base dicendo che sia io che mio padre stiamo male. Il medico già non visitava più. Ci dà solo un antibiotico ad ampio spettro. Da lì in poi, abbandonati a noi stessi.
Ovvero?
Papà passa a 39-39,5 di febbre, e faccio notare che era sanissimo, una roccia come fisico. Aveva solo una piccola demenza. Peggiora a vista d’occhio e io inizio a chiamare tutti i numeri sul Coronavirus: il 1500, l’800 e qualcosa. Ce sono quattro. Non sono mai riuscita a prendere la linea e avrò chiamato almeno 100 volte. Mai. Il medico di base era irrintracciabile, non rispondeva manco più al telefono. Mercoledì mia madre chiama il 112 per papà , arrivano i volontari, molto gentili, verificano che l’ossigenazione del sangue è buona e diagnosticano una bronchite. Sabato notte peggiora, richiamiamo il 112 e viene portato al San Raffaele di Milano. Lo attaccano all’ossigeno, lotta, sembra riprendersi, ma l’altra mattina è morto. Solo e abbandonato in un letto d’ospedale.
Intanto lei?
Continuo a stare male, finisco l’antibiotico, chiamo la guardia medica e mi sento dire: “Guardi signora, sta male lei come tutti: gli antibiotici non curano il Coronavirus”.
Grazie al cavolo, ma almeno, visto che sono quasi sicura di avere una polmonite in corso, almeno agiranno lì. Mando mio marito, trova il tizio chiuso dentro, sprangato tipo carcere, e gli passa dalla cassettina la ricetta: una confezione di Augmentin, quello che do ai miei figli per il mal di gola. Tramite la chat delle amiche riesco a trovare una persona gentile che aveva il turno al pronto soccorso di un altro paese, e mi porta a fare il tampone e una Tac: risulta una polmonite interstiziale con due focolai grandi ed entrambi i polmoni pieni di lesioni. Non mi fossi fatta vedere, oggi forse non sarei qui a parlarle. Mi dà Azitromicina 500 e Plaquenil. Poi arriva l’esisto del tampone: positivo.
Una brutta situazione.
Anche perchè posti per il ricovero non c’erano, ma io l’avrei comunque rifiutato: ho posto a casa in una stanza isolata e mi ero comprata un saturimetro, lo strumento per vericare l’ossigenazione del sangue. Poi mio cognato è stato attaccato a una bombola d’ossigeno e anch’io ho avuto una crisi respiratoria. Da lì è iniziata una lunga odissea per procurarmene una, che poi è arrivata ma senza ricarica. Il problema è che in tutte le farmacie e i presidi della Bergamasca, non se ne trovano più e te la deve assegnare l’ATS, ex Asl. Sono tutti a casa malati, penso la metà del Paese. Ovunque chiami c’è gente chiusa in casa che sta male con, tra virgolette, “un’influenza”. Che è poi Coronavirus, ma nessuno se li caga, scusi il termine, nessuno fa tamponi e sono tutti abbandonati a se stessi dalla Sanità .
In effetti…
La mia vita non può essere stata salvata dal piacere personale di un’amica, da un medico che ha infranto la legge e si è messa d’accordo con me per farmi visitare. È inaccettabile. Medici e infermieri sono eroi, angeli, e magari anche genitori col timore di portare a casa il virus. Ho un’altra amica che fa turni di 18 ore.
Ma non si può fare proprio nient’altro?
Ci sono gli espedienti: sapevo di un’azienda vista su Facebook: due medici che avevano aperto una società che fa i Raggi X a domicilio, facendosi pagare un sacco di soldi. Ma ti può salvare la vita perchè dai raggi riesci a vedere se hai il Coronavirus. Accertato quello puoi chiamare il 112 e allora forse qualcuno ti caga. Altrimenti qui s’è creata una rete di responsabilità sociale per cui lo si chiama solo se si è in crisi respiratoria. C’è il mercato nero delle bombole d’ossigeno: andrebbero restituite, ma visto che sono introvabili quando qualcuno passa via le teniamo e le giriamo a chi ne ha bisogno. Ho un’amica con suocero, suocera, mamma e papà chiusi in casa con 38.5 da una settimana, e nessuno sta facendo niente.
E sua madre?
È in quarantena da sola, senza tampone, mai messa in sicurezza, e io son qui a sperare che non si ammali perchè potrei perdere anche una madre, oltrechè un padre. Una situazione surreale. E ho fatto finta di aver perso la ricetta del pronto soccorso per procurare medicinali in più per mio marito Simone, 38 anni, che con la mascherina cura qui accanto i miei due figli, di nove e tre anni, Stella e Andrea, e li tocca con i guanti. Non so neppure se sia positivo. Se si ammala lui, che cosa faccio?! A me passano il cibo dalla finestra.
Tutto il paese in ginocchio, insomma.
Qui muoiono mediamente sette persone al giorno. Prima due al mese. I negozi ci stanno consegnando generi alimentari e altro e lasciano tutto vicino al cancello, facendoci credito. Pagheremo. Ho la solidarietà di sindaco e parroco, che mi hanno chiamato, ma non possono fare nulla. E la protezione civile è in giro a controllare i deficienti che vanno ancora a correre, perchè ce ne sono ancora. Non hanno capito, neppure Conte, che c… sta succedendo qua. Ci dite da tutta Italia che siete con Bergamo, ma non siete con Bergamo, perchè a Bergamo le fabbriche sono state aperte sino all’altroieri. Qui chiunque ha almeno un morto o un malato in casa, e siamo il paese più giovane della Bergamasca. Ma muore anche gente di 36, di 46 anni.
Che cosa non si è ancora capito nella prevenzione?
Stanno venendo medici da tutta Italia ma non basta, se ci sono file ai supermercati da 45 minuti: c’è gente che esce a prendere acqua e uova. Anche col malato in casa pensano che sia influenza e che non tocchi ancora a loro. A me non interessa finire sui giornali: voglio far capire che cos’è quest’incubo e salvare vite. E anche voi giornalisti smettatela di scrivere “aveva patologia pregresse”: stiamo morendo di Coronavirus, non perchè uno aveva l’asma! È terribile dire questo. Non siamo numeri, ma persone. Mio padre avrebbe potuto campare ancora 15-20 anni! Invece di morire solo senza un funerale decente. È terribile, terribile. Per fortuna una caposala del San Raffaele ha preso a cuore la mia storia, e mi ha dato qualche notizia, mi ha detto che alla fine l’hanno accarezzato per noi.
Che lavoro fa?
Ho un’azienda di rottami e rifuti, ma l’ho chiusa: fanc… i soldi, fanc… tutto. Ho fatto mettere in quarantena la mia babysitter e la mia impiegata, era inevitabile. Ho disinfettato qualsiasi cosa avessi in ufficio. Ho due operai che lavorano all’aperto con guanti e mascherine che per portare a casa lo stipendio hanno deciso di continuare, ma ho chiuso tutto il resto. Però qui attorno c’è un’azienda gigantesca dove il 60 per cento degli operai sino all’altroieri è stato costretto ad andare.
È vero che ha festeggiato il suo compleanno a letto, con l’ossigeno?
Sì, anche quello di mia figlia. Mi hanno passato la torta e lo spumante dalla finestra. Ieri sarebbe stato quello di mio papà . Ho commentato il post di un’amica che ha un blog di mamme, chiedendo a tutti di brindare per mio padre. Tutti hanno messo una loro foto con il bicchiere in mano. Lui voleva quello: una grande festa. Dovevamo andare in un ristorante con 40 persone che gli volevano bene.
E lei, quando finirà tutto questo, quale sarà la prima cosa che farà ?
Abbracciare mio marito e i miei figli. Sono molto fisica, e ciò mi manca. E poi, magari a settembre, fare una crociera tutti assieme in omaggio a papà . Lui aveva girato tutto il mondo in crociera e ne avevamo in programma una per giugno. Con mia madre sono stati 47 anni d’amore.
(da TPI)
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