Destra di Popolo.net

PERCHE’ IL NUMERO RECORD DI DIMISSIONI NEL 2022 E’ COLPA SOPRATTUTTO DELLE AZIENDE ITALIANE

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL SEGRETARIO CISL ROMANI SUL 1,6 MILIONI DI DIMISSIONI

Nei primi nove mesi del 2022, sono state date più di 1,6 milioni di dimissioni dal lavoro. È il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021, quando erano state 1,3 milioni. Lo ha comunicato il ministero del Lavoro: le dimissioni sono state il motivo principale per la fine dei rapporti di lavoro, dopo la scadenza dei contratti a tempo determinato. Giulio Romani, segretario confederale della Cisl, ha spiegato a Fanpage.it cosa potrebbe aver portato così tante persone a lasciare volontariamente la propria occupazione.
Perchè, secondo voi, c’è stato un numero così alto di dimissioni?
I temi sono due. Innanzitutto queste non sono tutte persone che hanno deciso di smettere di lavorare, anzi. Spesso trovano lavori più qualificati. Un problema del mondo del lavoro in Italia è la mancanza di lavoro qualificato, per le aziende che lo cercano, e quindi quei lavoratori diventano particolarmente ambiti. Così ‘migrano’ verso lavori a più alta qualifica.
E il secondo tema qual è?
Il post-pandemia. Il periodo della pandemia è stato anche un momento di riflessione sul rapporto tra qualità della vita e del lavoro. Non è solo questione di stare a casa o di avere un pendolarismo meno faticoso, anche se quello incide. È questione di priorità delle persone. La scorsa estate, sul tema, dissi una cosa che penso ancora: se un criceto usa la ruota nella sua gabbia per tutta la vita, e poi gli si toglie la ruota per un anno, non è detto che poi quando si rimette la ruota il criceto ci risalga sopra.
Vuol dire che si cerca un lavoro più ‘comodo’?
No no, tanti di quelli che si dimettono non è detto che restino neanche in Italia. E magari sono disposti ad affrontare ben altro che il pendolarismo che gli chiede la loro azienda italiana. In cambio cercano un riconoscimento professionale, ancor prima che economico.
Quindi non è neanche una questione di stipendi troppo bassi?
Quello è un punto finale. Il punto centrale è la qualità del lavoro. E quella allontana anche lavoratori ben pagati, li convince a dimettersi per cercare soluzioni che diano più prospettiva e permettano di conciliare meglio vita e lavoro.
In Italia la qualità del lavoro è bassa?
Una ricerca dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ndr) sulla qualità del lavoro in Italia, pubblicata la settimana scorsa, è disarmante. C’è una minoranza di imprese che fanno qualità, per chi ci lavora, e una maggioranza di imprese che non lo fa. Ma la cosa più significativa è che il dato corrisponde perfettamente alle ricerche sulla produttività.
In che senso?
Le aziende italiane dai 10 ai 250 dipendenti, le piccole e medie imprese, secondo dati di Assolombarda, sono le più produttive d’Europa. Più della Germania, e di parecchio. Le due ricerche osservano fattori completamente diversi, eppure i risultati combaciano. Il problema è che le piccole e medie imprese sono il 5% del totale, in Italia. Il 95% invece sono microimprese, quelle con meno di 10 dipendenti. E sono le meno produttive d’Europa.
Ci sono troppe microimprese? Per chiarire, sono ‘microimprese’ anche i negozi…
È inevitabile che il numero di imprese micro sia molto più alto di quelle piccole e medie, perché i salumieri saranno sempre più delle fabbriche, e un barbiere non arriverà ad avere 30 dipendenti. Ma mentre da noi le microimprese sono il 95% delle imprese, in Germania sono l’82%. Tra l’82% e il 95% la differenza è molto rilevante.
Qual è il punto, cosa ci dicono queste due ricerche?
Che le piccole e medie aziende in Italia producono molto e danno un’ottima qualità del lavoro, mentre le microimprese sono deboli su entrambi i fronti. Perché qualità del lavoro e produttività non si cancellano a vicenda, come si pensa a volte. È il contrario.
Cioè?
Quando investo in qualità del lavoro, ho maggiore produttività. La maggior parte delle politiche aziendali vanno in senso contrario a questo dato oggettivo: per aumentare la produttività si taglia sulla qualità del lavoro, ed è paradossale.
E la cosa vale soprattutto per le imprese più piccole, con meno di 10 dipendenti.
Sì, la maggior parte delle microimprese non investono in qualità, quindi non sono produttive, e non essendo produttive non riescono neanche a pagare salari soddisfacenti. Questo crea tante insoddisfazioni diverse: lavoro male, lavoro senza formazione e senza prospettive, e per di più vengo pagato poco. E così ci sono moltissime dimissioni. Un problema è il modello della microimpresa familiare.
Cosa c’è che non va nella classica azienda a conduzione familiare?
È un modello che tende a non reinvestire i profitti nell’azienda. È un approccio poco efficiente, a partire dalla quantità di profitti in grigio e in nero che non emergono. Le imprese così piccole, in Italia, sono molte di più e molto più opache che in altri Paesi.
Ricapitolando: ci sono troppe aziende troppo piccole, che non investono sul lavoro qualificato e sulla qualità del lavoro, e questo porta a molte dimissioni. Come si cambiano le cose?
Non bisogna pensare solo al collocamento: non basta trovare un lavoro alle persone, se poi queste danno le dimissioni perché la qualità del lavoro è scarsa. Servono interventi sulle politiche industriali e finanziarie.
Che tipo di interventi?
Se l’Italia vuole crescere deve investire. E non sto pensando a un modello in cui tutto va in mano a fondi stranieri, perché altrimenti andiamo dalla padella nella brace, e abbiamo altri casi come GKN. Bisogna stimolare l’investimento delle risorse interne – l’Italia è il Paese con il più alto risparmio in Europa, quindi i soldi ci sarebbero.
L’obiettivo concreto quale sarebbe?
Far crescere imprese sane a livello finanziario, oltre che con maggiore capacità di investire in innovazione, formazione e qualità del lavoro. Avremmo lavoratori più soddisfatti e una produttività più alta, quindi anche salari più elevati. E allora il fenomeno delle dimissioni si attenuerebbe.
Da un governo di centrodestra ci si aspetta che, a livello economico, sia molto attento allo sviluppo delle aziende. Nel governo Meloni è addirittura stato inserito il ministero delle Imprese. Pensate che le cose cambieranno?
Qui rispondo a titolo personale. Questo è un governo che dovrebbe stare più vicino alle imprese di altri, ma ci sono diversi modi per farlo. Per stare vicino ai figli, io li posso difendere sempre e comunque – anche quando non studiano, fanno i bulli, fanno le peggiori porcherie – oppure posso educarli. Ma per educarli, a volte bisogna anche metterglisi contro. Questo è stato un problema di tutti i governi degli ultimi anni.
La politica è troppo indulgente con le aziende perché non vuole perdere consenso, quindi?
Secondo me sì. Credo che, negli ultimi trent’anni, la politica si sia preoccupata di curare il proprio elettorato per prevalere su quello degli altri, piuttosto che di curare politiche per il resto del Paese. Non c’è stata continuità nelle politiche, uno faceva la buca e l’altro la tappava. Invece noi avremmo bisogno di imprese che sappiano ammettere la necessità di essere trasparenti, di pagare le tasse regolarmente, di reinvestire i profitti nell’attività e distribuirli. Non so se questo ci sia nel 95% di microimprese italiane, e non so se nel governo ci sia la volontà di spingerle ad essere così.
(da Fanpage)

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LE INTERCETTAZIONI FANNO PAURA AL POTERE, NON AGLI INNOCENTI

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

SPESSO SONO GLI INNOCENTI A SALVARSI GRAZIE AD ESSE

Le intercettazioni sono il principale strumento di ricerca della prova nelle indagini del processo penale. Quando divengono oggetto del diritto-dovere di informazione spesso accade che mettano a nudo il potere. O meglio, coloro che ne sono in qualche modo i detentori. Intercettazioni e diritto di cronaca sono da decenni temi caldi della discussione politica che, tuttavia, non infiamma certo i cittadini normali per il semplice fatto che non se ne sentono coinvolti.
Tutti sanno, invero, che sono indispensabili per arrivare alla verità e assicurare i colpevoli di gravi reati alla giustizia. Le temono, pertanto, criminalità e potere per motivi diversi. La prima vorrebbe non esistessero o, quantomeno, fossero ridotte al lumicino. Il secondo che rimanessero segrete per non perdere consenso con l’accidentale rivelazione di particolari imbarazzanti della vita privata di coloro che lo esercitano sui cittadini.
La storia recente di questo Paese ha visto numerosi momenti di accesa polemica sul tema delle intercettazioni. Per primi i governi Berlusconi che hanno tentato invano di vietarne, in un qualche modo, la pubblicazione suscitando lo sdegno dell’opinione pubblica a seguito della rivolta di tutta la libera stampa. La Costituzione, evocata in modo sentitamente unanime, ha fatto da scudo alla tutela della libertà di informazione.
Ma il ‘problema’ non è stato mai abbandonato. Le intercettazioni fanno sempre paura al potere. E anche la magistratura, nell’esercizio della sua attività giudiziaria, è espressione di un potere dello Stato che, sempre, deve essere indipendente da quello della politica. O almeno così dovrebbe. Accade così che proprio la magistratura, che sempre ha difeso intercettazioni e libertà di stampa, ha perso forza in occasione di alcuni drammatici scandali che ne hanno messo in crisi credibilità e funzione. Ecco quindi che viene partorita la cosiddetta ‘Riforma Orlando’ attualmente in vigore.
Un argine alla pubblicazione delle intercettazioni particolarmente scomode per il potere. Siccome, si dice, sono gli avvocati a darle ai giornalisti allora non le diamo più agli avvocati. Diamo loro solo quelle strettamente rilevanti. E chi lo decide quali sono? La Polizia giudiziaria, che è l’unica che effettivamente le sente tutte perché le fa materialmente. Al giudice arrivano solo queste filtrate da Polizia e Carabinieri. Gli avvocati, si dirà, possono ascoltare le altre senza poter farne copia alla presenza di un poliziotto. Cosa che è, per un insieme di cose, materialmente impossibile. Nemmeno il Pm le conoscerà veramente. Tantomeno il giudice. Il tutto con buona pace del diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Ecco come, oggi, ci ritroviamo, ancora, al centro del dibattito politico le tanto vituperate intercettazioni attraverso i proclami del ministro magistrato Carlo Nordio. I cittadini sfiancati da una crisi sociale, sanitaria ed economica di cui non hanno memoria di precedenti analoghi, e con la guerra alle porte, vi assistono inconsapevolmente impotenti. “Vanno abolite tranne poche eccezioni. Anzi no. Vanno fatte solo per i reati di mafia”. “Non vanno pubblicate pena il carcere”. “Anzi no solo quelle cosiddette non attinenti all’indagine”. Slogan che sono del tutto avulsi da qualsiasi seria analisi logico giuridica dei fenomeni criminali.
Qualche commentatore si spinge a lodare proprio quella riforma Orlando che avrebbe già risolto ogni problema in modo più che dignitoso. Inorridisco e vi racconto una delle numerose vicende di vita vissuta di cittadini che hanno avuto la propria vita appesa proprio al filo delle intercettazioni. Una normale vicenda di cosiddetta malagiustizia, come io amo definirla.
La dott.ssa Raffaella D’Atri (non è nome di fantasia), nel 2014 è stimatissima direttrice dell’Ispettorato del Lavoro di Rimini. Collabora fianco a fianco con le Procura nella lotta al lavoro nero e all’evasione contributiva. Ha a sua disposizione ispettori e carabinieri. Viene incaricata di reggere, temporaneamente, la sede di Ravenna che è vacante. Vi si deve recare per gli affari urgenti una o due volte alla settimana. Riceve una lettera anonima che denuncia fatti di corruzione che si verificherebbero proprio in quell’ufficio di Ravenna.
Parte l’inchiesta della Procura con uso di intercettazioni telefoniche e ambientali anche con video riprese. Vengono riscontrati fenomeni di piccola corruzione, ma viene scoperto anche il fenomeno dei cosiddetti furbetti del cartellino con tanto di video riprese. A fine 2015 arresti e risultanze investigative occupano le cronache giornalistiche anche nazionali e televisive.
Le indagini sono oramai chiuse quando, inopinatamente, il 18 febbraio del 2016 le locandine e le televisioni danno notizia di una clamorosa perquisizione eseguita nella sua casa di Rimini proprio alla dott.essa D’Atri con sequestri di computer tablet e cellulari anche personali. Due funzionarie di Ravenna l’avrebbero accusata di essere connivente ai reati commessi dai suoi sottoposti per esserne stata perfettamente a conoscenza senza intervenire come sarebbe stato suo dovere. L’onda di un’infamante pubblica accusa che viene seguita dal pedissequo procedimento disciplinare da parte del ministero del Lavoro.
È estate quando la incontro ovviamente disperata. L’udienza preliminare incombe. Ho il fascicolo del Pm e noto che, nonostante non siano indicate come prova a suo carico, è stata eseguita una mole importante di intercettazioni telefoniche e ambientali con tanto di filmati. Strano. Come è mio costume io ne voglio copia di tutte. Allora mi era consentito perché il buon Orlando non era ancora intervenuto con la sua magnifica riforma per impedirmelo. Incontro, tuttavia, notevoli e inusuali (all’epoca) difficoltà. Ma alla fine riesco ad averle. Il problema è il tempo necessario per ascoltarle tutte. Tantissimo. Ci dividiamo il lavoro tra me, il mio studio e la stessa dott.ssa che vi si dedica giorno e notte.
L’esito? Con grande sconcerto non solo non emerge nulla a carico della D’Atri ma, anzi, si percepiscono chiarissime le voci di coloro che, coinvolti nell’inchiesta e coimputati, parlando tra loro esprimendo tutto il loro astio nei suoi confronti e la propria rabbia per la sua presenza in ufficio in quei pochi giorni in cui essa era prevista perché, di conseguenza, non avrebbero potuto fare ciò che illecitamente facevano quando la direttrice era in ufficio a Rimini e, quindi, non poteva essere lì.
All’udienza preliminare si è pure costituita l’avvocatura di Stato per chiedere i danni alla D’Atri e il Pm ne ha pure chiesto la condanna. Scontata l’assoluzione piena della dott.ssa Raffaella D’Atri. Oggi, con la riforma Orlando, non avrei mai potuto conoscere quelle intercettazioni. Qual è la morale?
Chi deve avere paura delle intercettazioni? La D’Atri, innocente, si è salvata grazie a loro. Non le era stata risparmiata, però, tutta la pesantissima gogna mediatica creata non certo ‘dagli avvocati’.
Fabio Anselmo, Avvocato Penalista
(da il Fatto Quotidiano)

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MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI CON I SUOI 253MILA EURO DICHIARATI NEL 2021 È IL MINISTRO CON IL PORTAFOGLIO PIÙ CON GONFIO DI TUTTI

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

SEGUE NORDIO, POI IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE VALDITARA E “GENNY” SANGIULIANO – LA MELONI? NEL 2021 HA DICHIARATO “SOLO” 152MILA EURO… LA SPIDER NUVOLARI NEL GARAGE DI CALDEROLI E LA JAGUAR DI FITTO

La ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati e il ministro della Giustizia Carlo Nordio sono in cima alla lista con rispettivamente 253 mila 385 euro e 232 mila 438 euro. Li seguono il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara con 210 mila 411 euro e il ministro della Cultura ed ex direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano con 204 mila 780 euro. Sono i ministri più «ricchi» del governo Meloni secondo le dichiarazioni dei redditi del 2021 pubblicate sul sito di Palazzo Chigi.
Non tutti i ministri hanno ancora comunicato i loro dati, ma il Guardasigilli, ex magistrato eletto con Fratelli d’Italia e l’ex presidente del Senato eletta con Forza Italia sono per ora in cima al podio con il reddito imponibile più alto dei loro colleghi. Incluso quello della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che nel 2021 ha dichiarato redditi per circa 152 mila euro. E, come primo ministro, ha appena fatto sapere ufficialmente che non percepirà alcun compenso avendovi rinunciato in base al divieto di cumulo con l’indennità spettante ai parlamentari. Stessa scelta fatta anche dalla ministra Casellati.ù
Gli altri membri dell’esecutivo, al momento, hanno redditi tutti al di sotto dei 200 mila euro.
Sono 6, per ora, i ministri che nel 2021 hanno avuto un reddito imponibile sotto i 100 mila euro. Si tratta di Paolo Zangrillo (Funzione Pubblica) con 98 mila 471 euro, Francesco Lollobrigida (Agricoltura) con 99 mila 982 euro, e Luca Ciriani (Rapporti con il Parlamento con 94 mila 540 euro. In coda si trovano il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani (54 mila 434 euro) e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto che con i suoi 2.089 euro di reddito imponibile risulta il più «povero» dell’esecutivo, ma, viene spiegato, l’ex governatore della Puglia nel 2021 era europarlamentare e a Bruxelles il reddito viene tassato alla fonte.
Ma Fitto è anche appassionato di auto e ha dichiarato di possedere una vecchia Jaguar del 1986. Passione condivisa con il ministro per gli Affari regionali e l’Autonomia Roberto Calderoli che nel suo parco auto può vantare una Spider Nuvolari Cisitalia 202 SMM […], che si aggiunge ad una Fiat 500 del ’63 e ad una Mini del 2009, oltre ad una moto Bmw Hp2 del 2006.
(da Corriere della Sera)

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IN ITALIA MANCANO GLI INSEGNANTI DI MATEMATICA E LA PREPARAZIONE DEI FUTURI PROF NON È ALL’ALTEZZA

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

IL NOSTRO PAESE È PENULTIMO IN EUROPA NELLA GRADUATORIA DEI GIOVANI TRA I 16 E I 19 ANNI CON COMPETENZE DIGITALI BASE E IL 90% DEGLI ASPIRANTI DOCENTI PER LE DISCIPLINE SCIENTIFICHE NON HA SUPERATO LA PROVA SCRITTA ALL’ULTIMO CONCORSO

In Italia mancano gli insegnanti di Matematica (e di Fisica, Chimica, Informatica) e il reclutamento degli insegnanti non funziona: «Ripartiamo dalla motivazione e dall’attitudine di chi vuole fare questo lavoro», dice il preside Ludovico Arte.
È così. L’Italia, nel suo affastellamento di percorsi formativi per costruire un insegnante — Ssis, Tfa, Fit, crediti in surplus —, è riuscita a diventare un Paese ostile alle matematiche. I numeri sono evidenti, e da emergenza. La percentuale di giovani tra i 16 e i 19 anni con competenze digitali base o superiori è il 64 per cento del totale. Un buon numero? Siamo penultimi in Europa, davanti a Romania e Bulgaria. E siamo penultimi nelle competenze digitali sulla “soluzione dei problemi”. La questione si riversa sulla preparazione dei futuri insegnanti: all’ultimo concorso per docenti Stem (le discipline dure della scienza) il 90 per cento dei candidati non ha superato lo scritto.
«Da vent’anni non esiste un percorso di formazione di scuola secondaria e questo determina l’abbassamento del livello dell’insegnamento matematico», dice la professoressa Melloni. «Dobbiamo occuparci del reclutamento, oggi fumoso, valorizzare i docenti in servizio e il loro salario. È una catena, e si è spezzata da vent’anni. Tra gli studenti è rimasta intatta la voglia di insegnare, ma sono spaventati dalle prospettive. Oggi un laureato in Fisica e Matematica, dovrebbe conoscere una specializzazione parallela sulla Didattica delle discipline: cosa significa insegnare quel contenuto. E poi, una volta in cattedra, scegliere un metodo».
L’ex ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, spiega che oggi al corso di laurea in Matematica un diplomato preferisce percorsi affini con inclinazioni digitali o ambientali e applicazioni visibili: «con una generazione dal sapere più veloce e superficiale la Matematica è vissuta come un mondo duro e invasivo del privato. Non sono tempi in cui l’impegno è al primo posto nei pensieri dei ragazzi»
(da la Repubblica)

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IL VERO PONTE SULLO STRETTO E’ L’ASSE TRA ‘NDRANGHETA E COSA NOSTRA SULLA COCAINA

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

I CALABRESI LA COMPRANO IN SUDAMERICA E I SICILIANI LA VENDONO – LE ‘NDRINE SONO LE UNICHE AD ACQUISTARE LA COCA A 1.000 DOLLARI AL CHILO, MENTRE TUTTE LE ALTRE ORGANIZZAZIONI LA COMPRANO A 1.800

«La mia preoccupazione è che un’organizzazione povera abbia bisogno di tornare ad arricchirsi e di farlo rapidamente. E in questo momento, il solo strumento che lo consente, l’unica merce che ha un valore aggiunto tale per cui se investi 50 euro ne ricavi 50 mila con lo stesso chilo di sostanza, è la cocaina».
È lo scenario che il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, ha delineato giovedì scorso, all’indomani della cattura di Matteo Messina Denaro
Il traffico di droga, soprattutto di cocaina, è un “business” che richiede alleanze e quella con la ‘ndrangheta è ben collaudata. Le due organizzazioni hanno amicizie datate, come quella storica fra Totò Riina e Mico Tripodo, il riverito boss di ‘ndrangheta di Sambatello, in Calabria, ucciso nel 1976. Il magnete che tiene unite la “mala” siciliana e quella calabrese sono il lauti profitti derivanti dal traffico di stupefacenti.
L’”oro bianco” è il proficuo affare con cui il network di 155 famiglie calabresi fa da grossista per tutte le altre organizzazioni criminali, siciliane incluse. La stima per difetto del suo valore al dettaglio in Europa, 10,5 miliardi di euro nel 2020, [ un terzo del mercato illecito di tutte le droghe.
«La ‘ndrangheta è storicamente presente in Sudamerica, dove organizza i carichi di polvere bianca da spedire in Europa e Nord Africa […] Negli anni ha acquisito affidabilità, prima con i cartelli della droga colombiani e ora con i diversi gruppi paramilitari. È l’unica ad acquistare la coca a 1.000 dollari al chilo, mentre tutte le altre la comprano a 1.800. In Colombia non vedi uomini di Cosa nostra contrattare con i narcos, questo compito spetta quasi esclusivamente alle ‘ndrine».
L’affidabilità è il loro punto di forza, peculiarità che neanche i malavitosi siciliani sono riusciti a costruire e mantenere. La domanda in Europa è talmente alta, da collocare il continente al secondo posto dopo gli Usa per numero di consumatori, 5,2 milioni […] Navi portacontainer partono da Colombia e Brasile, con destinazione gli approdi di Anversa, Rotterdam, ma anche Gioia Tauro e Genova. Corruzione di funzionari, complicità e intimidazione di lavoratori portuali […] finiscono per agevolare i traffici via mare.
Catania è la provincia col maggior numero di operazioni effettuate (159) e quantitativi di coca intercettati (127,226 chili), seguita da Palermo ( 132 blitz e 10,496 chili) e Messina (69 operazioni e 37,449 chili). Sequestri che rivelano come Cosa nostra dipenda dai “cugini” d’oltre Stretto
«Cosa nostra non è subalterna ai calabresi ma è pur vero che sul traffico di cocaina le ‘ndrine possono considerarsi le sole ad aver maturato un’expertise, frutto di antiche collaborazioni con le grosse organizzazioni sudamericane. La mafia interviene nella filiera, distribuendola».
(da Avvenire)

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URGE UN CAPO DELLA COMUNICAZIONE A PALAZZO CHIGI: NELLO STAFF DELLA MELONI NON SI CAPISCE CHI FACCIA COSA. E L’EFFETTO SI VEDE

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

IL “RACCONTO” È AFFIDATO ALLA PORTAVOCE STORICA, GIOVANNA IANNIELLO, E ALLA “SUPERCONSULENTE” PATRIZIA SCURTI. PER SVOLTARE SI FA IL NOME DI GUIDO RIVOLTA… LE CHIAMATE A FINI QUANDO IL GOVERNO È IN DIFFICOLTÀ

Giorgia Meloni non riesce ancora a raccontarsi e il suo staff la racconta ancora come leader di opposizione. C’è un guasto all’origine.
La portavoce della premier ha oggi un ruolo indefinito mentre il capo ufficio stampa di Palazzo Chigi è in realtà un vicecapo ufficio stampa. Non si è capito cosa faccia l’uno e cosa faccia l’altro. Manca una figura che si relazioni chiaramente con i giornali esteri. Manca un collegamento con i ministri. Qual è la “voce” del presidente del Consiglio?
A occuparsi inizialmente della stampa estera è stata la portavoce storica della premier Giovanna Ianniello, ma dopo pochi giorni il compito è stato delegato a Paolo Quadrozzi, altro componente dell’ufficio stampa che si occupa di preparare i dossier per Meloni. Quadrozzi è il cognato di Ianniello. Oggi secondo quel giornalista estero anche Quadrozzi “è irraggiungibile”. Ianniello e Quadrozzi costituiscono il nucleo storico di FdI trasferito a Palazzo Chigi.
Dal 23 novembre 2022 Meloni ha gestito la comunicazione in maniera unidirezionale. Spiega un professionista che ha lavorato a Palazzo Chigi che “oggi Meloni ha la sindrome Calimero. E’ la sindrome di chi immagina il mondo ostile. […]. E’ una sorta di risentimento, di revanscismo, da parte di FdI”. C’è una frase che molti cronisti si sono sentiti rivolgere in romano: “Prima un ce cercavate e mo’ ce cercate”.
La portavoce di Meloni, Ianniello, è inquadrata come coordinatrice della comunicazione istituzionale. La figura che si occupa di comunicazione di governo è Fabrizio Alfano, ex portavoce di Gianfranco Fini, già giornalista dell’Agi con una lunga esperienza, che però, come precisato all’inizio, è vicecapo ufficio stampa. A sua volta Ianniello si confronta con quella che è definita la “superconsulente della comunicazione di Meloni”.
Si tratta della segretaria personale di Meloni, Patrizia Scurti. Scurti era presente ad Algeri e si dice fosse presente perfino nell’incontro che Meloni ha avuto con Biden e Xi Jinping. Oggi il racconto di governo si compone di tre passaggi: Meloni-Scurti-Ianniello. Ianniello e Scurti hanno le chiavi di una comunicazione che sta puntando ancora sulla Meloni underdog e che si serve di Fini. Quando il governo è in difficoltà viene chiamato l’ex presidente della Camera.
Ecco perché si fa insistente la voce di un capo della comunicazione di governo. E’ un ruolo che nel governo Prodi aveva Sircana. Nei mesi scorsi si era fatto il nome di Guido Rivolta, ex direttore generale delle relazioni istituzionali di Cdp, giornalista economico per il Sole 24 ore.
(da il Foglio)

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RUMORS DI PALAZZO: SUL GOVERNO GIA’ VENTI DI RIMPASTO

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

E’ UN’OPZIONE ADOMBRATA NELLA MAGGIORANZA

La polemica sul ministro della Giustiza Nordio ha fatto già prefigurare l’ipotesi di sostituzioni nella squadra di governo. Nessuno usa espressamente la parola, ma il rimpasto è già un’opzione adombrata nella maggioranza. Con vari nomi già indicati come possibili silurati e descritti come semplici aggiustamenti in corsa.
Rimpasto. Nessuno ha il coraggio di usare la parola perchè tra le pieghe dei malumori di partiti e parlamentari di maggioranza, inizia a prendere forma una convinzione. Nelle prossime settimane, al massimo mesi, bisognerà provvedere a “un aggiustamento nella squadra”. Che sostanzialmente significa un cambiamento dei ministri. La colomba sarà mangiata da tutti, insomma. Chissà però se al mare andranno tutti tranquilli con la divisa ministeriale.
A innescare il ragionamento è stata la vicenda che ha riguarda il Guardasigilli, Carlo Nordio, in merito alle parole sulle intercettazioni. Un intervento che prefigura una possibile stretta, non proprio gradita a settori di Fratelli d’Italia ma anche della Lega. In un’intervista a La Stampa, il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro delle Vedove, ha bonariamente illustrato lo scivolone dell’ex pm, ora insediato al dicastero di Largo Arenula. “S’è reso conto che le stesse identiche giustissime parole pronunciate dal Nordio giurista in un convegno sono accolte in maniera diversa se le dice il Nordio ministro in conferenza stampa. Fatalmente c’è una attenzione diversa”. Il fedelissimo di Giorgia Meloni ha sostenuto la posizione della presidente del Consiglio, che per forza di cose ha dovuto difendere il ministro.
La bufera è arrivata troppo presto e non si poteva pensare a un avvicendamento prima di compiere i tre mesi dal giuramento al Quirinale. Solo che chi conosce gli anfratti della politica ha già fiutato l’aria di un esecutivo che “probabilmente andrà avanti a lungo, ma con una composizione diversa da quella attuale”, è una riflessione consegnata a True-news.it. Evocare il rimpasto senza nominarlo.
Il motivo? “Nordio ha dimostrato l’ingenuità del tecnico prestato alla politica e da ora in poi sarà sotto osservazione”, spiega una fonte della maggioranza. Una crepa nella selezione dei ministri. Si profila dunque una sostituzione? “Non un siluramento, ma chissà magari quando si aprirà qualche posizione ideale per l’attuale ministro potrebbe essere promosso…”
Scetticismo su Pichetto
Analisi futuribili, che indicano il sentiment all’interno centrodestra. Del resto all’interno di Forza Italia c’è chi non appare soddisfattissimo dei ministri indicati, tra cui il titolare dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. “La gestione della vicenda dei carburanti non è stata proprio brillante”, ammette un esponente del suo stesso partito, secondo cui bisognava assumere un profilo diverso. E invece Pichetto Fratin è sembrato più vicino a Meloni che al leader degli azzurri, Silvio Berlusconi. La cosa, a quanto pare, non ha fatto felicissimo l’ex premier. Come ogni processo politico, eventuale rimpasto compreso, nel momento in cui si comincia è difficile prevedere la conclusione. Un fattore che frena un po’ tutti dalla tentazione di rimescolare subito le carte.
Un altro nome che rimbalza tra i meno soddisfacenti, per vari esponenti della stessa maggioranza, è quello di Giuseppe Valditara della Lega, voluto tuttavia da Matteo Salvini. Più che previsioni nette si tracciano degli identikit di chi è meno saldo nella posizione e alla prima possibilità potrebbe cedere il posto. Anche se alla domanda sul possibile rimpasto, c’è chi la prende alla larga: “No, nessun rimpasto all’orizzonte”. Poi “è anche fisiologico qualche cambio, no?”. L’indicazione di una prospettiva di cambiamento.
(da true-news.it)

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LA PSORIASI, L’INSUFFICIENZA POLMONARE E LA CALVIZIE: GLI INCREDIBILI CERTIFICATI MEDICI DEI VIGILI URBANI NON IDONEI DI ROMA

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

DEI CIRCA 6.000 VIGILI CAPITOLINI GLI INIDONEI SONO 945

A qualcuno manca il fiato, c’è chi sta diventando calvo e non può indossare il casco, e chi ha le mani che si desquamano per la psoriasi. Non è l’inizio di una barzelletta, ma la lista delle condizioni mediche citate da alcuni dei pizzardoni inidonei al servizio su strada facenti capo al comando dei vigili urbani di Roma.
E così l’ufficio del personale deve stare ben attento a chi mette a dirigere il traffico della capitale. Dei circa 6 mila vigili capitolini, gli inidonei permanenti e temporanei da uno o più servizi sono 945, quasi un sesto del totale. A essere presentati sono stati 1.023 certificati medici che la Repubblica di Roma ha potuto visionare.
I numeri
Di questi, 331 sono i caschi bianchi che non possono lavorare all’esterno; 193 non possono dirigere la viabilità, e 214 non possono lavorare di notte. Ci sono poi 166 vigili che ai quali il medico non avrebbe consentito di lavorare in «stazione eretta», ovvero in piedi, e altri 26 che non possono lavorare nella sala radio. Infine, in 8 non possono guidare l’auto, mentre in 2 non salgono mai in sella a moto e bici. A queste si sommano le esenzioni varie, che vanno dall’impossibilità di indossare la divisa a chi si rifiuta di mettere la mascherina o di fare il turno al front office. Di seguito vediamo i più particolari.
L’insufficienza polmonare e la calvizie
Uno degli agenti ha presentato un documento medico che certifica un’insufficienza polmonare dalle conseguenze nefaste. Il vigile non può soffiare nel fischietto. Impossibile, quindi, farsi udire nella bolgia del traffico romano e dirigerlo. Per lui meglio turni da ufficio, al chiuso e a paga piena. Non solo il fischietto, le condizioni mediche impedirebbero anche l’uso di un altro strumento imprescindibile del pizzardone, il caschetto bianco. Il motivo? L’agente combatte con una calvizie incipiente, e il dispositivo di protezione la farebbe peggiorare. Anche per lui, meglio turni al chiuso.
La psoriasi e la pistola
Chi è solito commettere infrazioni potrebbe iniziare a segnarsi i suoi turni. Perché tra i caschi bianchi di Roma, c’è un agente che non può impugnare penna e taccuino per i verbali, figurarsi una paletta. Il motivo? Una psoriasi acuta, che gli fa desquamare le mani, e non gli consente di scrivere le multe, anche di fronte a palesi violazioni del codice della strada. Così come di indossare i famosi guanti bianchi. Se questi sono in uso da anni, c’è chi se la prende con un dispositivo figlio dei tempi pandemici: la mascherina Ffp2. Tra i pizzardoni romani, infatti, ce anche un antivaccinista, che per non essersi sottoposto alla vaccina contro il Covid era stato sospeso. Aveva riconsegnato la divisa, ma si era scordato un pezzo. Tenendosi stretta la pistola d’ordinanza.
(da Open)

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“LA DECISIONE E’ PRESA”: LA GERMANIA INVIERA’ CARRI ARMATI IN UCRAINA

Gennaio 24th, 2023 Riccardo Fucile

OK AI LEOPARD PER KIEV

La Germania invierà i carri armati Leopard in Ucraina, secondo un’anticipazione del settimanale der Spiegel che cita Berlino scrivendo «la decisione è presa».
Il governo tedesco avrebbe approvato l’invio di «almeno una compagnia» di Leopard, cioè fino a una ventina di mezzi. Secondo il giornale tedesco, i carri armati Leopard 2 provengono dalle scorte delle forze armate della Repubblica Federale di Germania, Bundeswehr. Recentemente, i partner di governo – Verdi e l’FDP – hanno aumentato le pressioni sul cancelliere Scholz per la consegna di carri armati all’Ucraina.
Già l’agenzia Bloomberg aveva anticipato l’intenzione del cancelliere tedesco Olaf Scholz di autorizzare domani, mercoledì 25 gennaio, la Polonia al trasferimento dei suoi carri armati Leopard 2 all’Ucraina. La Polonia ha infatti chiesto formalmente in mattinata – tramite il ministro delle Difesa di Varsavia, Mariusz Błaszczak – l’autorizzazione per il trasferimento dei tank di produzione tedesca a Kiev.
Alla richiesta di Varsavia, il governo tedesco – come riporta l’agenzia – ha ribadito che «avrebbe risposto con urgenza al fine di placare la crescente frustrazione degli alleati».
Dal canto suo, il Paese di Andrzej Duda ha ribadito che secondo la legge tedesca i carri armati in questione, poiché di fabbricazione tedesca, «possono essere inviati in Ucraina solo con il consenso di Berlino». Nel frattempo, anche l’amministrazione Biden – come riporta il Wall Street Journal – sarebbe pronta ad autorizzare l’invio di un numero significativo di carri armati Abrams M1 nel Paese invaso. E l’annuncio delle loro consegna potrebbe arrivare già in settimana. Una decisione, questa, che risolverebbe l’impasse “transatlantico”, creatosi sull’invio di tank a Kiev e che avrebbe potuto minacciare crisi diplomatiche tra i Paesi a undici mesi dall’inizio dell’invasione russa.
Berlino: «L’esercito tedesco possiede 320 Leopard 2»
Nel frattempo, un portavoce del ministero della Difesa tedesco ha affermato alla Cnn che Berlino avrebbe a disposizione 320 carri armati Leopard 2 senza – tuttavia – rivelare quanti sarebbero pronti per la battaglia. «I Leopard 2 – tutti nelle serie A5, A6 e A7 – sono in vari stadi di condizione, stato di riparazione e prontezza per essere schierati», ha spiegato il portavoce, aggiungendo che «l’esercito tedesco non ha più esemplari della serie precedente di Leopard 1, e nemmeno modelli Leopard 2 più vecchi come l’A4».
La scorsa settimana era stato il produttore di armi Rheinmetall a dichiarare il numero dei tank a disposizione della Germania: 139 in magazzino, ma di questi solo 29 Leopard 2 sarebbero stati pronti per il combattimento contro l’esercito di Vladimir Putin nella primavera di quest’anno.
La Polonia chiede alla Germania l’autorizzazione per l’invio dei tank
La Polonia ha chiesto formalmente alla Germania l’autorizzazione al trasferimento dei suoi carri armati Leopard 2 allUcraina. Lo ha annunciato il ministro della Difesa di Varsavia, Mariusz Błaszczak, oggi martedì 24 gennaio. «Faccio appello alla parte tedesca perché si unisca alla coalizione dei Paesi che sostengono l’Ucraina con i tank Leopard 2. Questa è una causa comune per tutti noi, perché in gioco è la sicurezza dell’Europa intera», ha scritto il ministro su Twitter. Per quanto riguarda la perdita dovuta al trasferimento dei carri armati a Kiev, il governo polacco ha poi annunciato l’intenzione di chiedere il relativo rimborso alla Commissione Ue. «Faremo richiesta di rimborso all’Unione europea, sarà un’altra prova di buona volontà», ha detto il premier Mateusz Morawiecki in conferenza stampa, come riporta il Guardian. Morawiecki ha ribadito inoltre di sperare in una rapida risposta da parte della Germania sulla possibilità: «Spero che questa risposta dalla Germania arrivi presto, perché i tedeschi stanno ritardando, schivando, agendo in un modo che è difficile da capire», ha concluso Morawiecki.
Stoltenberg-Pistorius a colloquio a Berlino
Nella stessa direzione sembra andare la dichiarazione del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, a Berlino per incontrare proprio il ministro della Difesa Boris Pistorius. «Sono fiducioso che ci sarà presto una decisione» da parte della Germania, ha detto Stoltenberg, che ha «salutato positivamente il chiaro messaggio» del ministro tedesco sull’inventario in corso dei panzer, che permetterà di essere più veloci nella consegna nel momento in cui la decisione sarà presa. In attesa di una decisione formale, Pistorius ha detto questa mattina che gli alleati disposti a consegnare carri armati Leopard a Kiev «possono iniziare a istruire gli ucraini». A stretto giro anche il portavoce del governo tedesco ha sottolineato che Berlino esaminerà «con la necessaria urgenza» la richiesta polacca.
(da Open)

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