Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
E, ALLA FINE, MELONI E GIORGETTI DECIDONO: IL COLLANTE DI PALAZZO CHIGI È ALFREDO MANTOVANO, IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO CHE SI OCCUPA ANCHE DI SERVIZI SEGRETI
Eccoci con la carovana di mediatori, lobbisti, sensali, gente informata,
indottrinata, indaffarata, bignamini di politica industriale, di politica economica, di politica in purezza, retroscena, retrobottega, roba retrò, scarse novità.
Benvenuti nella stagione delle nomine per le aziende controllate (partecipate) dallo Stato e per le strutture nevralgiche della Repubblica. È il momento che disvela cosa c’è sotto, sopra e attorno al governo di Giorgia Meloni e specialmente chi.
Anche per le nomine non ci sono più le mezze stagioni e perciò la sua stagione – che scocca a marzo con la primavera – già si fa sentire. Un po’ fastidiosa come il polline di betulle e sequoie che gironzola a gennaio e inganna perché non s’accompagna al tepore, ma soltanto alle allergie. Stavolta c’è particolare apprensione che ben fa rima con confusione e tensione perché le scadenze si sovrappongono, decine di incarichi vanno assegnati in pochi mesi e i riferimenti classici nei partiti sono saltati.
A gennaio si completano le agenzie fiscali, il rodaggio nei ministeri e il gruppo dei laici selezionato dai parlamentari per il Consiglio superiore della magistratura. A febbraio tocca al segretario generale del ministero degli Esteri. A marzo e aprile si preparano le liste per Eni, Enel, Poste, banca Mps, Leonardo e poi la rete ferroviaria con Rfi, la società Trenitalia, la centrale acquisti Consip e tante altre. A fine maggio va indicato il comandante generale della Guardia di Finanza.
La domanda più complicata viene soddisfatta dalla risposta più semplice. Chi decide le nomine? Giorgia Meloni, elementare. E per Giorgia Meloni si intende la presidente del Consiglio col supporto tecnico dei suoi principali collaboratori in materia di poltrone e di potere.
Questo è un governo di coalizione anche se la coalizione, definita di centrodestra, è formata da un partito verticale, cioè Fratelli d’Italia, e due partiti scarmigliati, cioè Lega ex Nord e Forza Italia.
I posti più delicati sono sottratti alle logiche di coalizione. Vuol dire che sugli amministratori delegati (ad) e le presidenze collegate, per esempio di Eni e Enel oppure di Poste e Leonardo, le aziende più grosse, non si tratta, non si spartisce.
Dunque è scontato che leghisti e forzisti pretendano poi di avere spazio nei folti consigli di amministrazione e maggiore influenza per le società di livello inferiore. Nella stagione delle nomine è fondamentale conoscere lo stradario. Quali strade portano a Meloni. Quali a sperdersi in campagna. Quali nei vicoli ciechi. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari è unanimemente un accesso garantito a Meloni.
Ha scelto per sé la competenza al programma di governo, una posizione all’apparenza defilata, e invece su ogni tema è il più ascoltato. Per un motivo più umano che squisitamente politico, un motivo che richiede più la ponderatezza del tempo che la lucentezza di una idea: la fiducia incondizionata. Siccome è diffidente di carattere, Meloni si circonda di persone di comprovata, da lei, fiducia.
Come Patrizia Scurti, l’onnipresente assistente di Meloni, che ha ottenuto la stanza di Palazzo Chigi più prossima all’ufficio della presidente, quella con le bandiere e il balcone che affaccia sulla colonna aureliana (da lassù i Cinque Stelle per una notte abolirono la povertà). Quel luogo solitamente è riservato al capo di gabinetto, fu così per i presidenti Paolo Gentiloni e poi Mario Draghi con Antonio Funiciello, mentre con Giuseppe Conte c’era il comunicatore Rocco Casalino.
Gaetano Caputi, il capo di gabinetto di Meloni, è sistemato altrove. L’ultima tappa di Caputi è stata al ministero del Turismo col leghista Garavaglia, ma la sua carriera di governo sgorga dalla fucina di Fortunato/Tremonti al ministero del Tesoro che precede il quadriennio da direttore generale di Consob, l’autorità che vigila sul mercato borsistico. Caputi ha trascorsi robusti per istruire le pratiche sulle nomine, però il filtro con la presidente è sempre Fazzolari.
Fra i sussurranti di Meloni, categoria a cui ambiscono in parecchi (forse troppi), va segnalato Riccardo Pugnalin, astuto lobbista, scuola Fininvest, a lungo a Sky, un periodo a British American Tobacco, da un paio di anni a Vodafone.
Il collante di Palazzo Chigi è Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che si occupa anche di servizi segreti. Questo è il nucleo operativo sulle nomine che deve interagire con il Tesoro, l’azionista di fatto.
Premessa: la coalizione di centrodestra e di conseguenza il governo sono sorretti dall’asse Meloni-Giorgetti. Il ministro leghista è l’argine agli eccessi di vari tipi e vari Salvini. Per il bilancio pubblico e quindi per le nomine di Stato. Il Tesoro di Giorgetti non avrà candidati da spingere, semmai obbrobri da respingere. Per esempio con un controllo più serrato soprattutto sui consiglieri e un ruolo più frazionato per le società di reclutamento, i cosiddetti cacciatori di teste, che per l’occasione saranno quattro (tra cui l’americana Spencer Stuart).
Il triangolo si chiude sul Colle. Secondo una regola invalsa della Repubblica, che ha in Gianni Letta il suo massimo interprete, quando il contributo e la sorveglianza istituzionale del Quirinale non vengono esercitati sugli amministratori delegati, si esplicitano sui presidenti. È accaduto per Fincantieri. Lo scorso aprile il presidente Mario Draghi ha interrotto il ventennio di Giuseppe Bono (di recente scomparso) in Fincantieri con l’arrivo di Pierroberto Folgiero da Maire Tecnimont.
C’erano resistenze politiche al cambio di Bono e c’erano altri papabili muniti di ampio consenso (Lorenzo Mariani di Mbda Italia, consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie di difesa), ma Draghi era convinto che Folgiero fosse la figura più adeguata a una cesura storica nella multinazionale della cantieristica navale militare e civile. Folgiero fu promosso col generale Claudio Graziano e certamente la decisione sulla presidenza fu gradita al Quirinale.
In versione presidente, Meloni sfoggia la giusta sensibilità istituzionale per fissare un punto di equilibrio con il Colle. Il punto di equilibrio o galateo istituzionale prevede che, tranne in rare circostanze, non ci siano variazione alla guida dei servizi segreti se non ci sono mandati che finiscono: al dipartimento che coordina le due agenzie operative c’è l’ambasciatrice Elisabetta Belloni (termine 2025), all’Aise c’è il generale Giovanni Caravelli (2026), all’Aisi c’è il generale Mario Parente (2024).
Al riguardo non ci sono segnali diversi.Ci si può esprimere con maggiore criterio su chi esce o resta e non su chi entra nelle aziende di Stato. Il confermato più acclamato è Claudio Descalzi di Eni: risolta con un’assoluzione la questione giudiziaria, l’ad ha gestito col governo Draghi la ricerca di fonti energetiche alternative al gas russo. La quarta nomina per Descalzi è sicura.
Al contrario per Francesco Starace di Enel, che fu promosso assieme a Descalzi nel 2014, è sicuro che la quarta non ci sarà. Ai saluti anche Alessandro Profumo di Leonardo. La coppia Enel e Leonardo sono ingranaggi fondamentali. Debiti e rinnovabili per Enel, occupazione e sviluppo per Leonardo. Le ipotesi sono numerose. Per Leonardo pare il turno del già citato Mariani.
Per Enel ci sono papabili interni o papabili stranieri (come Flavio Cattaneo). Atterrato in Terna con i Cinque Stelle, l’ad Stefano Donnarumma ha conquistato Fratelli d’Italia e ha rafforzato le sue aspirazioni: possibile un salto a Enel, più probabile un bis nella società delle linee elettriche.
Su Matteo Del Fante di Poste ci sono indiscrezioni positive, ma comunque contrastanti: potrebbe agguantare il terzo giro, andare a Enel o chissà dove. Si parla anche di Cassa Depositi e Prestiti, però la data di scadenza di Dario Scannapieco è il 2024. L’economista ex vicepresidente della Banca europea per gli investimenti, rimpatriato con Draghi, ha buoni contatti con Meloni (incontro a ridosso di Natale) e beneficia delle intercessioni del ministro Adolfo Urso e di Giuseppe Guzzetti, per vent’anni presidente delle fondazioni bancarie che sono azioniste di Cdp.
Scannapieco può contare anche sul rispetto che Meloni nutre per Mario Draghi per questo non peserà, come ipotizza qualcuno, la vicenda sulla rete unica telefonica (Cassa ha il 9,81 per cento di Tim e il 60 di Open Fiber). A febbraio l’ambasciatore Ettore Sequi lascerà l’incarico di segretario generale della Farnesina e sarà una valida soluzione per le nomine di primavera.
Alla Farnesina c’erano pochi dubbi sull’ascesa dell’ambasciatore Armando Varricchio, ma adesso il collega Riccardo Guariglia (sede a Madrid) appare in vantaggio. Giovane (classe ’63) e stimato in maniera trasversale, il comandante generale Giuseppe Zafarana completa a maggio il quarto anno con quattro governi alla Gdf: è senz’altro un profilo adatto per posti liberi o che si possono liberare.
(da L’Espresso)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE DELLO STREET ARTIST OZMO CHE IRRIDE LA PREMIER
Un manifesto a Brera, uno a Porta Ticinese. Milano, la mattina del 15 gennaio, diventa lo sfondo scelto dallo street artist Ozmo per i suoi interventi artistici.
Gionata Gesi – questo il nome all’anagrafe del 47enne di Pontedera – ha fatto un collage con il volto di Giorgia Meloni, per raffigurare la presidente del Consiglio intenta a fare rifornimento.
Il tema di attualità richiamato è l’aumento dei prezzi dei carburanti, occorso dopo il mancato rinnovo del taglio delle accise.
Ozmo ha ritratto Meloni sorridente, vestita con un pantaloncino di jeans e una canottiera bianca, mentre rifornisce di benzina un’auto di grossa cilindrata. Alle sue spalle, sulla colonnina del distributore, una coccarda con il tricolore italiano.
«A chi sta facendo il pieno? – si è domandato ironicamente l’artista di Pontedera -. Cosa rappresenta il suv? È un accenno alla “giustizia sociale” o forse allude alla “macchina potente” che ora sta guidando? La Nazione spolpata o magari un riferimento al primato che pare sia appena stato raggiunto dall’Italia, essere il Paese dell’area euro dove costa di più fare benzina e gasolio?».
A parte queste poche frasi, Ozmo, come in tutte le sue incursioni artistiche, ha lasciato libertà di lettura e interpretazione dell’opera.
(da Open)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
FEDERCONTRIBUENTI: “URGONO SALARIO MINIMO E REDDITO UNIVERSALE”
“Rispetto agli anni della pandemia i valori ISEE delle famiglie italiane sono
crollati del 48%“. A dirlo è il presidente di Federcontribuenti Marco Paccagnella, che lancia l’allarme dopo gli ultimi dati sull’indicatore della situazione economica equivalente, ovvero lo strumento che permette di misurare la condizione economica delle famiglie italiane.
L’Isee è un indicatore che tiene conto di reddito, patrimonio e delle caratteristiche di un nucleo familiare, ma Paccagnella sottolinea: “A tenere in piedi la capacità reddituale degli italiani sono solo le proprietà immobiliare che però non danno da mangiare”.
Il problema riguarda quindi i redditi: “Abbiamo da inizio gennaio un elevato numero di richieste quotidiane da parte di famiglia a caccia di un prestito, liquidità non per andare in vacanza ma per fare la spesa o mandare avanti i figli e le spese quotidiane. Tra i più poveri le famiglie con contratti di lavoro a tempo e part-time”.
Secondo il presidente di Federcontribuenti è quanto mai necessario “mettere mano ad un salario minimo e prevedere sussidi per famiglie con contratti di lavoro da fame”.
Paccagnella, inoltre, ricorda che esistono diverse sacche di povertà: “Si vive con meno di 700 euro nelle famiglie con pensionati e con meno di 1200 euro per le famiglie con contratti di lavoro da fame”.
Sul reddito di cittadinanza, invece, dichiara che dovrebbe essere allargato attraverso la previsione di un reddito universale che preveda una soglia reddituale uguale per tutti, indipendentemente dal fatto che si tratti di pensionati o lavoratori .”Con meno di 1500 euro al mese nessuno può riuscire a mantenere le spese quotidiane, cibo, salute, istruzione, utenze domestiche”, sottolinea il presidente di Federcontribuenti.
Secondo l’associazione dei consumatori, “al centro dell’agenda di governo deve esserci quindi l’urgenza di dotare tutti i cittadini italiani di un reddito pari al costo della vita“.
“La soglia – ha spiegato l’associazione – per oltre il 50% dei pensionati resta gravemente al di sotto degli 800 euro mensili”.
Paccagnella, nella nota di Federcontribuenti, evidenzia infine che ”la mazzata dell’aumento del costo del carburante: vogliamo ricordare che oltre il 70% dei lavoratori che compongono le famiglie in difficoltà utilizzano il proprio mezzo di trasporto per recarsi sul posto di lavoro. Purtroppo gli automobilisti sono la classe più facile, da sempre, da colpire con tassazioni di ogni tipo e genere”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
SECONDO GLI USA, FINO A PRIMAVERA NON ACCADRA’ NULLA DI RILEVANTE, POI CI SARA’ LA SVOLTA
Anche se Kiev continua a smentire, le truppe ucraine sarebbero in ritirata da Soledar, conquistata dai russi. Dopo giorni di combattimenti, “i più sanguinosi” dall’inizio dell’invasione a febbraio scorso secondo il consigliere del presidente Zelensky, Mykhailo Podolyak, la presa della città della regione di Donetsk rappresenta un punto di svolta importante nel conflitto.
L’annuncio della conquista di Soledar è arrivato la sera del 12 gennaio scorso da parte del Ministero della Difesa russo, operazione a cui avrebbero partecipato anche i mercenari del gruppo Wagner di Yevgeny Prigozhin.
Lo stesso ministero, se in un primo momento non li aveva nominati, ha fatto dietrofront lodandone “il coraggio e l’altruismo”, secondo quanto si legge in una nota ufficiale per chiarire “la composizione e la partecipazione di varie unità delle truppe russe” nella presa della cittadina ucraina del Donbass.
Il ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov, ha, invece, affermato che la situazione intorno a Soledar resta difficile e ha osservato che non è chiaro se le forze russe controllino l’insediamento in questo momento.
Resta difficile, dunque, da capire quale sia la reale situazione a Soledar. Ma secondo gli esperti dell’Institute for the Study of War (ISW) è probabile che le forze russe abbiano catturato Soledar l’11 gennaio scorso, anche se è difficile che tale vittoria presagisca un imminente accerchiamento russo di Bakhmut, l’altro punto caldo della guerra sul fronte orientale.
Il ruolo del Gruppo Wagner nella conquista di Soledar
Ad ogni modo, secondo ISW quanto successo a Soledar mette in luce il conflitto esistente tra il Gruppo Wagner e il Ministero della Difesa russo. L’ex ufficiale russo e voce nazionalista di spicco, Igor Girkin, ha spiegato che Soledar ha esposto il presidente russo Vladimir Putin a un grave dilemma: a chi affidarsi a questo punto della guerra? Ciò potrebbe avere delle notevoli conseguenze sul suo potere.
Prigozhin, da parte sua, probabilmente cerca di usare la vittoria a Soledar come strumento di contrattazione per elevare la sua autorità in Russia, a conferma del ruolo cruciale che le sue milizie stanno svolgendo nella guerra: quanto successo sarebbe, nel suo piano, la prova per Putin che i suoi uomini sono migliori di quelli dell’esercito ufficiale.
Zelensky: “Si stanno scannando, fallimento di Mosca”
Secondo il presidente ucraino Zelensky la lotta intestina russa su a chi vada il merito dell'”avanzamento tattico” a Soledar dà il senso del fallimento di Mosca. “I wagneriani e l’esercito, si stanno già scannando” per decidere di chi è il merito di quella che Mosca ha rivendicato come la conquista di Soledar, mentre Kiev continua a smentire.
Nel suo consueto videomessaggio serale, nel 324mo giorno di guerra, Zelensky ha detto che “questo è un chiaro segnale di fallimento per il nemico ed è un altro incentivo per tutti noi a mettere più pressione sull’occupante e a infliggere maggiori perdite al nemico”.
Per gli Usa la guerra sarà in bilico fino alla primavera
Anche gli Stati Uniti hanno commentato la notizia in arrivo da Soledar, definendo questa battaglia “sicuramente un successo significativo per i russi. Il primo dopo che hanno passato sei mesi da incubo, praticamente in un tritacarne. Per Mosca, quindi, è oggettivamente una buona notizia. Ma non è una svolta decisiva e neanche un’inversione di tendenza”.
Come ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera il generale Usa Keith Kellogg, consigliere di Mike Pence e Donald Trump, “nelle ultime settimane abbiamo visto sostanzialmente delle schermaglie. Andrà avanti così per il resto dell’inverno. Non vedo le condizioni per una spallata”. Per cui è possibile che la guerra resterà in bilico fino alla primavera.
“Sarà in quel momento che gli eserciti potranno ricevere i rinforzi necessari e potranno tornare a spostarsi sul terreno. Mi aspetto una doppia offensiva. Si lanceranno all’attacco sia i russi che gli ucraini. Ci potrebbe essere una grande battaglia. Sarà poi il campo a determinare quali potranno essere i margini per una trattativa. Prima ci dovrà essere un chiaro vincitore. Poi si comincerà il negoziato”, ha aggiunto.
(da Fanpage)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
NELL’ULTIMO ANNO LA CRESCITA DELLA “MARCA DEL DISTRIBUTORE” È STATA TRE VOLTE SUPERIORE ALLA CRESCITA REGISTRATA DALL’INDUSTRIA ALIMENTARE, CON UNA QUOTA DI MERCATO DEL 19,8%
La confezione di pizza margherita surgelata di una nota marca costa 4,20
euro, proprio accanto c’è quella con una etichetta meno nota a 3,99. Stesso peso, stessi ingredienti, addirittura stesso stabilimento di produzione di un’altra confezione sullo stesso scaffale che costa 4,30. Basta spostarsi di qualche corridoio di un qualunque supermercato (il nostro test a Roma, in zona Salario) per trovare olio, pasta, succhi di frutta, bevande, superalcolici e molti beni di consumo con prezzi differenti, perfino del 50%.
IL CONFRONTO
Una valvola di risparmio importante per le famiglie in tempo di crisi e con l’inflazione galoppante, che spiega il perché del successo della Marca dei distributori (Mdd), conosciuta anche col termine private label. Nei primi nove mesi del 2022, secondo i dati provvisori di The European House Ambrosetti e IRI, l’aumento del loro giro d’affari è stato del 9,5% rispetto all’anno prima. Nel 2021 ultimo dato consolidato disponibile il valore totale aveva raggiunto gli 11,7 miliardi di euro, con un quota di mercato del 19,8%. Che per alcune insegne discount ha toccato il 32%, cioè un terzo del totale degli incassi.
Nel periodo 2012-2021, la crescita della Marca del distributore, rispetto alla crescita registrata dall’industria alimentare, è stata tre volte superiore. «La Mdd spiega infatti Marco Pedroni, presidente delle Associazioni della distribuzione moderna è oggi un player fondamentale per il mondo dell’agroindustria del Paese. Le eccellenze e la varietà gastronomica, tra le più grandi ricchezze dell’Italia, sono il nutrimento e il presidio da difendere di un insieme di piccole e medie imprese per le quali la Mdd svolge un ruolo di sostegno importante».
IL NODO DELL’EXPORT
Uno sfogo importante anche sui mercati esteri, nonostante l’assenza di un grande player internazionale nella distribuzione (che è una delle più evidenti debolezze del sistema Italia nell’agroindustria). Basti pensare che la francese Carrefour ha esportato nel 2021 800 milioni di prodotti made in Italy o che il gigante tedesco Lidl acquista ed esporta dall’Italia cibo e vino per due miliardi di euro.
Fermo restando qualità e peso netto, per esempio, il packaging in periodi di ristrettezze conta meno e anzi diventa motivo di condivisione degli obiettivi di sostenibilità ambientale (meno carta, cartone e plastica).
Così, a fronte di un calo generalizzato della spesa, il carrello dei prodotti Mdd è cresciuto nell’ultimo mese del 2,2%. I comparti migliori sono stati il fresco (34,8% del totale, +1,7% in valore, + 5,7% in volume) e il pet care, il cibo per gli animali domestici (22% del totale, +1,5% in valore e + 6,6% in volume).
I private label hanno migliorato il posizionamento competitivo anche negli altri reparti. Oggi valgono il 29,1% degli acquisti di fresco, il 29% del freddo, il 18,2% dei prodotti di drogheria, il 7,8% delle bevande.
(da il Messaggero)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
I CONTI LASCIATI IN SOSPESO VENGONO A GALLA
È come se a ridosso dei fatidici cento giorni dall’insediamento, tutti i conti lasciati in sospeso da una premier appagata dalla luna di miele post elettorale venissero al saldo.
La retromarcia perfino sulla convocazione per lunedì del discusso “conclave nero” — come era stato ormai battezzato dai suoi stessi alleati il summit di ministri e capigruppo e dirigenti della sola componente di Fratelli d’Italia — è solo l’ultima di una sequenza da record per Giorgia Meloni.
Migranti, ratifica del Mes, uso del Pos, modifiche al Pnrr, tetto al contante, strategia di sostegno all’Ucraina, lotta al Covid, decreto Rave. E ora il taglio sì-taglio no alle accise sulla benzina.
Tutto all’insegna di un azzardo sovranista poi ritrattato (e per fortuna, in quasi tutti i casi) sotto la costrizione e la inoppugnabilità dei fatti, della realtà, spesso dei numeri per loro natura inesorabili.
Sono tessere che compongono il mosaico della sontuosa incertezza nel governare. Altro che “qui si fa l’Italia o si muore”, altro che “stiamo correndo una maratona”, come proclamava ieri la premier.
Se il giudizio sfocerà nell’inadeguatezza sarà solo il tempo a dirlo, emetterlo adesso — a meno di tre mesi dal giuramento — apparirebbe sicuramente prematuro, azzardato e dunque strumentale.
Quel che però fin d’ora si può dire è che la presidente del Consiglio, terminata a questo punto davvero la liaison col suo elettorato, sta prendendo atto dell’inconsistenza di una squadra di governo che è stata frutto di un compromesso al ribasso con i riottosi, quanto ingombranti, alleati.
Una compagine che appare un misto di autarchia politica e di populismo patriottico e destroide. Mentre il loro stesso blocco sociale, dai benzinai ai padroncini dell’autotrasporto ai tassisti, è già sul piede di guerra.
Il fatto è che il gabinetto Meloni risulta privo di una classe dirigente di qualità. Un intero governo, non solo una premier, “under dog”.
Solo che l’umiltà vantata legittimamente da Giorgia Meloni per le origini personali finisce con trasformarsi in handicap politico se si traduce per un intero governo in modestia nell’approccio ai problemi.
L’arte del governare non si improvvisa. L’incertezza e l’assenza di qualità generano ansia da controllo. Quella che ha portato due giorni fa i vertici del partito, e dunque chiaramente la stessa leader, a imporre un vincolo alla libertà di espressione di tutti i loro parlamentari. Giusto per non disturbare la manovratrice in evidente impasse.
Sullo sfondo — forse il vero motore di tutto il teatrino dilettantesco — il rapporto irrisolto con gli alleati. Improntato a una sostanziale sfiducia reciproca. Silvio Berlusconi non considera affatto la presidente Meloni una degna erede a Palazzo Chigi, ne lamenta in privato a più riprese la scarsa esperienza, imputandole la propensione a fare tutto da sola, non coinvolgendo né lui (“Non mi chiama mai”) né i suoi ministri.
Matteo Salvini ha compreso solo di recente di essere stato relegato al dicastero taglia-nastri, pur col sottotitolo di vicepremier. Ma si accontenta. Lei, in compenso, si fida poco o nulla di entrambi e sta tentando di neutralizzarli fidelizzando progressivamente i numeri due, da Giorgetti a Tajani.
Se ha dovuto annullare il “conclave” di domani coi suoi è proprio per la rivolta di forzisti e leghisti: non comprendevano perché avrebbero dovuto subire ed eseguire un cronoprogramma di governo stilato dai soli vertici di FdI.
Chissà quanto potrà durare questo giochino prima che salti tutto per aria. Chissà quanto reggerà un castello così fragile sotto la pressione del caro vita, delle cambiali elettorali da rispettare, dei vincoli europei. Chissà quando gli ipnotizzati da congresso di casa Pd si sveglieranno e decideranno di fare opposizione. Lo scopriremo presto.
Ps. Il presidente del Senato Ignazio La Russa, privato appunto del vertice con la premier di domani, ha ripiegato partecipando nientemeno che all’evento milanese di presentazione delle liste in sostegno del governatore ricandidato Fontana. Come progressiva affermazione del ruolo istituzionale in qualità di seconda carica dello Stato non c’è nulla da eccepire. Il caso si conferma semplicemente uno scandalo.
(da La Repubblica)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
DAL “PERICOLO FASCISTA” ALLA “DERIVA CERCHIOBOTTISTA”
Sorpresa del nuovo anno. Si urlava al pericolo fascista, si va verso la deriva
democristianoide.
Si paventava il decisionismo, si naviga nell’indecisionismo. Invece dell’estremismo, è il cerchiobottismo che impera.
Si temeva una nuova marcia su Roma, siamo invece al governo della retromarcia: dal decreto sui Rave alle accise sulla benzina, passando per pensioni, Pos e tentazioni di norme per l’«estinzione dei reati fiscali», insomma condoni.
Perfino il famoso spoil system si sta rivelando, per citare Guido Crosetto, un «machete» sì, ma avvolgente: per un dirigente sostituito ce ne è uno che invece viene confermato, e anche questa è una impronta.
Forse aveva ragione Giorgia Meloni quando in campagna elettorale ripeteva che nulla ci sarebbe stato da temere circa il suo avvento al potere: nulla o, per meglio dire, da temere c’era semmai altro.
Tra una settimana il governo compie i suoi cento giorni. E bisogna tornare a prima del voto, al tempo in cui Fratelli d’Italia era all’opposizione, per ascoltare una Giorgia Meloni che fa proclami. In questi cento giorni infatti la potente voce di Meloni si è fatta sussurro, sibilo, nenia.
È scesa di tono, come alla conferenza stampa di fine anno. Stremata, e contenuta. Niente più proclami. La premier ha diradato le conferenze stampa e intensificato i cosiddetti video del taccuino, dove racconta sui social quel che vuole, senza il fastidio delle domande.
(da La Repubblica)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
INUTILE TENTARE DI CONTROLLARE LE USCITE DEI SUOI, IN ITALIA NON C’E’ GOVERNO CHE ABBIA OTTENUTO IL SILENZIO
Poveri illusi: bastasse un incontro di vertice a Palazzo Chigi per chiudere la bocca ai ministri narcisoni, smaniosi di paginate e telecamere. “Chiacchieroni miei, quanto parlate!” dice una nobildonna nel Macbeth – e non fa una bella fine.
Qui in Italia, dove la commedia è più forte dell’amor di patria, non c’è governo che abbia mai ottenuto il silenzio dai suoi stessi maggiorenti. Per cui, superata la fase ciarliera delle fughe in avanti, dei ripensamenti e delle contraddizioni, si arriverà presto alle bozze dei decreti passate di nascosto (che già il povero Visentini, a metà anni 80 del secolo scorso, distribuiva ai ministri cifrate per riconoscerne i trafugatori), alle “manine”, alle “manone” e quindi all’individuazione dei capri espiatori, alcuni dei quali beccabili via chat, audio, labiali e account fasulli.
E hai voglia pure a “centralizzare” la comunicazione dei deputati e senatori, come da patetica circolare dei capigruppo FdI. Da che mondo è mondo nessuno è mai riuscito a legare la lingua dei peones, a maggior ragione dediti a dichiarare, mormorare, spifferare, esagerare o imbuffonirsi in qualche talk show, in tutto ciò esattamente riducendosi l’esperienza parlamentare nel tempo della post-politica.
Quando cominciano a porsi questioni del genere non vuol dire soltanto che è finita la luna di miele, ma che la maggioranza, l’esecutivo e il suo premier hanno smarrito l’agenda, se mai era a loro disposizione.
Si delinea così all’orizzonte il super-classico dell’auto-conforto: l’errore di comunicazione, che sarebbe in realtà l’errore politico vero e proprio, ma non si può dire così perché sarebbe peggio. Di solito i potenti s’illudono che funzioni, dal che si sforzano di confezionare meglio il messaggio, o cambiarlo in corsa, deviare l’attenzione, rinforzare gli apparati. Una manna per spin doctor, coaching, team building, fuffa, miraggi e fumogeni. Renzi portò a Palazzo Chigi una maga danese, Salvini si appoggiava all’arsenale di Morisi, i 5S arrivarono ad assumere mentalisti, a parte gli esperti di Programmazione Neuro Linguistica, peraltro vissuti dagli stessi grillini come poliziotti della Casaleggio.
Gli Appunti social di Giorgia, col suo quaderno e i fiorellini di Ginevra, sono la prosecuzione di questo mesto, buffo e alla lunga inutile andazzo. Esaurita la novità, già circolano copiosi meme portatori di verità; ancora qualche settimana e il dileggio, previe imitazioni televisive, verrà assimilato a quello delle conferenze stampa di Conte ai tempi della pandemia.
Dispiace davvero essere così risoluti, ai limiti del nichilismo, oltretutto Meloni c’entra come quasi tutti quelli che l’hanno preceduta.
L’odierna classe politica non ha un problema di comunicazione, ma di credibilità; e questo perché da quasi trent’anni è schiava della comunicazione. Di essa solo si preoccupano i protagonisti, che non sanno più fare altro, leggi, programmi, soluzioni di buon senso, il tipico patto col diavolo per apprendisti stregoni.
“Quella Bestia apocalittica che chiamiamo comunicazione”, come profetizzava il vecchio Ceronetti nel frattempo si è fatta ipercomunicazione: verticale, dispersiva, istantanea, semplificata, insidiosa come può esserlo una inedita ragione di Stato, e anche un po’ oscena. Il prefisso rafforzativo “iper” le ha recato in dote l’enfasi, la retorica, l’amplificazione emozionale, il manicheismo funzionale, il moralismo retrattile, il romanzo del leader o della leader e tante altre diavolerie, compresa la stupidità che in un mondo iper connesso ha moltiplicato le occasioni per esprimersi. A pensarci bene, in totale assenza di opposizione, da Berlusconi in poi non c’è stato potente che non si sia fatto male da solo. Quasi una risorsa democratica all’altezza e alla bassezza dei tempi
(da La Repubblica)
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Gennaio 15th, 2023 Riccardo Fucile
“ERA UN ERETICO CHE SCRIVEVA PERCHE’ TUTTI CAPISSERO”… “SANGERMANO PARLI DI GENTILE E DI DEL NOCE, LASCI STARE DANTE E LEOPARDI”
“Il fondatore del pensiero di destra in Italia è stato Dante Alighieri”. Non
poteva passare in sordina la dichiarazione del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che ieri è piombata nel bel mezzo dell’evento organizzato da Fratelli d’Italia a Milano in vista delle prossime elezioni regionali.
Nel corso della giornata Sangiuliano ha spiegato che la “visione dell’umano della persona che troviamo in Dante” così come la “costruzione politica” sono “profondamente di destra”.
Il primo a rimanere sconvolto da tali affermazioni è Massimo Cacciari che inizialmente ride, poi si inalbera. Come mai ride?
“Che cosa devo fare? Non si può che ridere di fronte a esternazioni del genere, che tra l’altro ricorrono a categorie novecentesche, come destra e sinistra, che non mi sembrano molto aggiornate”.
Cacciari a Dante ha dedicato scritti e riflessioni, introducendo anche il Paradiso nell’edizione della Divina Commedia
Proviamo invece a passare a un piano di riflessione più seria, a storicizzare, se possibile, questo tipo di appropriazioni culturali.
“Questa velleità di appropriarsi di alcuni “fondatori della patria”, è un vizio della destra storica. Pensiamo al fascismo che ogni volta che si dovevano celebrare anniversari, trasformava i cosiddetti padri della patria in una sorta di “precursori””.
È successo solo in Italia?
“Sono appropriazioni avvenute nell’Italia fascista come nella Germania nazista, caratteristiche di tutte le destre storiche europee. Speravo che fossero passate di moda. Credevo che le grandi celebrazioni in senso nazionalistico per Goethe, Wagner, Nietzsche o per la poesia medievale tedesca o per Walther von der Vogelweide fossero un ricordo del passato. Erano maniere per celebrare i propri santi, i propri eroi, i propri poeti, i propri artisti monumentalizzando le loro figure in senso nazionalistico e contrapponendole alle culture “altre””.
In che modo la cultura può diventare un mezzo per costruire una narrazione patriottica?
“Come dicevo è pura retorica nazionalistica che non considera la realtà: quello che veramente conta nella cultura europea è che le sue grandi espressioni artistiche, letterarie, anche filosofiche, formano una famiglia. Non a caso le destre hanno cercato di rovinare questa intesa, questa affinità elettiva. Speravo che non accadesse più. Ahimè, il peggio non è mai morto”.
Veniamo al merito: come mai il ministro Sangiuliano ha scelto secondo lei di citare Dante?
“Ma come si fa? Dante è un rivoluzionario, un eretico, un uomo contro tutti. Dante è esule nei confronti di qualsiasi casa politica consolidata del suo tempo, a cominciare dalla teologia politica ufficiale. Può essere di destra tutto questo? Può essere di destra il fatto che un intellettuale all’inizio del XIV secolo scriva un libro come il Convivio in volgare perché la quintessenza di una filosofia possa essere compresa anche da chi non sa il latino? Si tratta di un’operazione contraria a ogni spirito di conservazione. E prendiamo il De Vulgari Eloquentia, considerato il primo trattato di linguistica: un testo rivoluzionario dedicato a come si costruiscono le lingue può essere letto in chiave conservatrice? Ma scherziamo…”.
Eppure Dante è stato spesso tirato per la giacca e piegato a letture di comodo.
“Ma qui siamo oltre. Non si può fare di un innovatore un conservatore. Tutti i grandi dantisti, da Bruno Nardi a Gennaro Sasso, hanno spiegato e rispiegato come Dante non sia catalogabile all’interno di nessuna delle grandi scuole che formavano la cultura scolastica. Dante fa un’operazione straordinaria perché cerca di accordare le varie tradizioni ma sulla base di una prospettiva tutta sua. Può essere considerata di destra l’operazione incredibile che fa nel Paradiso quando mette insieme Tommaso D’Aquino, San Bonaventura e i due loro oppositori più strenui Gioachino da Fiore e Sigieri di Brabante? Se tutto ciò è destra, bene allora io sono di destra”.
Consideriamo allora l’idea di impero di Dante. Potrebbe servire allo scopo?
“L’impero dantesco non ha niente di nazionalistico o autoritario. È un impero ex nationibus, una forma politica sovrastatale fatta di tante lingue, formata da tante nazioni, ognuna delle quali rivendica la sua autonomia, la sua importanza e la sua forza. L’impero di Dante non è una forma nuova di dittatura e di autorità supernazionale. È invece l’impero che si forma dalla concordia delle nazioni. L’idea è talmente originale da mettergli tutti contro, dalla Chiesa alle nuove filosofie politiche. Come ho già scritto, la grandiosità del Monarchia, che non a caso è messo all’indice, è proprio questa: che può apparire un’operazione passatista ma non lo è affatto. La Roma a cui guarda Dante è la patria del diritto su cui si fonda la civiltà giuridica europea”.
Chi era allora Dante tirando le somme?
“Dante non è una persona etichettabile neanche all’interno della propria vicenda storica. È un assoluto solitario. È un eretico nel senso letterale del termine che rimanda al greco aireis: è colui che si solleva contro ogni già detto, ogni già fatto. Come si può dire che è destra?”.
Non è la prima volta che Sangiuliano cita pilastri della nostra cultura letteraria e filosofica come baluardi di un’identità nazionale. Lo aveva già fatto con Leopardi.
“Il pessimismo leopardiano è totalmente impolitico. La sua radicalità deriva da certe correnti dell’illuminismo ma si tratta di una “solitudine ospitale”, come ho scritto in un mio saggio. Per Leopardi proprio perché la natura ci condanna all’infelicità occorre essere solidali tra noi, che è poi l’essenza del pensiero di Schopenhauer. Leopardi è un rappresentante del grande pessimismo europeo”.
Dunque la sua “italianità” è un altro abbaglio?
“Mettano via le mani da questi autori che con la loro politichetta non c’entrano niente. Cessino di parlare di cose che ignorano e soprattutto di questi grandi solitari. Farei una legge che gli proibisca di parlare di Dante e di Leopardi”.
Sangiuliano dice di no, ma sembrerebbe un tentativo di scalzare l’egemonia culturale di sinistra.
“Ma quale egemonia? Ci sono grandissimi personaggi che sono appartenuti alla destra: hanno il più grande filosofo italiano del Novecento, Giovanni Gentile, e nel mondo cattolico un personaggio come Augusto Del Noce. Hanno Gianfranco Miglio, un grande politologo. Perché invece di dire queste puttanate non citano le pagine bellissime di Gentile su Dante?”.
(da La Repubblica)
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