Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
E ATTACCA LA PROPOSTA DI AUTONOMIA DI CALDEROLI: “PER FARLA DAVVERO SERVONO PIÙ FONDI AL SUD PER RIDURRE I DIVARI”
Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è pronto, e questa settimana sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri per il via libera preliminare. Il ministro leghista degli Affari regionali, Roberto Calderoli, prova lo scatto in avanti per superare i veti e le critiche a un progetto su cui puntano soprattutto Lombardia e Veneto, amministrate dai suoi colleghi di partito, Attilio Fontana e Luca Zaia. Il ddl «non spacca l’Italia», ribadiscono gli esponenti della Lega, ma i dubbi, pure nella maggioranza di centrodestra, restano.
Il cavallo di battaglia del Carroccio che intende cambiare la struttura della Repubblica con il regionalismo differenziato si scontra però con le diseguaglianze tra nord e sud, che potrebbero addirittura crescere a discapito dei cittadini del Mezzogiorno. Il ministro e vice premier Antonio Tajani promette un fondo di perequazione proprio per aiutare le Regioni svantaggiate, ma sta di fatto che la definizione dei Lep – i livelli essenziali delle prestazioni, che l’articolo 117 della Costituzione vuole vengano garantiti su tutto il territorio nazionale – ancora non c’è, e bisognerà aspettare mesi per ottenerla
Durissima la reazione del Terzo polo con Mara Carfagna: «Senza finanziare i Lep, l’autonomia di Calderoli rischia di consegnare ai nostri figli un’Italia estremamente divisa, soprattutto in settori così vitali per il nostro Paese, come istruzione e sanità. Un’eventualità che ostacoleremo in ogni modo possibile».
Intanto, la Svimez – l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – con uno studio che rifà la contabilità nazionale, ribalta la retorica di molti politici e commentatori del nord secondo i quali la spesa storica favorisce il sud. Nel rapporto Svimez emerge come la mano pubblica sia molto più forte nelle Regioni settentrionali. […]
«Noi siamo d’accordo a superare la spesa storica perché è un criterio che ha avvantaggiato le Regioni del nord. Per fare una vera autonomia servono più fondi al sud per ridurre i divari».
Luca Bianchi, direttore della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, sconfessa il luogo comune secondo cui la spesa pubblica ha penalizzato le Regioni che oggi chiedono a gran voce l’autonomia differenziata, come Lombardia e Veneto.
Secondo la Svimez, non c’è stata alcuna ingiustizia fiscale, se mai lo scippo l’ha subito il Mezzogiorno. Basta consultare i dati dei conti pubblici territoriali dell’Agenzia della coesione che «sono più completi di quelli del Mef perché tengono conto sia della spesa diretta dello Stato, sia della spesa delle imprese pubbliche locali».
Cosa dice il vostro studio?
«Contrariamente a quanto si pensa, nel sud la spesa è minore, e lo si vede dai servizi: dal numero dei posti letto negli ospedali agli asili nido, fino al tempo pieno nelle scuole. Gli indicatori lo evidenziano: non essendoci un servizio non c’è nemmeno il finanziamento. Abbiamo smentito chi sostiene che c’è un eccesso di risorse al sud, il problema è che c’è una carenza di servizi».
Quindi non è vero che la spesa storica ha aiutato il Mezzogiorno a scapito delle regioni del nord. Il ministro Calderoli auspica il superamento di questo criterio, come si fa?
«L’unico modo per superare la spesa storica è definire i livelli essenziali delle prestazioni, i Lep, altrimenti si rischia che si vengano a cristallizzare le diseguaglianze che già ci sono».
Sta dicendo che il sud deve avere più fondi?
«Questo è il vero tema, per fare i Lep servono risorse aggiuntive. Come ha fatto il governo Draghi per gli asili nido: ha introdotto i livelli essenziali delle prestazioni e nel frattempo ha previsto un finanziamento aggiuntivo per le aree in cui gli asili nido non c’erano».
E invece il nord dice “dateci i soldi che abbiamo preso finora e li gestiamo noi”.
«La proposta del nord è a invarianza di gettito, noi diciamo che è sbagliata perché, prima di trasferire le competenze, dobbiamo capire esattamente qual è la spesa da finanziare in ciascun territorio per avere servizi omogenei. È necessario dare una prospettiva di riduzione dei divari. Invece, con l’autonomia differenziata, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto fanno da sole: così se ne va buona parte del Pil nazionale e il Paese rinuncia a riequilibrare l’offerta dei servizi sul territorio».
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
A BRUXELLES CI SONO QUASI 3500 ASSOCIAZIONI CHE IN REALTÀ PERSEGUONO FINI COMMERCIALI… PERCHÉ SI ISCRIVONO COME ‘NO PROFIT’ QUANDO RAPPRESENTANO GLI INTERESSI DEI LORO FINANZIATORI, IL CUI INTERESSE FINALE È IL PROFITTO
Bruxelles è ancora la capitale mondiale delle lobby, che dall’interno delle istituzioni cercano di influenzare le politiche della Ue. «No Peace Without Justice» e «Fight Impunity», già classificate come Organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani e non perseguono fini commerciali, secondo la magistratura belga li perseguivano eccome, nelle persone dei propri capi: tangenti dal Qatar per migliorarne l’immagine alla vigilia dei Mondiali di calcio.
Nel 2011 per sapere «chi» incontra «chi» e «per parlare di cosa» è stato istituito presso la Commissione il Registro per la trasparenza Ue, esteso nel 2021 anche a Parlamento e Consiglio, ma in questo caso su base volontaria.
Ben 10 anni più tardi, e dopo che, già nel 2016, una consultazione pubblica durata 3 mesi lo aveva etichettato come obbligatorio. Il Registro classifica le lobby in 3 categorie: chi promuove i propri interessi o quelli dei propri membri (compagnie, aziende); gli intermediari (studi di consulenza); e chi non rappresenta interessi commerciali (associazioni no profit, Ong).
Al 19 gennaio 2023 il Registro raccoglie 12.417 iscritti, di cui 8.229 classificati come «compagnie che perseguono i propri interessi commerciali» (461 quelle italiane) e 3.488 come Ong o no profit (161 quelle italiane).
Secondo Shari Hinds di Transparency International il sistema è incline agli errori perché le linee guida sulle categorie sono vaghe e generali, diverse organizzazioni non si registrano nella categoria corretta e i controlli sono pochi.
I requisiti richiesti alle Ong
Le Ong o no profit, già classificate come tali dal loro statuto originario in Italia, per iscriversi a Bruxelles devono: «certificare che promuovete i vostri interessi e la vostra finalità principale e/o settore di attività è di natura non commerciale o lucrativa; che promuovete gli interessi collettivi dei vostri membri e il principale settore di attività del 50% o più dei vostri membri è di natura non commerciale o lucrativa»
Si tratta di auto-dichiarazioni, e ci si iscrive al Registro per concorrere ai bandi della Commissione sui programmi comunitari, o per sensibilizzare le istituzioni su temi di interesse collettivo. Fra le tante e nobili Ong che si occupano di tutela dell’ambiente, accoglienza dei migranti, benessere animale, cura delle malattie rare, disabilità, associazioni di genitori di bambini malati oncologici, troviamo però anche questo lungo elenco.
Profit o no profit
Unione italiana per l’Olio di palma sostenibile: dichiara di avere come obiettivo principale quello di promuovere l’olio di palma sostenibile da parte delle aziende. I suoi membri finanziatori sono infatti le aziende che vendono prodotti a base di olio di palma: Unigrà, Ferrero, Nestlé, ecc, ma Francesca Ronca – responsabile delle relazioni Ue – dichiara: «Non perseguiamo interessi commerciali di una singola categoria, noi siamo un’associazione trasversale che ne riunisce diverse altre».
Consorzio italiano compostatori: raggruppa 144 aziende fra produttori e gestori di impianti di compostaggio, biometano, fertilizzanti organici. Dichiara un budget di 2 milioni di euro, tuttavia è registrata come «organizzazione che non persegue fini commerciali».
Wec Italia: riunisce tutti gli operatori del settore energetico ed è sostenuto dai contributi di Ansaldo Energia, Eni, Esso, Saipem, Gruppo Api, Snam, Terna. «Ma siamo da statuto un’associazione che non ha scopi commerciali», sostiene il suo segretario generale Paolo D’Ermo.
Piedmont Aerospace Cluster: promuove l’industria aerospaziale del Piemonte, e concorre ai bandi della Commissione per i progetti aerospaziali Ue. È sostenuta dalla Regione e dai suoi associati: colossi dell’industria strategico-militare come Leonardo, Thales Alenia, Ge Avio.
ETO, European Tuning Organization (letteralmente: «Messa a punto delle auto nella Ue»): si occupa di omologazioni meccaniche. Sul sito web afferma di rappresentare «centinaia di piccole e medie imprese che generano decine di migliaia di posti di lavoro». Nel Registro Ue, dichiara di «non rappresentare interessi commerciali». Il 12 gennaio, poche ore dopo la richiesta di spiegazioni di Dataroom, ETO ricompare nel Registro come «compagnia che promuove i propri interessi o quelli dei propri associati».
Ma perché si iscrivono come «no profit» quando rappresentano gli interessi dei loro finanziatori, il cui interesse finale è il profitto? E pertanto dovrebbero figurare fra le lobby commerciali o associazioni di categoria. Le possibili risposte sono due
1) collocandosi all’interno di un mondo portatore di interessi collettivi e sociali è più facile avere presa sull’interlocutore istituzionale;
2) il portatore di interesse si iscrive «in buona fede» nella categoria sbagliata.
Già nel 2018, la Corte dei conti europea definiva «inaffidabile» la classificazione delle Ong, e a seguito di contestazioni nel 2021 nove controllori dipendenti dai vertici Ue hanno revisionato le tre categorie del Registro. Nel loro rapporto si legge: «3.360 controlli effettuati; il 30% è stato radiato per inammissibilità o mancato aggiornamento».
Gli italiani i più «distratti»
Dopo la girandola di valigette piene di contanti, la presidente del Parlamento europeo Metsola vuole che gli eurodeputati seguano le stesse regole della Commissione: obbligo di registrare gli incontri con i lobbisti di qualunque categoria, dalle multinazionali ai sindacati o associazioni no profit.
Già, perché fino ad oggi sono solo «incoraggiati» (testuale). E i politici italiani sono risultati fra i più «distratti»: negli ultimi 3 anni solo il 42% ha ufficializzato almeno un meeting con i portatori d’interessi (Qui il documento). Contro il 76% della Germania, il 62% della Francia e il 54% della Spagna.
Tornando infine alle nostre Ong: delle 161 iscritte al Registro, ben 132 dichiarano «zero incontri». Vuol dire in sostanza che si sono iscritte al Registro in previsione di incontri futuri, oppure gli incontri ci sono stati, ma i parlamentari non li hanno segnalati.
(da il Corriere della Sera)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
CHE RUOLO HANNO AVUTO I SERVIZI SEGRETI ITALIANI IN UNA VICENDA CHE RIGUARDA SOLO IL PARLAMENTO E NON GLI 007? C’È STATA O NO UNA TRATTATIVA RENZI-007 COME SI SUSSURRA?
Da quasi due anni Matteo Renzi insegue il fantasma di una professoressa. Lei è un’insegnante di storia dell’arte, ma per il capo di Italia viva è peggio del diavolo. Non si sa bene di che cosa l’ex presidente del Consiglio la accusi, sta di fatto che dalla metà del 2021, questa donna di 44 anni è sospettata di essere al centro di una spy-story politica. A dire il vero, le spie le ha messe di mezzo il senatore semplice di Rignano.
È lui infatti che il 23 dicembre del 2020, in piena pandemia, si incontra all’autogrill di Fiano romano con Marco Mancini, uno dei capi dei servizi segreti italiani. Non si conosce perché, alla vigilia di Natale di due anni fa un ex premier abbia sentito l’esigenza di darsi appuntamento con uno 007.
Ma si sa che quell’incontro venne ripreso con un telefonino da una sconosciuta docente in viaggio con i genitori, la quale pur non conoscendo l’identità dello spione, riconobbe la faccia di Renzi e per questo, incuriosita come solo lo possono essere le persone che vedono un personaggio famoso, invece di farsi un selfie con il senatore, gli fece un video.
La professoressa si chiese perché un personaggio noto come Renzi sentisse l’obbligo di appartarsi in un’area di parcheggio autostradale per incontrare qualcuno. Il colloquio dura almeno un quarto d’ora e anche la sosta dell’insegnante si prolunga. Infatti, il padre che è con lei non si sente bene e fa la spola tra i bagni dell’autogrill e l’auto della figlia, la quale dal posto di guida scatta le foto e gira due brevi filmati. Circa 15 minuti trascorsi a scrutare e filmare Renzi e il capo divisione dei servizi di sicurezza.
Ma il torto della prof non è aver ripreso a debita distanza l’incontro, bensì aver provato a trasmettere il video agli organi di informazione per scoprire chi fosse il misterioso e importante interlocutore di Renzi. Con una mail, la donna prova a contattare il Fatto quotidiano, ma in redazione dovevano essere distratti. Così, passate un po’ di settimane, il video finisce tra le mani dei giornalisti di Report che, una volta identificato Mancini, all’inizio di maggio del 2021 lo mandano in onda.
Pochi giorni di tempo e arriva la denuncia di Matteo Renzi, il quale accusa la professoressa di nascondere qualche cosa. Che cosa sospetti non si sa, perché a quasi due anni di distanza, la poveretta è stata rivoltata come un calzino e i pm hanno anche fatto i debiti riscontri sul suo racconto. Tutto conferma il racconto della prof. Tuttavia, Renzi insiste, sospettando che la donna nasconda qualche cosa, magari un complotto oppure rapporti poco chiari con potenze estere, dispiaciute che lui dia una mano al Rinascimento arabo.
Non so bene che cosa sospetti il senatore semplice di Rignano. Ma mi è chiara una cosa, ossia che atteggiandosi a vittima di oscure forze della reazione, Renzi da quasi due anni è riuscito a evitare di spiegarci perché, alla vigilia di Natale del 2020, abbia sentito l’esigenza di incontrarsi con una spia. Di certo l’appuntamento non era istituzionale, perché altrimenti si sarebbe dovuto svolgere nelle dovute sedi e non nel parcheggio di un autogrill.
Ed è altrettanto sicuro che in quei giorni si decideva il destino del Conte 2, il governo che il Rottamatore si preparava a sfasciare togliendogli la fiducia. Dunque, che ruolo hanno avuto, se lo hanno avuto, i servizi segreti italiano in una vicenda che riguarda solo il Parlamento e non gli 007? È possibile che qualcuno si sia dato da fare per evitare una crisi che rispedisse a casa il fu avvocato del popolo? C’è stata o no una trattativa Renzi-007 come si sussurra? Una cosa mi pare ovvia: se c’è qualcuno che deve spiegare che cosa è successo, questa non è la professoressa.
(da La Verità)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
VITA, OPERE E OMISSIONI DI GEORGE SANTOS, IL DEPUTATO REPUBBLICANO PRINCIPE DEI CAZZARI: IL SUO CURRICULUM È TUTTO FINTO. HA MENTITO ANCHE SULLA MORTE DELLA MADRE E SULLE SUE ORIGINI
È la versione maschile di Anna Sorokin, alias Anna Delvey, che si finse ereditiera per accedere all’alta società newyorkese. A differenza di Abagnale e Sorokin, George Santos non è stato condannato per frode, finora.
Si presenta ogni giorno al Congresso, dove lo speaker repubblicano Kevin McCarthy lo ha appena nominato membro di due commissioni della Camera (Scienza e Piccole imprese). E questo nonostante un dipendente di Santos abbia finto di essere il capo dello staff di McCarthy per raccogliere fondi per la sua elezione nel terzo distretto di New York a novembre.
E il deputato, indagato per le bugie relative a ogni aspetto del curriculum e sull’origine dei 700 mila dollari con cui ha finanziato la sua campagna, non ha intenzione di lasciare: «Ho abbellito il curriculum» dice «ma non ho commesso alcun crimine».
Santos non ha mai lavorato per Citigroup o Goldman Sachs, né si è laureato al prestigioso Baruch college (o da nessuna parte): tutto falso.
Ha lavorato un anno per Harbor City Capital, società di investimenti accusata di avere messo in piedi uno schema Ponzi.
Ha mentito sulla morte di sua madre: su Twitter disse che era accaduto nell’attacco dell’11 settembre; in realtà Fatima Caruso Devolder non era negli Stati Uniti, ma in Brasile dove George dice di essere nato nel 1988. Ha mentito sulle sue origini ebraiche: i presunti nonni ebrei fuggiti dall’Europa durante la Seconda guerra mondiale risultano nati in Brasile prima del conflitto.
Santos ha usato diversi pseudonimi: col nome Anthony Devolder gestiva un’associazione animalista, Friends of Pets United.
Un veterano della Marina gli chiese aiuto per salvare il suo cane malato di cancro; «Devolder» creò una pagina online, raccolse tremila dollari, ma poi mandò padrone e cane da un veterinario di sua conoscenza che disse che il tumore non poteva essere operato e sparì coi soldi (il cane è morto). Una pagina Wikipedia di «Devolder» dice che avrebbe vinto concorsi di bellezza come drag queen. Santos si dichiara gay (anche se è stato sposato). Una foto lo ritrae nel 2008 nei panni di una drag queen sotto lo pseudonimo Kitara, ma lui nega. Nega tutto.
Il New York Times ritiene che a renderlo convincente, come con Anna Sorokin, ha contribuito il look: i maglioni girocollo grigi e pervinca sotto la giacca, i pantaloni beige e gli occhiali con montatura nera da studente dell’ Attimo fuggente .
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
MELONI VUOLE DIFENDERE LA LOBBY MA LA UE AVVERTE: “ASSICURARE CONCORRENZA E INNOVAZIONE”
Il tema delle concessioni statali per gli stabilimenti balneari torna a creare fermento nella maggioranza di governo e tra questo e le istituzioni europee, ansiose di vedere al più presto riaffermato e applicato anche in questo settore il principio di libera concorrenza.
Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi, avanzata in Parlamento dal partito della premier Giorgia Meloni, Fdi, di prorogare ulteriormente le concessioni – senza gara – di almeno un altro anno oltre il 31 dicembre 2023, scadenza ultima attualmente prevista dopo l’intervento dell’esecutivo Draghi e la conferma del Consiglio di Stato.
La proposta era rimasta in piedi per meno di 24 ore. Sabato 21, si è poi scoperto che l’emendamento al decreto Milleproroghe che avrebbe previsto tale proroga non era stato segnalato per il voto.
Ma l’idea pare tutt’altro che accantonata tra i partiti di centrodestra, sensibili alle richieste degli attuali gestori degli stabilimenti. Come ha messo in chiaro la stessa Meloni. «La questione è complessa, ma non ho cambiato idea sul tema della difesa dei balneari da una direttiva che non andava applicata», ha detto la premier. «Quello che ora si tratta di capire è quale sia la soluzione più efficace a livello strutturale. Io immagino una soluzione non temporanea», ha aggiunto Meloni, annunciando l’intenzione di convocare le associazioni dei gestori prima del voto degli emendamenti al Milleproroghe per «capire se è più efficace la proroga o altre soluzioni. Il mio obiettivo è mettere in sicurezza quegli imprenditori», ha concluso.
Una posizione che sembra andare subito di traverso all’Ue, considerato che un ulteriore prolungamento dell’attuale regime non concorrenziale violerebbe le norme europee e gli impegni assunti nel Pnrr.
«Il diritto Ue richiede che le norme nazionali in materia di servizi assicurino la parità di trattamento degli operatori senza alcun vantaggio diretto o indiretto per operatori specifici, promuovano l’innovazione e la concorrenza leale e proteggano dal rischio di monopolizzazione delle risorse pubbliche», ha messo in chiaro un portavoce dell’Ue all’Ansa. «Cittadini e imprese hanno diritto a una procedura trasparente, imparziale e aperta al momento di decidere a quale impresa debba essere concesso il diritto di usare il suolo pubblico, in questo caso le spiagge», ha aggiunto il portavoce.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI NELLA PUNTATA DI REPORT DI STASERA: UN TESTIMONE E GLI ATTI DI UN PROCESSO CHE PORTAVA AL BOSS SU CUI NON SI E’ MAI INDAGATO
Molti elementi confermavano la presenza del super boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro in un’area di pochi chilometri quadrati almeno dal novembre 2021 se non prima (un testimone è sicuro di averlo visto nel 2017).
E la traccia del medico di base di Campobello di Mazzara oggi indagato, Alfonso Tumbarello, che sarebbe rimasto in contatto con il boss fino alla cattura, era persino agli atti di un processo discusso in aula nel 2012 ma al quale non sarebbe stato dato seguito investigativo.
Sono molti gli indizi che lasciano pensare che non tutte le informazioni abbiano circolato a dovere negli anni precedenti alla cattura del boss, esposte nella puntata di Report che andrà in onda questa sera alle 21.20 su Rai3.
Una molto concreta è di due anni fa: le dichiarazioni di un informatore dei carabinieri che nel novembre 2021 riferiva di essere certo che Matteo Messina Denaro si trovasse a Torretta Granitola, frazione di Campobello di Mazzara, la cittadina trapanese dove ha passato almeno gli ultimi 10 anni e dove sono stati trovati tre covi. Nell’informativa che vi mostriamo, e che Report manderà in onda, si legge la formula di rito circa l’informatore considerato «persona degna di fede”. E le sue dichiarazioni: «Gente mi ha riferito che lui ha sempre la stessa faccia ma molto invecchiato. A Campobello è protetto e i giovani lo elogiano, il paese è malato».
E ancora: «A Campobello comanda sempre lui, il fratello apparentemente si mostra quale capo, quello che gira sempre con lo scooter» (il riferimento è a Salvatore Messina Denaro). «A lui non lo vogliono prendere. Qualcuno gli deve portare da mangiare e i vestiti puliti. Dove pensate che sia se non in zona, non li avete mai visti a questi due che fanno avanti e indietro da Torretta? C’è gente di Campobello che sale e scende da Torretta».
L’ipotesi che abbia usato una sede del Cnr per nascondersi
Le dichiarazioni dell’informatore si incrociano con alcuni elementi che la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci aveva mandato in onda già negli anni passati.
Nel 2017 infatti, seguendo le tracce di abusi all’interno del Consiglio nazionale di ricerca (Cnr) l’ente affiliato al Mur, Report aveva ipotizzato che Messina Denaro si trovasse a Torretta Granitola o nei pressi del “capo” sul mare che dà il nome alla frazione e dove ha sede l’Istituto di ricerca per l’ambiente marino costiero.
La sede dell’ente di Torretta Granitola è stata per anni protetta da un uomo armato, Giovanni Cicchirillo, di Castelvetrano, formalmente assunto da una ditta di pulizie. E il dirigente della sede, Mario Sprovieri, confidò alla ricercatrice Laura Giuliano, nipote del super poliziotto Boris Giuliano, che il boss si trovava proprio lì (in un audio che potete ascoltare nella clip video che anticipiamo): «Tieni presente che Capo Granitola è la casa di Matteo Messina Denaro. Il boss ricercato al mondo numero uno è là».
Il Cnr aveva anche affittato una casa “uso foresteria” da persone vicinissime al boss. Infine, ricostruisce ancora Report, un ex dipendente del Cnr, che ha chiesto l’anonimato, dice addirittura di averlo visto: «Ero fuori dall’orario di lavoro – spiega – Mi trovavo da quelle parti, cioè mi avvicino verso i cancelli e questa persona rimane a distanza. Ma tu hai presente quando dici “ma io questo lo conosco”? Per me era lui… Matteo Messina Denaro».
Sulle tracce di Tumbarello
C’è poi l’incredibile vicenda del medico di base e massone, Alfonso Tumbarello, che ha seguito tutta la malattia di Messina Denaro e i suoi ricoveri nel corso degli anni. In un processo nel 2012, il sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, racconta che nei primi anni 2000, su richiesta del comandante del Sisde, Mario Mori, era riuscito a intessere una relazione epistolare con Messina Denaro e che il tramite era stato proprio il dottor Tumbarello che organizzò un incontro nel suo studio col fratello del boss Salvatore Messina Denaro.
Dopo un po’ di tempo iniziò la “corrispondenza” (è Vaccarino lo Svetonio a cui il boss scriveva firmandosi Alessio). Eppure l’elemento, incluso il ruolo di Tumbarello, citato in aula come si legge nella trascrizione, non avrebbe portato ad ulteriori indagini. O almeno questo ritiene Teresa Principato, per anni procuratore aggiunto a Palermo: «Effettivamente che i pm non annotino questa circostanza può sembrare una distrazione».
(da Open)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
INTOSSICATI NEL SONNO DALLE ESALAZIONI DI MONOSSIDO DI CARBONIO PRODOTTE DA UN BRACIERE, CHE AVEVANO MESSO ACCANTO AL LETTO PER RISCALDARSI
Due giovani migranti, un uomo e una donna, sono morti la scorsa notte in una baracca del cosiddetto ‘ghetto’ di Borgo Mezzanone (Foggia).
A quanto si apprende sarebbero rimasti intossicati nel sonno dalle esalazioni di monossido di carbonio prodotte da un braciere utilizzato per riscaldarsi e posizionato accanto al letto. Altre due persone che dormivano nella stessa baracca sono rimaste leggermente intossicate.
Le vittime sono entrambe africane e non sono state ancora identificate. A dare l’allarme sono stati alcuni migranti presenti nel grande insediamento dove vivono stabilmente oltre 1.500 stranieri occupati prevalentemente in lavori nelle campagne del Foggiano.
Quando il personale del 118 è arrivato non ha potuto far altro che costatare il decesso dei due migranti. Le indagini sono affidate alla polizia. A Borgo Mezzanone sono arrivati anche i vigili del fuoco che hanno messo in sicurezza l’intera zona.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IL PAPA È PIÙ APPREZZATO DAGLI ELETTORI DI PD E TERZO POLO, MENO DA QUELLI DELLA LEGA
Circa il 20% degli italiani frequenta i luoghi di culto almeno una volta alla settimana. Quasi il 30% mai. Solo 10 anni fa, però, questa relazione era inversa. Inoltre, com’è noto, la frequenza alla messa e ai luoghi di culto è sempre più una “pratica praticata” dagli anziani. Fra chi ha più di 65 anni, infatti, oltre il 26% afferma di andare a messa quasi ogni settimana. Una quota che si riduce al 12% fra le persone con meno di 30 anni.
Questa differenza si accentua se si considera il “genere”. Visto che, fra gli uomini, il 14% dichiara una pratica religiosa “regolare”, mentre fra le donne questa componente supera il 21 per cento. Per questo, la Chiesa resta “un” centro, se non più “il” centro, della società. Per questo suscita interesse e, come si è detto, polemiche. Alimentate, nuovamente, da cardinali e alti prelati che hanno svolto ruoli centrali nel corso del papato precedente.
Tuttavia, la fiducia nei confronti del Pontefice si conferma molto elevata. Espressa dai due terzi degli italiani. E, anzi, un po’ di più: 68%.
Lontano dai picchi toccati 10 anni fa, al momento dell’elezione, quando sfiorò il 90%. Il Pontefice continua a ottenere una fiducia largamente maggioritaria. La più elevata, insieme al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
L’apprezzamento nei confronti del Papa raggiunge i livelli più elevati fra le donne e nelle classi d’età adulte e anziane. Ma è rilevante anche fra i più giovani (49%). La pratica religiosa, ovviamente, influisce sensibilmente, su questo sentimento.
Il grado di apprezzamento maggiore, sotto questa prospettiva, viene espresso dagli elettori del Pd (85%) e del Terzo Polo-Azione e Italia Viva (80%). Ma anche fra chi vota per FI gli indici di consenso risultano superiori al 70% (per la precisione, 73%).
L’atteggiamento verso Papa Francesco, invece, appare più tiepido, ma comunque positivo tra i sostenitori del M5S e dei Fratelli d’Italia. L’indice decisamente più basso si rileva, invece, nella base della Lega. Un aspetto che non sorprende, viste le posizioni manifestate, in diverse occasioni, dall’attuale Pontefice riguardo all’accoglienza degli immigrati.
(da La Repubblica)
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Gennaio 23rd, 2023 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA LO HA ABBANDONATO, E MELONI TEME CHE SULL’EX MAGISTRATO I BERLUSCONIANI INSODDISFATTI (GUIDATI DA LICIA RONZULLI) FACCIANO ASSE CON IL TERZO POLO DI RENZI E CALENDA
La maggioranza rischia di finire a pezzi sulla Giustizia. Il ministro Carlo Nordio è furibondo: si sente abbandonato dal partito che lo ha candidato, dalla leader che lo ha fortemente voluto nelle sue liste con la promessa di destinarlo al ruolo di Guardasigilli.
Le dichiarazioni di Nordio sulla magistratura e sull’antimafia hanno lasciato ferite.
La lettura dei giornali che raccontano la solitudine di Nordio e le contraddizioni nella maggioranza le rendono poco piacevole la mattinata. E la nota che Palazzo Chigi pubblica prima di partire per Algeri racconta proprio di questa ansia.
In realtà, Meloni sa bene cosa è successo. Sa bene che ci sono due anime militarizzate nella destra, inconciliabili tra di loro, una meno e una più attenta alle ragioni dei magistrati. Troppe voci differenti, senza un coordinamento e una linea chiara. Bisogna fare ordine. Fissare un cronoprogramma, che la presidente del Consiglio ha intenzione di discutere in settimana con il ministro della Giustizia. Anche perché su questo tema rischia di aprirsi una faglia che può spezzare i confini interni ed esterni della maggioranza.
Il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda non ha mai nascosto le simpatie per Nordio, e l’asse potrebbe favorire anche i berlusconiani più insoddisfatti dagli equilibri del governo. Alla Camera, durante le comunicazioni in Aula, a molti deputati non è sfuggito quell’annuire convinto del ministro mentre il deputato di Azione Enrico Costa illustrava il suo progetto di legge per limitare la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali
Non solo.
Nel giro massimo di un paio di settimane, la commissione Affari costituzionali dovrebbe calendarizzare l’altra proposta di Costa, sulla separazione delle carriere dei magistrati.
Altro capitolo caro a Nordio, su cui è possibile una convergenza con i centristi e con Forza Italia, anche se la discussione sarà lunga e non porterà mai a una legge prima di due-tre anni.
Due nomi fanno in queste ore fonti vicine al ministro: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il vice capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) Roberto Tartaglia.
Entrambi non hanno apprezzato le parole di Nordio in Aula su mafia e magistrati, e avrebbero voluto che Nordio cedesse sull’opportunità di inserire l’aggravante mafiosa nella riforma Cartabia sulla procedibilità d’ufficio in un decreto d’urgenza.
Mantovano è un giurista, molto stimato da Meloni, un magistrato di Cassazione che, ai tempi in cui era sottosegretario all’Interno – nei governi Berlusconi – si spese molto per le campagne antimafia e a favore delle leggi a protezione dei testimoni di giustizia.
Tartaglia anche è un magistrato e ha partecipato alle indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia, niente di più lontano per cultura e impostazione da Nordio: chiamato dall’ex ministro grillino Alfonso Bonafede a ricoprire il ruolo di vice capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è stato poi spostato da Mario Draghi al Dagl, a Palazzo Chigi, e qui confermato da Meloni.
(da La Stampa)
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