Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
AZIONE IN TERZA POSIZIONE SUPERA SIA LA LEGA SIA ITALIA VIVA
In politica un anno può essere un’eternità. E dunque, se le elezioni politiche del
2022 sono andate male e se ora, nel 2023, il Pd è accreditato al 15%, nelle dichiarazioni dei redditi del 2022 (anno fiscale 2021) era ancora il partito al quale più volentieri gli italiani erano pronti a destinare il proprio 2Xmille.
Segnale di crescita, che probabilmente andrà a migliorare sull’anno fiscale 2022, quello dato a Fratelli d’Italia: aveva scalzato la Lega l’anno scorso e resta secondo, ma il terzo classificato non è più il partito di Matteo Salvini ma Azione.
Guardando ai numeri, i contributi a favore del Partito democratico sono ammontati a 7,3 milioni di euro, Fratelli d’Italia riceve 3,1 milioni di euro, (entrambi in aumento rispetto all’anno precedente).
A seguire Azione, con 1 milione e 256mila euro, davanti, anche se non di molto, alla Lega, ferma a 1 milione e 210mila euro.
Sotto il milione di euro i contributi per tutti gli altri: Italia Viva è quinta con 973mila euro, a seguire Articolo 1 (895mila), Europa Verde (837mila), Sinistra italiana (832mila), Forza Italia (581mila), Più Europa (577mila), Italexit (460mila).
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
ASCOLTATISSIMO CONSIGLIORI DI GIORGIA MELONI, E’ ARRIVATO ADDIRITTURA A ORGANIZZARE IL VIAGGIO IN UCRAINA DELLA MELONI
Tenetevi forte: Bruno Vespa è sempre più vicino alla partenza con la sua striscia serale. Ai piani alti di viale Mazzini sono pronti per farlo partire entro la prima metà di marzo. Il format del programma è già pronto e presto inizieranno le prime prove.
Nel frattempo all’interno di Fratelli d’Italia serpeggia malumore. Secondo alcuni Giorgia Meloni non starebbe mantenendo la promessa di “rivoluzionare la Rai”. Ma che cosa aspetta? Si chiedono
“Il paese adesso ha altre priorità” spiegano da Palazzo Chigi. Insomma, Giorgia Meloni non ha nessuna intenzione, almeno per il momento, di mettere la testa in quel vespaio chiamato viale Mazzini.
Ciononostante c’è chi non vede l’ora di mandare a casa l’amministratore delegato Carlo Fuortes. Passaggio cruciale il 25 febbraio. Il cda vota il budget 2023. Un atto, insieme al bilancio, determinante per il futuro della governance aziendale. Determinanti saranno i consiglieri del vecchio centrodestra, De Blasio e Agnes.
Un loro voto contrario, insieme ai consiglieri PD, 5 Stelle e del rappresentante dei dipendenti – passati all’opposizione con la nomina di Nicola Rao alla direzione Tg2- farebbe bocciare il budget. Conseguentemente Fuortes e la presidente Soldi verrebbero sfiduciati, quindi dimissioni obbligate.
A quel punto tutti i partiti prenderebbero l’occasione per nominare un cda tutto nuovo . Con questo azzeramento, il centrodestra diventerebbe maggioranza con un nuovo cda nominato dalle Camere e dal Mef.
Proprio per questo negli ultimi giorni hanno ripreso a circolare con insistenza vari schemi di totonomi comprendenti presidenti e amministratori delegati. E tanta gente sta facendo di tutto ma proprio di tutto per provare ad avvicinare Giorgia Meloni e i suoi sodali.
Crisi di ascolti a Uno Mattina: dopo la batosta presa con Fiorello, il programma negli ultimi giorni è stato superato anche dalla Tgr con Buongiorno Italia.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
SILENZIO TOMBALE NELL’ATTO DI INDIRIZZO DEL MINISTRO
Vi ricordate Fonzie, in Happy Days? Non riusciva a dire la parola “scusa”. Il
ministro della Giustizia, Carlo Nordio, seguito dalla sua maggioranza, non riesce a dire “corruzione”, che vede protagonisti negativi politici e colletti bianchi.
Non c’è traccia nemmeno nell’atto di indirizzo di 22 pagine, inviato ai dipartimenti del ministero, che abbiamo potuto visionare. Anzi, in quel documento non ci sono neppure le parole mafia o 41-bis e alta sicurezza, quando si riferisce alle carceri.
Ieri, nell’aula di Palazzo Madama , Nordio non si è mai riferito alla lotta alla corruzione, neppure per inciso, illustrando la relazione annuale sullo stato della giustizia.
Anzi, ha ribadito che spazzerà via i reati di abuso d’ufficio e di traffico di influenza, reati contro la Pubblica amministrazione: “È imminente la profonda revisione di quei reati che intimoriscono gli amministratori senza tutelare i cittadini… con effetti perniciosi per lo sviluppo del Paese.”
C’è poi l’ossessione-avversione di Nordio per le intercettazioni. Il ministro apre la relazione smentendo se stesso sul tema, come era stato costretto a fare poche ore dopo l’arresto del boss Messina Denaro, impossibile senza le intercettazioni.
“Non sarà mai abbastanza ribadito che non vi saranno riforme che toccheranno le intercettazioni su mafia e terrorismo. Quando dico che i mafiosi non parlano per telefono, alludo al fatto che nessuno di loro al telefono abbia manifestato volontà di delinquere o espresso una parola che sia prova di un delitto”, ma le intercettazioni “servono per individuare i loro movimenti”.
E le intercettazioni contro corrotti e corruttori? Silenzio. Ma non può essere un caso per un ministro della Giustizia, pure ex magistrato.
Dice Nordio ai senatori: “Andremo avanti sino in fondo, non vacilleremo e non esiteremo. La rivoluzione copernicana contro l’abuso delle intercettazioni è un punto fermo del nostro programma”.
Il senatore 5stelle Roberto Scarpinato che ha definito Nordio, ironicamente, dr. Jekyll e mister Hyde, osserva: “Poiché i casi di intercettazioni finite sulla stampa – di cui si lamenta sempre il ministro – sono concernenti colletti bianchi di alto rango, indagati per reati contro la Pubblica amministrazione, se ne deduce che tali reati sono considerati minori da questo governo”.
Critica il ministro pure il senatore del Pd, Valter Verini: “Lei ha parlato di gogne mediatiche, ma ci vuole un equilibrio tra il rispetto della privacy e il diritto all’informazione”. Poi cita il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, il quale ha definito “indispensabili” le intercettazioni anche contro la corruzione. Sia Verini sia la senatrice 5S, Ada Lopreiato, hanno ricordato , inoltre, che questo governo ha tolto dai reati ostativi ai benefici penitenziari, per chi non collabora, tutti i reati corruttivi, persino se viene contestata l’associazione a delinquere.
Ilaria Cucchi, senatrice della sinistra, sorella, come ha voluto ricordare, di Stefano Cucchi, ucciso di botte da alcuni carabinieri a Roma, mette il dito nella piaga della riforma Cartabia: “Il mio è un grido di dolore per lo scempio della Costituzione che si viene a fare”, e si rivolge “con il cuore” a Nordio perché non sia “corresponsabile”. Si riferisce alla norma Cartabia che obbliga i giudici dell’udienza preliminare a rinviare a giudizio un imputato solo se pensano che sarà ragionevolmente condannato.
Ma, ha detto Cucchi, “solo nella serrata dialettica durante il processo si può arrivare alla verità, e io ne so qualcosa. In questo modo saranno considerati colpevoli, in barba alla Costituzione, i rinviati a giudizio e molte vittime non avranno giustizia perché non si faranno i processi”.
L’apprezzamento per Nordio arriva dalla maggioranza tutta e da renziani e calendiani. Infatti Azione e Italia Viva incassano, assieme a quella della maggioranza, l’approvazione della loro mozione in cui si chiede “un confronto costante con le forze di opposizione che condividono l’obiettivo di un ‘azione riformatrice di matrice liberale e garantista’”. Immancabile il tweet di Carlo Calenda, che definisce “attuabile” una collaborazione sulla giustizia penale.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
BONACCINI 51,5%, SCHLEIN 48,5%… CON IL PRIMO I PIU’ ANZIANI, CON LA SECONDA GIOVANI E DONNE
Un nuovo sondaggio sulle primarie del Partito Democratico, rilanciato da La Repubblica, scompagina le carte per le primarie dei dem, alle prese con l’elezione del nuovo segretario. L’ex europarlamentare Elly Schlein non sarebbe più così lontana al candidato favorito fino ad ora dalla precedenti rilevazioni, Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna. La sfida sarebbe ancora aperta in vista delle primarie del 26 febbraio, dove sono attesi 900mila elettori.
Il sondaggio è stato effettuato da Winpoll, che il 17 gennaio ha consultato un campione di mille potenziali votanti del Pd.
Da quello che è emerso dalla rilevazione, Bonaccini sarebbe ancora avanti nella corsa, con l’85% di notorietà e 78% di fiducia.
Al secondo posto troviamo Schlein, con il 76% di notorietà e il 74% di fiducia; al terzo posto il deputato Gianni Cuperlo, che gode del 70% di notorietà; mentre l’ex ministra Paola De Micheli sarebbe più indietro, al 42%.
Se questa è la classifica che stabilisce chi dei quattro è più conosciuto nel popolo dem, ecco i dati del consenso: il 46% dice che ai gazebo (oppure online, in base alle nuove regole) indicherebbe il nome del governatore Stefano Bonaccini; il 41% preferirebbe invece il nome della sua ex vice, Elly Schlein. Per Cuperlo il consenso non andrebbe oltre il 7%, mentre quello per De Micheli si fermerebbe ancora più sotto. Complessivamente quindi Bonaccini è dato al 51,5%, mentre Schlein sarebbe a un passo, al 48,5%.
Se questo quadro venisse confermato significherebbe che i cittadini si troverebbero a decidere tra Bonaccini e Schlein, per votare il successore di Enrico Letta, visto che dopo la scrematura iniziale del voto dei circoli ai gazebo arriveranno i primi due candidati vincenti.
Dal comitato per Schlein si iniziano a fare i primi calcoli. È possibile infatti che il 63% di chi nei circoli indicherà Cuperlo poi alle primarie virerà sull’ex europarlamentare. D’altra parte il 54% di chi sosterrà in una prima fase De Micheli potrebbe poi preferire Bonaccini.
La candidata, fresca di tessera del Pd, da poco ripresa, potrebbe fare incetta di voti tra giovani e donne: nella fascia 18-34 anni secondo il sondaggio raccoglierebbe il 53% delle preferenze, contro il 32% di Bonaccini. Quest’ultimo però avrebbe nettamente la meglio tra over 45 e over 65, e tra gli uomini: il nuovo 47% voterebbe per lui, contro il 33 delle donne. Mentre dichiarano di votare per Schlein il 35% degli uomini, le donne dalla sua sarebbe il 44%.
(da Fanpage)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
“AL 99% NON COLLABORERA'”
“Noi pensiamo che la mafia sia un fenomeno di costume, ma quando ci sono
investimenti è chiaro che nulla avviene in maniera improvvisata. Quindi anche la successione di Messina Denaro sarà stata studiata e organizzata dall’organizzazione e da lui stesso: come manager di un’attività criminale avrà deciso cosa succederà ai vertici di Cosa nostra molto tempo fa”, così a Fanpage.it Sebastiano Ardita, consigliere del Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura, già direttore generale dell’ufficio detenuti, responsabile dell’attuazione del regime 41bis e procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Messina.
Sull’ipotesi che il padrino di Cosa nostra collabori con la giustizia aggiunge che è “difficile dire se parlerà, anche se la condizione del 41-bis gli starà stretta e proverà a venirne fuori”. Secondo il magistrato però “in casi come questo il 99% delle volte non vi è collaborazione con la giustizia. I capi di Cosa nostra, i reggenti mafiosi, sono personaggi che non collaborano”. Infine spiega che “la lotta alla mafia non è una lotta militare ma una lotta di riaggregazione sociale”: “È facile parlare di repressione quando si vede qualcuno che spara – conclude – ma la lotta si fa proponendo qualcosa di diverso, attraverso le possibilità”.
Matteo Messina Denaro è stato arrestato dopo 30 anni di latitanza: cosa significa questo arresto e soprattutto ci si può aspettare che inizi una collaborazione con la giustizia?
Se parlerà è difficile saperlo, credo che Messina Denaro si fosse un po’ rassegnato all’idea di essere preso, poi bisogna capire quale fosse il tuo intento. Se avesse avuto una posizione radicale di fuga lo avrebbero trovato probabilmente all’interno del bunker, il secondo covo trovato a Campobello di Mazara, mentre lui mi sembra di capire che fosse entrato nell’ordine di idee di poter essere arrestato. Detto questo, dire a cosa Matteo Messina Denaro voglia andare incontro, non ci è dato sapere.
Parliamo allora per fatti e per ipotesi
Ciò che è certo è che diventerà un detenuto, un detenuto importante classificato al 41-bis, e di conseguenza avrà una libertà limitata, con rapporti con l’esterno praticamente azzerati. Non so se accadrà, ma è probabile che venga anche allocato in un’area riservata, ovvero una porzione di carcere separata dalla stessa porzione di 41-bis, cosa che prevede non solo una evidente difficoltà di contattare il mondo esterno, ma anche con gli altri detenuti.
Inoltre avrà delle forti limitazioni sotto l’aspetto economico, un detenuto di quel livello al 41-bis è sottoposto a regole ferree che prevedono limite di spesa e di pacchi che possono essere ricevuti, così come un limite massimo di denaro che può essere ricevuto e inviato all’esterno. Passeggerà in una zona dedicata solo a lui, avrà contatti col suo compagno di cella e forse con un altro paio di detenuti al massimo. La vita di Matteo Messina Denaro sarà questa d’ora in poi.
Cosa intende dire?
Poniamoci una domanda: di fronte a tutti queste restrizioni, una persona come lui, che ha anche un problema sanitario, come deciderà di affrontare la detenzione? Ci riesce facile immaginare che vorrà uscire da questa situazione e potrà scegliere di farlo attraverso la porta principale, ovvero collaborando con la giustizia, oppure una porta secondaria, ovvero sfruttando la condizione di incompatibilità con il regime carcerario legata al tumore al colon. Questo è però impossibile, tanto che c’è un dibattito in corso sul regime carcerario del 41-bis che però non credo possa portare a cambiamenti effettivi in questo momento.
Quindi in realtà le opzioni sono due, di fatto è chiamato a decidere se farsi il carcere lungo e restrittivo, dove sarà curato e anche meglio che all’interno della clinica La Maddalena di Palermo, oppure collaborare e uscire dal 41-bis.
È chiaro che chi lo gestisce avrà un interesse a portarlo verso la collaborazione, sarà avviato per lui un programma di trattamento specifico che servirà a condurlo verso una valutazione di questa scelta, o almeno così dovrebbe essere. Per Matteo Messina Denaro scegliere di collaborare con la giustizia significherebbe attenuare o limitare i danni che i tanti anni ai vertici mafiosi hanno provocato.
Una figura come quella di Messina Denaro, alla luce anche della sua condizione fisica, cosa farebbe?
Il primo aspetto da non sottovalutare è che Messina Denaro avrà un vantaggio che gli sarà concesso dal sistema penitenziario italiano, ovvero la salute. Di fatto, come ho detto, sarà curato molto meglio di come è stato curato finora. A questo aggiungiamo che, dai primi elementi emersi, ma anche dalle indagini di questi lunghi anni, sembra che finora abbia sempre condotto una vita agiata, circondato da beni e oggetti di lusso.
Questo ci fa presumere che la condizione del 41-bis non può che stargli stretta, e a quel punto sarà sempre e solo una sua scelta, ma se dovessi dirle cosa accadrà, in casi come questo il 99% delle volte è impossibile che vi sia una scelta di collaborazione con la giustizia. I capo di Cosa nostra, i reggenti mafiosi, sono personaggi che non collaborano, Santapaola, Bagarella, Provenzano non hanno mai collaborato.
Quali rischiano di essere i nuovi assetti all’interno di Cosa nostra?
Quello che noi possiamo fare è solo ipotizzare, a meno che non ci siano dei collaboratori che illustrino nomi e dinamiche degli sviluppi di Cosa nostra: probabilmente anche da latitante Messina Denaro è stato responsabile di tutta l’area del Trapanese, quindi l’assetto in quella zona potrebbe essere stato già consolidato nel tempo.
Noi pensiamo che la mafia sia un fenomeno di costume, ma quando ci sono investimenti, e sembra che Messina Denaro abbia finanziato l’attività con i soldi che erano provento delle attività illecite, è chiaro che nulla avviene in maniera improvvisata. Quindi anche la successione di Messina Denaro sarà stata studiata e organizzata dall’organizzazione e da lui stesso. Come qualunque persona in procinto di trovarsi in una situazione diversa, anche lui manager di un’attività criminale avrà deciso cosa fare molto tempo fa, ma cosa al momento non ci è dato sapere.
Lei ha parlato di un rapporto necessario con il potere pubblico per un soggetto come Messina Denaro alla luce di una latitanza così lunga, anche solo per assicurarsi di poter girare indisturbato in questi anni
Ci sono due profili che caratterizzano le associazioni mafiose. Il primo è un rapporto che si basa sul concetto di consenso fondato, e non parlo solo di omertà che è la conseguenza, ovvero la paura di violare le norme di Cosa nostra, ma anche di consenso stesso. Parlo dell’idea che la mafia possa esistere, e quindi che sia considerata per certi aspetti anche utile, inevitabile. Questo spiega anche perché in un territorio come quello in cui si è nascosto non è stato individuato.
Il secondo invece riguarda appunto il rapporto con il potere pubblico, che mi preme sottolineare non è un’affermazione allarmistica: sappiamo per certo infatti che un’organizzazione può essere definita mafiosa quando ha un rapporto stabile con il potere pubblico, ovvero con i poteri economici, finanziari e istituzionali. Ciò comporta due cose: la possibilità di connivenze che agevolino la commissione del reato e poi, come conseguenza, la possibilità di sottrarsi alle conseguenze dei reati stessi. La mafia è criminalità che dialoga ad alto livello coi poteri, quindi nelle latitanze tutto questo si manifesta nella sua forma più evidente.
Cioè?
Le faccio un esempio, Matteo Messina Denaro sappiamo per certo che aveva almeno due basi, un appartamento che occupava fingendosi un’altra persona, e un covo blindato in cui nascondersi. In entrambi i casi è evidente che per raggiungere questi luoghi, soprattuto il primo che era abbastanza scoperto, doveva spostarsi a piedi, magari andare a fare la spesa, andare in un negozio. E se anche avesse deciso di delegare tutte queste attività, possiamo ipotizzare che per avere un appartamento aperto che non fosse un bunker è perché lo frequentava. Di fatto non viveva nascosto, non faceva la vita del latitante: sappiamo per certo che si è concesso a selfie con i medici o chat con altri pazienti.
Pensiamo a un centro piccolo come il comune di Campobello di Mazara, immagino che qui una persona nuova venga subito notata, ed è normale che ci si interroghi su chi sia il nuovo arrivato: se lo domanderebbero tutti, dal vicino di casa al panettiere. E considerato che la sua fotografia è pressoché identica all’identikit diffuso in questi anni, qualcuno avrà capito a un certo punto di trovarsi dinanzi a Messina Denaro.
Tra tutte le persone che lo hanno capito è possibile che non ce ne sia stata nemmeno una che ricoprisse una funzione pubblica? Ecco che, ritornando a quello che le dicevo poco fa, le coperture del boss hanno riguardato sia un consenso diffuso da parte della popolazione sia le coperture istituzionali, insomma mi pare piuttosto scontato che qualcuno gli abbia garantito sicurezza in questi anni, altrimenti la latitanza non si può determinare, questo deve essere chiaro. Qui parliamo di una latitanza di 30 anni.
Lei prima ha detto che Messina Denaro a un certo punto si è reso vulnerabile, volendo ipotizzare i motivi ci si chiede per forza di cosa: perché?
È chiaro che la possibilità di essere arrestato a un certo punto sarà diventata per lui concreta, soprattutto alla luce della malattia. Cosa succederà ora? Capire cosa è la mafia non è facile, bisogna viverli quei contesti per capire che in certi paesi la linfa dello Stato non arriva, e così persone come Matteo Messina Denaro diventano dei simboli. La lotta alla mafia non è una lotta militare ma una lotta di riaggregazione sociale, è facile parlare di repressione quando si vede qualcuno che spara, ma la vera lotta si fa proponendo qualcosa di diverso, la si fa attraverso le possibilità.
(da Fanpage)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
GIUSEPPE CIMAROSA RACCONTA COME QUESTA PARENTELA GLI ABBIA “ROVINATO L’ADOLESCENZA”
«Avevo conosciuto la storia di Peppino Impastato ed era lui il mio punto di riferimento ideale. Così è iniziato il conflitto profondo con mio padre». A parlare è Giuseppe Cimarosa, nipote di Matteo Messina Denaro che ha rinnegato il boss.
La madre Rosa Filardo è cugina di primo grado del superlatitante e il padre Lorenzo collaborò con la giustizia fino al 2017, anno in cui morì. E l’ultima foto di Diabolik è stata scattata proprio al matrimonio di Filardo con il padre di Giuseppe. «Questa parentela sarà pure lontana, ma mi ha rovinato l’infanzia e l’adolescenza. Come uno stigma», racconta oggi in un’intervista a la Repubblica. «Quando era a scuola i compagni di classe parlavano del boss con ammirazione, ma per me non c’era nulla di cui vantarsi», prosegue.
La storia di Giuseppe Cimarosa
Giuseppe ha 40 anni e fa l’istruttore di equitazione e il regista di teatro equestre. Il suo punto di riferimento, fin da ragazzino, è stato il celebre giornalista e attivista Peppino Impastato. Ideale che ha portato Giuseppe a entrare in conflitto con il padre, soprattutto dopo l’arresto di quest’ultimo. «Ha scontato 5 anni ingiustamente, perché era stato assolto dall’associazione mafiosa e condannato per danneggiamento contro un ex socio. Non aveva commesso lui quel reato, però non disse nulla. Così, una volta tornato libero, fu ritenuto affidabile e venne nuovamente assoldato», spiega il nipote del capomafia. Nel 2013 Lorenzo Cimarosa ha iniziato a collaborare con la giustizia e il figlio ha rifiutato da subito il programma di protezione. «Io mi chiamo Giuseppe Cimarosa. Ho una mia identità di persona onesta che ho costruito negli anni e con fatica. Non ci rinuncio per colpa di Matteo. Non sono un eroe, ho fatto una scelta, ho preferito la libertà e rimanere a casa mia. Però ho pagato un prezzo».
Quando il padre diventò collaboratore di giustizia
Questo costo è la paura: l’ansia di essere uccisi da un momento all’altro. Dopo la morte di Lorenzo, Cosa Nostra ha distrutto ben due volte la sua tomba. Ma i problemi sono arrivati anche dalla società stessa che l’ha «emarginato» e ha reso la sua vita «un’inferno», come «gli amici che da un giorno all’altro non mi hanno più risposto al telefono e mi hanno abbandonato. O i ragazzi che frequentavano il maneggio e sono spariti». A chi definisce un errore l’arresto del boss, Giuseppe risponde: «Sono schifato. Lo trovo avvilente. Capisco che molti abbiano paura, ma se non volete parlare, almeno state zitti».
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
L’ATTIVISTA 20ENNE ERA ENTRATO NEL MIRINO DELLA PROCURA DI PAVIA PER BLOCCHI STRADALI E IMBRATTAMENTI CON VERNICE LAVABILE
Niente sorveglianza speciale per Simone Ficicchia, il portavoce di Ultima
Generazione indagato per le azioni di disobbedienza civile attuate in questi mesi. Il Tribunale di Milano ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato del 20enne, Gilberto Pagani, rigettando la richiesta di sorveglianza speciale per un anno con obbligo di dimora avanzata dalla Questura di Pavia. La decisione è stata presa dal collegio Rispoli – Cernuto – Spagnuolo – Vigorita della Sezione presieduta da Fabio Roia. Nella prima udienza avvenuta lo scorso 10 gennaio il pm di Milano Mauro Clerici aveva ridotto la richiesta della questura chiedendo di applicare la misura della sorveglianza semplice e non speciale.
Il processo al 20enne
Al termine dell’udienza, il Tribunale si era riservato 30 giorni per decidere. La riformulazione della richiesta del pm aveva alleggerito il carico di accuse al Ficicchia, spiegando che le condotte entrate nel mirino della procura, ovvero i numerosi blocchi stradali e gli imbrattamenti a più opere d’arte, sono di «limitata offensività». A seguito del processo altri attivisti del gruppo si erano diretti in questura per autodenunciarsi ed esprimere solidarietà al loro portavoce. Dal canto suo, Ultima Generazione ha da subito fatto sapere che il corso della giustizia non fermerà le azioni di disobbedienza civile. Solo pochi giorni fa, infatti, gli attivisti hanno manifestato imbrattando l’opera di Cattelan in piazza Affari a Milano, “Il Dito“. «La repressione che stiamo subendo è sproporzionata rispetto alle azioni non violente che portiamo avanti», avevano commentato gli attivisti.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
PUBBLICATA LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
Matteo Renzi è passato provvisoriamente in testa alla classifica dei Paperoni del Parlamento italiano. Il leader di Italia Viva ha infatti appena reso pubblica la sua dichiarazione dei redditi 2022 in cui è riportato un reddito complessivo di 2 milioni e 584 mila euro.
In questo momento è l’importo più alto pubblicato in Senato e detronizza anche la leader provvisoria della classifica dell’intero Parlamento, che era la deputata azzurra (e avvocato) Cristina Rossello con 2,1 milioni di euro.
Mancano però ancora le dichiarazioni di due ricchissimi: quella di Silvio Berlusconi in Senato e quella di Antonio Angelucci alla Camera dei deputati.
I 2,5 milioni di euro dichiarati da Renzi sono relativi all’anno fiscale 2021 e hanno comportato il pagamento di tasse per 1.080.611 euro dopo avere detratto 13.737 euro, in parte dovuti a ristrutturazioni della propria abitazione. Di questa somma 2.257 euro sono invece relativi alle detrazioni per erogazioni liberali, molto probabilmente contributi versati a Italia Viva.
Nella sua dichiarazione patrimoniale allegata Renzi elenca la proprietà al 50% della casa di abitazione a Firenze con annesso terreno e quote di alcuni immobili e terreni a Rignano sull’Arno, paese della sua famiglia di origine. Di sua proprietà anche una quota da 10 mila euro della Ma.Re.consulting srl di Roma, che è la sua società di consulenza, e una Land Rover Rr sport 3.0D immatricolata nel 2018, oltre a una Mini Cooper Sd Sport immatricolata sempre nel 2018. Il reddito milionario di Renzi è in gran parte dovuto ai discussi contratti di consulenza con l’Arabia Saudita di Mohammed Bin Salman. I funzionari dell’antiriciclaggio della Banca d’Italia avevano infatti segnalato un bonifico di 1,1 milioni di euro erogato dall’Arabia Saudita il 13 gennaio 2021, e quella segnalazione era stata scoperta dai giornali che la pubblicarono poco tempo dopo facendo scoppiare non poche polemiche politiche.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2023 Riccardo Fucile
“L’ARRESTO? GLI CONVENIVA”
«Non mi convince un Matteo Messina Denaro che si fa i selfie in clinica. O che
arriva con l’olio di Castelvetrano per medici ed infermieri. Preferisco pensare che l’abbia tradito la voglia di essere seppellito tra i suoi ulivi».
Michele Santoro ha scritto con Guido Ruotolo “Nient’altro che la verità”. Il libro raccoglie le confessioni di Maurizio Avola, killer della mafia. Ma anche vecchia e stretta conoscenza del boss trapanese.
L’autore televisivo non crede ai complotti dei servizi segreti, non pensa che l’ultimo dei Corleonesi si sia consegnato e che l’arresto sia una farsa. Ma ritiene che il tumore abbia spinto Diabolik ad allentare le difese. Perché farsi prendere poteva in qualche modo convenirgli. Anche e soprattutto per una “questione di affetti”.
La prima cosa (e la seconda)
«La prima cosa che ho pensato quando ho saputo dell’arresto di Messina Denaro è che ancora una volta Avola aveva ragione», esordisce Santoro. «Lui mi aveva detto che ‘U Siccu o era morto o era in gravissime condizioni di salute. La seconda è che è finita un’epoca. La mafia che conoscevamo è definitivamente morta. E quindi dobbiamo cambiare il modo di approcciare alla criminalità organizzata. Inseguendo il denaro. Capendo, come diceva Falcone, dove sono finiti i soldi. Quello di Cosa Nostra è un tesoro immenso. Dove sia finito è la prima preoccupazione che dovremmo avere». Ma è impossibile comprendere una figura complessa e sui generis come la sua senza prima ricordare il suo ruolo nella storia di Cosa Nostra. Il giovane Matteo ha vissuto in prima linea l’epopea della lotta allo Stato. Il vecchio Messina Denaro è stato protagonista della metamorfosi della mafia. E della sua trasformazione in qualcosa di diverso. Che ha cambiato Cosa Nostra per sempre. «La fase stragista si è chiusa. Forse perché si è aperta quella capitalista?».
Ritratto del boss da giovane
Nel libro Avola e Messina Denaro si conoscono per una faccenda da risolvere riguardo il commercio del gambero rosso di Catania. Hanno più o meno la stessa età ma tra i due c’è una differenza di nascita. Matteo è figlio di Don Ciccio, capo assoluto a Trapani. Avola invece mafioso non nasce, ci diventa. E descrive il pargolo del boss come «un elegantone firmato Armani, freddo e superbo. Mi ha fatto capire che dovevo rimanere al posto mio». Il figlio d’arte «quando veniva a Catania per divertirsi portava donne bellissime con un fisico da modelle». Non amava passare le ore al bar. Preferiva frequentare «avvocati, medici, notai, commercialisti. E giudici. Massoni». Ma Santoro ricorda che «poi Avola lo colloca sulla scena del delitto Scopelliti. Ovvero il delitto eseguito da Cosa Nostra in un territorio della ‘ndrangheta. Questo è l’ultimo avvertimento a Falcone prima della sentenza sul Maxiprocesso. Falcone capisce che l’attentato è un segnale anche a lui ma non si ferma. La sentenza della Cassazione scatena la stagione stragista vera e propria»
Il cambio di prospettiva
È qui che Messina Denaro, che non era prima un oppositore dello Stato, diventa un soldato pronto alla guerra. Perché era uno dei fans più sfegatati di Riina. Don Ciccio era molto amico di ‘U cortu ma anche uomo di grande saggezza e diplomazia. Il giovane Messina Denaro nasce ricchissimo da una famiglia mafiosa con ranghi di nobiltà. Non c’è bisogno che partecipi ai riti di affiliazione. «Ed è un mafioso molto particolare», aggiunge Santoro. «Per esempio è laico. In quegli scritti che gli vengono attribuiti dice che la madre gli ha trasmesso la fede ma lui l’ha persa. Il suo politico di riferimento è Craxi. E quando si esprime sulla stagione delle stragi è genuinamente convinto che i magistrati abbiano effettuato un colpo di Stato. E che quella della mafia sia un’insurrezione contro un’ingiustizia. In questo senso è un idealista». La legislazione speciale, i maxiprocessi portano Cosa Nostra a pensare che quello Stato che prima pensava fosse un alleato voglia farle la guerra. È per questo che risponde con le stragi.
Messina Denaro, l’idealista
Noi abbiamo sempre pensato alla mafia soltanto come portatrice di violenza e basta. «Ma quella violenza è frutto di un’ideologia. E secondo questa ideologia il diritto era stato distorto da Falcone per poterli carcerare. Erano convinti che la legge fosse uguale per tutti ma non per loro». Messina Denaro è diverso dagli altri anche nell’interpretazione del ruolo di Cosa Nostra nella società. Quando don Ciccio muore, il giovane boss crea nel trapanese una mafia “facilitatrice” d’affari. «E soprattutto per lui non essere catturato era una questione d’onore. Questo stride con i comportamenti che ha avuto negli ultimi tempi. Per trent’anni è stato impossibile avere sue immagini. I suoi amici sono stati assediati dalle intercettazioni di investigatori che lo cercavano. Pensare che sia la stessa persona che si va a fare un selfie in ospedale è stridente», obietta Santoro. Come se non avesse più il problema di farsi prendere. Per il semplice motivo che sta morendo.
Il richiamo della famiglia
Poi c’è da considerare il richiamo della famiglia: «Mentre molti padrini sono stati catturati anche perché non volevano separarsi da mogli e figli, Matteo è uno che non ha visto la figlia nemmeno un giorno nella sua vita pur di non farsi catturare». La figlia si chiama Lorenza, come la madre di Matteo. Il padre non lo ha mai incontrato. È nata dal rapporto del boss con Francesca Alagna, ma non porta il suo nome. È cresciuto nella casa della mamma. Nel diario ritrovato nel covo Messina Denaro scrive «perché Lorenza non vuole vedermi? Perché è arrabbiata con me?». Mentre nelle lettere a lui attribuite dice che non accetterà il giudizio dello Stato sulla sua persona, ma quello di sua figlia sì. «E da quelle missive, sempre che non siano state scritte da altri, appare come consapevole di una sconfitta. Non solo della stagione delle stragi, ma della stessa idea di Cosa Nostra». Invece «quella di venire arrestato è l’unica possibilità di tornare in contatto con la sua famiglia senza metterli in pericolo».
Il tesoro di Cosa Nostra
Se Messina Denaro parlasse, la domanda più importante da fargli sarebbe quella sul «tesoro di Cosa Nostra. Per anni la mafia è stata uno Stato nello Stato. Ora che l’economia ha preso il sopravvento sulla politica i mafiosi si sono mescolati al fenomeno con le loro ingentissime ricchezze ed è lì che sopravvivono. Ora sono introvabili? Sì, perché probabilmente cercarli vorrebbe dire mettere in discussione il sistema capitalistico. Dove vai a vedere? Il rischio è che l’intera economia siciliana – e forse anche quella nazionale – si bloccherebbe di fronte a una ricerca che va in quella direzione. Quindi meglio capire se c’è l’Agenda Rossa e cose del genere». Così come sembra chiaro che in questi anni abbia goduto di complicità nel mondo economico e della sanità. «Avola racconta che quando vanno a uccidere Scopelliti le informazioni ai mafiosi le danno proprio i massoni. Lui è entrato in contatto con i circuiti della finanza internazionale. Del resto la sua fortuna veniva valutata in miliardi. Non certo un orologio da 36 mila euro, che allora valeva più della casa da 20 mila».
I selfie di Matteo Messina Denaro
D’altronde “La Mafia Bianca” cominciava con la frase “Cosa Nostra non spara più”. Proprio perché l’idea del mafioso con la coppola è anacronistica. E a farla invecchiare è stato proprio l’ultimo dei Corleoneosi. Che ha portato la mafia nel Terzo Millennio. Proprio per questo c’è una cosa che secondo Santoro proprio non regge in questa storia: «Non mi convince un Matteo Messina Denaro che si fa i selfie. O che arriva in clinica con l’olio e il vino di Castelvetrano da distribuire tra medici ed infermieri. Preferisco pensare che l’abbia tradito la voglia di essere sepolto tra i suoi ulivi». Per l’inventore di Samarcanda Messina Denaro ha perso il suo spirito di vigilanza ossessivo perché non reggeva i trent’anni di latitanza.
La cattura e il complottismo
Anche le circostanze della cattura potrebbero riservare qualche sorpresa. «Per trent’anni hanno intercettato i telefoni. Non hanno mai trovato nulla. Magari è arrivata una soffiata. Ma se, per ipotesi, qualche lavoratore dell’ospedale l’ha riconosciuto e l’ha detto ai carabinieri è giusto che lo proteggano per non esporlo a rappresaglie». Ma anche se c’è un filone complottista che sostiene che si sia fatto catturare, secondo Santoro per Messina Denaro semplicemente «non era più così importante non farsi prendere. Anzi. Poteva in qualche modo convenirgli. Per una questione di affetti sentimentali. Io non conosco la sua cartella clinica, ma leggo di un tumore allo stato terminale. Quanto grave sia questa malattia non lo sappiamo».
I colloqui e la nipote avvocata
In carcere invece avrà i colloqui. In regime di 41 bis i carcerati possono usufruire di un solo colloquio al mese con i familiari. Durano un’ora e si svolgono in aree dedicate, dotate di vetri divisori per impedire il contatto fisico, e videosorvegliate. Chi rinuncia può essere autorizzato a effettuare una telefonata al mese per 10 minuti, che viene registrata. «Un’altra novità è stata la nomina della nipote», aggiunge Santoro. «Prima diceva che avrebbe rinunciato a difendersi nei processi. Ora ha cambiato idea. E ha incaricato una parente». Lorenza Guttadauro è la figlia di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo. Ed è sposata con Luca Bellomo, che nel 2014 era finito in carcere con l’accusa di essere l’ultimo ambasciatore del padrino. La professionista ha anche difeso la zia Anna Patrizia e il fratello Francesco, arrestati con l’accusa di essere il braccio operativo del capomafia.
La mafia oggi e la paura della morte
Per Santoro la voglia di tornare in contatto con la famiglia per un malato terminale ha influito sull’arresto. «I padrini come Graviano e Messina Denaro sono ancora relativamente giovani, hanno sessant’anni. Per questo ogni tanto chiamano in ballo Berlusconi: la storia di Forza Italia ha costeggiato le scelte politiche di Cosa Nostra, anche se sono convinto che sia una sciocchezza pensare che lui c’entri con le stragi. Anche la profezia di Baiardo che annuncia l’arresto coincide: per me lui è un personaggio minore, ma può darsi che da quegli ambienti qualcosa davvero fosse trapelato. Il punto chiave è l’abbassamento della cortina di sicurezza: quand’è che Messina Denaro comincia a fare i selfie? Dopo una vita all’insegna della prudenza entra in ospedale e regala l’olio. È chiaro che l’elemento psicologico è stato decisivo. Insieme alla paura della morte».
(da Open)
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