Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
“UNA RICHIESTA DI UMANITA’ E CORAGGIO”: TRA I 40 FIRMATARI CACCIARI, DON CIOTTI E DIVERSI EX MAGISTRATI
«Un gesto di umanità e coraggio», questa la richiesta di giuristi e
intellettuali per Alfredo Cospito, l’anarchico condannato al 41 bis e in sciopero della fame da ormai 80 giorni.
L’appello firmato da una 40ina di nomi, tra i quali l’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, l’attore, musicista e scrittore Moni Ovadia, il filosofo Massimo Cacciari e don Luigi Ciotti, è rivolto al ministro della Giustizia Carlo Nordio e al governo: «Chiediamo un gesto di umanità e coraggio come la revoca del 41 bis a Alfredo Cospito che è a un passo dalla morte nel carcere di Bancali a Sassari all’esito di uno sciopero della fame che dura, ormai, da 80 giorni», scrivono.
Condannato a 20 anni per aver promosso e diretto la FAI-Federazione Anarchica Informale e per alcuni attentati, Cospito è in carcere da oltre 10 anni e dal 4 maggio scorso è sottoposto al regime di 41 bis «con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti», come spiega l’appello di revoca.
Dallo scorso 20 ottobre Cospito ha cominciato uno sciopero della fame per protesta contro il regime a cui è stato sottoposto. Una scelta su cui pochi giorni fa lo stesso avvocato difensore Flavio Rossi Albertini aveva lanciato un allarme: «Ha perso 35 chili, con un preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore».
«I fatti commessi ora passino in secondo piano»
L’appello ora rivolto al governo dagli intellettuali ricorda che Cospito non intende sospendere la protesta «ma anzi vuole portarla avanti sino all’ultimo respiro».
Tra le firme che scrivono a Nordio anche tanti magistrati in pensione come l’ex Pg di Firenze Beniamino Deidda, Domenico Gallo, Nello Rossi, Livio Pepino, oggi direttore editoriale delle Edizioni Gruppo Abele e Franco Ippolito, attualmente presidente della Fondazione Basso. «Lo sciopero della fame di detenuti potenzialmente fino alla morte è una scelta esistenziale drammatica che interpella le coscienze e le intelligenze di tutti», si legge nel testo. «A fronte di ciò, la gravità dei fatti commessi non scompare né si attenua ma deve passare in secondo piano».
L’invito è anche quello di non considerare «come sfida o ricatto» la scelta di chi «fa del corpo l’estremo strumento di protesta e di affermazione della propria identità». Una interpretazione simile viene tacciata dai firmatari come «tradimento della nostra Costituzione che pone in cima ai valori, alla cui tutela è preposto lo Stato, la vita umana e la dignità della persona». E ancora: «Sta qui, come i fatti di questi giorni mostrano nel mondo, la differenza tra gli Stati democratici e i regimi autoritari».
«Urgente impedire una morte evitabile»
Il gruppo di intellettuali e giuristi è poi convinto sulla presenza di anomalie nella condanna destinata a Cospito e vede nella protesta estrema dell’anarchico un legittimo segnale di quanto loro stessi riscontrano. Da qui l’elenco di alcuni elementi poco chiari: «La frequente sproporzione tra i fatti commessi e le pene inflitte (sottolineata, nel caso, dalla stessa Corte di assise d’appello di Torino che ha, per questo, rimesso gli atti alla Corte costituzionale); il senso del regime del 41 bis, trasformatosi nei fatti da strumento limitato ed eccezionale per impedire i contatti di detenuti di particolare pericolosità con l’organizzazione mafiosa di appartenenza, in aggravamento generalizzato delle condizioni di detenzione; la legittimità dell’ergastolo ostativo».
Alla luce di tutte le considerazioni, allora, l’urgenza per i giuristi è una soltanto: «Quella di salvare una vita e di non rendersi corresponsabili, anche con il silenzio, di una morte evitabile». Da qui l’appello all’Amministrazione penitenziaria, al Ministro della Giustizia e al Governo «perché escano dall’indifferenza in cui si sono attestati in questi mesi nei confronti della protesta di Cospito e facciano un gesto di umanità e di coraggio».
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
LA LEGGE INTERNAZIONALE PARLA CHIARAMENTE DI “PORTO SICURO PIU’ VICINO”
È braccio di ferro tra il Viminale e Medici Senza Frontiere per l’attracco della nave Geo Barents con 73 persone a bordo di cui 16 minori. Dopo la Ocean Viking, anche all’imbarcazione di ricerca e soccorso di Msf è stata assegnato il porto di Ancona.
Ma il capomissione Juan Matias Gil spiega tutto il disagio di una decisione simile, rivolgendosi direttamente al ministero dell’Interno: «In base alle leggi internazionali marittime, l’Italia dovrebbe assegnare il luogo sicuro più vicino alla Geo Barents, mentre per raggiungere Ancona ci vorranno almeno 3 giorni e mezzo e le condizioni meteo sono pessime», chiarisce. «Assegnare un porto più vicino avrebbe soprattutto un impatto positivo sulla salute fisica e mentale dei sopravvissuti a bordo. Chiediamo pertanto al Ministero dell’Interno l’assegnazione di un luogo sicuro più vicino che tenga in considerazione la posizione attuale della Geo Barents».
Poche ore fa la nave della Ong Medici senza frontiere, in acque internazionali davanti alle coste della Libia, ha soccorso 16 minori non accompagnati. Erano 73 in tutto i migranti a bordo della piccola imbarcazione individuata, instabile e sovraffollata. «Un’altra barca in pericolo sulla rotta di migrazione marittima più pericolosa al mondo», ha scritto su Twitter dal proprio profilo la stessa Ong, spiegando che sono stati tratti tutti in salvo e ora una équipe medica sta valutando le loro delle condizioni di salute.
Appena pochi giorni fa, la nave era stata impegnata in altri due salvataggi e, con 85 naufraghi a bordo, aveva raggiunto il porto di Taranto per farli sbarcare. Entrambe le operazioni erano state fatte su richiesta dell’Imrcc (Italian Maritime Rescue Coordination Centre). Il team di Msf aveva fornito la documentazione dell’Unhcr per fare domanda d’asilo.
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
I BOSSIANI SOSTERRANNO FONTANA MA DOVRANNO RESTARE NELLA LEGA
Dopo il fallimento della trattativa tra Letizia Moratti e il Comitato Nord
(la corrente interna alla Lega che segue Umberto Bossi), è arrivata la decisione: la formazione nata in rottura con la segreteria di Salvini non entrerà nella coalizione di centrodestra per le prossime elezioni regionali in Lombardia.
Gli esponenti del Comitato Nord rimarranno nella lista della Lega, sostenendo il presidente uscente Attilio Fontana. Con quali modalità, sarà lo stesso Bossi a deciderlo.
Sventata così l’ipotesi, circolata con insistenza nell’ultimo periodo, di un sostegno alla candidata civica del Terzo Polo: trattativa che, secondo il Corriere della Sera, era iniziata proprio dopo il «no» del leader Matteo Salvini all’ingresso in coalizione.
Una mossa che oggi viene commentata in un comunicato stampa: «Il Comitato Nord – si legge nella nota – prende atto che il presidente Attilio Fontana dopo il divieto del segretario federale Matteo Salvini non consentirà al Comitato Nord di entrare in supporto alla coalizione di centrodestra per le prossime elezioni regionali». Nel testo si legge inoltre che secondo Bossi la mossa ha costituito un «errore, un’occasione persa per far valere le istanze dell’autonomia e le richieste della militanza nordista». Tuttavia il Comitato, precisa infine il messaggio, «proseguirà dentro alla Lega lungo la strada intrapresa, forte del grande consenso raccolto in pochi mesi. Per portare avanti l’autonomia e le istanze del nord unica e vera locomotiva del Paese».
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
“MIGRANTI ESPOSTI AL MARE AGITATO PER GIORNI”
La nave Ocean Viking, della Ong Sos Mediterranee, ha soccorso 37 persone nel Mediterraneo e le autorità italiane le hanno assegnato il porto di Ancona come luogo di sbarco.
Si trova a oltre mille chilometri dal luogo dove è stato effettuato il soccorso e ci vorranno diversi giorni per raggiungerlo.
“La Ocean Viking si è vista assegnare Ancona, in Italia, come porto sicuro per lo sbarco dei 37 profughi a bordo. Il porto è a 1.575 chilometri dalla zona di operazione, a quattro giorni di navigazione”, ha lamentato la Ong su Twitter, criticando le politiche migratorie del governo italiano.
“Le previsioni meteo sono in peggioramento a partire da domenica, esponendo i profughi a veti forti e mare agitato”, ha avvertito la Ong.
I naufraghi sono stati soccorsi questa mattina davanti alla costa libica. Viaggiavano su un piccolo gommone sovraffollato. Molti dei sopravvissuti hanno sofferto intossicazioni e bruciature da carburante.
Nel frattempo la Geo Barents, la nave umanitaria di Medici senza frontiere, ha soccorso 73 persone in acque internazionali di fronte alla Libia. Tra loro ci sono anche 16 minori non accompagnati, che viaggiavano a bordo di un gommone in condizioni precarie.
Alcuni giorni fa Medici senza frontiere aveva firmato, insieme ad altre organizzazioni, una lettera congiunta in cui si esprimeva la preoccupazione per “l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare il soccorso delle persone in pericolo in mare”.
“Non abbiamo bisogno di un altro quadro normativo che, per ragioni politiche, ostacola le attività di ricerca e soccorso. Ciò di cui abbiamo bisogno è che gli Stati membri rispettino le norme internazionali e il diritto del mare e che garantiscono lo spazio operativo per gli attori civili che fanno ricerca e soccorso”, ha scritto sui social Msf.
Per ora Bruxelles si è limitata ad avvertire il governo italiano di rispettare la normativa comunitaria e internazionale nella gestione dei flussi.
(da La Repubblica)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
OLTRE DUE TERZI DEI CITTADINI SI DICONO FAVOREVOLI ALL’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
È tutto uguale e tutto diverso, il paesaggio “pubblico” disegnato dagli
italiani negli ultimi vent’ anni. Infatti, se ripercorriamo le indagini di LaPolis- Università di Urbino e Demos sul “Rapporto fra gli italiani e lo Stato”, giunto alla XXV edizione, gli indici mostrano un elevato grado di continuità. Anche se nel corso del tempo è cambiato molto. Tutto. Più volte.
Nella politica e nella leadership del Paese. Siamo passati dalla II Repubblica di Silvio Berlusconi, conclusa nel 2011, ai governi guidati da Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte, Mario Draghi. Fino al governo attuale, presieduto da Giorgia Meloni. Nello stesso tempo, si sono succedute diverse maggioranze, con la partecipazione di partiti diversi.
Con diverse coalizioni. Non per caso, l’attuale Presidente è alla guida dell’unico partito che non aveva mai partecipato a una maggioranza governativa. Fino ad oggi. Eppure, se osserviamo il percorso della fiducia nei confronti delle principali istituzioni del Paese, colpisce come il vero elemento di novità sia la continuità. La coerenza. Gli indici di consenso verso lo Stato e i principali Enti locali non sono cambiati molto, rispetto a vent’ anni prima. Le principali variazioni riguardano le realtà territoriali, Comuni e Regioni. Mentre lo Stato appare sempre “ultimo”, nella considerazione dei cittadini.
Con una risalita significativa, per quel che riguarda le Regioni e lo Stato, negli ultimi 2 anni. Non per caso. Perché riflette il cambiamento del clima d’opinione dopo l’irruzione del Covid. Che ha “annebbiato” l’orizzonte di sfiducia, che aveva favorito l’affermazione del M5S e della Lega di Salvini, nel decennio precedente.
Negli ultimi anni, invece, la “paura virale” ha generato una domanda di sicurezza, che ha rafforzato il rapporto con le istituzioni e le figure di governo. I “Capi”. Del governo regionale e dello Stato. Che, in questo tempo di personalizzazione politica, hanno assunto un volto e un nome, conosciuti e ri-conosciuti. Infatti, nonostante lo Stato abbia perduto consenso, Sergio Mattarella risulta il Presidente più popolare, dai tempi di Carlo Azeglio Ciampi.
Oggi il Presidente appare, quindi, più accreditato della Repubblica che presiede. D’altra parte, una larga maggioranza dei cittadini, oltre 6 su 10, afferma che il Paese dovrebbe essere guidato da un “leader forte”. Meglio un tecnico. Comunque, un “non-politico”. E oltre due terzi dei cittadini si dicono favorevoli all’elezione diretta del Presidente. A conferma di quella domanda di “presidenzialismo” espressa, ormai da anni, in Italia. E praticata, da governi “personalizzati”, guidati da leader non eletti, che hanno deliberato, spesso, “per decreto”.
Mettendo, quindi, in secondo piano il Parlamento. Il “presidenzialismo”, d’altra parte, era e resta nei programmi del centrodestra che ha vinto le elezioni. Come ha confermato Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di fine anno. La ministra competente, Maria Elisabetta Casellati, peraltro, di recente ha ribadito che il progetto verrà affrontato nelle prossime settimane attraverso un confronto parlamentare, in effetti già avviato. Questi orientamenti riflettono, dunque, una tendenza diffusa nella società.
Dove la partecipazione “politica” si è ridotta, compensata e integrata dalla partecipazione “online”. Mentre si è assistito a una ripresa della partecipazione “sociale”, vincolata e scoraggiata, in precedenza, dalla paura – e dai provvedimenti – nei confronti del Covid. D’altra parte, i canali tradizionali della politica, sul territorio, si sono ormai ridimensionati. I partiti, per primi. Oltre alle organizzazioni di rappresentanza professionale.
Negli ultimi 20 anni, dunque, l’atteggiamento degli italiani verso le istituzioni è cambiato, come di-mostrano le indagini di LaPolis-Università di Urbino e Demos. Ma ha mantenuto le sue basi tradizionali (e costituzionali). La democrazia, in particolare, secondo una larghissima maggioranza di italiani (71%) rimane la migliore forma di governo possibile. Si tratta, però, di una democrazia personalizzata. Presidenzializzata. Diretta. Meglio ancora “immediata”
Perché, nel nostro tempo, i “nuovi media” permettono e prevedono un’interazione “immediata e senza mediazioni” con i leader e le istituzioni.
Per questo non sorprende che l’orgoglio nazionale si confermi ampio. Condiviso da oltre 8 italiani su 10. Ma meno intenso del passato. Perché la quota di coloro che si dicono “molto” orgogliosi si è ridotta sensibilmente. Dal 65% al 44%.
Mentre è cresciuta la componente di chi afferma di essere “abbastanza” orgoglioso. D’altronde, la ricerca di un capo, la relazione “immediata”, il calo della partecipazione sul territorio rendono più difficile sentirsi parte di una “comunità”. Di un ambiente e di un progetto “comuni”. E la domanda di unità è alimentata dalla paura più che da un “comune” sentimento. Così i cittadini si sentono “italiani”, ma “con riserva”.
(da La Repubblica)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
“IN QUESTO MOMENTO IL MONDO STA RIDENDO DI NOI, NELL’ASSISTERE ALL’AUTODISTRUZIONE DELLA DESTRA AMERICANA STO PROVANDO UNA SOTTILE CINICA SODDISFAZIONE”
Lo ammetto: nell’assistere all’autodistruzione della destra americana sto provando, come molti liberali, un po’ di “MAGAfreude”, una sottile cinica soddisfazione nel vedere i Repubblicani distruggersi l’un l’altro.
Del resto, non abbiamo mai assistito a uno spettacolo paragonabile al caos che abbiamo visto questa settimana alla Camera dei rappresentanti. È trascorso un secolo da quando uno speaker non veniva scelto alla prima votazione, e l’ultima volta che ciò è accaduto c’era in ballo una controversia su qualcosa di davvero sostanziale: i repubblicani progressisti (ebbene sì, esistevano già allora) pretesero, e alla fine ottennero, alcune riforme procedurali che speravano che avrebbero favorito la loro agenda.
Questa volta, non c’è stata nessuna controversia politica sostanziale: Kevin McCarthy e i suoi antagonisti sono d’accordo su alcune questioni politiche di rilievo come svolgere indagini sul laptop di Hunter Biden e privare l’Agenzia delle Entrate delle risorse necessarie a dare la caccia ai benestanti che evadono le tasse. Le votazioni sono proseguite ben dopo che Kevin McCarthy ha cercato di accontentare i suoi avversari rinunciando alla sua dignità.
Tuttavia, se questa scena è stata incredibile – e, sì, anche appassionante – né io né come credo molti altri liberali stanno provando quel genere di esultanza che proverebbero i repubblicani qualora i ruoli dei partiti fossero invertiti. Da un lato, i liberali vogliono che il governo degli Stati Uniti sia in grado di lavorare, il che tra altre cose significa che ci serve una Camera dei rappresentanti convenientemente costituita, anche se gestita da individui che non ci piacciono. Dall’altro, non penso che nella sinistra statunitense (così come è) ci siano molti politici che si definiscono in funzione di quello che molti politici di destra usano per definirsi: i loro risentimenti.
Sì, intendo proprio “risentimenti” e non “rivendicazioni”. Le rivendicazioni riguardano cose che riteniamo di meritarci e che potrebbero essere minori qualora ottenessimo almeno in parte ciò che vogliamo. Il risentimento, invece, è quello che si prova quando si è guardati dall’alto in basso, sensazione che può essere attenuata soltanto danneggiando le persone che, in parte, si invidiano.
Si consideri l’espressione (e il sentimento che a essa si accompagna) molto comune a destra: “owning the libs” (tenere in pugno – e provocare – i liberali). Contestualizzato, il termine “owning” non significa far piazza pulita delle politiche progressiste, per esempio respingendo l’Affordable Care Act. Significa, piuttosto, umiliare i liberali a livello personale, facendoli apparire deboli e sciocchi.
Non pretenderò che i liberali siano immuni da questi sentimenti. Come ho detto, la MAGAfreude è qualcosa di reale e ne provo un po’ io stesso. I liberali, però, non sono mai sembrati neanche lontanamente interessati a umiliare i conservatori come i conservatori stanno umiliando i liberali. In gran parte, sembra proprio che alla Camera alcuni repubblicani, che si aspettavano di tenere in pugno e provocare i liberali dopo una vittoria rossa a valanga – abbiano inscenato la loro delusione tenendo in pugno, invece, Kevin McCarthy.
C’è qualcuno che dubita del fatto che il risentimento da parte di coloro che non si sentono rispettati è stato fondamentale per l’ascesa di Donald Trump? Ci sono ancora sapientoni che credono che ciò sia dipeso prevalentemente dalle “preoccupazioni per l’economia”?
Non sto dicendo che il calo dei posti di lavoro nell’industria manifatturiera nell’entroterra degli Stati Uniti sia una leggenda: il calo c’è stato, sul serio, e ha danneggiato milioni di americani. Tuttavia, il flop delle guerre commerciali combattute da Trump per assicurare una ripresa del settore non sembra avergli inimicato la sua base elettorale. Come mai?
La probabile risposta è che l’antiglobalismo di Trump, la sua promessa di rendere di nuovo grande l’America (Make America Great Again), ha a che vedere meno con gli equilibri commerciali e la creazione di posti di lavoro e più con la sensazione che gli spocchiosi stranieri ci considerassero fessi. “Il mondo sta ridendo di noi” era un’espressione ricorrente nei discorsi di Trump, e di sicuro i suoi sostenitori hanno immaginato che lo stesso fosse vero delle élite globaliste del Paese.
Ho una mia teoria: parte di ciò che lo ha reso caro alla sua base è la stessa ridicolaggine di fondo di Trump, la sua palese mancanza di facoltà intellettive e di maturità emotiva per essere presidente. Volete che i liberali pensino che siete molto intelligenti? Beh, ve lo dimostreremo eleggendo qualcuno che voi considerate un pagliaccio!
La cosa assurda è che il movimento MAGA ha avuto successo ben oltre i più arditi sogni dei minacciosi globalisti (se mai esistono) e ha reso l’America il contrario di “grande”. Proprio in questo momento, il mondo sta ridendo davvero di noi, sebbene ne sia anche terrorizzato. L’America è ancora oggi una nazione fondamentale, su molteplici fronti. Quando la potenza economica e militare più grande del mondo apparentemente non riesce nemmeno a dotarsi di un governo funzionante e operativo, i rischi sono globali.
Quel che intendo dire è: quanto è probabile che – anche nominando lo Speaker della Camera – le persone che abbiamo seguito nei giorni scorsi trovino un accordo per aumentare il tetto del debito, quantunque non farlo comporterebbe un’enorme crisi finanziaria? Per di più, anche prima di arrivare a questo punto, potrebbero esserci altri rischi che richiedono un intervento d’emergenza del Congresso.
Naturalmente, il mondo ride ancora di più dei repubblicani, sia dei refusenik dell’ultradestra sia degli arrivisti senza spina dorsale come McCarthy che hanno contribuito a dare potere agli scalmanati. Che vantaggio avrà mai quell’uomo, se dovesse perdere la sua stessa anima e, anche così, non riuscire a ottenere abbastanza voti per diventare Speaker della Camera?
Non sono sicuro di quello che ci riserverà il futuro, come non lo è chiunque altro. Una cosa è sicura, comunque: già adesso l’America è molto meno grande di quanto lo era quando la Camera era presieduta da Nancy Pelosi. E la sua grandezza si sta riducendo di giorno in giorno
(da La Stampa)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
“ABBIAMO PARLATO E SCHERZATO. ERA DI BUON UMORE, COME SEMPRE. CON LA NAZIONALE PORTEREMO AVANTI LA SUA EREDITA’ “… “È GIUSTO RICORDARE LUCA COSÌ, QUESTO ERA LUI, SEMPRE GIOIOSO ED ALLEGRO, E CON UN CARISMA FUORI DAL COMUNE”
Un’amicizia durata una vita, un legame inossidabile dentro e fuori dal
campo: questo è stato il rapporto che univa l’attuale c.t. Roberto Mancini e Luca Vialli, ex capodelegazione azzurro da prima degli Europei, dimessosi dall’incarico a metà dicembre, quando si apprestava a combattere l’ultimo round contro un male che stavolta ha avuto la meglio.
Lasciando nello sconforto un po’ tutti, perché Vialli è stato un personaggio molto trasversale, che ha giocato e vinto in tre squadre italiane ed una inglese ma che con le sue doti umane ha conquistato chiunque ha avuto a che fare con lui. “È una grande perdita per la sua famiglia, per me, per il calcio italiano – ha commentato Mancini il giorno dopo la morte dell’amico fraterno -. È un momento difficile ma bisogna andare avanti”.
Pochi giorni fa è andato a trovarlo. Aveva intuito che sarebbe stata l’ultima volta?
“Speravo in un miracolo. Ci siamo visti, abbiamo parlato e scherzato. Era di buon umore, come sempre, e questo un po’ ti risolleva. Mi ha fatto piacere vederlo sereno”.
Vi siete conosciuti nelle giovanili azzurre a Coverciano, poi la Samp, poi le strade che si separano, finché la coppia si ricompone alla vigilia degli Europei e vince a Wembley. Siete tornati a vivere fianco a fianco, come quando eravate ragazzi. Com’era il vostro rapporto nell’ultimo periodo?
“Abbiamo vissuto quasi tutta la nostra vita insieme, abbiamo da sempre un legame fraterno, anche se calcisticamente ci siamo divisi. Ma la nostra amicizia è rimasta salda, basata su un grande rispetto e un enorme affetto”.
In Nazionale Luca aveva istituito un momento dedicato ai giovani, in cui trasmetteva l’identità e la responsabilità di vestire la maglia azzurra. Ha dato tanto a chiunque abbia varcato il cancello di Coverciano: è questa l’eredità che ha lasciato alla Nazionale?
“Sì, e noi dobbiamo continuare su questa strada. È stato molto bravo nel far capire ai giovani il valore della maglia, come comportarsi: lui parlava volentieri con loro e loro lo ascoltavano con grande attenzione e ammirazione. Sono stati momenti molto belli e importanti”.
Vialli amava scherzare e raccontare gag, da quella del bus che lo lasciava a piedi ogni partita prima dell’Europeo alla finta Scarpa d’Oro a Immobile, che era poi lo scarpone di un giardiniere. È un momento triste, ma il suo sorriso va ricordato.
“È giusto ricordare Luca così, questo era lui, sempre gioioso ed allegro, e con un carisma fuori dal comune”.
Stasera su Rai2 per ricordare Vialli andrà in onda il docu-film “La bella stagione”, nato dal libro che ha scritto con Gianluca, insieme ad altri calciatori della “vostra” Samp. Cosa rappresenta questo film per tutti voi?
“Racconta la stagione dello scudetto, ma va molto oltre le cose calcistiche: mostra quanto sia importante l’amicizia fra persone che lavorano nello stesso gruppo e quanto la coesione possa essere una forza propulsiva verso traguardi sulla carta impossibili. Ci sarà da piangere anche stasera, ma vale la pena: è ricco di bellissimi ricordi”.
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
LE NORME DI SPAGNA, FRANCIA, GERMANIA E REGNO UNITO NON TAGLIANO I FONDI A CHI PUO’ LAVORARE MA IL LAVORO NON C’E’
Tra poco meno di sette mesi, per volere del governo Meloni, l’Italia toglierà il Reddito di cittadinanza a 400 mila famiglie, cioè ai nuclei formati dai beneficiari ritenuti “occupabili”. Così torneremo a essere l’unico Paese europeo che nega i sostegni al reddito per il solo fatto che una persona sia considerata “avviabile” al lavoro. Quantomeno saremo il solo Stato a compiere questa scelta tra i principali vicini ai quali siamo soliti paragonarci.
Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Belgio concedono invece sussidi anche ai disoccupati collocabili, spesso separando questi strumenti da quelli destinati esclusivamente agli inabili al lavoro.
I sussidi erogati da questi Paesi sono anche “non assicurativi”, cioè non sono necessariamente finanziati con contributi a carico delle imprese e degli stessi beneficiari; sono coperti dalla fiscalità generale, perché si ritiene utile creare una rete di protezione sociale che salvaguardi i consumi anche di chi non ha un impiego.
Il governo tedesco, per esempio, ha da poco riformato la sua misura anti-povertà con sanzioni meno aspre per chi rifiuta offerte di lavoro. La Spagna ha cinque diversi tipi di aiuto per i disoccupati che hanno perso i sussidi cosiddetti “contributivi”.
Queste nazioni danno soldi a chi non ha un lavoro e nel frattempo riservano loro servizi di formazione e orientamento. Il denaro versato nelle loro tasche mensilmente è considerato un incentivo a partecipare a queste attività.
L’esatto contrario dell’Italia, unico governo a essere ossessionato dall’idea che pagare i disoccupati li allontani dal darsi da fare.
A partire da luglio, gli italiani senza lavoro non avranno alcun tipo di protezione, a meno che non abbiano un’anzianità contributiva alle spalle talmente solida da assicurare lo scivolo della Naspi.
Funziona così: se per esempio hai lavorato per quattro anni negli ultimi quattro, hai diritto a due anni di assegno di disoccupazione. Questo vuol dire che se sei un giovane precario con poca esperienza alle spalle, vieni penalizzato.
Inoltre, una volta finita la Naspi, se non si è riusciti a trovare un nuovo lavoro, si resta senza sostegni. E, come detto, da ora in poi non ci sarà nemmeno il Reddito di cittadinanza come sostegno di ultima istanza perché questo sarà solo per i non occupabili o al massimo per chi ha figli minori o disabili in famiglia. Ecco, invece, come funziona negli altri Stati europei.
Germania.
Berlino ha introdotto una forma di sostegno al reddito già durante il governo del cancelliere Gerard Schröder, il cosiddetto Piano Hartz IV, entrato in vigore nel 2005. Le condizionalità legate al sussidio (449 euro per un single) erano in una prima fase effettivamente molto stringenti e questo prestò il fianco a grandi critiche specialmente per l’esplodere dei “mini-job”, i lavoretti da poche ore che si era costretti ad accettare ma che non avevano la capacità di tirar fuori dalla condizione di bisogno le persone coinvolte. A novembre 2022 è arrivata la riforma che ha introdotto il Burgergeld. Il minimo per chi è singolo è stato portato a 502 euro, è stato rivisto al rialzo il meccanismo per cui il sussidio aumenta per i nuclei numerosi. Tra i requisiti c’è proprio il fatto di essere abile al lavoro ed è stato istituito un “periodo di fiducia” di sei mesi per chi lo riceve. In quel lasso di tempo non si applicano le sanzioni per chi rifiuta lavori. Si ritiene, in pratica, che spingere una persona ad accettare la prima proposta ricevuta rischi di costringere a impieghi a basso valore aggiunto e poco formativi, poco remunerativi e quindi dannosi per una formazione professionale che, se articolata in un tempo più lungo, potrebbe essere più efficace.
Francia.
A Parigi esiste uno strumento chiamato Revenu de solidarité active. Per ottenerlo bisogna avere almeno 25 anni ed essere stabilmente residente in Francia. Anche in questo caso, non c’è alcuna esclusione per quelli “immediatamente occupabili”. Semplicemente, per loro c’è l’obbligo di recarsi ai “pole emploi”, equivalenti ai nostri centri per l’impiego, che in Francia hanno una dotazione finanziaria e di personale ben più solida della nostra. Qui si firma una sorta di patto che registra le caratteristiche del lavoro cercato e le azioni di ricerca alle quali ci si impegna. Nel fascicolo personale vengono quindi definite le offerte di lavoro ritenute “ragionevoli” e se ne possono rifiutare al massimo due.
Spagna.
Madrid, a scapito delle esigenze di semplificazione, ha una raffica di aiuti. Oltre al reddito minimo, agli ammortizzatori sociali e ai sostegni contributivi, ha ben cinque diversi sussidi non assicurativi. Il senso è che la protezione sociale funziona a cascata: prima la cassa integrazione, poi l’assicurazione (omologa della nostra Naspi), poi i sussidi non contributivi e solo alla fine il reddito minimo per i poveri assoluti (omologo del nostro Reddito di cittadinanza). Tra gli strumenti assicurativi e la misura anti-povertà, a differenza nostra, gli spagnoli hanno altri cinque sussidi suddivisi per disoccupati con carichi famigliari, over 45 e over 52, persone senza anzianità contributiva e persone disoccupate da molto tempo. Insomma, un sostegno non assicurativo per ogni categoria. Le azioni di attivazione sono considerate 6: l’avvio di un’attività autonoma, l’iscrizione in un’agenzia del lavoro, l’invio del curriculum, la partecipazione a colloqui, la frequentazione dei centri e la formazione. Per mantenere il sostegno bisogna dimostrare di averne svolte almeno tre.
Regno Unito.
Londra ha lo Universal Credit concesso a disoccupati, lavoratori a basso reddito e persone inabili. Bisogna vivere in Uk, avere almeno 18 anni e non essere in età pensionabile e non avere risparmi superiori a 16 mila sterline. Gli avviabili al lavoro devono scrivere il curriculum, cercare un posto e seguire la formazione. Devono inoltre frequentare regolarmente il “coach” fornito dal centro per l’impiego via telefono, videoconferenza e incontri dal vivo. Se saltano un appuntamento vengono sanzionati.
Belgio.
Bruxelles viene sempre presa come riferimento e descritta come molto severa. L’aiuto si chiama Revenu d’intégration e funziona – come spiega il nome – come integrazione al reddito che per un singolo non deve essere inferiore a 1.214 euro. Non c’è alcuna esclusione per i beneficiari abili al lavoro che hanno l’obbligo di partecipare ai programmi di qualificazione e dimostrare di effettuare ricerche e colloqui. Gli obblighi sono indicati in maniera generica e poi definiti in maniera più precisa dal contratto individuale stipulato con i centri per l’impiego.
All’estero, dunque, gli aiuti sono assicurati anche a chi può lavorare. È chiesto il rispetto degli obblighi, più o meno rigoroso a seconda del Paese, e le strutture pubbliche che verificano sono più efficienti perché, a differenza dell’Italia, c’è un importante investimento pubblico sui servizi per il lavoro.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 7th, 2023 Riccardo Fucile
LA SPETTACOLARE APPLICAZIONE DEL CATTOLICESIMO ALLE REGOLE POP DEL TEMPO DEI SOCIAL: ‘VOGLIO TUTTO, LO VOGLIO SUBITO’
Santo subito, eccola l’espressione perfetta a stabilire il trionfo di Andy
Warhol: persino i papi replicabili in una confezione sempre uguale a sé stessa, come il barattolo della zuppa Campbell’s.
Fare santo Ratzinger, come è stato fatto santo Wojtyla, e prima Montini, e prima Roncalli, cioè siamo a quattro degli ultimi cinque e il quinto, Luciani, è beato. Non so se sarà accolta l’invocazione dei credenti – figlia senz’ altro di uno slancio genuino – ma intanto dà l’indizio della spettacolare applicazione del cattolicesimo alle regole pop del tempo dei social: voglio tutto, lo voglio subito.
Impossibile amare Ratzinger senza portare l’amore e l’oggetto d’amore in una dimensione titanica: che sia santo, e ora. Di duecentosessantasei papi, ne sono stati canonizzati ottantadue, quelli delle origini praticamente tutti, prima che diventasse un’elevazione eccezionale: dei papi compresi fra l’Undicesimo e il Diciannovesimo secolo, soltanto cinque. E occorrevano istruttorie lunghe centinaia, o perlomeno decine di anni, e minuziose e implacabili, perché la prudenza, una delle quattro virtù cardinali, indica la divina lontananza dalle furie del tempo (e infatti la proclamazione di un santo è una delle rare occasioni in cui il Papa in carica esercita il dogma dell’infallibilità).
Ora si cede all’enfasi dell’istante e del plebiscito, al popolo che sa meglio e non perde tempo, e persino a un non credente fa un po’ dispiacere vedere un’istituzione bimillenaria, che non si confondeva col secolarismo per l’ambizione di essere immersa nella dimensione dell’eternità, dedicarsi a una celebrazione mondana che fa tanto Hall of Fame.
(da La Stampa)
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