Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
“LA VIVO COME UNA LOTTA PARTIGIANA. PUTIN È PIÙ DI UN CRIMINALE, È PEGGIO DI HITLER”
La combattente italiana Giulia Schiff torna in Ucraina e a La Zanzara su Radio 24 racconta: “Ho sparato, tutti lo abbiamo fatto. Putin è più di un criminale, è peggio di Hitler”. “Se Putin scomparisse tante famiglie starebbero meglio, i bambini avrebbero un futuro”. “Per me sarebbe un onore ucciderlo. Non ci sono nazisti in Ucraina, è pieno di ebrei che combattono. Anche il mio compagno è ebreo ed ha una collana con un simbolo come la svastica, ma non è quella dei nazisti…”. “Non sono una mercenaria, come dice qualcuno. La Legione fa parte dell’esercito ucraino…”. “La mia lotta è come quella dei partigiani”
L’ex pilota dell’Aeronautica Giulia Schiff, 24 anni, negli ultimi giorni è stata in Italia, ma adesso sta per tornare in Ucraina a combattere come volontaria per la Legione Internazionale. E la giovane veneta, dice a La Zanzara su Radio 24 che già oggi sarà nuovamente sul fronte insieme al suo fidanzato ucraino.
“Non posso attualmente combattere – dice la Schiff – per motivi di salute, e anche il mio compagno ha avuto un problema. Comunque andiamo al fronte a portare aiuti umanitari con la nostra ambulanza. Io non sono una mercenaria come qualcuno mi accusa di essere, faccio parte della Legione Internazionale all’interno delle forze armate ucraine”
Poi racconta i primi tempi in guerra: “Ho fatto lavoro di logistica a fianco di ufficiali dell’Intelligence e dopo un periodo come istruttrice sono entrata nell’esercito. Ho sparato? Tutti abbiamo sparato. Mi venivano dati poco più di un migliaio di euro, ma con mesi di ritardo, quindi ho campato con i miei soldi”.
Su Vladimir Putin, Giulia Schiff, non fa sconti: “E’ molto più di un criminale, è l’Hitler 2.0 di questo secolo. Ma è un complimento perché dovrebbe esser definito peggio ma non abbiamo altri paragoni possibili. Senza di lui tanti bambini avrebbero futuro, tante famiglie la casa e non sarebbero state spezzate. Se sparisse sarebbe un posto migliore. Sarebbe un grande onore essere la persona con la mira libera su una persona del genere. La vivo come una lotta partigiana”.
Ai microfoni de La Zanzara, la Schiff chiarisce sulla presenza di nazisti in Ucraina: “Non ci sono, ma sono arrivati da altri parti d’Europa, dall’est, sono stati stimolati dalla propaganda putiniana. Anzi, è pieno di ebrei che combattono sul fronte, il mio ultimo team era a prevalenza ebraica e si chiamava Masada. Pure il mio compagno è ebreo e al collo ha una collanina con una cosa simile alla svastica. Sono simboli, questi, che esistevano prima del nazismo. Gli ucraini sono legati alla propria storia”.
(da La Zanzara)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
GLI AMERICANI HANNO RASSICURATO SUL FATTO CHE I CIELI ITALIANI NON SAREBBERO SCOPERTI. E POI C’ È UN PRECEDENTE: NE PRESTAMMO UNA ALLA TURCHIA PER DUE ANNI E NON CI FURONO PROBLEMI DI SICUREZZA
Il dubbio degli americani sulle forniture militari italiane all’Ucraina è questo: se Roma aveva prestato una batteria per la difesa aerea Samp/T alla Turchia per due anni, senza alcun problema di sicurezza interna, perché adesso le sue esigenze di difesa impedirebbero di concedere la stessa cortesia a Kiev?
La Nato, peraltro, non lascerebbe mai scoperto un alleato così in prima linea, e quindi non si capisce bene da dove nascano le resistenze. La premier Meloni è stata molto ferma nel confermare l’appoggio al presidente Zelensky, che dovrebbe visitare a giorni, e ciò sembrerebbe escludere problemi di natura politica. A meno che non ci siano altre complicazioni, al momento non chiarite.
La sostanza della telefonata fatta il 5 gennaio scorso dal consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan al collega di Palazzo Chigi Franceso Talò è ormai assodata. Washington l’aveva riassunta così: «I due funzionari hanno condannato l’aggressione in corso della Russia contro l’Ucraina, compresi i suoi attacchi contro le infrastrutture critiche del Paese. Hanno ribadito il loro impegno a fornire assistenza, compreso il sostegno alla resilienza energetica dell’Ucraina e all’equipaggiamento militare necessario per difendere la sovranità e la democrazia» di Kiev.
Non ci vuole molto a tradurre le ultime righe come un chiarimento sulle intenzioni di Roma relative alle forniture militari promesse, ossia il sesto decreto ancora in via di definizione, ma soprattutto le batterie anti missile Samp-T, che invece sarebbero necessarie subito
Roma aveva già prestato una batteria Samp-T alla Turchia per ben due anni, quando ne aveva bisogno per proteggere il proprio territorio, durante la fase più acuta della guerra in Siria.
Sapendo tutto questo, gli americani si chiedono come mai l’Italia non potrebbe fare altrettanto ora, nei confronti di un Paese aggredito che consente di giustificare ancora più facilmente l’iniziativa sul piano politico, visto che la stessa Assemblea Generale dell’Onu ha rigettato l’annessione delle quattro province ucraine che Putin pretenderebbe di annettersi con la forza. Se mandassimo la batteria a Kiev, la nostra protezione sarebbe garantita con altri mezzi. I militari poi vogliono essere impiegati, e possono usare il prestito per chiedere l’ammodernamento delle armi.
Meloni è sempre stata netta nel sostegno all’Ucraina, e sarebbe sorprendente se non lo facesse seguire dai fatti proprio adesso.
(da la Repubblica)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
LA MOSSA PUNTA AD ARGINARE IL POTERE DEI MERCENARI DELLA WAGNER… EVGENY PRIGOZHIN, FONDATORE DEL GRUPPO PARAMILITARE, AVEVA PUBBLICAMENTE ACCUSATO LAPIN DI ESSERE UNO DEI RESPONSABILI DEL FALLIMENTO DELLA CAMPAGNA RUSSA IN UCRAINA
Lo Stato Maggiore dell’Esercito russo ha un nuovo capo. Come confermato dal ministro della Difesa, Vladimir Putin ha rimosso Valerij Vasil’evic Gerasimov per affidare al colonnello generale Alexander Lapin il piano di addestramento, combattimento e riarmo delle delle forze di terra.
Capo di stato maggiore delle truppe russe in Siria da ottobre 2018 a gennaio 2019, proclamato “Eroe della Russia” nel luglio 2022, con decreto del presidente russo, Lapin rientra in una precisa strategia dello zar che sta prendendo forma in queste settimane: quella di limitare lo strapotere della Wagner ma soprattutto far in mondo che il fondatore Prigozhin dimentichi in fretta i suoi sogni di successione al Cremlino.
Nelle ultime settimane, infatti, numerosi esperti avevano fatto il suo nome come possibile papabile a una ipotetica successione a Putin, oltre che indicarlo come interessato a prendere il controllo del sale e del gesso dalle miniere vicino alla città di Bakhmut. Lo zar non lo permetterebbe mai e così – nonostante le critiche anche tra i fedelissimi – ha affidato l’importante ruolo a Lapin, detestato sia il comandante della Wagner Prigozhin, sia dal capo della Cecenia, Ramzan Kadyrov reputandolo responsabile per la “resa” di Liman e la sconfitta nella regione di Kharkiv.
“Se potessi, declasserei Lapin a soldato semplice”, lo ha duramente criticato Kadyrov definendolo generale “senza talento”. “”Lo priverei dei suoi riconoscimenti e, con una mitragliatrice in mano, lo manderei in prima linea per lavare la vergogna con il sangue”, aveva detto lo scorso 1° ottobre il ceceno. Ora dovrà mettersi sull’attenti davanti al nuovo Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Russo.
(da Libero)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
QUESTO VALE ANCHE PER LE FRODI FISCALI, LA VIOLAZIONE DI DOMICILIO, IL SEQUESTRO DI PERSONA NON AGGRAVATO
Su una cosa sono tutti d’accordo: bisognerà aspettare il 30 marzo. Può darsi che quel giorno, come dicono i detrattori, migliaia di procedimenti penali in corso diventino improvvisamente carta straccia per effetto della riforma della giustizia penale che porta il nome dell’ex ministra Marta Cartabia. Oppure, come spera chi loda la legge, può essere che entro quella data arrivino a destinazione tutte le querele che servono per tenere in piedi quei procedimenti senza azzerare nessuna indagine.
Stiamo parlando della novità più discussa (anche se altre non sono meno importanti) introdotte, appunto, dalla riforma Cartabia. E cioè del fatto che adesso servono le querele di parte per procedere penalmente per reati come il furto (non quello in appartamento), l’appropriazione indebita, le frodi fiscali, la violazione di domicilio, le lesioni personali colpose stradali gravi o gravissime, il danneggiamento, il sequestro di persona non aggravato…
Fino al 30 dicembre, per dire, un ladro sorpreso con la refurtiva in mano finiva in cella in automatico. Flagranza di reato. Adesso no. Senza querela quello stesso ladro viene identificato e rilasciato.
Quindi oggi può capitare quel che è successo a Jesolo l’altra notte: la polizia incappa in una coppia di scassinatori appena usciti col bottino dal Pineta Aparthotel chiuso per ferie, ma non può fermarli perché il magnate russo proprietario, Andrey Alexandrovich Toporov, non è a Jesolo e quindi non può firmare la querela.
A Vicenza un ladro d’auto è stato bloccato e rilasciato perché la querela non era firmata dal proprietario ma da un’impiegata della società a cui appartenevano due delle auto che aveva tentato di portare via.
E ancora. Il caso del noto rapper padovano Baby Touché sequestrato dal suo rivale Simba La Rue e da altri quattro ragazzi: arrestati e subito scarcerati perché la vittima ha deciso di non presentare querela. Caso simile a un altro sequestro lampo a Loano (Savona): tre albanesi se la prendono con un connazionale ma lui, dopo la firma, decide di ritirare la querela e così manca la condizione per procedere per quel reato.
Casi, c’è da dire, che finora si contano sulle dita di una mano. Ce ne saranno sicuramente altri ma quel che più preoccupa magistratura e polizia giudiziaria sono i procedimenti penali o i processi già avviati, essendo la riforma applicabile anche retroattivamente. Per i casi già aperti e con detenuti ci sono 20 giorni di tempo (a partire dal 30 dicembre) per rintracciare le vittime e invitarle a sporgere querela.
Se non lo fanno, i detenuti saranno scarcerati. Per quelli senza detenuti (migliaia in tutta Italia) i giorni diventano 90: firmare la querela entra il 30 marzo altrimenti si azzera tutto. E quella data, dunque, potrebbe essere la fine improvvisa di un numero consistente di procedimenti in corso: o perché non sono state rintracciate le parti lese alle quali chiedere di firmare la querela, o perché pur informati di questa necessità non l’hanno firmata.
Francesca Zancan, giudice a Venezia e nella giunta veneta dell’Anm dice che «nel distretto avremo migliaia di procedimenti aperti che necessitano di querela. Pensi solo ai borseggiatori dei turisti a Venezia… Spesso le vittime sono straniere, non credo che tornino per firmare la querela. A fine marzo vedremo cosa accadrà. Non voglio essere distruttiva ma per non buttare via tempo e lavoro ho rinviato ad aprile tutti i casi per i quali serve una querela che ora non ho».
Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, vede la riforma Cartabia come un bicchiere mezzo pieno. E puntualizza: «Non vorrei passasse il messaggio che il furto non è più reato se non c’è la querela perché non è così. Si evita la carcerazione, il fascicolo viene aperto lo stesso e la vittima ha tre mesi per formalizzare le accuse. La riforma Cartabia fa quello che l’avvocatura chiede da sempre: non sovraccaricare il sistema penale».
(da Corriere della Sera)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
ORBAN HA PRIVATIZZATO LE UNIVERSITA’, AFFIDANDOLE A FEDELISSIMI DEL GOVERNO CHE GESTIREBBERO I FONDI EUROPEI CON POCA TRASPARENZA
La maggior parte delle università in Ungheria non potranno più accedere ai finanziamenti europei, tra cui quelli relativi ai programmi Erasmus che permettono agli studenti scambi di più mesi tra i diversi stati membri. A darne notizia è la testata Nepszava che cita fonti da Bruxelles, dove la Commissione europea e il Consiglio europeo dei ministri delle finanze avrebbe di fatto congelato lo scorso 15 dicembre 2022 tutti i finanziamenti diretti alle università ungheresi per la ricerca e gli scambi degli studenti. Un nuovo colpo dell’Ue che si inserisce nelle lunghe tensioni tra Budapest e Bruxelles, tornate a infiammarsi nelle ultime settimane per le accuse di Bruxelles sulla diffusa corruzione nel Paese governato da Viktor Orbàn. La maggior parte delle università statali ungheresi, 21 in tutto e comprese le più grandi, sono state privatizzate negli ultimi anni e sottomesse alla proprietà di fondi fiduciari di interesse pubblico. L’Ue accusa Budapest di aver affidato la gestione dei fondi a fedelissimi del governo di Orban, attraverso nomine dirette, che sostanzialmente hanno limitato l’indipendenza e l’autonomia degli atenei. Per la Commissione Ue la riforma universitaria ha portato a una gestione opaca dei fondi europei, arrivando quindi alla decisione di interrompere i flussi.
Le (finte) misure anticorruzione di Orbàn
Orbàn nei mesi scorsi ha presentato diverse misure anticorruzione proprio all’indomani del congelamento di 7,5 miliardi di euro da parte dell’Ue, per evitare il rischio di sospensione di ulteriori fondi comunitari. Tra le 17 misure presentate dal premier ungherese c’era anche lo smantellamento dei conflitti di interesse nei fondi fiduciari, ma al momento non è ancora stato adottato nulla. La stangata dell’Ue all’Ungheria ora peserà molto alle università. Solo l’università Corvinus di Budapest aveva ben 11 progetti di ricerca sussidiati dall’Unione europea. Con un finanziamento di 40 milioni di euro, 22.622 studenti universitari ungheresi hanno partecipato al programma Erasmus nel 2020.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL GIUDICE DI ROMA NON CONVALIDA GLI ARRESTI: “MANCANO NECESSITA’ E URGENZA”
Sono stati scarcerati Emiliano Bigi e Filippo Lombardi, i due ultras della Roma arrestati ieri nell’ambito delle indagini relative agli scontri avvenuti domenica sulla A1.
Durante il processo per direttissima, il giudice del tribunale di Roma non ha infatti convalidato l’arresto.
Secondo il magistrato non ci sono gli elementi necessari per riconoscere la flagranza differita, soprattutto per quanto riguarda necessità e urgenza. I due tifosi, assistiti dall’avvocato Marco Bottaro, erano stati bloccati dalla Digos in seguito all’analisi dei filmati della rissa avvenunta in A1 tra romanisti e napoletani davanti all’area di servizio Badia al Pino.
Gli atti sono stati inviati al pm che dovrà trasmettere il fascicolo alla procura di Arezzo che indaga per rissa aggravata. «Abbiamo fatto notare al giudice che la flagranza differita si applica solo qualora sia impossibile l’arresto sul posto, per motivi tecnici o di sicurezza», spiega a Open l’avvocato Bottaro: «Non era questo il caso dei due arrestati che non erano stati riconosciuti e lo sono stati solo in un secondo momento. Tra l’altro il pm aveva chiesto una misura particolarmente afflittiva, in carcere».
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
SECONDO IL VIMINALE LA POLIZIA NON SI ASPETTAVA CHE GLI ULTRAS UTILIZZASSERO AUTO PRIVATE INVECE DI BUS: SE NON CI FOSSE DA PIANGERE, SAREBBE DA RIDERE
Matteo Piantedosi interviene sugli scontri di domenica scorsa – 8 gennaio – che hanno coinvolto i tifosi di Napoli e Roma lungo l’autostrada A1, causando code chilometriche e rischi per la sicurezza degli automobilisti.
Episodio «vergognoso», lo definisce il ministro dell’Interno, che ai microfoni di La7 sottolinea come «i quattro arresti siano pochi».
E spiega il motivo: «L’arresto in flagranza differita è consentito in un tempo limitato». Poi, però, Piantedosi assicura: «Ci sono identificazioni in corso e io prendo l’impegno che ci saranno decine di provvedimenti individuali. Oltre a procedimenti penali, ci sono anche Daspo ed altri provvedimenti amministrativi».
Il titolare del Viminale, sottolineando che diverse contromisure sono in fase di studio, ricorda che era stata fatta «un’azione di prevenzione limitata ad evitare che i tifosi si incrociassero in autogrill e ogni domenica migliaia di unità delle forze di polizia sono impegnate lungo la rete autostradale. Era difficilmente immaginabile che il livello di improntitudine arrivasse al punto che queste persone giungessero in ordine sparso su auto private».
Piantedosi annuncia anche che domani – 11 gennaio – incontrerà «i vertici di Federazione e Lega calcio.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
VIOLARE LE NORME INTERNAZIONALI E VANTARSENE: QUALCUNO GLI RICORDI CHE IL SISYTEMA DI ACCOGLIENZA, SMANTELLATO DA SALVINI, E’ UNA SUA RESPONSABILITA’
In questi tre mesi di governo Meloni, le navi delle Ong hanno continuato a fare quel che facevano nei mesi precedenti nel Mediterraneo centrale: soccorrere naufraghi, come prescrive il diritto del mare.
Nelle ultime settimane, però, i porti assegnati sono stati sempre più distanti dal luogo di soccorso: prima Ravenna e Livorno, ora Ancona. Questo comporta ulteriori sofferenze per i naufraghi a bordo (spesso già provati, oltre che dalla traversata, da stupri e torture subiti in Libia) e l’assenza di navi che si occupino di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale (che, tradotto, significa che ci saranno persone che moriranno annegate, pur potendo essere salvate). Ma lasciamo da parte l’umanità, e limitiamo l’analisi alla logica e al diritto.
Il primo atto governativo del nuovo anno è un decreto legge, firmato da Meloni, Piantedosi, Nordio, Salvini, Tajani, Crosetto. Pur promettendo nella rubrica “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”, il decreto in questione si occupa di regolare le modalità di soccorso in mare, non senza errori giuridici già commessi in altre occasioni.
A leggerle in questi giorni, in cui Ocean Viking e Geo Barents devono percorrere più di 1.500km nell’Adriatico, sottoponendo i naufraghi a bordo ad almeno quattro giorni di navigazione per raggiungere il porto, le disposizioni del decreto Ong sembrano una presa in giro, visto che l’enfasi è sul raggiungimento del porto di sbarco “senza ritardo”.
È difficile trovare coerenza tra il rimprovero alle Ong di ritardare gli sbarchi, per soccorrere altri naufraghi, e la prassi di assegnare porti distanti centinaia di chilometri alle navi, che, per imposizione amministrativa, ritardano gli sbarchi stessi.
Interpellato sull’assegnazione dei porti di Ancona, Ravenna e Livorno, il ministro Piantedosi ha giustificato la scelta delle autorità, sostenendo che “Per quanto riguarda questo Governo e questo ministero, la Sicilia e la Calabria non devono essere condannate ad essere il campo profughi dell’intera Europa”. In aggiunta, il ministro si è vantato dell’equa distribuzione degli sbarchi tra i diversi porti italiani.
Ma queste dichiarazioni dimostrano che il ministro Piantedosi ignora la differenza tra lo sbarco dei naufraghi e la redistribuzione dei profughi, due fasi distinte che non possono essere confuse.
Soccorrere è un dovere, essere soccorsi è un diritto
Il soccorso in mare si basa su una serie di norme di diritto internazionale. Le convenzioni e i trattati sono diversi, ma la regola è semplice: in mare, se ci sono vite in pericolo, chiunque è obbligato a prestare soccorso. Il soccorso in mare è un dovere generale, ma anche un diritto universale: un naufrago deve essere sempre soccorso, e le sue condizioni personali o giuridiche sono irrilevanti.
Che si tratti di un miliardario a cui è affondato lo yacht o di un sudanese su un gommone che imbarca acqua, il naufrago deve sempre essere soccorso. E il soccorso si conclude con lo sbarco nel POS, il place of safety, il porto (o posto) sicuro.
Sbarco e redistribuzione sono questioni distinte
Lo scopo del soccorso è il soccorso. Questo vale per una nave che raccolga naufraghi in mare come per un’ambulanza. Se il 118 viene chiamato per un incidente, trasporta i feriti all’ospedale più vicino, non aspetta di fare la constatazione amichevole. Prima si soccorre, poi tutto il resto.
Nel caso dei flussi migratori, o, meglio, nel caso di naufraghi che abbiano diritto di chiedere asilo o protezione internazionale, “tutto il resto” è la redistribuzione, così che l’analisi delle richieste di protezione e i percorsi di accoglienza siano gestiti in maniera diffusa.
Ma la redistribuzione, è il caso di ribadirlo, si fa all’asciutto, quando chi deve essere curato è stato curato, quando chi poteva chiedere protezione l’ha fatto. Prima si sbarca, poi si redistribuisce.
La redistribuzione di chi ha diritto di protezione o di chiedere asilo dipende da una serie di regole che, negli ultimi anni, sono state cambiate diverse volte.
Le norme originarie sono quelle della legge Bossi-Fini (la cui matrice insomma è affine a quella dell’attuale governo) e sono relative al cosiddetto SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Il decreto Salvini ha poi sostituito questo sistema con il SIPROIMI (Sistema di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), poi modificato ulteriormente in SAI. Al netto delle differenze di acronimi e questioni burocratiche, è rimasto invariato il responsabile dei progetti di accoglienza, e quindi anche della redistribuzione sul territorio: la competenza di questi sistemi è del Viminale. E oggi, al Ministero dell’Interno, c’è Matteo Piantedosi.
Chi dovrebbe evitare che Sicilia e Calabria siano campi profughi?
Si dirà che il ministro Piantedosi si è insediato al Viminale tre mesi fa. Certo, ma da più di un decennio, a vario titolo, collabora con il Ministero dell’Interno: tra i vari ruoli, è stato anche vice-capo di Gabinetto nel 2012 e capo di Gabinetto nel 2018, con il governo gialloverde e Salvini ministro. Davanti a una carriera simile viene da chiedersi se Piantedosi si è accorto che lamentarsi che Sicilia e Calabria siano campi profughi equivale a un’implicita autocritica: è il Viminale a dover programmare e gestire i sistemi di protezione internazionale.
E, certamente, non è il caso di spostare l’onere di distribuzione delle persone in una fase di estrema vulnerabilità come quella successiva a un naufragio, durante il soccorso in mare. Il diritto internazionale, insieme alle dichiarazioni sui diritti umani (che peraltro riconoscono il diritto d’asilo e la libertà di movimento), lo spiega chiaramente. Ribadiamolo: prima si soccorre, poi tutto il resto.
Ma davvero il ministro Piantedosi non coglie queste ovvie nozioni normative, oltre che logiche e di umanità?
Dopotutto, con una laurea in giurisprudenza e una carriera tra Viminale e prefetture, dovrebbe conoscere il diritto. È lecito anzi aspettarsi che chi così a lungo ha ricoperto e ricopre importanti ruoli di tutela della pubblica sicurezza abbia una profonda sensibilità democratica, cerchi di risolvere questioni complesse avendo ben chiari i princìpi del nostro ordinamento e della comunità umana.
C’è allora un’ipotesi più inquietante da tenere in considerazione: che il ministro Piantedosi sia pienamente consapevole della differenza tra soccorso di naufraghi e redistribuzione di profughi, che sappia che la competenza e la responsabilità del sistema di accoglienza è del suo ministero, che capisca che le lungaggini burocratiche e le illogicità applicative derivano da leggi che la destra ha scritto e varato, ma che, pur sapendo tutto questo, accetti questa realtà. E che, anzi, con le sue azioni e dichiarazioni, aderisca alla propaganda di governo, sulla pelle di naufraghi in mezzo al mare.
(da Fanpage)
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Gennaio 10th, 2023 Riccardo Fucile
LA PROVA È NELLE PAROLE DEL PRESIDENTE DELL’EUROGRUPPO, PASCHAL DONOHOE… L’ESECUTIVO ORMAI È RASSEGNATO: “NON HA SENSO LASCIARE BLOCCATI LÌ DECINE DI MILIARDI DI EURO”
La ratifica del trattato del Mes è sempre più vicina. L’Italia è l’ultima all’appello e Giorgia Meloni ha lasciato intendere con sempre minore vaghezza che non si può paralizzare il processo.
A esserne praticamente certo è il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe: «Sono convinto che riusciremo a compiere progressi nella ratifica e nell’attuazione del trattato Meccanismo europeo di stabilità». Le parole di Donohoe hanno un peso perché arrivano dopo un incontro con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Alla fine del colloquio da via XX settembre si ammette che «si è parlato anche della riforma del trattato del Mes». E quindi l’indizio.
La ratifica del Mes non significa che l’Italia voglia ricorrere al fondo “Salva Stati”, cosa che Meloni ha negato fino a «scriverlo con il sangue», a causa delle troppe condizionalità previste.
Il governo ha preferito rimandare fino a oggi la decisione sul trattato, prima dicendo di attendere la decisione dell’Alta corte tedesca e una volta arrivato l’ok dei giudici di Berlino rimettendosi a una generica «volontà del Parlamento».
Meloni, però, ha lasciato intendere che l’Italia non vuole rimanere l’ultimo Paese a fermare il processo di approvazione, «non ha senso lasciare bloccati lì decine di miliardi di euro che potrebbero essere usati diversamente». Donohoe si è detto ottimista: «Negoziamo accordi con la buona fede che tutte le parti rispettino i propri impegni. Questa fiducia è fondamentale per il funzionamento dell’Ue».
Meloni alla fine del 2022 ha chiesto un incontro con il direttore del Mes per negoziare delle modifiche, che però rischiano di arrivare fuori tempo massimo. Ma le opposizioni chiedono maggiore chiarezza: «Chissà in che modo il ministro Giorgetti avrà spiegato a Donohoe la posizione dell’esecutivo italiano», osserva Osvaldo Napoli di Azione.
Ma al centro dell’incontro tra il presidente dell’Eurogruppo e Giorgetti c’è soprattutto l’inflazione: «La nostra massima priorità è combatterla attraverso un’azione coordinata dell’Unione europea», spiega Donohoe. Giorgetti concorda: «In questo contesto, riteniamo che un coordinamento efficace e azioni congiunte a livello europeo siano essenziali».
(da la Stampa)
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