Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
“LUI NON STA RISPETTANDO I PRINCIPI DI INDIPENDENZA E NEUTRALITÀ”
Per la campagna elettorale del candidato del centrodestra, Francesco Rocca, Fratelli d’Italia usa il suo profilo pubblico di presidente della Federazione internazionale Croce Rossa.
Una pagina ancora attiva e seguita da oltre 20mila utenti nonostante Rocca si sia dimesso dalla carica di presidente della croce rossa italiana il 19 dicembre. Allora è di nuovo il fratello Alessandro, a sua volta volontario Cri, ad attaccare: «Non sta rispettando i principi di neutralità e indipendenza dei volontari della Croce Rossa».
«Perché tutti i candidati del Lazio, per esempio Fabrizio Ghera (consigliere regionale, ndr), taggano Francesco Rocca con il profilo Croce Rossa e non con quello creato da politico, contro quanto dichiarato ai volontari della Cri? Sembra una furbata, una vergogna» , scrive sui social Alessandro Rocca.
Tre giorni fa il fratello del candidato ha rivolto pesanti critiche e ombre sul passato dell’attuale candidato quando da ragazzo viveva a Ostia e fu arrestato per spaccio di eroina, poi condannato a tre anni e due mesi.
Stavolta l’accusa di Alessandro Rocca è politica e coinvolge tutti i consiglieri di FdI che hanno usato il profilo pubblico del candidato del alla presidenza del Lazio, voluto fortemente dall’entourage di Giorgia Meloni nonostante i maldipancia degli alleati, Forza Italia su tutti.
Raggiunto al telefono, Francesco Rocca non ha voluto commentare ma ha spiegato che da ora in poi tutte le attività elettorali saranno raccontate sul profilo politico.
A mettere in discussione il rispetto dei principi della Croce Rossa è come detto il fratello, Alessandro Rocca, dal 2014 volontario del comitato locale della Croce Rossa con la qualifica di operatore polivalente salvataggio in acqua.
«Lui è a capo della federazione internazionale della Croce Rossa ed è stato a capo della Cri e dovrebbe dare l’esempio per primo: ha aperto un profilo politico ma lo hanno tutti taggato con il profilo pubblico. Non sta rispettando i principi di indipendenza e neutralità » , spiega a Repubblica.
Il fratello del candidato vive ancora oggi Ostia e sui social non nasconde le simpatie fasciste e per la X Mas, l’unità speciale della marina italiana guidata durante la seconda guerra mondiale dal principe Junio Valerio Borghese. «Ma io non ho un profilo come presidente della Federazione Croce Rossa», risponde Alessandro Rocca.
(da La Repubblica)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
MI SPIEGÒ COSÌ LA SUA FILOSOFIA: ‘QUANDO VUOI VINCERE LE PROSSIME OLIMPIADI, NON SELEZIONI PER LA TUA SQUADRA NAZIONALE I FIGLI DEI VECCHI CAMPIONI. NON SI FA UN FAVORE AI PROPRI FIGLI LASCIANDOGLI TANTO, È DEMOTIVANTE’”
«Nel 1960 morivano ogni anno 20 milioni di bambini sotto l’età di
cinque anni. Nel 2012 ne sono morti 6,6 milioni, e in percentuale sulla popolazione l’ecatombe si è ridotta a un quinto. Sono ancora troppi. Abbiamo gli strumenti per scendere sotto i tre milioni in 15 anni.
I costi per il trattamento dell’Hiv-Aids sono stati ridotti del 99%, da più di 10.000 dollari a meno di 200 dollari all’anno. In molti paesi l’incidenza dell’Hiv-Aids è scesa oltre il 50%, e il regresso riguarda anche l’Africa sub-sahariana. Le morti per malaria in Africa sono diminuite del 33%.
Questa battaglia va fatta, con più risorse di prima, anzitutto per ragioni umanitarie. Ma è un investimento intelligente perché è la risposta migliore ai flussi migratori: un miglioramento delle condizioni di salute, delle opportunità di sviluppo umano, contribuisce a far restare le persone nei loro Paesi d’origine. Rallenta anche l’esplosione demografica, perché l’eccesso di natalità purtroppo è una risposta perversa alle decimazioni inflitte dalle epidemie».
Così Bill Gates mi esponeva il suo «ottimismo lucido e razionale», in una camera del Willard Hotel di Washington: quello dove nell’Ottocento nacque l’attività del lobbismo.
Era il 2 dicembre 2013. Pochi minuti prima Gates era uscito dalla Casa Bianca al termine di un lungo e proficuo incontro con Barack Obama, uno dei leader con cui ha creato un solido rapporto di collaborazione.
Ma nel lungo colloquio con Gates la parte che mi colpì come più innovativa non era il suo discorso umanitario, per quanto importante.
Il co-fondatore della Microsoft, protagonista della rivoluzione informatica degli anni Settanta e Ottanta, per 22 anni consecutivi l’uomo più ricco del mondo, aveva da poco lanciato con la moglie Melinda e con l’amico Warren Buffett The Giving Pledge , l’impegno a donare: una dichiarazione d’intenti che i tre avrebbero proposto a tutti i miliardari del mondo per diffondere le nuove regole della filantropia.
Da un altro punto di vista era una solenne promessa di diseredare i propri figli e nipoti. Quel giorno di dieci anni fa lui mi spiegò così la sua filosofia: «Penso che dal punto di vista dell’uso delle risorse di una nazione, non sia ideale lasciare i grandi patrimoni in eredità. Quando vuoi vincere le prossime Olimpiadi, non selezioni per la tua squadra nazionale i figli dei vecchi campioni olimpici.
Dal punto di vista della società, è sbagliato che una minoranza di privilegiati abbiano tanti mezzi senza dovere lavorare per meritarseli. Non si fa un favore ai propri figli lasciandogli tanto, è demotivante». Coerente con l’annuncio di allora, oggi all’età di 67 anni Gates ha già versato in beneficienza 50 miliardi di dollari, e continuerà a devolvere così la stragrande maggioranza del suo patrimonio.
Quel capitalista che mi spiegava un decennio fa la sua decisione di diseredare i tre figli, mi riconciliava con l’etica protestante del capitalismo.
Non ci sarà mai un Gates junior alla guida di Microsoft dopo il fondatore Bill, così come non c’è un Jobs junior alla guida di Apple dopo la scomparsa di Steve. Per essere sicuri di non affidare l’azienda in mani sbagliate, i più iconici capitalisti americani diseredano i figli alla nascita. Mi ha sempre colpito la distanza con i nostri capitalisti: parlano di meritocrazia ai convegni della Confindustria, poi guardi i loro cognomi e le loro storie, molti sono rampolli ereditari, figli di papà o nipoti del nonno fondatore.
L’immagine pubblica di Gates è passata attraverso cicli estremi, alternando trionfi e controversie. Per me e per due o tre generazioni di occidentali, così come per tanti Baby-Boomer e Millennial cinesi indiani russi, lui era stato in gara con Steve Jobs per l’Oscar dell’imprenditore più autorevole e carismatico dell’era digitale. La mia prima traversata coast-to-coast degli Stati Uniti, nel 1979, aveva coinciso con l’avvio della primissima transizione verso un’era digitale.
All’epoca avevo appena cominciato a lavorare come giornalista del Partito comunista italiano, guidato da Enrico Berlinguer: scrivevo sul settimanale Rinascita . Quell’America aveva due facce per noi ventenni della sinistra europea: da un lato ci spalancava la visione di un’economia post industriale, una visione di modernità e integrazione, di ecologia, di rispetto delle diversità.
Gates, allora ventenne, era il pioniere di una rivoluzione tecnologica democratica: mettere un personal computer su ogni scrivania.
Oggi sembra banale e il computer è già stato sostituito da tablet e smartphone – ma allora non lo era affatto.
Poi subentrò la disillusione. Su Gates e non solo. I ragazzi rivoluzionari, una volta create delle imprese straordinariamente avanzate e competitive, si trasformavano in aspiranti monopolisti, ostacolavano la concorrenza, fino a costruire dei colossi dominanti. Erano stati hippy, figli dei fiori, o comunque idealisti e sovversivi da giovani. Per poi diventare dei Robber Baron («baroni ladri») trasferendo nell’era digitale il modello che i Rockefeller avevano incarnato nel capitalismo delle banche e del petrolio. Dopo Gates, anche Jobs con Apple, i fondatori di Google Larry Page e Sergei Brin, Mark Zuckerberg con Facebook, avrebbero vissuto la stessa metamorfosi.
Gates fu il primo in ordine cronologico, come dimostrò la causa antitrust lanciata contro Microsoft da Mario Monti commissario europeo.
Nel nostro incontro di un decennio fa Gates si era messo alle spalle la prima battaglia antitrust contro Bruxelles. Era impegnato in una sua transizione personale: una dopo l’altra abbandonava le cariche societarie, nella Microsoft e in altre aziende, indirizzandosi verso l’impegno a tempo pieno come filantropo (la Bill & Melinda Gates Foundation divenne la sua unica attività dal 2020). Non era un percorso tranquillo. Al nuovo traguardo lo attendevano altre polemiche.
Come paladino delle campagne di vaccinazioni in Africa e in tutto il mondo, e della lotta al cambiamento climatico, Bill si è attirato sospetti e accuse, in particolare dal mondo della destra sovranista. Almeno quanto George Soros – altro miliardario filantropo e progressista – Gates è diventato protagonista designato delle teorie del complotto. Lo si è accusato di esercitare uno strapotere nel business dei vaccini, tema che ha acquistato una visibilità enorme durante la pandemia. È diventato il globalista per antonomasia, grande capo di tutte le cospirazioni ordite da un’élite finanziaria onnipotente, un establishment determinato a calpestare gli interessi dei popoli.
Poi c’è stato il divorzio da Melinda French. Dopo 27 anni di matrimonio e 34 anni vissuti insieme, la separazione ebbe inizio in modo soft, consensuale e amichevole. Fino a quando la stampa americana rivelò che la causa scatenante era l’amicizia passata di Bill con Jeffrey Epstein, condannato per stupri e pedofilia, morto suicida in carcere.
Un’altra discesa agli inferi per Gates.
Più di recente, un riscatto è venuto sul fronte geopolitico: Microsoft è stata applaudita per il ruolo determinante che svolge nel difendere l’Ucraina dai cyber-attacchi della Russia. Un esperto come Ian Bremmer ha stilato questa classifica peculiare delle potenze che aiutano di più la resistenza di Kiev: al primo posto gli Stati Uniti, al secondo l’Inghilterra, al terzo Microsoft, al quarto la Polonia. Può aver pesato l’eredità dell’atteggiamento «filo-governativo» di Gates su molti dossier del passato, e fors’ anche un suo ruolo personale dietro le quinte.
Una rivincita di fatto se la prende anche contro i no-vax, in questi giorni in cui l’Occidente segue con apprensione l’arrivo di viaggiatori cinesi, positivi al Covid, vaccinati poco e male. Le accuse contro il Grande Vecchio che trama per vaccinare l’intero pianeta forse appaiono finalmente assurde?
Federico Rampini
(da il “Corriere della Sera”)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
CI SONO MOMENTI TELEVISIVI CHE NON ANDREBBERO INTERROTTI DA SPOT, ANCHE L’INSERZIONISTA CAPIREBBE
Ci sono momenti televisivi che non andrebbero interrotti da spot: anche l’inserzionista capirebbe. Quei momenti unici sono la nostra storia; quelle immagini, qualcosa di autentico e puro, danno un senso alla passione per il calcio.
In passato ho scritto pochissimo dei disagi derivati dallo streaming in un Paese strutturalmente povero come il nostro: a Dazn, che ieri aspettavo con ansia proprio per assistere al doppio tributo non potendomi muovere dalla redazione, ho perdonato qualche peccato, fatico però ad accettare il fatto che mentre a Marassi il popolo doriano dedicava tutto se stesso al ricordo di Sinisa e Luca e mentre la pelle d’oca si prendeva il cuore e le gambe, la diretta abbia lasciato il posto a qualche minuto di pubblicità.
Ci sono interruzioni che non possono essere scusate.
Ivan Zazzaroni
(da il Corriere dello Sport)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELLA DIFESA FA RETROMARCIA E LODA IL DG DEL TESORO, ALESSANDRO RIVERA, E IL RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO, BIAGIO MAZZOTTA: “RAPPRESENTANO IL MEGLIO DELLA DIRIGENZA PUBBLICA. NE HO STIMA”
È il ministro che, in un’intervista al Messaggero, ha invocato «il
machete» per cambiare alcuni dirigenti della pubblica amministrazione e tagliare quegli impedimenti burocratici che a volte ingessano l’azione di governo. Ma è lo stesso Guido Crosetto, titolare della Difesa, a fare dei distinguo, in un’intervista rilasciata all’Avvenire. In particolare si parla di due super-manager come Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro, e Biagio Mazzotta, ragioniere generale dello Stato.
Per loro, spiega Crosetto, il discorso è «totalmente diverso». «Rappresentano il meglio della dirigenza pubblica italiana osserva il titolare della Difesa Sono due tecnici, due persone che hanno fatto la loro carriera all’interno della pubblica amministrazione, facendo gavetta e conquistandosi la considerazione sul campo». «Conosco bene entrambi aggiunge ho avuto modo di lavorare con loro e ne ho stima. Ciò detto, la scelta di confermarli nelle loro posizioni o magari utilizzarne le competenze in ruoli altrettanto importanti, non spetta ad altri che al titolare del dicastero di cui fanno parte».
Il cofondatore di Fratelli d’Italia si concentra poi sulle critiche ricevute per essere stato troppo «tenero» con la riconferma di funzionari del suo dicastero con un passato di militanza a sinistra: «Ad alcuni non interessa la verità, ma solo attaccare e delegittimare», osserva. Tuttavia «il nostro compito è un altro conclude Crosetto servire il Paese, a partire dalla necessità di far lavorare meglio la nostra burocrazia. Solo così potremo cambiare l’Italia».
(da “il Messaggero”)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
SOCIAL NETWORK UTILIZZATI PER FOMENTARE I DISORDINI
Non ci è voluto molto prima che si iniziasse a individuare parallelismi tra l’assalto dei bolsonaristi ai palazzi del potere di Brasilia e quello dei trumpiani a Capitol Hill.
Un gruppo di estremisti che si lancia verso gli edifici simbolo delle istituzioni con la scusa di garantire «libertà e democrazia» e «prendersi il potere» scippandolo a chi – secondo loro – lo avrebbe «ottenuto illegittimamente».
Nel 2020 Biden, oggi Lula, una similitudine troppo diretta per passare inosservata. Tra i due eventi, poi, c’è un altro punto di contatto, ossia il ruolo dei social. Facebook sta ancora gestendo gli strascichi di Capitol Hill, nel 2021 i trumpiani trovarono terreno fertile nei gruppi della piattaforma di Zuckerberg che fecero da cassa di risonanza per le loro idee.
Da allora, Meta ha limitato fortemente la promozione di contenuti politici, ottenendo, però, l’effetto opposto a quello desiderato. Anziché diminuire, la disinformazione presente sulla piattaforma è aumentata, poiché ad essere penalizzati non sono stati solo i post non verificati, ma anche quelli di testate affidabili come la Cnn.
A prescindere dalle azioni intraprese dalle piattaforme per limitare i danni e impedire che si verifichino ancora eventi di questo tipo, a distanza di due anni, e di migliaia di chilometri, il copione si ripete, non solo su Facebook, ma anche su TikTok, Instagram, e Telegram.
Secondo ricerche citate dal Washington Post, su TikTok, 8 ricerche su 10 della parola «voto» («ballot», in inglese) rimandavano a risultati in cui la parola era associata al termine «truccato» («rigged»).
Un fenomeno simile è stato rilevato su Facebook e su Instagram. Una ricerca “innocente” veniva presto dirottata verso gruppi e contenuti che insinuano dubbi sulla legittimità delle elezioni. «Nelle ultime due settimane ho notato una crescita costante degli inviti all’estremismo a all’azione diretta per smantellare l’infrastruttura del Paese», ha dichiarato al Washington Post Michele Prado, analista brasiliano indipendente specializzato nei movimenti di estrema destra online. «In pratica, gli estremisti sostengono che il Paese debba essere fermato del tutto e che si debba creare il caos», ha aggiunto.
Tiktok e Facebook
Il giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre de Moraes ha ordinato alle piattaforme di bloccare la propaganda golpista. E lo ha fatto per un motivo. Secondo la testata di fact checking brasiliana Aos Fatos, i post che invitano all’insurrezione circolano almeno dal 3 gennaio. In cinque giorni hanno cumulato centinaia di migliaia di visualizzazioni. Al momento, solo Facebook e Youtube hanno reso noto di essersi impegnati a rimuovere i post che violano il loro regolamento. Cercando su TikTok le parole «vamos ao congresso em Brasìlia» («andiamo al congresso a Brasilia») si ottengono come risultato decine di video che inneggiano al golpe. «La presa da parte del popolo», si legge nelle scritte in sovrimpressione sui video. Video pubblicati inizialmente sul social cinese si sono diffusi anche su Facebook: «Brasilia. Giorni 7, 8 e 9. La presa di potere» si legge all’inizio di un filmato (archiviato qui) di cui vediamo uno screenshot qui sotto. Le visualizzazioni? Intorno a 90 mila.
Telegram
Dalle contaminazioni bolsonariste non è esente Telegram, anch’esso sovente utilizzato per la diffusione di propaganda a causa delle sue regole più rilassante sulla moderazione dei contenuti. Gruppi come Clube das Armas, che conta oltre 17 mila iscritti, diffondono da tempo complotti e “chiamate alle armi”. Aggiornato in tempo reale, il gruppo diffondeva anche informazioni circa la posizione delle forze dell’ordine durante l’assalto. Altri gruppi simili sono Naçao Brasiileira, e Familia Brasil. Un post in quest’ultimo recita: «Il Brasile è un Paese rubato dal suo Congresso, diffamato dalla sua stampa e consegnato ai banditi dalla sua Corte Suprema».
YouTube
Nemmeno YouTube è stata risparmiata dall’onda bolsonarista. Durante l’assalto, sulla piattaforma di Google sono state mandate in onda numerose dirette dell’evento girate da chi si trovava sul posto. E come fa notare Aos Fatos, alcune di queste, circa la metà, sono state monetizzate. Nonostante su YouTube sia proibito pubblicare contenuto che intende elogiare, promuovere o aiutare estremisti od organizzazioni criminali.
I regolamenti violati dei social network
YouTube non è l’unica piattaforma su cui i contenuti sono stati pubblicati violando le regole. Nel regolamento di Facebook, ad esempio, si legge che sul social non può essere postato «ogni contenuto che contenga affermazioni d’intento, inviti all’azione, affermazioni condizionali o aspirazionali, o che invitano alla violenza a causa di un’elezione, della certificazione dei voti, dell’amministrazione o del risultato di un’elezione». In maniera simile, stando alle regole di TikTok, non è possibile usare la piattaforma per «minacciare o incitare atti violenti, o per promuovere organizzazioni, individui o atti violenti o estremisti». Anche Telegram ha una sezione del proprio regolamento a riguardo. La piattaforma di messaggistica proibisce contenuti che «promuovono la violenza e che sono attivamente ritenuti illegali dalla maggior parte dei Paesi».
(da Open)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
CAUSERA’ ALTRE CENTINAIA DI BAMBINI E DONNE AFFOGATI NEL MEDITERRANEO PER UNA MERA BATTAGLIA IDEOLOGICA CONTRO CHI SI IMPEGNA A SALVARE VITE
Il nuovo decreto legge Piantedosi ridurrà le capacità di soccorso in
mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo.
Il decreto è apparentemente rivolto alle Ong di soccorso civile, ma il vero prezzo sarà pagato dalle persone che fuggono attraverso il Mediterraneo centrale e si trovano in situazioni di pericolo”.
Lo sottolineano in un appello congiunto 18 ong impegnate nel soccorso in mare (tra cui Emergency, Sea Watch, Sos Mediterranée, Open Arms, Medici senza frontiere, Mediterranea saving humans e ResQ).
“Noi, organizzazioni civili impegnate in attività di ricerca e soccorso (Sar) nel Mediterraneo centrale, esprimiamo la nostra più viva preoccupazione per l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare l’assistenza alle persone in difficoltà in mare”, si legge nella nota – Dal 2014, le navi di soccorso civili stanno riempiendo il vuoto che gli Stati europei hanno deliberatamente lasciato con l’interruzione delle proprie operazioni Sar. Le Ong hanno svolto un ruolo essenziale nel colmare questa lacuna e nell’evitare la perdita di altre vite in mare, rispettando sistematicamente le leggi in vigore. Ciononostante, gli Stati membri dell’UE – Italia in testa – hanno tentato per anni di ostacolare le attività di ricerca e soccorso civili attraverso la diffamazione, iniziative amministrative e la criminalizzazione di Ong e attivisti”.
Le Ong ricordano che esiste già un vasto quadro giuridico completo per le attività SAR, ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Convenzione Sar), “ciò nonostante il governo italiano ha introdotto un’altra serie di norme per le imbarcazioni civili Sar, che ostacolano le operazioni di salvataggio e mettono ulteriormente a rischio le persone in pericolo in mare – spiegano – Tra le altre regole, il Governo italiano richiede alle navi di soccorso civili di dirigersi immediatamente in Italia dopo ogni salvataggio. Questo provocherebbe ulteriori ritardi nei soccorsi, considerato che le navi di solito effettuano più salvataggi nel corso di diversi giorni”.
L’ordine di procedere immediatamente verso un porto, mentre altre persone sono in difficoltà in mare, secondo le Ong contraddice l’obbligo del comandante di prestare assistenza immediata alle persone in difficoltà, come sancito dall’Unclos.
“Questo elemento del decreto è aggravato dalla recente politica del governo italiano di assegnare più frequentemente “porti lontani”, che distano fino a quattro giorni di navigazione dall’ultima posizione delle navi – aggiungono -. Entrambe le disposizioni sono progettate per tenere le navi Sar fuori dall’area di soccorso per periodi prolungati e per ridurre la loro capacità di assistere le persone in difficoltà. Le ong sono già messe a dura prova dall’assenza di operazioni Sar gestite direttamente dagli Stati e la diminuzione della presenza di navi di soccorso si tradurrà inevitabilmente in un numero ancora più alto di naufragi”.
Un’altra questione sollevata dal decreto è l’obbligo di raccogliere a bordo delle navi di soccorso i dati dei sopravvissuti, che esprimono la loro intenzione di chiedere protezione internazionale, e di condividere queste informazioni con le autorità.
“È dovere degli Stati avviare questo processo e una nave privata non è il luogo adatto per farlo – ricordano le ong -. Come recentemente chiarito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), le richieste di asilo dovrebbero essere trattate solo sulla terraferma, dopo lo sbarco in un luogo sicuro, e solo una volta soddisfatte le necessità immediate.
Nel complesso, il decreto legge italiano contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti umani e il diritto europeo, e dovrebbe quindi suscitare una forte reazione da parte della Commissione europea, del Parlamento europeo, degli Stati membri e delle istituzioni europee”. Infine le organizzazioni civili impegnate nelle operazioni Sar nel Mediterraneo centrale, esortano il governo italiano a ritirare immediatamente il decreto legge appena emanato.
“Chiediamo inoltre a tutti i membri del Parlamento italiano di opporsi al decreto, impedendone così la conversione in legge – conclude l’appello -. Non abbiamo bisogno di un altro quadro politico che ostacoli le attività di salvataggio Sar, ma che gli Stati membri dell’Ue garantiscano che gli attori civili Sar possano operare, rispettando finalmente le leggi internazionali e marittime esistenti”.
Un appello, altrettanto “partecipato” e motivato, lanciato da decine di Ong, associazioni, movimenti, perché non fosse rinnovato lo sciagurato memorandum d’intesa Italia-Libia, fu lasciato cadere nel vuoto. Vedete di non replicare quella vergogna.
(da Globalist)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
IN CERTI CASI LA SCUSANTE DEL RIMBALZO DELLE MATERIE PRIME NON REGGE
I furbetti del caro-prezzi non si muovono solo dietro gli aumenti ingiustificati di benzina e gasolio. Perché, cavalcando la corsa dell’inflazione all’11,6% a dicembre, dalla spesa ai servizi finanziari, dal mondo delle professioni a quello della ristorazione, c’è chi ne approfitta e alimenta con rincari speculativi quella che Rosario Trefiletti, presidente di Centro Consumatori Italia, definisce la “spirale perversa” dei prezzi.
La valanga nel carrello
Dopo gli aumenti del 2022, il 2023 rischia di andare peggio con una nuova andata inflattiva che potrebbe scatenarsi tra un mese sulla spesa degli italiani.
“A oggi – avverte Giorgio Santambrogio, ceo del gruppo Végé – siamo arrivati a ben 320 richieste di adeguamento dei listini per il nuovo anno da parte dell’industria con rincari medi del 16%. E se per i prodotti per l’igiene della casa e della persona siamo nell’ambito dell’inflazione misurata, ci sono beni per cui gli incrementi richiesti sono superiori come il cibo per gli animali, la pasta, le birre, i sostitutivi del pane e in genere i prodotti venduti in contenitori di vetro. Ma il prezzo del vetro è sceso e quindi fa un po’ ridere che si giustifichino i prossimi rincari per il caro-imballaggio a meno che tutti abbiano comprato bottiglie e barattoli quando le quotazioni del vetro erano ai massimi”.
Un tavolo frena-rincari
Per fermare la corsa dei prezzi nel carrello della spesa, le principali associazioni della grande distribuzione e del commercio hanno chiesto ai produttori di fermare i listini per il primo trimestre del 2023 e aprire un tavolo tecnico dove fare il punto sull’andamento dei prezzi delle materie prime, del packaging e dei costi di trasformazione. “Ma finora – aggiunge Santambrogio – non abbiamo ricevuto risposte. E se non è corretto generalizzare su comportamenti speculativi, che si decida in anticipo, con l’aumento dei prezzi, di mettere fieno in cascina non va bene”
Dal campo alla tavola
Dopo che gli italiani hanno speso l’anno scorso 13 miliardi in più per acquistare cibi e bevande, il caro-carburanti, avverte Coldiretti ha un effetto valanga sui costi delle imprese e sulla spesa dei consumatori. E l’aumento dei costi energetici, spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti “favorisce le speculazioni anche nell’alimentare, dove per ogni euro speso dai consumatori appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori, ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura a 6 centesimi”. E così se i prezzi al dettaglio delle verdure sono cresciuti del 25,1% in un anno, denuncia Coldiretti Puglia, nei campi bisogna vendere 7 chili di carciofi (con il crollo del prezzo fino a 18 centesimi al chilo) per pagarsi un caffè.
L’effetto speculazione
Dietro i nuovi rincari che nel 2023, anche per il caro-carburanti, secondo Centro Consumatori Italia peseranno per 2743 euro a famiglia (360 per il pieno e 464 per le bollette), non c’è dubbio, attacca Trefiletti, che ci sia anche la speculazione. Del resto, oltre a 440 e 360 euro in più a famiglia stimati quest’anno per alimentazione e prodotti per la casa, bisogna mettere in conto anche 90 euro per bar e ristoranti, oltre 20 per i servizi bancari, 45 per la sanità, 124 per i trasporti pubblici, 34 per la scuola e ben 265 per le tariffe professionali e artigianali. Perché, chiosa Trefiletti, succede che si sia portati a chiedere aumenti oltre l’eventuale incremento dei costi. E spesso avviene per emulazione: se al mercato il mio vicino di bancarella fa pagare di più la verdura, perché non devo aumentare i prezzi anch’io?”.
(da quotidiano.net)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
SONO 149 GLI OBIETTIVI E I TRAGUARDI DA RAGGIUNGERE NEL 2023 MA SPESSO MANCANO LE COMPETENZE SPECIFICHE DEI DIPENDENTI PUBBLICI… SONO 120 I MILIARDI DI EURO IN OPERE PUBBLICHE GIÀ IMPEGNATI, CIRCA METÀ DEI 230 PREVENTIVATI PER L’INTERO PIANO
Dai bandi alla formazione, il 2023 per il Piano nazionale di ripresa e
resilienza, il Pnrr, sarà l’anno più duro. Sono 149 gli obiettivi e i traguardi da raggiungere per reperire 38 miliardi di euro in due rate. Il problema, come spiegano gli esperti, è che gran parte della messa a terra è sulle spalle degli enti locali. Comuni e Regioni sono chiamate a un extra-sforzo per velocizzare il processo di attuazione. Ma spesso mancano le competenze specifiche dei dipendenti pubblici.
Il ministro per il Pnrr, Raffaele Fitto, sta cercando di capire come evitare di andare in rotta di collisione con la Bruxelles entro l’estate, in vista dell’incontro di oggi fra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la numero uno della Commissione europea Ursula von der Leyen a cui parteciperà a sua volta. Il lavoro è però in salita.
Se nel 2022 la corsa contro il tempo, anche alla luce dell’avvicendamento fra il governo Draghi e l’esecutivo Meloni, è stata risolta in modo soddisfacente, con tutti e 55 gli obiettivi toccati entro la fine dell’anno, nel nuovo anno ci sarà da correre come non mai. 120 sono i miliardi di euro in opere pubbliche già impegnati, circa metà dei 230 preventivati per l’intero piano.
Fra le misure a livello micro, funzionali però all’approvazione da parte della Commissione Ue delle tranche previste per il Recovery italiano, ci sono svariati progetti. Si va dalla costruzione di nuovi studi cinematografici in coordinamento con l’Istituto Luce all’installazione di nuove colonnine di ricarica per i veicoli a trazione elettrica, passando per la finalizzazione della digitalizzazione del Consiglio di Stato.
«Spesso si parla di risorse, ma qui c’è un problema di competenze», si sfoga un alto funzionario governativo dietro anonimato, spiegando la frustrazione per «il tempo perso in questi mesi di avvicendamento fra un esecutivo e l’altro».
La burocrazia rischia di creare ritardi e lungaggini. Ma non solo. Come fa notare Alice Merletti, avvocato dello studio legale Alfero Merletti e consulente per il progetto Pnrr della Fondazione Compagnia di San Paolo “Next Generation We”, «un altro punto di criticità è rappresentato dai cantieri infiniti, ovvero progetti che vengono avviati, ma poi non vengono portati a termine nei timing previsto».
In questo caso, spiega, «il problema principale è quello di trovare le risorse finanziarie per completare i lavori una volta terminati i fondi dell’Ue». E spiega che «riserve e varianti, cioè fenomeni inaspettati rispetto al piano progettuale iniziale, sono dietro l’angolo». È quindi necessario, chiosa Merletti, «fare una accurata pianificazione e verificare che ci siano le risorse per portare a termine i progetti e soprattutto per poterli – post Pnrr – gestirli». Un aspetto dunque non secondario.
Le complicazioni potranno arrivare anche dal meccanismo di “Spoils system”, ovvero di rinnovamento dei corpi intermedi della pubblica amministrazione. Pratica classica nell’avvicendamento fra i governi, ma che più di un osservatore considera come «pericoloso» per il futuro del Pnrr.
Gli investitori, nel frattempo, osservano. Le agenzie di rating come S&P, Moody’ s e Fitch attendono risposte. E come sottolinea Carlo Altomonte, professore dell’università Bocconi e direttore del Pnrr Lab, «la sfida è usare questi primi mesi per lavorare sulla capacità amministrativa degli enti locali, attraverso il potenziamento delle piattaforme già esistenti e adeguati interventi formativi. Le risorse, tra Pnrr e Fondi Strutturali, non mancano, e l’iniziativa genererebbe un eredità strutturale positiva per il futuro degli investimenti pubblici nel nostro Paese».
(da la Stampa)
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Gennaio 9th, 2023 Riccardo Fucile
UNA STRATEGIA CHE MIRA A RECUPERARE I CONSENSI PERSI, SPECIALMENTE AL NORD, MA SE ATTILIO FONTANA PERDE, SALVINI PRENDE IL FOGLIO DI VIA… LE ACCUSE LEGHISTE AL “CERCHIO MAGICO” DELLA MELONI: “TROPPO CHIUSO E ARROGANTE”
Un nuovo Salvini si aggira per l’Italia: parla poco e lascia il palcoscenico a Giorgia Meloni in attesa che il vento cambi, per lui e per lei. Fa il vicepremier, ma non vuole fare il parafulmine del governo e tenta di uscire dall’angolo nel quale è finito dopo la batosta del 25 settembre. Per invertire un declino che pare inesorabile il leader della Lega si è messo un caschetto e ha acceso la luce.
Non c’è cantiere che non lo abbia ospitato, non c’è progetto che non sia stato supervisionato e poi tunnel, ponti, varianti, tangenziali e raccordi. Il Salvini del governo Meloni sembra quasi un ministro tecnico, ma il fine è tutto politico.
Un piccolo estratto dell’agenda degli ultimi giorni del segretario del Carroccio rende l’idea: venerdì era nel tunnel di Cretaccio, in Trentino, sabato alla variante della statale 9 di Casalpusterlengo, ieri sotto la pioggia del lago di Como assisteva all’avanzamento dei lavori della variante Tremezzina della statale 340. Si potrebbe continuare a lungo, ma il senso è chiaro: il vicepremier ha cambiato profilo, lascia il palcoscenico politico a Meloni e lui si occupa di cose pratiche.
A Roma qualcuno lo prende in giro, «si è perso nei cantieri», ma dietro c’è una strategia. L’obiettivo che Salvini si è posto in questi mesi, sopralluogo dopo sopralluogo, è rifarsi un’immagine. Il classico “uomo del fare” invece che il leader onnipresente e verboso.
Meglio gli incontri con gli amministratori locali che le dirette Facebook a parlare dell’universo mondo. Una strategia che mira a recuperare i consensi persi, specie al Nord, anche in vista delle regionali in Lombardia, si vota fra un mese, dove la Lega si gioca tantissimo e la leadership, lì più che altrove, traballa. Ai suoi dirigenti è arrivato un ordine: «Facciamo campagna elettorale solo sulle cose concrete». Nel Lazio, altra Regione alle urne, gli appuntamenti fissati per ora sono mirati a progetti come la Roma-Latina o il porto di Civitavecchia.
Anche sui suoi cavalli di battaglia gli interventi sono misurati, a modo suo discreti. L’immigrazione è tornata d’attualità, ma nemmeno gli sbarchi e la lotta alle Ong gli hanno fatto cambiare idea. Il varo del decreto sicurezza, un tempo sarebbero stata l’occasione di comizi social, apparizioni tv e interviste roboanti. E invece il vicepremier ha evitato la prima linea, una dichiarazione di soddisfazione e nulla in più.
La dieta mediatica del nuovo Salvini è ferrea: zero interviste sui giornali, niente talk show (a parte Porta a Porta e le trasmissioni di Rete 4 all’inizio del mandato e poi stop), solo qualche intervento sulle radio, ma sempre legati ai temi del suo ministero. Quando, come ieri, è intervenuto sugli scontri tra gli ultrà e i presunti “speculatori” del prezzo della benzina, lo ha fatto per difendere gli automobilisti bloccati in autostrada o quelli costretti a fare i conti con gli aumenti, insomma «parlo da ministro».
La decisione di defilarsi dalla ribalta si spiega anche con una convinzione, assai diffusa tra i leghisti: Meloni fino adesso ha avuto un compito relativamente facile, con una manovra da varare in fretta senza margini di iniziativa. Ma da adesso in poi dovrà dimostrare di saper governare e il compito sarà arduo.
La Lega non vuole sabotare, ci mancherebbe, ma nemmeno togliere le castagne dal fuoco al cerchio magico della premier, che viene dipinto in ambienti leghisti come troppo chiuso e persino arrogante nel portare avanti un’agenda di partito. Il Carroccio invece è convinto di possedere una cultura di governo che prima o poi si renderà necessaria, ma Salvini deve ancora uscire dal tunnel. E non è quello di Cretaccio.
(da la Stampa)
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