Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
BERLINO HA AUMENTATO IL CONTRIBUTO MENSILE PER I TEDESCHI IN DIFFICOLTA’ DI CIRCA 50 EURO RIDUCENDO LE SANZIONI… “DOBBIAMO PROTEGGERE LE PERSONE IN STATO DI BISOGNO. È UNA QUESTIONE DI SOLIDARIETÀ SOCIALE” – LA PLATEA DEI BENEFICIARI DEL SUSSIDIO ATTUALE È DI CIRCA 5 MILIONI DI PERSONE
Se in Italia il reddito di cittadinanza fa un passo indietro, in Germania fa un passo avanti.
Dal primo gennaio è in vigore una versione riformata del sussidio che vedrà aumentare il contributo mensile di circa 50 euro, crescere le prestazioni e ridurre le sanzioni. In controtendenza con quanto accade in Italia, il governo del socialdemocratico Olaf Scholz ha deciso di spingere sull’acceleratore e riformare il vecchio sussidio introdotto dal governo Schroeder nel 2005 – il cosiddetto Hartz IV – e limarne le criticità.
Perché ora? Le ragioni sono molteplici. La prima è che la misura rientra in un disegno complessivo di sostegno al reddito in un anno caratterizzato da incertezza sul futuro per la guerra in Ucraina, aumento dei costi dell’energia e inflazione.
«Il reddito di cittadinanza riguarda uno Stato sociale all’altezza dei tempi», ha detto il ministro del Lavoro Hubertus Heil. «Si tratta di proteggere in modo affidabile le persone in stato di bisogno. È una questione di solidarietà sociale», ha commentato. Ed è proprio la solidarietà sociale una delle bandiere distintive del partito di maggioranza.
La seconda ragione è che la riforma del sostegno figura tra le principali promesse elettorali dell’Spd, insieme all’innalzamento del salario minimo a 12 euro/ora, entrato in vigore a ottobre. La terza e più prosaica motivazione è che una riforma era necessaria dopo i rilievi della Corte costituzionale.
Nel 2019 l’alta Corte aveva osservato che le multe ai percettori che non rispettavano gli accordi presi con i centri per l’impiego arrivavano a soglie talmente drastiche, con tagli ai contributi fino al 60-100%, da rendere vano il principio stesso del sussidio.
Ora, l’attuale riforma prevede ancora sanzioni ma in modo ridimensionato rispetto al passato. Se non si rispettano gli appuntamenti con il Job Center, se non si frequentano i corsi di formazione o si rifiuta di fare le domande di lavoro, c’è un sistema di richiami. Al primo richiamo si avrà una decurtazione dell’importo del 10% per un mese, al secondo del 20% per 2 mesi, al terzo del 30% per tre mesi.
Oltre non si va e i soldi per l’affitto e le spese accessorie non verranno toccati. Gli importi sono stati aumentati per tutte le categorie di percettori di circa 50 euro al mese, così che un single che prendeva al 31 dicembre 449 euro, dal primo gennaio ne prenderà 502.
La platea dei beneficiari del sussidio attuale è la stessa dei percettori dell’Hartz IV, che a fine 2021 era di circa 5 milioni, riporta Destatis.
Tra questi non solo chi non è in grado di lavorare ma anche i cosiddetti occupabili, senza lavoro o che guadagnano talmente poco da non riuscire a mantenersi. Anche per loro è previsto un sostegno, come l’aiuto di un coach per essere reintegrati nel mondo del lavoro. Il dibattito di questi mesi in Germania è stato uguale e contrario rispetto all’Italia: forti si sono levate le voci delle associazioni per dire che la platea era troppo ristretta o che l’aumento del contributo era troppo basso. Mentre chi sosteneva che con 502 euro al mese, piuttosto che con 449, si è scoraggiati a cercare lavoro ha avuto un’eco ben modesta in un Paese che vede nel 2022 crescere l’occupazione a livelli record con più 589.000 occupati in un anno.
(da “la Stampa”)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO CON LA DESTRA FILOTRUMPIANA, IL DIALOGO CON I THINK TANK DI WASHINGTON, L’INTERESSE AL PROGETTO DELL’AREA CHE VA DA OPUS DEI A COMUNIONE & LIBERAZIONE, DA CONFINDUSTRIA A COLDIRETTI
Una cosa è certa: il simbolo che Giorgia Meloni presenterà alle prossime Europee del 2024 conterrà la parola “Conservatori”.
Si tratta di un orientamento che assume fin d’ora un peso politico enorme, l’ambizione di un’annessione di fatto dei partner di maggioranza. Un avvertimento che freni l’eventuale progetto federativo tra Forza Italia e Lega, oppure i probabili flirt centristi tra azzurri e renziani.
La fase operativa non partirà subito, ma nella seconda parte del 2023, con l’approssimarsi delle Europee. Esistono mondi che ci puntano, in particolare nella destra ultra cattolica. Ruotano attorno a figure come Alfredo Mantovano ed Eugenia Roccella. Lambiscono realtà come l’Opus Dei e qualche settore di Comunione e Liberazione (un deputato di FdI, Lorenzo Malagola, viene da CL), personalità vicine alle associazioni pro life e al Family Day di Massimo Gandolfini (Maria Rachele Ruiu era candidata nelle liste di Meloni). Ci credono organizzazioni da sempre non ostili, come Coldiretti, e dirigenti di peso di Confindustria.
E poi c’è il rapporto con la destra conservatrice e filotrumpiana di Washington: contribuisce il dialogo con i think tank conservatori, ad esempio quelli sondati da Adolfo Urso nella sua missione di settembre negli Stati Uniti.
Anche da quei mondi è partito un suggerimento: serve una destra allineata a quella degli Stati Uniti, capace tra l’altro di emarginare la Lega filorussa di Salvini. I vertici meloniani sono convinti che sarà utile a rilanciare il partito quando interverranno due variabili: il fisiologico appannamento nel consenso e la minaccia centrista rappresentata dal “corteggiamento” che Matteo Renzi sta portando avanti con Berlusconi
Il Cavaliere sta confidando perplessità sulla gestione dell’azione di Meloni a Palazzo Chigi. E lamentando uno scarso coinvolgimento: «Non mi chiama, non ascolta i miei consigli, eppure ne avrebbe bisogno». Non chiude però al progetto ideale di partito unico,reclama la paternità dell’idea e subordina l’eventuale via libera al riconoscimento del suo ruolo fondativo, immaginandosi ad esempio Presidente, con Meloni segretaria. «Di certo – ripete a tutti – servirebbe la mia esperienza per guidare questo nuovo soggetto».
(da la Repubblica)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO L’ATTACCO UCRAINO ALLA BASE MILITARE DI MAKIIVKA: “CHI HA AVUTO L’IDEA DI SISTEMARE TUTTI QUEI MILITARI IN UNA SOLA STRUTTURA? PERSINO UN PAZZO CAPISCE CHE CON UN UNICO ATTACCO CI SAREBBERO STATI MOLTI MORTI E FERITI”
La strage e la rivolta. È un day after terribile per i vertici militari russi e per il Cremlino. Insorgono i blogger militari e i politici del Donetsk, una delle regioni annesse da Putin alla Federazione russa, contro i generali per la carneficina di reclute a Makiivka, poco più che trentenni arruolati come riservisti nella vicina Samara.
Qui i familiari scendono in piazza in un paio di manifestazioni autorizzate. I soldati erano ammassati a pochi chilometri dalla linea del fuoco, liberi di usare i cellulari che segnalano la posizione, in un ex istituto professionale ora ridotto a un cumulo di macerie. Ancora ieri le squadre d’emergenza scavavano cercando morti e sopravvissuti.
E il numero delle vittime dell’attacco di Capodanno degli Himars, i missili ad alta precisione forniti dagli Stati Uniti a Kiev, è tuttora un mistero. Il ministero della Difesa russo, che normalmente non ammette perdite, riferisce di 89 morti ma l’Intelligence ucraina parla di 400 vittime (e 300 feriti). Sono i milblogger, i blogger militari pro-Russia come Spetnaz Z che ha oltre 700mila follower su Twitter, a definire «orribile quanto è avvenuto».
E aggiunge: «Chi ha avuto l’idea di sistemare tutti quei militari in una sola struttura? Persino un pazzo capisce che con un unico attacco d’artiglieria ci sarebbero stati molti morti e feriti. Ma ai comandanti non può importare di meno. Ogni errore ha un nome!». Partita la caccia al colpevole.
«Basare le forze militari in un edificio, non nei rifugi, è un aiuto diretto al nemico, bisogna trarre le conclusioni più dure», per il giornalista conservatore e deputato alla Duma, Andrey Medvedev. E il milblogger Vladlen Tatarsky invoca il tribunale per gli ufficiali responsabili, «degli idioti impreparati».
Semyoin Pegov, nome sui social WarGonzo, già premiato con l’Ordine del Coraggio da Putin e forte di 1.3 milioni di sottoscrittori, racconta che il numero delle vittime «cresce man mano che vengono rimosse le macerie» e vuole che i responsabili vengano «ricercati e puniti secondo lo statuto, senza guardare all’interesse di certi clan militari/politici».
Sergei Mironov, leader di un partito vicino al Cremlino, reclama pure lui un processo per i colpevoli, «abbiano le spalline oppure no». Nessuna impunità per gli alti gradi. «Ovviamente l’Intelligence, il controspionaggio e la difesa aerea non hanno lavorato come dovevano». Il portavoce dell’amministrazione russa del Donetsk, Daniil Bezsonov, attribuisce le sconfitte non «al talento del nemico, ma ai nostri errori».
E, tuttavia, le critiche non lambiscono il capo supremo, Putin, piuttosto sono orientate contro l’Occidente che invia armi micidiali agli ucraini. Fra l’altro, il 30 dicembre si è verificata una quarta morte sospetta in una settimana nella cerchia delle persone vicine allo Zar: Vladimir Nesterov, progettista dei razzi russi Angara, il rocket man di Putin, agli arresti domiciliari per aver intascato illegalmente 57 milioni di sterline.
(da il Messaggero)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
A LAMPEDUSA I CENTRI D’ACCOGLIENZA SONO AL COLLASSO: IN UN HOTSPOT PENSATO PER 350 PERSONE NE VENGONO STIPATE OLTRE 1200
Il 2023 inizia col botto di migranti: più di 800 soltanto nelle ultime ventiquattro ore. Gli ultimi sono 546 che erano a bordo di un peschereccio individuato dalla guardia costiera e dalle Fiamme gialle a circa 26 miglia a sud-est dalle coste di Siracusa. Sono stati fatti sbarcare ieri in 198 a Catania dalla nave Dattilo della Guardia costiera che li aveva presi a bordo, in 196 al molo Norimberga del porto di Messina, e i restanti 152 a Roccella Jonica.
Sono di varie nazionalità (pakistani, egiziani, siriani, bengalesi, afgani e iraniani) e tra loro ci sono parecchi nuclei familiari, alcune donne incinte e con bambini a seguito e minori non accompagnati. Dopo circa due ore dal loro arrivo, a Roccella Jonica si è registrato un altro sbarco a seguito di un intervento in mare della Guardia di finanza che ha recuperato 78 migranti, iraniani e afgani.
In questo gruppo ci sono una quindicina di donne, tra cui due incinte e una ventina di bambini piccoli. In attesa della destinazione definitiva, tutti gli approdati nello scalo calabrese sono stati sistemati nella tensostruttura all’interno del porto. Con questi due sbarchi sono già in 320 i migranti giunti a Roccella Jonica fino a ieri. Le strutture di accoglienza sono sotto pressione per l’alto numero di ospiti e le prefetture sono al lavoro per redigere i piani di trasferimento
Da Lampedusa, ad esempio, ieri sono partiti in due distinti viaggi in 200 per Porto Empedocle, da dove poi raggiungeranno la destinazione definitiva nei vari centri sparsi per lo Stivale.
Ieri nell’hotspot dell’isola gli ospiti erano 1.208 a fronte di una capienza di 350 posti. Qui gli arrivi non hanno conosciuto sosta. Basti pensare che in 24 ore sono arrivati 500 migranti che viaggiavano su diversi barconi tutti partiti da Sfax, in Tunisia. A questi sbarchi si aggiungono quelli dalle navi Ong.
Proprio stamattina è previsto l’arrivo a Taranto della Geo Barents di Medici senza frontiere. A bordo ci sono 85 migranti dei quali 41 sono stati raccolti in mare dalla nave Ong in un’operazione difficile visto che il barchino si è ribaltato durante l’intervento, mentre 44 sono stati trasbordati da un mercantile.
Operazioni eseguite su richiesta dell’Imrcc, tiene a precisare la Ong, anche alla luce delle nuove regole sugli interventi delle Ong stabilite dal governo.«Un ragazzo ci ha raccontato di aver visto con i propri occhi persone essere uccise davanti a lui perché non avevano abbastanza soldi per pagare il viaggio», ha raccontato Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi sulla Geo Barents.
L’anno, dunque, con 1.651 approdi in tre giorni, secondo i dati ufficiali del Viminale, è iniziato all’insegna della continuità con il 2022 che ha registrato lo sbarco di poco più di 104mila migranti sulle nostre coste a fronte dei circa 67mila dell’anno precedente, un dato in contrasto con quello spagnolo, che ha visto la diminuzione degli ingressi irregolari nel 2022 del 25,6%, passando da 41.945 arrivi del 2021 ai 31.219 del 2022.
Cambia anche la rotta dei migranti, come spiega il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, che ospita nell’hotspot della sua città circa 250 migranti. «Rispetto alle partenze a cui eravamo abituati, ovvero dalla Libia – dice – la parte orientale della Sicilia è interessata da migranti che percorrono una rotta ‘orientale’.
Dunque ospitiamo bengalesi, pakistani, siriani, egiziani, ecc. mentre chi proviene dal Corno d’Africa e dalla zona sub-sahariana parte dalla Tripolitania e dalla Tunisia per approdare a Lampedusa», ha fatto sapere il primo cittadino.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
“RISPONDEREMO IN MANIERA DECISA”
Anche Charlie Hebdo si schiera a sostegno delle proteste in Iran e contro il regime di Teheran. Il numero speciale del settimanale satirico francese, pubblicato a otto anni di distanza dall’attentato alla sede del giornale e rivendicato dalla branca yemenita di Al-Qāʿida, è dedicato a tutti quei manifestanti che da oltre quattro mesi affollano le piazze iraniane per rivendicare le proprie libertà.
Nell’editoriale intitolato Il disegno satirico, guida suprema della libertà, il direttore Laurent Sourisseau alias Riss ha spiegato che con l’edizione di oggi ha voluto anche ricordare Charb, Cabu, Bernard Maris, Wolinski, Tignous, Mustapha Ourrad, Honoré ed Elsa Cayat: i 12 giornalisti uccisi nell’attentato del 7 gennaio del 2015, quando due individui mascherati e armati di AK-47 aprirono il fuoco contro i dipendenti al grido di Allāhu Akbar, in risposta alla pubblicazione da parte della rivista di alcune vignette satiriche ritraenti il profeta dell’Islam Maometto.
«È stato un modo per manifestare il nostro sostegno agli uomini e alle donne iraniane che rischiano la vita per difendere la loro libertà contro la teocrazia che li opprime dal 1979. È stato anche un modo per ricordare che i motivi per cui erano stati assassinati i vignettisti e redattori di Charlie, otto anni fa, sono purtroppo ancora attuali. Chi rifiuta di sottomettersi ai dettami delle religioni rischia di pagarlo con la vita. Cosa avrebbero pensato oggi Charb, Cabu, Bernard Maris, Wolinski, Tignous, Mustapha Ourrad, Honoré ed Elsa Cayat vedendo quello che sta accadendo in Iran? Nessuno può dirlo, ma possiamo immaginarlo», si legge.
L’8 dicembre, Charlie Hebdo – finito da poco nella black list delle sanzioni iraniane – aveva lanciato un concorso di caricature sulla Guida Suprema della Repubblica Islamica, ovvero la figura politica e religiosa più importante del Paese.
«Disegnatori e vignettisti devono sostenere le persone iraniane che lottano per la propria libertà, ridicolizzando questo leader religioso di un’altra epoca, e rispedendolo nella pattumiera della storia», recitava il testo del concorso, intitolato #MullahsGetOut (Mullah andatevene). Oltre a migliaia di minacce, spiega Riss, sono arrivate in redazione circa 300 vignette, provenienti soprattutto da iraniani rifugiati all’estero per scappare dal regime. Di questi, il direttore della rivista ha fatto sapere di averne selezionati 35 e i «più originali e più efficaci» sono stati pubblicati nel numero speciale.
In alcune delle vignette – contestate da Teheran – il leader supremo viene lapidato da alcune donne. Altre ritraggono Khamenei mentre annega in un lago di sangue mentre prova a salvarsi aggrappandosi a un cappio.
In un’altra vignetta, l’ayatollah Khamenei viene disegnato con una vagina intorno al volto o mentre indossa un turbante con una miccia accesa.
Ogni vignetta, però, ha qualcosa in comune: «Hanno il merito di aver sfidato l’autorità che la presunta guida suprema afferma di rappresentare», ha ribadito Riss nel suo editoriale. Nessun premio era inoltre previsto per i vincitori, che si son visti pubblicare i loro lavori, sulla rivista satirica. La decisione è stata presa perché «assegnare un primo, un secondo e un terzo posto avrebbe significato svalutare gli altri disegni. E poi, quale ricompensa potrebbe essere all’altezza del coraggio di dire di no ai tiranni religiosi? Ne esiste però una che nessuno può comprare o regalare, per la semplice ragione che non ha prezzo: la libertà, semplicemente».
Infine, sulla copertina del numero speciale, lo stesso direttore di Charli Hebdo ha disegnato una donna supina e nuda, con i capelli blu, che divarica le gambe e fa scomparire dentro la sua vagina una fila di mullah: «Mollahs, retournez d’où vous venez!», tradotto: «Mullah, ritornate da dove siete venuti!».
L’Ira di Teheran
Il numero pubblicato oggi dalla rivista satirica francese ha scatenato le ire delle autorità iraniane che tramite il ministero degli esteri Hossein Amirabdollahian hanno fatto sapere di «non permettere al governo francese di oltrepassare i limiti», si legge nel tweet.
«Hanno scelto – continua il ministro – una strada sbagliata. Di recente abbiamo imposto sanzioni a Charlie Hebdo. A questa mossa insultante e maleducata del periodico francese risponderemo in modo deciso ed efficace».
(da Open)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
LA SVEZIA ESCLUDE CHE POSSA ARRIVARE UN ACCORDO SULLA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI
Durante la presidenza svedese del Consiglio dell’Ue, nei primi sei mesi del 2023, non ci sarà alcun patto sull’immigrazione. Lo prevede l’ambasciatore della rappresentanza permanente della Svezia presso l’Ue, Lars Danielsson, in un colloquio con il Financial Times all’avvio del semestre. Nell’agenda di Stoccolma per l’Ue, poi, un maggiore sostegno all’Ucraina e realismo sul libero mercato per bilanciare chi cerca di inondare l’Europa di aiuti di Stato.
Nessuna difficoltà è attesa rispetto al supporto all’esecutivo di centrodestra di Ulf Kristersson da parte dei Democratici svedesi, di estrema destra ed euroscettici: “Probabilmente ci sono argomenti tabù per i Democratici di Svezia – ha affermato -. Ma io ricevo istruzioni dal governo”. A Bruxelles “non credo che le persone siano molto preoccupate”, ha aggiunto chiedendo di guardare ai risultati della presidenza svedese tra uno o due mesi. Secondo Danielsson la presidenza dell’Ue porterà avanti il lavoro legislativo per il nuovo patto migratorio: “Faremo sicuramente avanzare il lavoro” ha spiegato, “con piena forza”.
Ma “non vedrete un patto migratorio completato durante la presidenza svedese”, ha detto Danielsson. Ci sarà, ha previsto, non prima della primavera del 2024
(da Ansa)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
FAVORIRE I RICCHI E DANNEGGIARE I POVERI
La stampa odierna, che innanzitutto dà risalto alla scomparsa di Papa Benedetto XVI con le conseguenti preoccupazioni per l’unità della chiesa cattolica, pone in evidenza i primi effetti concreti della politica del governo Meloni.
Dal primo gennaio è stata cancellata la sospensione delle accise sulla benzina, il cui prezzo è salito da 1,55 a 1,77 euro al litro; i tassi di interesse per i mutui continuano a salire senza che il governo intervenga; un aumento notevole si è verificato per tutte le forme di assicurazioni; i pedaggi autostradali sono aumentati del 2% e così via.
Emerge soprattutto che il 2 gennaio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto sulla svendita di ITA Airways, la nostra piccola compagnia di bandiera, che sarà molto probabilmente acquisita da Lufthansa, che verserebbe un capitale pari al valore del 40% delle azione, per poi divenirne padrona assoluta acquisendo il 100% del capitale. Dunque addio Alitalia, addio ITA.
Altro incredibile provvedimento riguarda Le Acciaierie d’Italia (ex Ilva), per la quale lo Stato si sobbarca a un prestito di 680 milioni, mentre l’Arcelor Mittal, che resta socio maggioritario della fabbrica, verserà soltanto 70 milioni.
In sostanza si realizza quanto Meloni ha affermato nella sua relazione di fine d’anno, durante la quale ha precisato che lo Stato non deve avere i propri mezzi e strumenti economici, capaci di favorire lo sviluppo e gli interessi primari del lavoro, in conformità con l’articolo 41 della Costituzione, precisando, come sottolinea Umberto Franco, che il lavoro non lo crea lo Stato con decreto, lo crea soltanto l’impresa privata, la quale, aggiungo, può essere indifferentemente italiana o straniera.
Ed è ormai provato che queste non si curano mai dell’interesse generale, ma soltanto del proprio individuale profitto. Insomma la via neoliberista per la completa distruzione della nostra Costituzione, con il preannunciato sicuro avvento del semi-presidenzialismo alla francese e le autonomie differenziate, risulta pienamente aperta, con la pratica cancellazione dello sviluppo della persona umana e del progresso materiale e spirituale della società, andando sempre più avanti verso la più ampia diseguaglianza economica e sociale (articoli 3 e 4 Cost.).
(da il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
SU SCUOLA, TRASPORTI E SANITA’ LO STATO PREMIA IL NORD… IL SOVRANISMO CREA DISEGUAGLIANZE
Nel dibattito sull’Autonomia differenziata rilanciata dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, un tema chiave rimane sullo sfondo: la redistribuzione delle risorse, che sicuramente dovrà esserci se alcune Regioni avranno più competenze. Ed è evidente che rispetto allo status quo qualcuno dovrà perdere e qualcun altro dovrà ricevere qualcosa in più dallo Stato. Il sottinteso comunque è: lo Stato dà più al Mezzogiorno rispetto al Nord produttivo e l’Autonomia riequilibrerà questa situazione. Ma le cose stanno davvero così? E, soprattutto, oggi su servizi essenziali come sanità, istruzione e infrastrutture, si può argomentare sostenendo questa tesi?
L’Agenzia per la coesione territoriale ha recentemente pubblicato un aggiornamento del report sui conti pubblici, facendo anche delle stime sull’andamento per il 2023. Secondo questi dati la spesa pubblica procapite è pari a poco meno di 19 mila euro in Lombardia, in Piemonte poco meno di 18 mula euro, in Veneto 16 mila euro; mentre al Sud la Sicilia si ferma a poco più di 14 mila euro, la Calabria a 15 mila euro e la Campania a 13.700 euro. Cifre, queste, riferite al settore pubblico allargato e destinate a politiche sociali, sanità, istruzione, amministrazioni, opere pubbliche, gestione dell’acqua, beni culturali, ambiente e cura del territorio. L’Agenzia per la coesione fa una stima anche per l’andamento della spesa corrente nel 2023, e prevede un allargamento della forbice tra Mezzogiorno e Nord: la freccia per le regioni del Sud scenderà sotto i 200 miliardi di euro, per quelle del Centro-Nord salirà verso quota 550 miliardi.
I dati dell’Agenzia della coesione sono contestati da alcuni economisti, a partire dagli animatori dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, perché nei calcoli dell’Agenzia vengono inserite le pensioni, sulle quali come distribuzione lo Stato non ha potere, e anche gli investimenti delle società partecipate da enti pubblici. La Banca d’Italia, utilizzando criteri più restrittivi rispetto all’Agenzia, comunque conferma una distanza, stimando una spesa pubblica procapite al Nord di 12.979 euro e al Sud 11.836.
Secondo Luca Bianchi, il direttore della Svimez, l’associazione di studi sul Mezzogiorno, il tema vero che la riforma Calderoli nemmeno sfiora è quello di come “ridurre divari che sono sotto gli occhi di tutti”: “Al di là del dibattito su chi riceve più risorse pubbliche, in settori come sanità, scuola e infrastrutture che riguardano il cuore della vita dei cittadini e i loro diritti di cittadinanza, non c’è dato che possa smentire la differenza di spesa dello Stato. La verità è che non c’è alcun dibattito pubblico, men che meno nei partiti di governo, su come garantire un minimo di riavvicinamento tra le aree del Paese, non solo sull’asse Nord-Sud ma anche su quello città-periferia, città-aree interne”.
Sul fronte sanitario secondo i dati della ragioneria dello Stato la spesa primaria netta sanitaria pro capite in Piemonte è passata da 1.593 euro del 2000 a oltre 1.900 euro ultimo dato pre-pandemia (negli ultimi anni la spesa sanitaria è cresciuta ovunque per l’emergenza Covid), in Lombardia da 1.838 a oltre 2.600 euro; nello stesso arco di tempo, in Calabria la spesa procapite è passata da 1.300 euro a 1.600, in Sicilia da 1.357 a circa 1.700 euro. E su liste d’attesa e qualità percepita la forbice si è ulteriormente allargata, tanto che i viaggi della speranza sono tornati a crescere.
Ma anche sulla scuola primaria i numeri sono chiari: secondo l’ultimo report Svimez nel 2022 il 50 per cento dei bambini in Lombardia ed Emilia-Romagna ha frequentato classi a tempo pieno, in Piemonte il 51 per cento; in Sicilia appena il 10 per cento, in Calabria il 24 per cento, in Campania il 18. In Veneto il 48 per cento degli studenti non ha una palestra nell’istituto che frequenta, in Sicilia oltre l’80 per cento. Secondo l’indagine Openpolis la spesa procapite del Comune di Milano per i servizi aggiuntivi nella scuola primaria, quindi mense e trasporti per esempio, è di 34 euro, nel Comune di Palermo non arriva a 10 euro.
Sul tema infrastrutture, altro nodo essenziale per lo sviluppo sociale ed economico di un territorio, la rete autostradale al Nord è pari a 3 chilometri ogni 100 chilometri quadrati, 2 chilometri al Centro, 1,7 al Sud. Il vero argomento non dovrebbe essere chi ha di più, ma ridurre divari che in Europa solo in Italia sono così elevati all’interno di uno stesso Paese. Nemmeno in Romania o Bulgaria.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI IN BOLLETTA, NUOVA EMERGENZA SOCIALE
Vivono da soli (ed in maggioranza sono donne) per lo più isolati, sono in larga parte anziani e scontano una scarsa interazione sociale e soprattutto poca informazione verso le opportunità dei bonus ed una limitata conoscenza del dibattito sui temi energetici. Sono i «poveri energetici»: 2,2 milioni in tutto stando ai dati del 2021, ovvero l’8,5% della popolazione.
«I poveri energetici sono coloro che si trovano in condizione di difficoltà ad acquistare un paniere minimo di servizi energetici o sono vincolati a un’eccessiva distrazione di risorse famigliari, con effetti sul mantenimento di uno standard di vita dignitoso, sulla salute delle persone e il loro benessere» spiega Serena Rugiero, responsabile dell’Area energia e sviluppo della Fondazione Di Vittorio che ha curato uno studio per conto dello Spi Cgil per cercare di tracciare un profilo di questi soggetti messi alle corde dal caro energia.
Al fianco dei poveri ci sono poi i «vulnerabili energetici», ovvero di quei nuclei che, oltre alla condizione di disagio economico potenziale, sono anche esposti a una situazione di fragilità per via di un’abitazione non efficentata. «La povertà energetica è una emergenza nazionale» sottolinea Rugiero notando come le condizioni di disagio economico ed energetico non coincidono con le tradizionali disparità Nord-Sud ma interessano anche le aree più ricche del Paese.
Per scattare una fotografia del fenomeno lo Spi Cgil, attraverso le sue strutture territoriali, ha promosso e condotto una indagine focalizzata sulle aree periferiche ed ultra-periferiche dell’Italia, finora mai prese in considerazione selezionandole con una procedura casuale, in modo da mettere in relazione il fenomeno della povertà energetica con le altre disparità legate alla sanità ed alla scuola.
Chi sono, dove vivono
Dagli oltre 820 questionari raccolti nel secondo semestre 2021 emerge innanzitutto che tra i «poveri energetici» c’è una fetta importante di vedovi (31%), che vivono in nuclei di uno (25,2%) o al massimo due componenti (45,8%), con una quota prevalente di donne (61,4%). Anche il titolo di studio è un indicatore significativo: tra i «poveri» e i «vulnerabili» è infatti particolarmente diffusa la licenza elementare (42%). Il 30% ha la licenza media, il 19% un diploma di scuola superiore, appena il 4% ha la laurea, mentre il restate 10% non ha conseguito alcun titolo.
La media nazionale fissa al 10,9 i poveri energetici ed al 5,3% i vulnerabili. Nel Nord Ovest i poveri sono il 10,1% e i vulnerabili il 7,6, rispettivamente 2,1% e 7,4% nel Nord Est, 12,3 e 2,7% al Centro, 21,1 e 4,8% al Sud e 13,2 e 5,1% nelle Isole. Per fare un paragone i poveri economici in senso stretto vanno invece dal 12,7% del Nord Ovest al 31,8% del Sud.
Alla condizione di povertà energetica si associano più frequentemente rispetto agli altri gruppi l’assenza della casa di proprietà, il vivere in abitazioni mono o bifamiliari cielo/terra, o in alloggi di dimensioni ridotte. L’80,7% dei poveri ed il 77,7% dei vulnerabili energetici abita in una casa costruita prima del 1970, a differenza dei nuclei familiari in condizioni di non disagio (42), ma anche dei poveri (41,3) e dei vulnerabili esclusivamente economici (44,3). Le spese di efficientamento energetico degli edifici tanto in voga in questi anni sono state affrontate da circa il 65% degli intervistati, percentuale che però scende drasticamente tra i vulnerabili (35%) e tra i poveri (25%).
Come si riscaldano
L’indagine rivela poi che questi ultimi si riscaldano prevalentemente con il camino tradizionale a legna o con gas e gasolio, mentre le tipologie di riscaldamento legate alle energie rinnovabili sono praticamente assenti, con una quota di appena il 3,4% di pannelli solari ed il 2,1% di impianti fotovoltaici. Non solo ma più di 10 nuclei familiari su 100 (tra i poveri e i vulnerabili energetici) dichiara di non usufruire di un impianto di riscaldamento.
Quanto spendono
La spesa per la bolletta energetica risulta piuttosto omogenea tra gli intervistati, con una media di circa 650 euro per anno con differenze piuttosto contenute tra classi socio-economiche: la spesa media oscilla tra i 598 euro per anno (sostenuti dagli intervistati in condizioni di vulnerabilità economica in senso stretto) ed i 684 euro sostenuti dagli intervistati classificati non in condizione di disagio economico.
La spesa media per l’elettricità sostenuta dalle altre tre classi è piuttosto in linea con questi valori (620 euro/anno per i poveri energetici, 672 per i vulnerabili energetici e 648 per i poveri economici in senso stretto). Al contrario, le spese medie per il riscaldamento dell’abitazione di residenza sono più eterogenee tra gli intervistati, con una spesa media che si attesta, nell’intero campione, intorno ai 900 euro per anno.
Bonus, questi sconosciuti
I poveri energetici potrebbero accedere ai bonus energetici, ma meno di 2 su 10 (18,5%) dichiarano di averlo ricevuto, con una incidenza lievemente maggiore tra i poveri esclusivamente economici rispetto ai poveri energetici. Tra i vulnerabili l’incidenza si riduce invece notevolmente e tocca appena il 2,6%. Perché così pochi? Perché più di 5 intervistati su 10 al momento del sondaggio non erano a conoscenza di questa opportunità. Mentre chi sapeva degli aiuti e non ha fatto domanda ha dovuto rinunciare sia per mancanza di requisiti reddituali (21,1%) sia a causa delle procedure troppo complesse e scoraggianti (17,5%) e per un altro 8,8% a causa dell’esiguità degli importi messi loro a disposizione.
(da La Stampa)
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