Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
PAROLE FUORI POSTO CHE NON C’ENTRANO NULLA
Ci sono parole fuori posto, che piovono male, che non c’entrano niente, così estranee al contesto che sembrano appoggiate lì per caso. O per convenienza, per ridicolo calcolo, o peggio per speranza, o peggio ancora come piccola assicurazione sui fallimenti futuri: parole che mettono le mani avanti.
Una di queste parole, ricorrente al punto da essere noiosa, è “ottimismo”, non a caso sbandierata fieramente dal/la signor/a Giorgia Meloni nei suoi auguri (soprattutto a se stessa e ai suoi arditi) di fine anno.
“Un 2023 di orgoglio e ottimismo”, augura il/la presidente del Consiglio, che vuol “sollevare questa nazione”, “rimetterla in piedi”, “farla camminare velocemente con entusiasmo”, e, ovvio, “dobbiamo farlo insieme”. Con il che si capisce bene il sottotesto: se voi non avete entusiasmo, ottimismo e non lo farete insieme, beh, un eventuale disastro sarà colpa vostra. Un classico.
Giorgia, donna, madre e cristiana, non è che inventa molto, diciamolo. Ancora ci ricordiamo quello là col sole in tasca, il Berlusca buonanima, che andava dicendo che i pessimisti si tirano addosso la sfiga da soli, e quindi non essere ottimisti non è un atteggiamento, ma un concorso attivo alla catastrofe. Vennero altri ottimismi, più organici all’ubriacatura liberale che piace tanto ai piani alti e altissimi del Paese.
I primi giorni di Mario Monti fecero saltare l’ottimistometro nazionale, e pareva che fosse atterrata la Madonna in persona, il loden al posto del velo, per sistemare le cose con la sola imposizione delle mani della Fornero. Si è visto.
Altro sussulto di ottimismo sfrenato, la comparsa di Mario Draghi, quando pareva che l’Europa bussasse da ogni italiano con i contanti in mano dicendo “tenga buon uomo”, e i giornali titolavano sulla pioggia di miliardi in arrivo, praticamente già infilati nella nostra casella della posta. Si è visto anche lì, e basterebbe a mettere una moratoria di dieci anni sulla parola ottimismo, almeno in politica.
Quali motivi ci siamo oggi, essendo italiani, per essere ottimisti, è piuttosto misterioso. L’inflazione al dieci per cento, il lavoro che si precarizza sempre più, il welfare che svapora, le bollette, la guerra di altri che ci costa come se fossimo in guerra noi. Basta dare un’occhiata a ricerche e sondaggi per scoprire che il segno meno, in quanto a fiducia, domina incontrastato, e non sarà certo chiamare il Paese “Nazione” (o i camerati “patrioti”) che ci indurrà a cambiare idea.
Di solito, l’ottimismo è un afflato piuttosto irrazionale (“Gli ottimisti sono la claque di Dio”, diceva mirabilmente Gesualdo Bufalino), mentre il pessimismo è mesto realismo. Una differenza che chiunque può capire se si sveglia con Giorgia ottimista, la benzina più cara, le autostrade più costose, il mutuo più stretto al collo, lo stipendio che vale meno e l’assistenza scomparsa per dare una mano ai presidenti delle squadre di calcio, i veri bisognosi del Paese.
Ma quando si invoca ottimismo – come il sor/sora Giorgia fa un po’ maldestramente, nel suo stile – si intende un’altra cosa. Si intende solitamente uno spirito collettivo, un vento che porta non solo consenso, ma convinzione, un’aria frizzante di partecipazione emotiva dei cittadini che oggi non si vede, non risulta, non c’è, e non ha motivo di essere.
Meloni faccia la sua strada in salita, non cerchi appigli, non invochi aiutini da casa come nei telequiz, non si appelli all’ottimismo della popolazione al quale ha finora contribuito soltanto bastonando i poveri e aumentando la benzina: non un grande contributo.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
“MA NON POSSONO SEQUESTRARCI LA NAVI”… L’OPERAZIONE E’ STATA RICHIESTA DALL’IMRCC
La Geo Barents, nave di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere con a
bordo 85 naufraghi, è arrivata stamattina nel porto di Taranto. I naufraghi sono stati recuperati in due diversi salvataggi. 41 recuperati in mare nel corso di un salvataggio e 44 nel successivo trasbordo da un mercantile.
Entrambe le operazioni sono state fatte su richiesta dell’Imrcc (Italian Maritime Rescue Coordination Centre).
Il team di Msf ha fornito la documentazione dell’Unhcr per fare domanda d’asilo. Ma ora i riflettori sono puntati sulla nave, che è la prima di una Ong ad aver operato un salvataggio dopo l’approvazione del cosiddetto decreto sulle Organizzazioni non governative. Che stabilisce un nuovo codice di condotta sulle attività di salvataggio in mare da parte di queste ultime.
La richiesta di Imrcc
Juan Matias Gil, capo missione di Medici Senza Frontiere, ha detto all’agenzia di stampa Ansa che esclude la possibilità di un sequestro della nave: «Non c’è un motivo valido. Noi stiamo spendendo più soldi in legali che nella ricerca e soccorso. È un paradosso, è ridicolo. Noi stiamo salvando vite e stiamo consultando i legali per contestare ogni misura, ogni nuova regole per vedere se questo è in linea con la normativa, anche internazionale». Gil dice che i soccorsi «sono stati chiesti e coordinati dalle autorità italiane. Quindi, non c’è motivo per il sequestro e per qualsiasi tipo di sanzione».
«Salvare è un obbligo»
Ma Gil durante un’intervista a Radio Anch’io ha anche detto che un sequestro sarebbe incostituzionale: «Le nuove norme sulle navi delle Ong sono in contraddizione con il diritto internazionale. Quando c’è un caso aperto, per tutti i comandanti c’è l’obbligo, non l’opzione, di intervenire sull’emergenza per salvaguardare la vita delle persone». Fra i migranti a bordo della Geo Barents c’è anche un ragazzo che ha raccontato ai soccorritori di aver assistito all’omicidio di persone che non avevano abbastanza soldi per pagare il viaggio. Proprio ieri la premier ha difeso il decreto: «Le Ong non facciano la spola con gli scafisti», ha detto Meloni in un video sui social.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO UN CENTINAIO DI PARLAMENTARI HA FORNITO LA PROPRIA “DICHIARAZIONE PATRIMONIALE”
L’importo c’è. Il nome del finanziatore, persona fisica o società, è invece sempre oscurato.
L’amara sorpresa viene dai primi rendiconti sulle entrate e le uscite della recente campagna elettorale che deputati e senatori hanno pubblicato online sui siti di Camera e Senato, in allegato alle loro ultime dichiarazioni dei redditi.
Non sono in molti ad averlo fatto, ma c’è tempo fino al prossimo mese di marzo. Al momento la casella “dichiarazione patrimoniale” è assente nel profilo di quasi tutti i leader politici, da Giorgia Meloni a Enrico Letta, da Giuseppe Conte a Matteo Salvini, da Carlo Calenda a Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Un centinaio di parlamentari però ha ottemperato all’obbligo di legge pubblicando tutto già in queste feste natalizie. Con una cosa in comune a tutte le forze politiche: l’oscuramento dei propri finanziatori.
Finge trasparenza il verde Angelo Bonelli, che inserisce nella documentazione addirittura i movimenti del proprio conto corrente bancario. Poi però tutto viene oscurato con il pennarello nero e la sola cosa leggibile è un versamento di mille euro avvenuto il 23 settembre, ma non si sa da chi. Ha raccolto invece 37 mila euro Ilaria Cavo, già assessore in Liguria con Giovanni Toti e candidata con successo da Noi Moderati. Ci sono versamenti importanti: uno di 15 mila euro, uno di 10 mila euro e due da 5 mila euro. Tutti anonimi però avendo cancellato con il solito pennarello nero sia il nome del benefattore che il suo codice fiscale o la partita Iva.
Oscurati allo stesso modo tutti i finanziatori di Chiara Colosimo, di Fratelli di Italia, che ha raccolto per la sua campagna elettorale 24.500 euro. Stesso anonimato per i due sostenitori dell’ex sindaco di Bologna, il Pd Virginio Merola, che ha ricevuto un contributo da 18 mila euro e uno da 5 mila euro chissà da chi. Non ha svelato molto di più sui suoi benefattori il capogruppo della Lega, Riccardo Molinari, che ha allegato l’elenco degli anonimi sostenitori che gli hanno permesso di spendere così 22 mila euro. Curiosamente ha però lasciato in chiaro la provenienza geografica, così sappiamo che il più generoso di loro- ha donato 10 mila euro- era di Capalbio.
Stesso mistero sui finanziatori allegati dal forzista Giorgio Mulè, dal numero due di Azione, Matteo Richetti e dal cinque stelle Francesco Silvestri. Ma la grande macchia nera che cancella ogni trasparenza sui finanziamenti elettorali dilaga come fosse una regola in decine di altre dichiarazioni messe on line dai parlamentari.
Questo incredibile buco nero è naturalmente legale, perché la legge scritta da Enrico Letta e fatta approvare da Matteo Renzi nel 2014 offre la possibilità ai finanziatori di restare anonimi, anche quando supportano con contributi fino a 100 mila euro gli stessi partiti politici. Se non c’è il loro consenso né partiti né singoli esponenti politici possono rendere pubblici i sostenitori della politica. Ma non era mai accaduto fin qui che tutti i finanziatori fossero oscurati.
Per altro la mania della macchia nera ha davvero preso la mano dei parlamentari che oscurano anche altri dati della loro dichiarazione dei redditi in modo davvero insensato. Oscurata ad esempio la loro firma in calce al 730. E ovunque il codice fiscale dell’onorevole, senza rendersi conto che si tratta del segreto di Pulcinella: nella pagina dei deputati e dei senatori dove è stata caricata questa documentazione ci sono data e luogo di nascita. E con qualsiasi sito “calcola il codice fiscale” si ottiene in un battibaleno…
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
IL LEADER DI AZIONE: “DEMENZIALE E PERICOLOSO”… IL MINISTRO: “FAI DEMAGOGIA”
Botta e risposta su Twitter tra Carlo Calenda e Guido Crosetto. 
Per il ministro della Difesa, intervistato da Repubblica, “le condizioni economiche del Paese rischiano di peggiorare se verranno a mancare le ‘tutele esterne’ che hanno aiutato negli ultimi anni. Per questo fatico a comprendere le ragioni che hanno spinto la Bce a cambiare politica sugli acquisti dei titoli di Stato europei, in un momento già economicamente molto complesso, per certi versi drammatico, come quello che sta attraversando il mondo e l’Ue in particolare”.
Parole contestate dal leader di Azione, che su Twitter attacca il ministro: “Questa intervista di Guido Crosetto è demenziale e pericolosa. Demenziale da un punto di vista tecnico – la Bce deve contrastare l’inflazione che mangia i salari e le pensioni – pericolosa perché riesuma tutto l’arsenale di fesserie sovraniste antieuropee. Sembra Borghi”.
La reazione di Crosetto è immediata. “Forse hai sacrificato l’obiettività alla demagogia. Oppure ti sei fermato ai titoli. Intanto non ho parlato degli strumenti usati per combattere l’inflazione ma di un’altra decisione, quella degli interventi sui titoli. Poi, se vuoi essere serio, argomenta: i temi si discutono”.
Calenda replica ancora: “L’intervento su titoli, peraltro largamente previsto, ha lo stesso effetto. Come sai la protezione su spread è garantita da uno schema sostitutivo. La critica populista all’indipendenza dei tecnocrati è una roba pericolosa per il paese se fatta da un ministro”.
Anche il segretario di Più Europa, Benedetto Della Vedova, attacca Guido Crosetto, che “torna oggi a polemizzare con la Bce. Che esprima contrarietà alle specifiche scelte di politica monetaria dell’Eurotower che amplificherebbero la crisi può essere giusto o più probalimente sbagliato e più o meno opportuno per un ministro che non è un ‘libero cittadino’ e sta nel governo la terza economia dell’Euro. Il punto che però non può essere lasciato cadere dell’intervista di oggi del ministro della Difesa è il suo attacco deciso all’indipendenza della Bce dalla Commissione europea e dai governi nazionali – prosegue Della Vedova – Su questo è bene che Giorgia Meloni si pronunci subito e con nettezza: il governo italiano punta a mettere in discussione i principi di autonomia e indipendenza fondativi della Bce oppure li difende? Considero la prima ipotesi sbagliata in via di principio e semplicemente autolesionista per il nostro paese ma se l’ipotesi fosse la seconda, cioè la difesa dell’autonomia e indipendenza della Bce, che senso politico hanno questi continui attacchi alle scelte e al funzionamento dell’istituzione decisiva per la nostra stabilità finanziaria?”.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
LA FOTO DI CASTELLI MENTRE DA GIOVANE FA IL SALUTO FASCISTA FUORI DALLA CRIPTA DI MUSSOLINI
Il governo nomina un nuovo commissario alla ricostruzione. Guido Castelli, senatore di Fratelli d’Italia, sindaco di Ascoli dal 2009 al 2019 e poi assessore regionale alla Ricostruzione, prenderà il posto di Giovanni Legnini che dal febbraio 2020 ha guidato l’imponente opera di semplificazione e accelerazione della rinascita delle aree del Centro Italia colpite dal sisma del 2016.
Avvocato cassazionista, 57enne, nato a Siena, cresciuto a Offida, con studi ad Ascoli, sposato con un figlio, appassionato della sua bici da corsa, della Juve e della cagnolina Zola, Castelli ringrazia la premier Gorgia Meloni «per la fiducia». «Ero sindaco di Ascoli il 24 agosto quando la terra cominciò a tremare, il mio pensiero, oggi, non può che andare a quelle sequenze sismiche che devastarono l’Appennino», dice rivolgendo un pensiero a chi è ancora nei moduli Sae. L’insediamento avverrà dopo la verifica della Corte dei Conti.
Legnini resta commissario per l’emergenza alluvione e la ricostruzione di Ischia e augura «buon lavoro» al suo successore in una funzione che, dice, «ho esercitato per 34 mesi con totale dedizione, passione e imparzialità, sempre avendo a mente la sofferenza delle persone e delle imprese colpite». Ma il cambio di guardia genera preoccupazioni e critiche. Le avevano già espresse venerdì scorso i sindaci del cratere, molti di centrodestra.
E ieri le ha sintetizzate l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo: «La non riconferma di Legnini è uno schiaffo alle popolazioni terremotate». «Nulla contro il nuovo commissario, che non conosco», specifica il vescovo. Ma chiede quale senso abbia l’avvicendamento, visti i risultati ottenuti da chi «ha dimostrato di essere una persona seria e capace». E definisce l’operazione «figlia di una politica scellerata e di basso livello che passa sopra le teste della gente».
Dal ministro Francesco Lollobrigida, per il «compito di grande responsabilità che saprà assolvere con serietà, competenza e spirito di servizio». E FdI e Forza Italia fanno quadrato in difesa della scelta.
Ma il leader del Pd Enrico Letta ne fa una questione politica: «Che brutto segnale lo spoils system del governo applicato alla gestione del terremoto». Cerca di ricomporre il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio (FdI): «Insieme con Legnini abbiamo lavorato bene e ottenuto risultati. Sono certo che lavoreremo altrettanto bene e in perfetta continuità con Castelli». Concorda il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi (FdI). Unanime il ringraziamento per Legnini.
Arrivato a febbraio 2020, quando, a ben 4 anni dal sisma, quasi tutto era fermo, i cantieri aperti erano poche decine e la media per un via libera ai lavori un anno e mezzo, ha disboscato una giungla normativa e varato un codice unico, procedure fast, piani di ricostruzione e investimenti: «Porterò con me a Ischia – dice – l’esperienza avuta in una delle sfide più difficili degli ultimi decenni».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
LA PREMIER DEI RICCHI FA INFURIARE IL CAPO DEI VESCOVI UMBRI PER IL SILURAMENTO DI LEGNINI, ELOGIATO ANCHE DAI BIG DEL CENTRODESTRA UMBRO
È durissima la protesta del vescovo di Norcia-Spoleto, monsignor Renato
Boccardo, dopo la decisione del governo Meloni di sostituire Giovanni Legnini con il senatore di Fratelli d’Italia Guido Castelli come commissario per la ricostruzione post sisma in Umbria.
La mancata conferma di Legnini, per Boccaro, è «uno schiaffo alle popolazioni terremotate», e pur assicurando di non aver nulla contro il nuovo commissario, aggiunge come la nomina sia più «figlia di una politica scellerata e di basso livello che passa sopra le teste della gente». Il presidente della Conferenza episcopale umbra rincara poi chiedendo spiegazioni a palazzo Chigi: «Il governo ci spieghi il senso di questo avvicendamento, visti i risultati ottenuti in questi anni dal commissario Legnini, che ha dimostrato di essere persona seria e capace».
Sono più pacate le reazioni della presidente della Regione Umbria e del sindaco di Norcia. La leghista Donatella Tesei e il primo cittadino forzista Nicola Alemanno salutano comunque con dispiacere Legnini. Dalle parole della governatrice traspira il rammarico per la sostituzione di Legnini: «Ha fatto molto bene. Insieme abbiamo velocizzato la ricostruzione. Ci sono stati finora degli ottimi e concreti risultati ed è necessario continuare a essere efficaci. Bisogna proseguire il lavoro di squadra che abbiamo fatto».
Tesei, ad ogni modo, si dice convinta che Castelli possa «continuare nella ricostruzione con lo spirito attuale. È una persona – conclude – che conosce la metodologia e il territorio, che ha esperienza e capacità». Dello stesso avviso il sindaco Alemanno: «Anche l’amico Castelli è membro della cabina di coordinamento sisma, nell’ambito della quale ha apportato un fattivo ed importante contributo. Insieme si potrà continuare a lavorare per il futuro del centro Italia».
Gli elogi del sindaco di Norcia per Legnini
Il primo cittadino di Norcia, però, spende una lunga serie di elogi per Legnini: «Al commissario, con il quale abbiamo condiviso e vissuto due anni particolarmente intensi e decisivi per la ricostruzione del Centro Italia, va un grande e sincero grazie. Grazie per essersi messo a disposizione, per aver ascoltato gli amministratori, per aver reso concrete le istanze dei territori ed essersene fatto portavoce ed alfiere in prima persona nei confronti del governo e del parlamento. Non sono stati due anni semplici – ricorda ancora Alemanno – e la nomina di Legnini avvenne quando il mondo stava per affrontare una delle emergenze più complicate dell’ultimo secolo e inaspettate quale è stata la pandemia. Con Legnini però, quando tutto si era fermato, in sede di Cabina di coordinamento sisma non abbiamo perso un solo istante. C’era il cantiere più grande d’Europa da ricostruire – conclude Alemanno – e ci siamo incontrati, seppur da remoto, quotidianamente per accelerarne l’iter».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO IL RITORNO DEI VOUCHER, UN ALTRO TASSELLO PER FAVORIRE CHI SFRUTTA IL PRECARIATO
Dopo il ritorno dei voucher contenuto in manovra, il governo Meloni è già pronto alla seconda mossa che permetterà alle imprese di creare altro precariato: il ministero del Lavoro è all’opera per affossare definitivamente il decreto Dignità, cioè la stretta sui contratti a tempo determinato che fu approvata nel 2018 dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte.
I contenuti dell’intervento allo studio sono stati anticipati dal sottosegretario leghista Claudio Durigon – che proprio nel Conte I ricopriva lo stesso incarico di adesso – con una dichiarazione rilasciata ieri al Messaggero.
Ma anche la ministra stessa Marina Calderone ha annunciato, sempre ieri in un’intervista alla Stampa, che stanno per arrivare nuove norme per semplificare i contratti per “renderli più aderenti al nuovo contesto nato dopo la pandemia”.
Nelle ore successive il ministero ha chiarito che non esiste un articolato già pronto sul tavolo, ma ha confermato l’intenzione di proseguire sulla strada tracciata dalle affermazioni di Durigon.
I vincoli ai contratti a termine saranno, ancora una volta, drasticamente ridotti; in pratica, sarà concesso alle aziende di assumere a tempo determinato senza apporre alcuna causale anche con contratti fino a 24 mesi, a differenza dei 12 mesi previsti attualmente.
Inoltre, basteranno accordi sindacali – e si prevede che i datori non faticheranno a ottenerli – per estendere di altri 12 mesi i contratti. Tre anni di precariato: in buona sostanza si ritornerà di fatto alla situazione vissuta tra il 2014 e il 2017, una liberalizzazione pressoché totale voluta dal governo Renzi che fece volare i rapporti a scadenza in Italia. Il loro aumento, si disse, trainò la lenta ripresa dell’economia in quegli anni.
Il colpo di grazia al decreto Dignità – questo va riconosciuto – era comunque una promessa elettorale del centrodestra.
Impegno che il governo vuole subito mantenere. Il presupposto ideologico muove dal racconto per cui le imprese sarebbero tartassate da mille paletti e adempimenti burocratici.
Si tratta però di una narrazione smentita dai dati, che mostrano al contrario una galoppata del precariato già in atto da un paio d’anni.
Nei primi nove mesi del 2022, sono stati firmati 2,6 milioni di contratti a tempo determinato (più 15,7% rispetto allo stesso periodo del 2021), oltre a 865 mila rapporti stagionali (record storico) e ancora 811 mila contratti interinali e 541 mila “a chiamata”.
Il dato statistico dice che a febbraio 2022 l’Italia ha raggiunto il numero di dipendenti a tempo determinato più alto mai visto da quando esistono le serie storiche: 3,1 milioni.
Questo vuol dire che già dopo l’annacquamento dei vincoli approvato durante la pandemia abbiamo superato la situazione preesistente rispetto al decreto Dignità. Il “liberi tutti” che sta per introdurre il governo Meloni contribuirà a dare una nuova spinta.
Prima del decreto Dignità, le norme volute nel 2014 da Giuliano Poletti – ministro del Lavoro con il governo Renzi – avevano abolito le causali ed esteso a tre anni il limite massimo dei contratti a tempo determinato. Risultato: tra il 2014 e il 2017 i dipendenti a termine passarono da 2,1 milioni a 2,8 milioni, fino a sforare il tetto dei 3 milioni nell’estate 2018. Alla fine di quell’anno, con il cambio di governo, arrivò il decreto Dignità che ebbe due effetti. Il primo fu l’arresto della crescita dei contratti a termine; il secondo fu un’ulteriore spinta alle stabilizzazioni: si passò dalle 300 mila del 2017 alle 527 mila del 2018, per poi arrivare alle 713 mila del 2019. Aumentarono di molto, insomma, i contratti precari trasformati in rapporti permanenti.
Ciò che invece non si realizzò fu la previsione che l’attuale ministra del Lavoro Marina Calderone fece ai tempi, quando era presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro: le causali, disse, “potrebbero portare a un’incentivazione o a un incremento del contenzioso perché sono, in taluni casi, estremamente imprecise dal punto di vista giuridico”. I dati del ministero della Giustizia dicono invece che anche dopo il 2018 è proseguito il crollo delle cause di lavoro, pure quelle sui contratti a termine.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA CONSULTA UN ASSIST AI CONSUMATORI
Una vittoria per i consumatori, una sconfitta per banche e finanziarie. Lo
scorso 22 dicembre la Corte Costituzionale ha depositato una sentenza che secondo l’esperto di diritto privato Stefano Cherti “è una delle più importanti degli ultimi anni per i diritti dei risparmiatori. Di fatto, un grande regalo di Natale”.
La Consulta infatti ha stabilito che se il consumatore estingue in anticipo un finanziamento relativo al credito al consumo, deve avere indietro parte dei soldi spesi per l’accensione della pratica.
Più è anticipata l’estinzione, maggiore è la quota da restituire al cliente. Sembra un principio di buon senso, ma in realtà un decreto legge varato dall’esecutivo Draghi (il 73 del 2021) lo aveva messo in discussione.
In pratica la norma limitava solo “ad alcune tipologie di costi il diritto alla riduzione” che spetta al consumatore, scrive in un comunicato la Consulta.
Non solo: la legge limitava questo diritto solo a chi avesse acceso un finanziamento dall’entrata in vigore della legge in poi, quindi solo a partire dal 2021, tracciando così un solco tra risparmiatori “fortunati” e “sfortunati”.
La sentenza ha dichiarato incostituzionale proprio questa parte della legge. “In questo modo, la Consulta allinea finalmente la normativa italiana a quella comunitaria: è stato sanato un vulnus” commenta Cherti, ex membro del collegio di Roma dell’Arbitro bancario finanziario e docente all’università di Cassino.
L’Italia torna quindi a tutelare tutti i risparmiatori, come già avviene in Europa dopo la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2019, il cosiddetto “caso Lexitor”, che aveva fatto chiarezza sulla materia. Per limitare i danni alle proprie banche l’Italia aveva quindi varato la legge ora stracciata dalla Consulta.
Difficile calcolare quanti italiani siano interessati dalla sentenza, ma secondo l’esperto “parliamo di migliaia di persone: pensiamo a quanti finanziamenti per auto, elettrodomestici, mobili e altro ancora vengono accesi ogni anno”.
Anche le cifre in ballo sono notevoli: “Su un finanziamento da 7000 euro, in base all’anticipo con cui lo si estingue, parliamo di cifre tra i 500 e i 1000 euro”. Cherti ribadisce che “estinguere in anticipo un mutuo, un finanziamento o una cessione del quinto è diritto di tutti i risparmiatori, così come di ottenere la restituzione proporzionale dei costi iniziali”.
Secondo Stefano Albertini, coordinatore del Centro europeo consumatori, ufficio di Bolzano, “la sentenza taglia le gambe a chi vorrà applicare la legge in modo restrittivo, per il governo sarà difficile continuare a escludere i consumatori che hanno acceso finanziamenti prima del 2021. Possiamo immaginare che la norma verrà modificata, ma in ogni caso, per le banche si tratta di sborsare molti soldi”. In effetti dal comunicato della stessa Corte Costituzionale non ci sono dubbi: “Per effetto della sentenza spetterà ai consumatori il diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi sostenuti in relazione al contratto di credito, anche qualora abbiano concluso i loro contratti prima dell’entrata in vigore della legge 106 del 2021”.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 4th, 2023 Riccardo Fucile
UN ARCIPRETE LEGATO A MOSCA È STATO ACCOLTELLATO DA UNO SCONOSCIUTO IN UCRAINA… IL 25 NOVEMBRE I SERVIZI SEGRETI UCRAINI HANNO ARRESTATO E IDENTIFICATO 30 ECCLESIASTICI FILORUSSI ACCUSANDOLI DI ESSERE SPIE
Non si ferma la caccia alle spie nelle chiese ortodosse ucraine.
Ieri – a pochi giorni dal Natale ortodosso che si celebra il 7 gennaio – l’arciprete Anthony Kovtonyuk della Chiesa legata al Patriarcato di Mosca è stato accoltellato alla gola da uno sconosciuto a Vinnytsya, nell’Ucraina centrale. Kovtonyuk non è morto ma è in gravi condizioni. Ed è stato ferito proprio davanti all’altare della sua chiesa, quella dell’Intercessione della Madre di Dio.
Quello di Vinnytsya è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di veleni, vendette e odio che dal 24 febbraio agita la chiesa ortodossa ucraina. Quando il 25 novembre l’Sbu, l’intelligence ucraina, ha fatto irruzione nel monastero delle grotte di Kiev, santuario tra i più celebri di Ucraina, la frattura è emersa con tutta la sua forza.
Dopo il raid, gli agenti hanno arrestato o identificato come sospetti più di 30 ecclesiastici e suore della Chiesa ortodossa ucraina filorussa, accusandoli di alto tradimento.
A maggio, la Chiesa ucraina affiliata a Mosca ha proclamato «piena indipendenza» dalla Chiesa ortodossa russa, affermando di «condannare la guerra» e di non essere d’accordo con la posizione del patriarca Kirill di Mosca, lo stesso Kirill accusato dal governo di Kiev di essere uno dei maggiori sponsor dell’invasione e di aver fornito con i suoi sermoni una giustificazione teologica all’aggressione di Vladimir Putin.
Per gli scettici, i proclami della Chiesa ortodossa ucraina fedele a Mosca sono solo uno stratagemma per placare gli animi: il ramo ucraino non a caso non ha dichiarato «autocefalia», termine ortodosso che si usa per indicare la vera indipendenza e che implicherebbe la sua fusione con la Chiesa ortodossa indipendente dell’Ucraina, operazione cui Mosca si oppone. E il motivo è solo uno: la Chiesa ortodossa ucraina filorussa è ancora filorussa.
Sul tavolo del presidente Volodymyr Zelensky è arrivata la richiesta di annullare le sanzioni stabilite contro i rappresentanti della Chiesa ortodossa ucraina. Secondo i diretti interessati queste misure «hanno bloccato le attività di intere diocesi», comprese quelle di assistenza alla popolazione interessata dalla guerra e di aiuto ai militari.
La Chiesa affiliata a Mosca ha anche esortato Zelensky a impedire l’adozione di quattro progetti di legge che limitano i diritti della chiesa, definendoli «incostituzionali» e «discriminatori». Richieste cui il 2 dicembre il presidente ucraino ha risposto con un decreto che approva la proposta del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale e bandisce la Chiesa ucraina filorussa.
Nella black list di Zelensky compaiono Vadym Novynsky, ex legislatore del blocco di opposizione filorusso; Rotyslav Shvets, vescovo che ha «annesso» la sua diocesi di Crimea alla Chiesa ortodossa russa a giugno in segno di totale fedeltà a Putin. E soprattutto compare Pavlo Lebid, vicario del monastero delle grotte di Kiev dal 1994 ed ex deputato del partito delle Regioni filorusso. Lebid, alias «Pasha Mercedes» – è stato soprannominato così dai suoi detrattori perché si muove solo su auto di lusso – è un personaggio discusso.
Contrario alle operazioni ucraine in Donbass fin dal 2014, oppositore del movimento di Euromaidan e degli studenti che vi hanno preso parte, nemico giurato del sindaco di Kiev Vitaly Klitschko e dei giornalisti in generale (li ha aggrediti più volte, spezzando loro arti e lanciando anatemi di ogni tipo), nel 2021 per sua stessa ammissione non ha consegnato alla polizia un serial killer che aveva ucciso 52 persone, pronto a costituirsi alla polizia dopo essersi confessato.
Nel 2019, soprattutto, Lebid ha dichiarato pubblicamente come la Crimea non sia parte dell’Ucraina. Facile capire perché «Pasha Mercedes» non riscuota al momento molte simpatie nella capitale. Ma non è solo Kiev ad essere travolta dallo scandalo. Durante le perquisizioni di novembre, agenti dell’Sbu hanno trovato un passaporto russo.
Era del patriarca Meletiy di Chernihiv e della Eparchia di Bukovyna scappato in Moldavia solo poche ore prima, per evitare l’arresto. Sulla Chiesa ortodossa ucraina fedele a Mosca – secondo la stampa ucraina – graverebbero inoltre accuse di pedofilia. Un episodio su tutti: il giorno del raid, il segretario della diocesi di Chernihiv Archimandrite Nikita è stato trovato a letto con un ragazzo del coro locale.
I giornalisti ucraini hanno pubblicato una foto che lo mostra accanto al giovane in biancheria intima che, secondo la Bbc Ucraina , avrebbe 17 anni. Nikita ha negato le accuse e sostiene che durante le perquisizioni, gli agenti dell’Sbu lo avrebbero costretto a spogliarsi e solo poi avrebbero scattato le foto. §
All’ombra delle cupole d’oro dei monasteri ortodossi ucraini si agitano veleni e colpi di scena che non sembrano destinati a finire. Ai quali ieri, a Vinnytsya, si è aggiunto il tentato omicidio di padre Kovtonyuk.
(da il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »