Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
PUTIN TENTA DI TRANQUILLIZZARE I RUSSI: “LA NOSTRA ANTIAEREA È UNA DELLE MIGLIORI AL MONDO” MA SCARSEGGIANO ARMI E MUNIZIONI E AL CREMLINO SI TEME UN ATTACCO DI DRONI UCRAINI SULLA CITTÀ
Mentre per Mosca continuano a circolare insistenti voci su una nuova ondata di mobilitazione che dovrebbe portare a 500 mila il numero dei riservisti chiamati sul fronte ucraino a Mosca si inizia a respirare aria di guerra, e ogni giorno in Rete appaiono nuove immagini delle batterie antiaeree che vengono installate nella capitale russa e nei suoi dintorni, di solito nelle immediate vicinanze di una delle numerose dacie di Putin.
La sensazione dell’avvicinamento di una svolta decisiva è presente su entrambi i lati del fronte, e mentre gli esperti militari si esercitano in speculazioni sulla direzione dell’offensiva russa e della controffensiva ucraina, che appaiono entrambe imminenti, i propagandisti televisivi da qualche giorno hanno ricominciato a minacciare attacchi nucleari. Un’escalation verbale che però viene smorzata all’improvviso da Dmitry Polyansky, viceambasciatore della Russia all’Onu, che reagisce alle promesse di nuovi aiuti militari occidentali a Kyiv con una frase criptica su «alcune linee rosse che sono già state superate dai Paesi della Nato, anche se forse le linee più rosse non lo sono ancora state».
Le carte di Putin non sono tantissime: l’indiscrezione di qualche giorno fa, sull’invio al fronte dei carri armati T-14 Armata, molto pubblicizzati qualche anno fa come nuovo gioiello dell’arsenale russo, ma prodotti in pochi esemplari (e con una qualità che suscita diverse perplessità negli esperti militari) non si è concretizzata.
Ieri sia Putin che Medvedev hanno assicurato di avere «missili più che a sufficienza», ma diversi spionaggi occidentali segnalano invece una scarsità di armi e munizioni: secondo lo Stato maggiore finlandese, nonostante la prospettiva imminente dell’ingresso di Helsinki nella Nato il contingente russo al confine si è ridotto di quattro volte. Fonti internazionali come la BBC parlano di un incremento delle perdite russe del 18% nell’ultimo mese. Peskov ha ieri smentito l’esistenza di piani per la mobilitazione di altri 200 mila uomini russi, considerata da molti commentatori necessaria per fermare l’Ucraina.
Il portavoce del Cremlino ha anche negato il progetto di proibire l’espatrio ai maschi russi soggetti potenzialmente alla mobilitazione, la maggior parte degli uomini in fuga dalle trincee erano scappati proprio via terra.
Il numero preciso di questi esuli rimane sconosciuto, ma ieri il Moscow Times ha rivelato che nel 2022 il numero delle auto usate vendute online a Mosca è quasi raddoppiato, raggiungendo le 100 mila vetture, il Cremlino non chiuderà i confini, preferendo lasciar fuggire gli scontenti invece di mandarli al fronte, e mandando avanti una “mobilitazione strisciante” in sordina.
(da la Stampa)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
A TROVARGLI UN POSTO È STATO GIORGETTI, CHE LO HA SALVATO DALLA SOFFITTA: “USA IL MIO, TANTO SARÒ SEMPRE AL MEF”… MA LA STANZA È ACCESSIBILE A TUTTI, E DA QUALCHE GIORNO È SPARITO IL PC. NON È CHE È TUTTO UNA VENDETTA DI SALVINI CONTRO LA NASCITA DEL “COMITATO NORD”?
E se la Lega volesse mettere in soffitta –letteralmente parlando – Umberto
Bossi? La domanda viene spontanea se, passati oltre tre mesi da inizio legislatura, il Senatùr non ha ancora un ufficio tutto suo alla Camera. Lui lo vuole al gruppo del Carroccio, al terzo piano del Palazzo dei gruppi. Mentre all’amministrazione e al collegio dei questori è arrivata richiesta per una stanza all’ultimo piano di Palazzo Montecitorio, dove ci sono tre stanze dedicate ai deputati diversamente abili. La soffitta, appunto. La vicenda si trascina da mesi.
Un malinteso logistico, visto che – ad oggi– ancora non è chiaro quale sia l’ufficio del Senatùr. O meglio, un ufficio c’è ed è al terzo piano del Palazzo dei gruppi, come chiedeva Bossi. Ma solo per gentile concessione di Giancarlo Giorgetti.
Ma andiamo con ordine.
Dopo l’ultima legislatura passata al Senato, eletto alla Camera lo scorso 25 settembre, il fondatore della Lega chiede un ufficio – a cui hanno diritto tutti i deputati – al suo gruppo. Richiesta che per qualche ragione – magari semplice disorganizzazione – non trova risposte per settimane, tanto che dal Senato – dove devono liberare gli spazi per i nuovi eletti – iniziano a sollecitare affinché Bossi trasferisca i suoi numerosi scatoloni.
Nel frattempo, agli uffici della Camera che si occupano della logistica arriva la richiesta – non di Bossi – per una delle tre stanze per i diversamente abili che si trovano vicino al Servizio bilancio dello Stato, al quinto piano di Montecitorio. Quindi in un altro palazzo rispetto a quello dei gruppi. Una richiesta, dicevamo, non del Senatùr che, anzi, non ci pensa proprio a isolarsi all’ultimo piano.
Bossi, infatti, insiste per stare insieme agli altri deputati del Carroccio, che ha nella sua disponibilità il terzo piano del Palazzo dei gruppi. Così, dopo settimane di impasse, ci pensa Giorgetti a sbloccare la situazione.
Cresciuto alla fine degli anni Ottanta nel Fronte della Gioventù (il movimento giovanile dell’Msi), il vicesegretario del Carroccio è in Lega dall’inizio degli anni Novanta e Bossi – a cui deve molto– lo conosce da una vita. «Umberto, ma che problema c’è? Io qui non ci metterò mai piede, visto che starò dalla mattina alla sera al Mef. Ti lascio il mio ufficio, fai come fosse il tuo», lo rassicura il ministro dell’Economia del neonato governo Meloni.
Lo stallo si sblocca e in pochi giorni nella stanza di Giorgetti arrivano da Palazzo Madama gli scatoloni di Bossi.
Tutto risolto? Insomma. Il Capo, come lo chiamano i leghisti di vecchia osservanza, inizia ad utilizzare la stanza in questione. Che, però, nei giorni in cui è assente, viene usata come sala riunioni ed è accessibile a tutti i deputati e dipendenti del gruppo.
Da qualche giorno, poi, è sparito pure il pc. E, va detto, un ufficio senza privacy e senza computer è cosa piuttosto strana.
Altrettanto singolare è che la questione sia in piedi da mesi, perché – a pensar male – l’impressione è che Bossi sia ormai considerato un corpo troppo estraneo a quella Lega che fondò lui stesso quasi 39 anni fa (l’atto notarile che dà vita alla Lega Lombarda autonomista fu firmato a Varese il 12 aprile 1984).
E chissà che non c’entri qualcosa pure il Comitato Nord, che proprio il Senatùr ha voluto benedire personalmente alla prima uscita pubblica lo scorso dicembre.
(da il Giornale)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
RISPONDERÀ ALLE CHIAMATE OGNI MERCOLEDÌ DALLE 11,30 ALLE 12,30 “SALVO IMPEDIMENTI”. MA CHE SUCCEDE SE NESSUNO RISPONDE AL TELEFONO?
E ’l’Italia delle grandi contraddizioni. Si discute dei grandi temi della Giustizia, delle riforme […] e poi vengono a galla situazioni paradossali come quella di Bologna. Manca personale e nessuno può rispondere al telefono quindi è costretto, a giorni fissi, a doverlo fare il presidente del Tribunale di sorveglianza.
Attenzione, questo è un organismo fondamentale: vigila sugli istituti penitenziari e valuta le richieste di misure alternative e le richieste di permessi dei detenuti. […] Se a scuola manca un professore si manda un supplente. Possibile che sia così difficile rimpiazzare qualche impiegato?
Il presidente facente funzione, Manuela Mirandola, ha fatto di necessità virtù. Risponderà al telefono ogni mercoledì dalle 11,30 alle 12,30. Un’ora, dunque, “salvo impedimenti”, avverte la nota del Tribunale. Anche la direttrice amministrativa, Romana Quaranta, si trasforma in centralinista: ogni lunedì dalle 9,30 alle 12,30.
(da il Resto del Carlino)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO PER LA COMUNICAZIONE SPENDE 500MILA EURO (MA CI SONO DEI MALUMORI SUI RISULTATI)… TAJANI HA RICICLATO I PARLAMENTARI FORZISTI TROMBATI ALLE ELEZIONI: GIACOMONI E SPENA (DEPUTATI NON RIELETTI) SONO ASSUNTI COME SUOI CONSULENTI E GUADAGNANO RISPETTIVAMENTE 50 E 40MILA EURO ANNUI
Palazzo Chigi non bada a spese per le consulenze sotto la gestione Meloni. Le
voci degli esborsi ammontano a una cifra di circa 3 milioni e mezzo di euro. Soldi impiegati per retribuire lo staff chiamato alla presidenza del Consiglio dalla premier, dai due vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e dalla schiera di ministri senza portafoglio e sottosegretari.
Una somma che potrebbe lievitare, come insegnano le esperienze passate, a causa dell’ampliamento degli uffici. Di sicuro il leader della Lega e il coordinatore nazionale di Forza Italia, rispettivamente ministro delle Infrastrutture e dei trasporti e ministro degli Esteri, hanno scaricato sostanziosi costi su Palazzo Chigi.
Un capitolo che drena molte risorse è quello della comunicazione: oltre 500mila euro vengono investiti per avere a disposizione vari professionisti, tra cui spicca la storica portavoce di Giorgia Meloni, Giovanna Ianniello, a cui è stata conferito l’incarico di coordinatrice degli eventi di comunicazione. Nel team di comunicatori, tra gli altri, figurano Fabrizio Alfano, già portavoce di Gianfranco Fini e volto noto nella sala stampa di Montecitorio nelle vesti di caporedattore del politico all’Agi, e il giovane guru (appena 31enne) dei social, Tommaso Longobardi.
E, nonostante il mezzo milione messo a bilancio, le indiscrezioni raccontano di malumori sui risultati in materia di comunicazione. Sempre nello stesso ambito, Salvini ha voluto con sé a Palazzo Chigi Matteo Pandini, che ricopre le medesime mansioni al Mit. Il giornalista e scrittore ha pubblicato in passato il libro agiografico del leader leghista Secondo Matteo. Follia e coraggio per cambiare il Paese.
Tra la schiera di consulenti non mancano ex parlamentari o dirigenti di partito non eletti nella nuova veste di collaboratore a Palazzo Chigi, insieme a nomi spesso estranei alla politica. Il caso singolare è quello del regista Pupi Avati, che ha accettato di collaborare a titolo gratuito con Tajani come «consigliere per le tematiche afferenti al settore della cultura». Ma altri non si sono limitati alla consulenza pro bono. Il coordinatore degli azzurri ha voluto al suo fianco Sestino Giacomoni, deputato nella scorsa legislatura e da sempre fedelissimo di Silvio Berlusconi.
Alle ultime elezioni è stato candidato in una posizione pressoché ineleggibile e infatti non è riuscito a tornare in parlamento. Per lui è arrivata la consolazione della nomina a «consigliere per la politica economica e imprenditoriale» di Tajani per 50mila euro annui.
Una situazione affine a quella di Maria Spena, che fino allo scorso mese di ottobre sedeva tra i banchi di Montecitorio nel gruppo di Forza Italia. Anche lei si è presentata alle Politiche con poche chance di essere eletta. Il risultato, infatti, non è stato centrato: adesso è a Palazzo Chigi per una remunerazione di 40mila euro all’anno con lo scopo di coadiuvare il vicepremier sulle «tematiche afferenti alle filiere produttive, alle politiche della formazione e sociali».
(da il Domani)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
INSISTERE SUL PRESIDENZIALISMO AVREBBE L’EFFETTO DI RICOMPATTERE PD E M5S, CHE SONO FERMAMENTE CONTRARI … SUL PREMIERATO (A CUI IL TERZO POLO E LE AUTONOMIE HANNO GIÀ DETTO SÌ) C’E’ PERO’ DA SUPERARE L’OSTILITA’ DELLA LEGA
La ricetta del centrodestra per riformare l’assetto istituzionale del Paese è sempre stata una e una sola: il presidenzialismo. Eppure, in questi giorni, inizia a prendere forza l’idea di ammainare quella bandiera e virare verso l’ipotesi di un premierato.ù
Nel governo si sono resi conto che insistere sul presidenzialismo avrebbe un doppio effetto negativo sulla stabilità di palazzo Chigi. Ricompatterebbe le opposizioni, che si dicono fermamente contrarie. Perché contro di loro Giorgia Meloni dovrebbe varare la riforma a colpi di maggioranza, spingendole a compiere il miracolo di costruire un fronte unico. Non il miglior viatico. Gli italiani poi, come emerge da ogni sondaggio, apprezzano la Presidenza della Repubblica sopra ogni cosa. Modificarne le prerogative, con le opposizioni in guerra, creerebbe quindi le premesse perfette per vivere un revival del naufragio di Matteo Renzi con il referendum del 2016.
Stella polare, questa, che indicherebbe nel premierato (a cui già il Terzo Polo e le Autonomie hanno detto sì, e su cui potrebbero dirsi disponibili a discutere anche Pd e M5S) la meta più facile da raggiungere. Il problema, in questo caso, si chiamerebbe Lega. Il partito di Matteo Salvini sa che il punto di caduta più facile è questo e prima ancora che Casellati abbia concluso il giro di incontri con i gruppi di opposizione, si è detto contrario a un’ipotesi in particolare, guarda caso, il premierato. Occasione ghiotta per Salvini – sussurrano i più smaliziati – per mettere nei guai Meloni e magari convincerla, in cambio del loro via libera, ad accelerare fino in fondo sull’autonomia differenziata. Come a dire che se le due cose sono collegate, come sosteneva la premier, allora lo siano nella buona e nella cattiva sorte.
(da La Stampa)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
E IL MINISTRO HA ANCORA IL CORAGGIO DI “RISERVARSI DI VALUTARE LA REGOLARITA’ DELL’OPERAZIONE”…MEDICI SENZA FRONTIERE GIUSTAMENTE PROTESTA
Sono 237 in totale le persone tratte in salvo dalla Geo Barents, nave di Medici
Senza Frontiere, tra ieri e oggi, 24 e25 gennaio. Il primo soccorso, scattato dopo un’allerta di Alarm Phone, è avvenuto nella giornata di ieri e ha interessato 69 persone. Il secondo, avvenuto questa mattina, ha coinvolto invece 61 migranti, tra cui 13 donne e 24 minori, e ha portato il totale dei sopravvissuti a bordo della Geo Barents a quota 130. Poi, nel pomeriggio, la terza operazione: 107 persone tratte in salvo da un gommone in difficoltà individuato in acque internazionali.
Dopo il primo soccorso di ieri sera, le autorità italiane hanno indicato alla Geo Barents di dirigersi verso il porto di La Spezia per far sbarcare le persone soccorse in mare.
Una decisione che ha fatto storcere il naso a Medici senza frontiere, dal momento che la città ligure «dista 100 ore di navigazione» dal luogo del primo salvataggio. L’arrivo della nave umanitaria nel porto ligure è previsto nella notte tra sabato e domenica.
La sfida al decreto Piantedosi
In base al decreto del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, alle associazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo è consentito fare un solo salvataggio per volta. Dopo aver tratto in salvo un gruppo di migranti, l’imbarcazione è tenuta a dirigersi «senza ritardo» verso il porto assegnato dalle autorità.
Oggi, invece, per la prima volta una nave non governativa ha effettuato due operazioni di soccorso aggiuntive mentre si dirigeva verso il porto assegnato dalle autorità nazionali.
Un’azione che, ribadisce Medici senza frontiere, è «in piena conformità con il diritto internazionale marittimo». Non è chiaro se il ministero dell’Interno contesterà questa operazione. Secondo quanto apprende l’Ansa da fonti governative, il Viminale valuterà l’eventuale mancato rispetto del decreto legge solo quando la Geo Barents avrà raggiunto il porto di La Spezia. Medici senza frontiere, nel frattempo, fa sapere che la nave è diretta verso Nord.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
SONO ORGANIZZATI NEL RESISTENCE COMITEE
L’invasione russa dell’Ucraina ha prodotto una guerra completamente asimmetrica rispetto ai conflitti armati che abbiamo conosciuto nel nuovo millennio. A combattere contro l’esercito di Putin in Ucraina c’è anche la componente anarchica, un movimento che in occidente si è sempre schierato contro i conflitti.
Nell’universo delle fazioni dei volontari che partecipano al conflitto c’è il Resistence Commitee (in ucraino Kamitet Supratsiv), che raggruppa circa un centinaio di anarchici provenienti da diversi collettivi o singole individualità che si sono aggregate alla resistenza armata.
In questo momento sono attivi direttamente sul fronte caldo della guerra, in Donbass, e grazie alle reti di supporto dall’estero, sostengono anche la popolazione civile attraverso alcuni sindacati, donando aiuti umanitari e generatori di corrente.
L’hanno chiamata “Solidariety Collectives”, che raccoglie sottoscrizioni e aiuti principalmente da Germania e Stati Uniti.
Attraverso i social network, soprattutto su Instagram con la pagina @theblackheadquarter, hanno lanciato un appello alla mobilitazione contro l’invasione russa, considerata oggi il principale nemico per la libertà di tutti.
“Oggi l’epicentro della lotta contro la schiavitù è qui in Ucraina, la lotta degli ucraini dà speranza di liberazione a tutti coloro che sono oppressi dal putinismo” scrivono nel loro manifesto politico, dove specificano che “la giustizia è inimmaginabile per noi senza l’uguaglianza di genere , la tutela dell’ambiente e il superamento di ogni forma di discriminazione”.
Scrivono inoltre che dopo la guerra lotteranno, tra le altre cose, per l’istituzione di assemblee popolari autogestite per l’autogoverno dei territori, per la cancellazione del debito estero dell’Ucraina, e per i servizi sociali gratuiti. Oltre alla lotta armata e alle attività di solidarietà con i civili, Resistence Comitee si occupa anche di media attivismo, con la pubblicazione di video e spot.
Fanpage.it è riuscita ad intervistare uno dei combattenti del Resistence Commitee, si tratta di un ragazzo di origini russe, nome di battaglia Ilya Leshy.
Come è la situazione sul campo di battaglia in questo momento nelle regioni in cui si sta combattendo contro l’esercito russo?
Combattiamo nell’Est del paese, nel Donbass. Durante gli ultimi due mesi la situazione è diventata più difficile e intensa dove siamo noi. Il nemico ha concentrato un sacco di forze e sta tenendo posizioni abbastanza forti. Per tutti questi mesi entrambe le parti hanno cercato di avanzare intensamente senza notevoli cambiamenti sulla mappa. Combattere qui è davvero duro, doloroso ed estenuante. Ma noi non demordiamo e crediamo che le forze della tirannia si romperanno la loro spina dorsale qui.
La vostra è una coalizione, come è composta? E che rapporto avete con l’esercito regolare ucraino?
Resistence Commitee è una coalizione di individui e piccoli gruppi libertari, che partecipano alla resistenza armata contro l’invasione imperialista dello Stato russo. Tutte le persone tra noi che partecipano alla lotta sono o soldati regolari o “volontari”, con uno status specifico. Agiamo nei ranghi della “Difesa territoriale”, che sono dei gruppi di volontari, oppure delle forze armate dell’Ucraina, che in questo momento sono due entità combinate tra di loro. La nostra volontà di resistere contro l’invasore viene veramente dal basso, è organizzata quasi esclusivamente attraverso strutture di difesa in una cornice di unità di volontariato. Noi siamo organizzati autonomamente rispetto all’esercito, ma siamo subordinati a loro nelle operazioni militari.
Cosa ha spinto gli anarchici ucraini ad andare in guerra?
Abbiamo compagni di origini diverse nel Resistence Commitee, anche dalla Bielorussia e dalla Russia. Per tutti noi la natura politica di questa invasione è l’aggressione imperialista, si tratta di una dittatura, quella di Putin, che vuole la nostra riduzione in schiavitù, e va affrontata con la forza come legittima autodifesa. Siamo parte del popolo ucraino e della sua lotta di libertà, che oggi è una lotta per l’esistenza stessa del popolo ucraino. Questa è una condizione fondamentale per qualsiasi posizionamento politico in Ucraina nel contesto attuale, tutto il paese è coinvolto nella lotta contro l’invasione e noi ne siamo parte.
Quali erano le vostre attività prima della guerra?
Avevamo un club anarchico, distribuivamo libri, gestivamo un cineforum. Personalmente, essendo di origine russa, mi sono concentrato molto sulla costruzione di rete nella diaspora anarchica/dissidente con la comunità degli esuli politici che vivono in Ucraina. Con alcuni compagni abbiamo iniziato a lavorare sulla rielaborazione delle strategie di movimento.
Anche gli estremisti di destra stanno combattendo, che rapporti avete con loro?
Sì, gli estremisti di destra sono presenti anche nelle forze di difesa dell’Ucraina. I nostri rapporti con loro sono limitati a contatti sporadici e occasionali durante il nostro servizio. Crediamo che la nostra capacità di misurarci con l’estrema destra in Ucraina dipende dalla nostra capacità di strutturarci come combattenti e come forza organizzata all’interno di questo conflitto militare. Prima della guerra abbiamo avuto molti scontri con gli estremisti di destra, anche scontri fisici. Rimaniamo antagonisti ancora adesso chiaramente, ma ci capita di incontrarli nell’esercito sporadicamente”
Oltre agli anarchici anche la comunità LGBTIQA+ combatte in Ucraina, la resistenza armata è composta da molte anime politiche, qual è il vostro punto di vista?
Sicuramente la resistenza ucraina è composta da una incredibile diversità di opinioni politiche e correnti. Comunque, se parliamo di resistenza armata, tutta questa diversità si manifesta attraverso la cornice dell’esercito che ancora oggi dà generalmente poco spazio per espressione di posizioni politiche.
Avete anche una rete di supporto in Europa, ci spieghi come funziona?
Un sacco di compagni in Europa e negli Stati Uniti fin dall’inizio della guerra su larga scala hanno ha iniziato ad aiutarci. Soprattutto perché hanno visto alcune iniziative libertarie organizzate, come le iniziative di solidarietà verso i civili legate alla nostra componente antiautoritaria. Le connessioni e i legami con i compagni occidentali, grazie ai rapporti che alcuni di noi avevano già instaurato negli anni precedenti, hanno aiutato per organizzare una rete di supporto: “Solidariety Collectives”. Si tratta di un’azione che ha visto decine di eventi e su questo i nostri compagni hanno compiuto notevoli sforzi, tutto l’aiuto che è arrivato da queste iniziative è difficile da stimare, è stato davvero importante anche da un punto di vista materiale, non solo politico. Molte delle raccolte sono state devolute alla popolazione civile attraverso i sindacati. Tuttavia dobbiamo dire che con il tempo l’interesse per la guerra in Ucraina si è ridotto e così il supporto e la solidarietà internazionale. Non del tutto, ma visibilmente.
(da Fanpage)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO IL CASO DEL NEONATO MORTO SOFFOCATO ALL’OSPEDALE PERTINI DI ROMA MENTRE VENIVA ALLATTATO, CENTINAIA DI DONNE SONO ACCORSE SUI SOCIAL PER DENUNCIARE ALTRI EPISODI SIMILI NEGLI OSPEDALI ITALIANI
Ripetuta dieci, cento, mille e ancora mille volte, è una frase che va oltre
l’immedesimarsi nello stremo e nella solitudine della neomamma lasciata sola con il suo bimbo di tre giorni, morto soffocato al seno al Pertini di Roma perché lei è crollata per la stanchezza. Non è solo compassione, ma denuncia collettiva e rivendicazione: non è stato un incidente, una disgrazia.
Sarah Malnerich, con Francesca Fiore ideatrice della community Mamma di Merda, dedita a «smontare la retorica della mamma perfetta e lenire i sensi di colpa». «Mia figlia aveva il cordone ombelicale girato intorno alla testa e nessuno se ne era accorto. Dopo un primo giorno in cui hanno tenuto la bambina al nido, me l’hanno portata in camera e non c’è stato verso di farla tenere un minuto in più. Una notte chiamai una puericultrice chiedendole di aiutarmi a prendere la bambina dalla culla per allattarla. Non avevo forze e dolori lancinanti. Mi rispose: “Signora, che cosa si credeva? La maternità è questo: sacrificio”».
Poche ore dopo questo post, i commenti e le storie raccolte dalla community sono già centinaia. C’è che si sfoga con racconti lunghi e dettagliati, che ripercorrono passo passo la degenza, chi riassume quanto vissuto in poche, dolorose, parole. Come Federica di Perna, che scrive: «Quei tre giorni in ospedale sono stati un inferno. Non mi sono mai sentita così umiliata e impotente in vita mia».
«Quando ho letto la storia del bimbo di tre giorni morto soffocato, ho pianto» racconta Martina Strazzeri, mamma di un bimbo nato a Rimini, in pieno Covid. «Dopo un lungo travaglio e un taglio cesareo d’urgenza sono rimasta completamente sola tre giorni, non riuscivo a piegarmi per tirarlo su dalla culla. Quando ho chiamato per chiedere aiuto, mi hanno detto che avrei dovuto impegnarmi un pochino di più, che la culla si chiama “next to me” proprio perché sta vicino. Loro mi hanno fatto una lezioncina di inglese, io non ho chiuso occhio per tre giorni, nel terrore di far cadere o schiacciare mio figlio. Mi hanno preso in giro».
«Non è solo colpa dei tagli alla Sanità. Da queste testimonianze emerge un problema sistemico nell’affrontare la maternità, il dolore e il corpo delle donne – denuncia Malnerich -.
La retorica della maternità ci dice che “verrà tutto naturale”, che le donne “lo fanno da secoli” e hanno risorse infinite. Il sacrificio, lo sforzo estremo, è dovuto. E se non ce la fai il problema sei tu. Il riposo per una mamma non è concesso, nemmeno dopo il parto. Questa è la retorica patriarcale, che fa danni gravissimi».
Il bambino è nato, che la festa cominci. Parenti e amici accorrono in ospedale con fiori e cioccolatini, pensando che sarà una passeggiata. Ma non sempre è così e ce lo ricorda la tragedia di Anna, che al Pertini di Roma ha schiacciato il proprio neonato, Andrea, addormentandosi dopo 17 ore di travaglio e il parto.
Soprattutto in un Paese come il nostro, dove si fa fatica a seguire le puerpere prima, durante e dopo il parto. […] spiega la dottoressa Silvia Vaccaro, presidente della Fnopo, la federazione dell’ordine delle ostetriche.
In Italia sono 20 mila, «ma ne servirebbero almeno altre 4 mila per offrire un’assistenza adeguata alle donne e assistere i neonati nei nidi degli ospedali anziché essere costretti ad affidarli a mamme magari ancora sotto stress per il parto», «All’estero le donne continuano ad essere seguite anche a casa, controllando non solo lo stato di salute del neonato e della mamma, ma intercettando anche qualche eventuale trauma psichico».
Ma il nostro Servizio sanitario nazionale, a corto di soldi e personale, ha sempre più difficoltà a offrire cure adeguate alle partorienti, Lo dicono i dati di un’indagine a cura del Centro di collaborazione Oms per la salute maternoinfantile dell’Irccs «Bruno Garofolo» di Trieste, Il 44,6% ha avuto già difficoltà ad accedere alle cure prenatali, fatte anche di accertamenti diagnostici e analisi che – quando i tempi nel pubblico si allungano oltre misura – si finisce per dover fare nel privato, pagando di tasca propria.
Complici le restrizioni imposte dalla pandemia, il 78,4% delle partorienti non ha potuto contare sul proprio compagno in sala parto. Il 36,3% non ha invece ricevuto un supporto adeguato all’allattamento, il 39,2% non si è sentita coinvolta nelle scelte mediche, il 33% afferma di aver ricevuto indicazioni poco chiare dal personale, mentre il 24,8% ha riferito di non essere stata trattata con dignità, con un 12,7% che denuncia persino di aver subito abusi. E se questo è il quadro, non c’è di che stupirsi se a volte la solitudine della puerpera sconfina poi nel dramma.
(da La Stampa)
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Gennaio 25th, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALLA PRESIDENTE DI PRISTINA VJOSA OSMANI: “BELGRADO VUOLE DESTABILIZZARCI. CI SONO LE GANG DEL NORD KOSOVO PAGATE, INCITATE, ARMATE DAL PRESIDENTE SERBO VUCIC: CRIMINALI NELLE BLACK LIST DI USA E GRAN BRETAGNA”
Presidente Osmani, un quarto di secolo dopo le bombe, 15 anni dopo l’indipendenza, il Kosovo è ancora sull’orlo d’una guerra
«Non è stato il Kosovo a finire nel baratro di queste tensioni. E aggressore e vittima non possono essere messi sullo stesso piano. È casomai lo stesso Paese che intraprese le guerre negli anni Novanta, ancora una volta, a creare problemi. La Serbia è guidata da chi stava al servizio di Milosevic e ha solo cambiato strategia: considera il Kosovo, la Bosnia, il Montenegro come Stati provvisori da distruggere, vuole destabilizzarli».
La più giovane presidente del più giovane Stato europeo, Vjosa Osmani, da qualche mese maneggia una delle crisi più pericolose dei Balcani
Barricate serbe, spari sulle truppe Nato. Di fronte, l’eterno nemico.
E sullo sfondo, ne è convinta, qualcun altro:
«La mentalità egemonica di Belgrado somiglia moltissimo all’approccio che ha la Russia, quando crede di tornare all’era imperiale per prendersi territori di Paesi vicini. E la Serbia gioca seguendo lo schema di Putin. I Paesi democratici devono dare a Belgrado un messaggio chiaro: non permetteranno di trascinare la regione sull’orlo d’un altro conflitto. La Russia vuole spostare sui Balcani l’attenzione dell’Occidente, per distoglierla dall’Ucraina. E la Serbia minaccia la sicurezza usando forze che cooperano col Gruppo Wagner».
Che prove avete?
«Non posso dare particolari, si tratta d’informazioni classificate».
Ma perché la crisi è riesplosa proprio ora?
«C’è una sempre maggiore influenza russa in Serbia: Belgrado ha dato l’ok all’apertura dei cosiddetti centri umanitari russi, centrali di spionaggio che hanno trasformato il confine col Kosovo in un rifugio per chi è sotto sanzioni europee. E poi ci sono le gang del Nord Kosovo pagate, incitate, armate dal presidente serbo Vucic: criminali nelle black list di Usa e Gran Bretagna, quella che viene chiamata mafia balcanica e che non ama la determinazione con cui la stiamo combattendo e perciò usa la violenza contro di noi. Vucic vi appartiene, fa l’incendiario e insieme il pompiere: utilizza queste gang per destabilizzarci, poi va in giro a parlare di pace».
Che cosa pensò quando Putin, un anno fa, paragonò l’invasione del Donbass all’intervento Nato in Kosovo?
«L’unica cosa paragonabile sono i crimini di Vucic e di Putin. La comunità internazionale intervenne in Kosovo per fermare un genocidio in corso, mentre in Ucraina non c’era alcun genocidio. Questa è la differenza enorme. Quel che accadde nel 1999, un potere democratico venuto a combattere la tirannia, è una cosa che Putin non accetta. Per lui il Kosovo è un errore storico. Mentre invece è una democrazia e un’economia libera che rispetta i diritti e la pace».
Ma i diritti dei serbi sono spesso calpestati.
«La nostra Costituzione protegge le minoranze più di qualsiasi altra in Europa. I serbi non hanno mai avuto problemi dopo la guerra: ci sono stati incidenti, ma quelli interetnici sono lo 0,03%. Il problema è che i serbi del Nord si trovano al confine e Vucic li utilizza come ostaggi» I capi storici dell’Uck stanno per essere processati all’Aja.
L’Europa è ancora attraente?
«Non solo ci attrae. È l’unico percorso cui guardiamo, non flirtiamo con altre soluzioni, nei Balcani siamo il solo Paese che non ha mai permesso alcuna influenza russa o cinese. Il 90% dei kosovari è per una posizione europea e atlantica. Vogliamo far capire che aderire all’Ue non è solo un nostro interesse, è anche un interesse geostrategico dell’Europa. Perché Balcani prosperi e sicuri portano a un’Europa libera e pacifica».
(da il Corriere della Sera)
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