Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
“TROPPI ERRORI NELLA SEZIONE DEDICATA ALLA NOSTRA REGIONE”… LA FOTO DI ZERMATT SPACCIATA PER CERVINIA
Non si fermano le polemiche sulla campagna del ministero del
turismo Open to meraviglia per sponsorizzare l’Italia nel mondo. Tra gli aspetti più criticati quelli dei numerosi strafalcioni nei nomi di località e siti culturali consigliati ai turisti, errori che ora la Valle D’Aosta ha deciso di portare in Consiglio regionale.
«La vicenda degli errori contenuti nella sezione dedicata alla Valle d’Aosta della campagna internazionale Open to meraviglia è stata oggetto di valutazioni da parte della Giunta regionale», ha fatto sapere il presidente della Regione Renzo Testolin.
«In dettaglio sono state segnalate delle discrepanze, indice di mancanza di attenzione o mancanza di professionalità in merito alla nostra regione».
E ancora: «Faremo una segnalazione propositiva a Roma in questo senso».
Le principali inesattezze sono relative alla posizione geografica del castello di Fenis e del Forte di Bard, oltre che ad una foto di Zermatt indicata come Cervinia. Tra gli errori anche quello più tipico del nome della regione scritto come «Val d’Aosta».
(da agenzie)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
FDI 28,8%, PD 21,5%, M5S 15,3%, LEGA 9%, FORZA ITALIA 6,8%, AZIONE 4,3%, VERDI-SINISTRA 3,2%, ITALIA VIVA 2,5%, + EUROPA 2,3%
L’ultimo sondaggio effettuato da Swg per il Tg di La7 condotto da Enrico Mentana mostra una percentuale record per il Partito Democratico di Elly Schlein. E torna a crescere anche il partito della premier Meloni, che è sempre la forza politica che gode di più consenso in Italia.
Rispetto alla settimana passata Fratelli d’Italia guadagna lo 0,2% si porta al 28,8%. Crolla invece la Lega di Salvini, che cede ben dieci decimi, scendendo al 9%. Forza Italia invece non abbandona la tendenza positiva, aiutata anche dall’attenzione che nell’ultimo mese c’è stata sul leader Silvio Berlusconi, ancora ricoverato al San Raffaele di Milano per curare un’infezione polmonare: l’ex premier potrebbe partecipare, con un messaggio a distanza, alla convention del suo partito il 5 e 6 maggio prosssimi. Ora gli azzurri sono dati al 6,8%, con un aumento di due decimi.
Come si diceva, per il Partito Democratico di Elly Schlein è ancora un momento di crescita. Il Pd raggiunge il 21,5%, stabilendo il suo valore valore più alto della legislatura e superando nettamente il risultato ottenuto alle ultime elezioni politiche, quando aveva ottenuto il 19,1%. Lieve calo invece il M5s di Giuseppe Conte, stabile al 15,3%.
La rottura tra Azione e Italia Viva continua a penalizzare soprattutto il partito guidato da Carlo Calenda, che perde un altro decimo, calando al 4,3%. Lievissimo rimbalzo invece per Italia Viva, che torna al 2,5% (+0,1).
Alleanza Verdi e Sinistra è invece dato al 3,2% (+0,2 punti), mentre Più Europa perde un decimo e scende al 2,3%.
Scende anche l’astensione, calcolata al 36% (con un calo di un punto).
Tra le liste extraparlamentari, Per l’Italia di Paragone è scesa al 2,1%, mentre Unione Popolare guidata dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris è inchiodata all’1,8%.
(da agenzie)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
SOTTO L’ARROGANZA DEI “PATRIOTI”, IL NULLA

Il diavolo si nasconde nei dettagli. E presentare un decreto sul lavoro, coi giornali che non vanno in stampa il giorno dopo, senza nemmeno convocare una conferenza stampa per evitare domande, affidando la comunicazione a un video promozionale, è un ottimo dettaglio da cui partire, per parlare dell’ultimo pacchetto di misure sul lavoro varato dal governo Meloni.
Perché se il decreto lavoro fosse stato davvero, come dice Giorgia Meloni, il “più grande taglio delle tasse degli ultimi decenni”, le scelte di comunicazione sarebbero state molto diverse.
Partiamo da quest’ultima affermazione, che di tutte le mistificazioni e le omissioni, è forse la più clamorosa. Perché no, il taglio di 4 miliardi circa del cuneo fiscale – la parte di stipendio che finisce nelle casse dello Stato – non è nemmeno lontanamente il più grande taglio delle tasse degli ultimi decenni. Stando nell’ambito degli sgravi fiscali in materia di lavoro, i tanto criticati 80 euro del governo Renzi costarono più del doppio, circa 10 miliardi all’anno.
Secondo dettaglio, seconda mistificazione: il taglio del cuneo del decreto lavoro è temporaneo e non definitivo. Dura cioè fino a dicembre, e per perdurare anche per gli anni a venire necessita di essere rifinanziato. Con quali soldi? La provvisorietà di questo taglio fiscale è un fatto che non può essere eluso. Anche perché mostra quanto poco spazio fiscale abbia a disposizione questo governo per operare.
Terzo dettaglio, importante omissione: il taglio del cuneo fiscale, e il relativo aumento degli stipendi, mitiga molto parzialmente la perdita di potere d’acquisto dei salari successiva al forte aumento dei prezzi degli ultimi mesi. Un aumento dei prezzi che ha reso più ricco – meglio: meno indebitato – lo Stato, che ha pagato interessi più bassi sul debito pubblico. E che, tuttavia, lo Stato ha trasferito in misura proporzionalmente molto inferiore nelle tasche dei lavoratori.
Quarto dettaglio, altra mistificazione: contraltare al taglio del cuneo fiscale – piccolo, temporaneo e bruciato dall’inflazione – c’è l’allentamento delle strette sui contratti a termine e l’abolizione del reddito di cittadinanza, sostituito dall’assegno di inclusione.
In altre parole, una decisa diminuzione di sussidi e tutele per chi non ha un contratto a tempo indeterminato, o non ha un lavoro. In altre parole, per la fascia più precaria e meno tutelata dei lavoratori, quella composta da giovani, donne e stranieri.
La diciamo meglio: per dare qualcosa ai lavoratori poveri, il governo Meloni ha tolto più di qualcosa a quelli ancora più poveri. Non esattamente quel che avrebbe fatto Robin Hood, diciamo.
Quinto e ultimo dettaglio, forse il più importante di tutti: se non è vero che quello del decreto lavoro è stato il più grande taglio delle tasse degli ultimi decenni, non ci ricordiamo, a memoria, un così drastico taglio di sussidi e tutele.
È dai tempi della legge sul lavoro varata dal governo Berlusconi nel 2003 – quella che il governo di destra di allora dedicò al giuslavorista Marco Biagi ucciso dalle Nuove Brigate Rosse – che non si assisteva a un allargamento delle maglie dei contratti para subordinati.
Non solo: è la prima volta dai tempi della Legge Fornero del 2012, che introdusse un primo embrione di strumento universale contro la disoccupazione, che si assiste una diminuzione delle risorse destinate ai sussidi per chi non ha lavoro.
L’effetto di questo duplice taglio è facilmente intuibile: se con una mano il governo mette qualche soldo in più per 5 mesi nelle tasche di un po’ di lavoratori con contratto a tempo indeterminato, dall’altra mette nelle mani agli imprenditori la possibilità di risparmiare sul costo della manodopera attraverso contratti para subordinati e toglie potere contrattuale ai lavoratori in cerca d’impiego, obbligandoli a prendere quel che viene, da dovunque venga, per evitare di perdere ogni tipo di sussidio.
Se questo è l’andazzo, mentre altrove in Europa si varano leggi che alzano il salario minimo e riducono la settimana lavorativa a quattro giorni, non lamentiamoci troppo per la fuga dei cervelli all’estero, o per la crisi demografica: il decreto lavoro va esattamente in quella direzione. La direzione del declino senza fine dell’Italia.
Non male, per il governo dei patrioti.
(da Fanpage)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
DAI SOVRANISTI L’ENNESIMO COLPO AI LAVORATORI
Dall’insediamento del governo Meloni ad oggi, l’unica vera novità rispetto ai governi precedenti è che stavolta l’ennesima riforma del mercato del lavoro (a detrimento dei lavoratori) è stata fatta da un governo di destra.
La Flat Tax, l’abolizione del reddito di cittadinanza, così come la riforma del decreto dignità, non lasciano dubbi su quale sia la linea dell’attuale governo in materia di lavoro: riformare dell’articolo 1 della nostra amata Costituzione, ovvero passare da una repubblica fondata sul lavoro a una fondata sui lavoretti, quindi sullo sfruttamento.
E per sfruttamento si intende il venir meno di un altro principio della nostra Carta Costituzionale, quello per cui la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, e deve comunque risultare sufficiente a garantire una vita libera e dignitosa (v. art. 36).
Partiamo dalla Flat Tax: la riforma in questione, oltre ad attuare un iniquo prelievo fiscale a favore dei redditi più alti, è evidentemente diretta a “favorire” il lavoro autonomo, ovvero a “spingere” molti lavoratori verso la scelta di un rapporto di lavoro autonomo piuttosto che subordinato, con un evidente sgravio fiscale e contributivo tutto a vantaggio delle aziende.
La scelta di passare da un rapporto di lavoro dipendente a uno autonomo sarebbe dettata, infatti, dalla necessità per molti lavoratori di disporre di maggiore liquidità per far fronte alle necessità quotidiane (casa, istruzione, sanità), che diversamente sarebbero impossibilitati a fronteggiare.
Non è un mistero che l’Italia è l’unico paese dell’Unione europea in cui negli ultimi 30 anni il salario medio dei lavoratori è diminuito anziché aumentare. Tra il 1990 e il 2020 nel nostro paese si è registrato un calo del salario medio annuale pari al 2,9%, mentre in Germania e in Francia nello stesso arco di tempo i salari medi hanno avuto un incremento rispettivamente del 33,7% e del 31,1%.
A tal proposito vale la pena ricordare le recenti sentenze del Tribunale di Milano con cui il contratto nazionale Servizi Fiduciari, sottoscritto da Cgil e Cisl, è stato dichiarato illegittimo perché contrario all’art. 36 della Costituzione.
Come si legge in queste sentenze, le retribuzioni previste dal contratto collettivo in questione sono al di sotto della soglia di povertà relativa. A ciò si aggiunga che le aziende molto spesso sottoinquadrano i lavoratori abbassando loro la retribuzione, come dimostrano le oltre 50 sentenze pronunciate dal Tribunale di Milano contro Almaviva Contact S.p.A.
Tuttavia la scelta del lavoro autonomo ha un costo e non da poco. Se da un lato i lavoratori dispongono di maggiore liquidità, dall’altro sono costretti a rinunciare a tutti gli istituti del lavoro subordinato: ferie, malattia, trattamento di fine rapporto e, cosa più importante, alla tutela contributiva (che rimane interamente a carico del lavoratore).
Per quanto riguarda poi l’abolizione del tanto vituperato reddito di cittadinanza, va innanzitutto sottolineato che la misura introdotta dal governo giallo-verde non può certamente essere ridotta a un mero sussidio per le classi meno agiate, come più volte affermato erroneamente dalle varie parti politiche, ma piuttosto va considerata una misura volta a sottrarre i lavoratori dal ricatto salariale.
In altre parole, grazie al reddito di cittadinanza i lavoratori hanno avuto la possibilità di rifiutare offerte di lavoro con stipendi da fame. E proprio qui sta la ragione della sua abolizione: la volontà di obbligare i lavoratori ad accettare qualsiasi offerta di lavoro anche se iniqua (peraltro in caso di rifiuto il lavoratore rischia di perdere la NASPI).
Per intenderci: il reddito di cittadinanza, diversamente dai discorsi da bar che sono stati fatti negli ultimi anni, è una misura in linea con il dettato costituzionale per cui “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto…”.
Rendere effettivo il diritto al lavoro significa preservarne la funzione sociale, ovvero garantire al lavoratore una retribuzione che gli consenta una vita libera e dignitosa. E per rendere effettivo il diritto al lavoro, avrebbe senso introdurre anche in Italia un salario minino, quantomeno per riequilibrare il potere contrattuale dei lavoratori; anche su questo punto, non solo la destra è contraria, ma anche chi sta all’opposizione non lo ritiene una misura necessaria.
L’ultimo intervento assunto dal governo Meloni è quello della riforma del Decreto Dignità per quanto riguarda i limiti imposti dalla legge all’utilizzo abusivo dei contratti a termine. Il Decreto Dignità aveva finalmente reintrodotto nell’ordinamento una serie di limiti all’utilizzo di questi contratti. Ma il governo Meloni, così come quello Renzi, ha pensato bene di eliminarli per aiutare qualora ve ne fosse bisogno le aziende.
Con la riforma in questione le aziende potranno assumere a tempo determinato fino a 24 mesi senza l’obbligo della causale, riducendo così le possibilità per i lavoratori di ottenere un contratto di lavoro stabile.
Cosa ne pensano gli elettori della Meloni, quell’elettorato di destra o di estrema destra che vive nelle periferie, dove la Meloni ha ottenuto molti voti? Dopo aver affermato il primato del lavoratore italico, questi elettori come pensano di sopravvivere? Forse nutrendosi di farina di cavallette.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELL’ ESPERTO DI TRASPORTI E AMBIENTE
Nel 2019 hanno attraversato lo Stretto di Messina 2,5 milioni di
veicoli, un terzo in meno rispetto al 1991 quando erano 3,9 milioni.
Basterebbero questi numeri per chiarire al governo che sarebbe meglio affrontare con maggiore prudenza il falso mito del ponte sullo Stretto. Purtroppo anche dalla Ue non arrivano segnali confortanti visto che in questi giorni ci ha riproposto la vecchia logica dei corridoi multi-modali Ten-T.
Le valutazione per le grandi opere non si fanno per priorità, per valutazioni complesse e per approfondite analisi della domanda, dell’impatto ambientale, della sicurezza di esercizio e sull’analisi finanziaria, ma per righe sulla carta geografica (ve lo ricordate Berlusconi?) come spiegava Paolo Beria del Politecnico di Milano su Twitter. Che aggiungeva: dovrebbero essere invece tra mercati rilevanti, cioè su fattori economici e di domanda, non geografici-geometrici come le direttrici Ten-T. Una di queste è tra Helsinki e Malta… la stessa della Lisbona-Kiev della Tav”.
Solo tre settimane fa il ministro Matteo Salvini diceva che il ponte sullo Stretto costa la metà del reddito di cittadinanza (circa 4,5 miliardi). Ora il governo Meloni dice nel Def che il solo ponte costerà 13,5 miliardi di euro: il triplo di quanto detto dal ministro delle Infrastrutture.
Le bugie, anche quelle istituzionali, hanno le gambe corte. Il Ministro cita a sostegno del ponte sullo Stretto un dato di risparmio di emissioni che non viene né dal Mit né dal progetto. Ma da un privato, sostenitore del ponte stesso. E ovviamente la stima lascia perplessi per almeno tre buoni motivi:
1) assume che il ponte eliminerà tutti i traghetti, ma questo certamente non avverrà;
2) assume che sul ponte passerà prevalentemente traffico di lunga distanza, non locale, molto improbabile;
3) ignora le emissioni della costruzione, che potrebbero essere 10 volte superiori ai risparmi previsti.
Ma al di là della stima casalinga del privato cittadino, può un ministro delle Infrastrutture non avere una stima propria (Mit) fatta seriamente degli impatti ambientali dell’opera che supporta… per motivi ambientali? E inoltre: quale sarà lo schema finanziario che il governo userà per il ponte sullo Stretto? Non c’è, perchè meno si parla di costi è meglio.
Non è da escludere che il prossimo passo di Salvini sarà firmare qualche contratto capestro con un’impresa di costruzioni (magari un consorzio nazional-popolare con i soliti noti) e ipotecare la provincia di Enna per finanziare il progetto.
Sarebbe invece interessante simulare una ipotesi di finanziamento del progetto e vedere se il mercato risponde all’enorme quantità di risorse necessarie per la sua realizzazione.
Il raddoppio del canale di Suez fu finanziato quasi interamente da investitori egiziani (banche e cittadini) che in otto giorni hanno raccolto 6,8 miliardi di dollari sugli 8,3 miliardi necessari, tramite l’emissione di obbligazioni.
L’Eurotunnel è stato finanziato al 50% da capitali privati. Anche per il traforo ferroviario del Gottardo è stato finanziato con una tassa sui transiti in Svizzera dell’autotrasporto, cioè dalla domanda, non dallo Stato svizzero. Tutte strade fuori dai radar del ministro Salvini, perché dimostrerebbero la non finanziabilità del ponte sullo Stretto.
E infatti la formula del project financing è stata respinta dal gruppo di lavoro di esperti nominati da Salvini per valutare il progetto del ponte. “Sarebbe un errore recuperare quel modello economico e non tentare invece il finanziamento pubblico anche alla luce delle nuove risorse Pnrr e Pnc: il project financing è più oneroso per lo Stato e per gli utenti, incluso Rfi, che devono comunque coprire un costo dell’investimento più alto perché finanziato sul mercato dei capitali a tassi più elevati”, dicono. Il finanziamento pubblico a fondo perduto è sempre il faro della nostra spesa pubblica. Si evitano intoppi e si sposta sulle future generazioni il debito dello Stato, sempre più grazie ad un’altra grande opera non necessaria.
Dario Balotta. Esperto di trasporti e ambiente
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
INTRECCI SOCIETARI E INCARICHI IN AZIENDA PRIVATE
C’è il ministro che ha ceduto le quote della società che guarda caso gravita nell’area di competenza della sua delega. E quello che le quote le ha in effetti cedute, ma al figlio, divenuto socio unico.
C’è il viceministro che al contrario non ha nemmeno ceduto le sue quote della srl che, anche lì, ricade in qualche modo nell’orto del suo dicastero. Ma saranno pure coincidenze, è chiaro. Come quelle che portano taluni sottosegretari a rilevare in toto società poco dopo aver ricevuto l’incarico di governo. Il tutto in un grande magma di rapporti e conoscenze non regolamentati da alcuna legge su eventuali conflitti di interessi e quindi del tutto leciti.
Grazie proprio a questo magma non disciplinato il governo di Giorgia Meloni si distingue però: vanta un numero forse senza precedenti di titolari di dicasteri portatori di potenziali conflitti di interesse.
A sette mesi dal giuramento, Repubblica ha passato al setaccio tutti gli intrecci societari e gli incarichi in aziende private che in qualche modo sono riconducibili a ministri e sottosegretari. Ne emerge uno spaccato che in qualche modo maggioranza e governo dovranno prendere in considerazione, possibilmente per provvedere come finora non è stato fatto. Ecco i dieci casi più eclatanti.
Il viceministro all’Economia Leo
Si parte da quello del potente viceministro all’Economia, Maurizio Leo, braccio destro della Meloni nel campo fiscale, dentro e fuori Fratelli d’Italia. Nel decreto di nomina si legge: “All’onorevole Leo sono delegate le competenze in materia tributaria e fiscale, con particolare riguardo alle funzioni attinenti all’area delle politiche fiscali e del sistema tributario”. Leo nel frattempo continua a mantenere le quote nella società “Progetto fisco”, che vede come altri soci la moglie e figli. Di cosa si occupa questa srl? Lo statuto recita: “Realizzazione di pubblicazioni scientifiche in ambito fiscale; gestione e raccolta di sistemi amministrativi e contabili in materia di legislazione fiscale; prestazioni di servizi di assistenza amministrativa e tecnica per la definizione dell’assetto strutturale delle aziende”.
Il sottosegretario Freni
Restando nell’alveo del ministero dell’Economia un caso singolare è quello del sottosegretario Federico Freni: il deputato della Lega ha come deleghe quelle sulla finanza pubblica (Comune e Regioni in sintesi). Ma ha avuto anche la delega a “partecipare ai tavoli del ministero delle imprese e del made in Italy concernenti le crisi di impresa”. Freni prima di diventare sottosegretario, all’inizio del 2022 con Draghi, era presidente della “4aim”: una società di investimenti con capitale da 250 milioni che si occupa di ristrutturazioni aziendali. Sempre all’Economia l’altra delega da sottosegretario è andata a Sandra Savino, che tra i compiti ha quello ai rapporti con l’Agenzia delle entrate. Savino ha quote nella società immobiliare di famiglia, la Esse Re. L’oggetto sociale della srl ha a che fare con “acquisto, vendita e permuta di terreni e beni immobili e loro valorizzazione”.
Il ministro delle Imprese Urso
Passando al ministero affine, quello delle Imprese e del made in Italy, a guidarlo è stato indicato Adolfo Urso, esponente di Fratelli d’Italia e prima di Alleanza nazionale. Urso, come riportato da diversi giornali già lo scorso anno, quando era fuori da incarichi istituzionali ha creato una società di consulenza alle imprese per investimenti all’estero con sede anche in Iran: la Italy World service. Urso già nella scorsa legislatura ha prima chiuso la sede in Iran e poi poco prima di essere nominato ministro ha ceduto le sue quote al figlio Pietro Urso, che continua l’attività mentre il padre da ministro gira il mondo per promuovere le imprese italiane. Sempre al ministero delle Imprese c’è poi il sottosegretario Massimo Bitonci, ex sindaco di Padova e oggi deputato della Lega. Nominato il 31 ottobre 2022, il 14 novembre, due settimane dopo, acquisisce tutte le quote della società Contexo, di cui lui aveva una partecipazione, diventandone socio unico. Di cosa si occupa la srl in questione? Di consulenza aziendale.
Andiamo al campo sanitario. Qui l’uomo forte di Fratelli d’Italia, che tiene i rapporti con le organizzazioni di categoria per il partito, è Marcello Gemmato: farmacista, ha ancora una partecipazione del 10 per cento in una azienda , la Therapia, che si occupa di consulenza “per la gestione di case di cura e di produzione di software e progetti di miglioramento gestionale in ambito sanitario”.
Calderone, Santanché e Crosetto
A questi casi vanno poi aggiunti quelli esplosi nelle ultime settimane o noti fin dal giorno della nomina al governo del Paese. A partire dalla ministra al Lavoro Marina Elvira Calderone, che era tra i vertici dell’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro fino a qualche mese fa: il marito Rosario la Duca è oggi presidente del consiglio dell’Ordine. L’ispettorato del lavoro, che dipende al ministero, ha appena firmato un protocollo d’intesa proprio con l’organizzazione dei consulenti del lavoro in materia di regole da seguire sui controlli nelle aziende. Agli onori della cronaca è arrivata la vicenda della ministra al Turismo Daniela Santanché, che aveva fino a ieri partecipazioni nel famoso lido Twiga: quote cedute al compagno e al socio Briatore in un campo, quello delle concessioni balneari, molto delicato. E, ancora, ha fatto discutere la nomina a ministro della Difesa di Guido Crosetto, che subito dopo ha chiuso la società di consulenza aziendale di famiglia che ha lavorato per diverse imprese fornitrici del ministero, ma ha una quota del 25 per cento nello studio contabile Co.Pro.Spe, che ha come oggetto “altre attività di consulenza imprenditoriale e altra consulenza amministrativo-gestionale e pianificazione”. Ci sono poi casi di potenziali conflitti di interesse per incarichi coperti nel recentissimo passato: come quello del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che ha avuto incarichi in diversi centri di assistenza fiscale e Caf.
Sono le porte girevoli tra privato e pubblico, tra attività imprenditoriali e professionali che adesso incrociano ruoli di governo. In un Paese, l’Italia, che non ha a ancora una norma chiara sui conflitti di interesse.
(da La Repubblica)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
I MEMBRI DEL GOVERNO RIDOTTI A FARE I FIGURANTI ALLO SPOT ORCHESTRATO PER TENTARE INUTILMENTE DI RUBARE LA SCENA AL CONCERTONE
Un piano sequenza degno de “Il divo” di Sorrentino che culmina in un
vero e proprio inedito nella storia della comunicazione politica – per non dire propaganda – del nostro Paese. Il video spot di 3 minuti di Giorgia Meloni che illustra le misure del decreto Lavoro nel giorno consacrato ai riti sindacali contiene un finale a effetto che porta la fiction a Palazzo Chigi.
Ripresa da un telecamera ammortizzata su un “gimbal”, un paio di tagli di montaggio, la premier percorre fluente le stanze eleganti del palazzo del Potere.
Incedere didascalico e familiare, doppio petto lungo smanicato e t-shirt bianca, effetto grembiule da lavoro – appunto -, oltrepassa tre porte, fino all’ultima. La quarta. Che però è chiusa. Lo spiegone delle misure è terminato, ora si tratta di passare all’azione. “Buon Primo maggio a tutti”, augura Meloni. Che aggiunge ispirata: “E ora al lavoro”.
E qui la scena è pura meraviglia. La premier apre la porta della sala del Consiglio dei ministri, che si disvela in tutta la sua forza. L’intero esecutivo è infatti seduto, i ministri al loro posto, e ognuno di loro, senza nemmeno voltarsi – a parte Tajani che tradisce un fuggevole imbarazzato sorriso – attende l’incedere della Meloni di cui riecheggiano i passi decisi, fino al raggiungimento del suo posto, e allo scampanellare che apre i lavori del Cdm. Del reale Cdm.
Un inedito appunto, dove la fiction si confonde con la realtà, e i membri del governo sono ridotti a fare da figuranti allo spot orchestrato per rubare la scena al Concertone. “Questo Consiglio non è una sceneggiata”, pare abbia detto la premier ai ministri. E qui c’è da darle ragione: decisamente è molto di più.
(da La Repubblica)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA LA CINA CONDANNA DI FATTO LA RUSSIA, SEMPRE PIU’ ISOLATA… VOTATA ANCHE DA INDIA E BRASILE, UN SEGNALE FORTE
Una svolta? Forse un segnale.
“Aggressione”. Per la prima volta la Cina vota sì a una risoluzione delle Nazioni Unite che descrive così la cosiddetta “operazione militare speciale” della Russia in Ucraina, avviata il 24 febbraio 2022.
L’Assemblea generale dell’Onu ha infatti adottato una risoluzione sulla “Cooperazione tra le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa” con 122 voti, tra cui quello della Cina. Anche diversi altri Paesi “amici della Russia”, come Kazakistan, Armenia, India e Brasile, hanno votato a favore.
In particolare, il documento fa riferimento alle “sfide senza precedenti” che l’Europa si trova ad affrontare dopo l’aggressione russa all’Ucraina, e prima ancora alla Georgia, e chiede di “risarcire” i danni subiti dalle vittime dell’aggressione di Mosca.
Una mossa inedita e significativa
(da Globalist)
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Maggio 2nd, 2023 Riccardo Fucile
ACCOLTO IL RICORSO DELLE ASSOCIAZIONI ANIMALISTE
Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, in sede
monocratica, ha sospeso, accogliendo il ricorso presentato dalle associazioni Enpa, Leidaa e Oipa, l’efficacia del decreto con cui il presidente della Provincia Maurizio Fugatti dispone l’abbattimento dell’orsa Jj4, considerata responsabile della morte del runner Andrea Papi e attualmente ricoverata nel centro faunistico del Casteller.
Fino alla data della prossima udienza collegiale la Provincia non potrà dunque procedere all’abbattimento. Lo comunicano le associazioni animaliste.
“Il decreto di Fugatti”, osservano le associazioni nella nota, “non è solo assurdo nel contenuto e non adeguatamente motivato, ma rappresenta anche una vera e propria sfida al ministero dell’Ambiente, contrario alla soppressione di JJ4, che ha istituito un ‘tavolo tecnico’ per l’elaborazione di una nuova strategia sulla gestione degli orsi e mostra di aver ben presente il principio di tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali sancito dal nuovo articolo 9 della Costituzione. Fugatti invece procede per conto proprio, come se gli orsi fossero sua proprietà, come se l’art.9 non esistesse e ignorando completamente la mobilitazione di milioni di italiani contrari all’abbattimento”.
Accolto anche il ricorso di Leal, che evidenzia “come il decreto n.10 emesso in data 27 aprile dal presidente Fugatti, con il quale viene autorizzata la soppressione dell’orso Jj4, si profila frutto di un’errata interpretazione della relazione dell’Ispra, che non ha affatto espresso parere negativo in ordine alle strutture ove ricollocare l’orsa, ma ha solo dichiarato di non avere competenza in merito, laddove la stessa spetta ai Cites”.
(da La Repubblica)
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