Destra di Popolo.net

LA RUSSA, INTERISTA DI FERRO, “HA LAVORATO INTENSAMENTE” PER PERMETTERE AI MEMBRI “DELL’INTER CLUB PARLAMENTO” (40 ELETTI E 150 IMPIEGATI) DI ASSISTERE ALLA FINALE DI CHAMPIONS LEAGUE A ISTANBUL

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

MA È NORMALE CHE LA SECONDA CARICA DELLO STATO ORGANIZZI LA TRASFERTA COME FOSSE UN CAPO ULTRAS?… IL “PACCHETTO” DA 1270 EURO PREVEDE POSTI IN TRIBUNA “DISCRETI”…LE PROTESTE DEI TIFOSI INTERISTI CHE NON TROVANO I BIGLIETTI DA MESI: “ECCO A CHI SONO ANDATI…”

L’immagine gira da telefono a telefono, da chat a chat, con commenti variamente indignati. Si va da “ecco dove sono finiti i biglietti” a “intanto gli interisti normali restano a casa”.
La foto è quella di una lettera firmata dal vice presidente dell’Inter Club Parlamento, il deputato milanese di centrodestra Alessandro Colucci, segretario della Camera, eletto nel 2022 con la lista Noi Moderati.
Si rivolge agli iscritti al club, una quarantina fra deputati senatori più oltre 150 fra commessi, autisti, assistenti e impiegati: “Cari amici, in riferimento alla finale di Champions League di Istanbul in queste ultime ore il Presidente Ignazio La Russa ha lavorato per ottenere le migliori condizioni”.
Seguono i dettagli del pacchetto: 1.090 euro fra volo, assicurazione e spese di agenzia (la stessa a cui si appoggia l’Inter), più 180 di biglietto che dovrà essere “scaricato direttamente dal portale della Uefa a ricezione del codice di conferma”.
Partenza da Milano il 9 giugno, alla vigilia della partitissima col Manchester City, e ritorno nella notte dopo la finale.
(da agenzie)

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L’UPB STRONCA LA RIFORMA FISCALE DELLA MELONI: AIUTA I REDDITI ALTI E PORTERA’ TAGLI AL WELFARE

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

LA DURA BOCCIATURA DELL’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO

Un altro parere negativo sulla flat tax, la tassa piatta che il governo Meloni ha posto come obiettivo finale della sua riforma del sistema fiscale. L’Ufficio parlamentare di bilancio, nella sua relazione alla commissione Finanze della Camera sul testo della legge delega varata dal governo, ha messo in evidenza alcune delle stesse criticità che erano emerse dall’audizione della Banca d’Italia della scorsa settimana. E non si è fermato, sottolineando anche tutti i rischi che vengono da una riforma che, in pratica, non ha ancora delle coperture chiare.
Il problema con la flat tax: meno entrate per lo Stato e benefici ai più ricchi
In particolare, si legge che il passaggio a una aliquota unica uguale per tutti i contribuenti avrebbe “effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati”. L’unico modo per evitare questo effetto sarebbe “rinunciare a una elevata quota di gettito” per lo Stato.
Vero è, come sottolineato dalla relazione, che al momento dal governo mancano tantissime informazioni su cosa vuole fare, nel dettaglio. Ad esempio, banalmente, a che aliquota sarebbe fissata la flat tax unica per tutti. I dati mostrano che, nel 2022, i contribuenti che versano l’Irpef in media hanno pagato una tassa di “circa il 20%”. Al di sopra di questa soglia “si concentra poco meno del 14% dei contribuenti”, che però “versano quali il 60% del gettito”. Perciò, abbassare l’Irpef a chi paga di più – cioè chi ha un reddito più alto – metterebbe a rischio una grande parte delle entrate per lo Stato.
Un grosso problema della riforma fiscale, infatti, è come il governo intenda pagarla. C’è scritto nel testo che non deve aumentare la pressione fiscale sui contribuenti, e non devono nemmeno crescere i costi per la finanza pubblica. Ma come è possibile? La legge “fa riferimento ai risultati dell’attività di contrasto dell’evasione”, che prevede di dare più libertà e meno controlli alle aziende, e alla “razionalizzazione e riduzione delle spese fiscali”. Cioè le varie detrazioni e deduzioni fiscali, da cancellare e riordinare.
Il governo continua a ripetere che queste detrazioni sono più di 600, nel sistema fiscale italiano, ed è vero. E potrebbero davvero portare diversi miliardi di euro nelle casse dello Stato, se venissero ridotte. Ma il problema è che queste detrazioni sono degli sconti sulle tasse che spesso aiutano i contribuenti su aspetti importanti. Come ha sottolineato l’Upb, la legge prevede di “porre particolare attenzione alla salvaguardia della famiglia, della tutela della casa, della salute, dell’istruzione e della previdenza complementare”, ma anche “agli obiettivi di miglioramento dell’efficienza energetica e della riduzione del rischio sismico del patrimonio edilizio”
In tutti questi settori, quindi, bisognerà ridurre le detrazioni il meno possibile, o non ridurle affatto. Però questi raccolgono la maggior parte delle detrazioni. Così, volerli tutelare “riduce sensibilmente l’entità delle spese fiscali sulle quali poter intervenire”.
Bisogna ridurre la spesa pubblica, e quindi “plausibilmente” tagliare il welfare
Le alternative perciò sono due. Una è prendere soldi in prestito e fare debito, cosa che avrebbe “conseguenze negative per l’equilibrio dei conti pubblici” e rendere la riforma insostenibile. La seconda è quella che il governo Meloni ha sempre negato di voler attuare: una riduzione della spesa per le misure di welfare, come istruzione e sanità.
L’Ups ha sottolineato che l’obiettivo della riforma fiscale “potrà essere raggiunto solo attraverso una riduzione permanente della spesa pubblica”. E se è vero che nella spesa pubblica italiana ci sono certamente degli sprechi, ridurla in modo permanente “richiederebbe plausibilmente una ridefinizione del livello dei servizi pubblici e delle platee dei beneficiari”. Cioè, un welfare meno esteso e rivolto a meno persone.
(da Fanpage)

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ALTRO GRANDE FALLIMENTO DELLA BREXIT: MAI COSÌ TANTI IMMIGRATI NEL REGNO UNITO

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

I TORY AVEVANO FESTEGGIATO L’ADDIO ALL’UE AL GRIDO DI “RIPRENDIAMOCI IL CONTROLLO DELLE FRONTIERE”. EPPURE LO SCORSO ANNO SONO ENTRATE IN GRAN BRETAGNA 606MILA PERSONE IN PIÙ DI QUELLE CHE NE SONO USCITE

Sono tredici anni che i conservatori promettono di ridurre l’immigrazione nel Paese, e i numeri continuano a salire. Nemmeno la Brexit è riuscita a invertire la tendenza. È tutto qui il problema di Rishi Sunak, quando il nuovo dato sugli ingressi regolari mostra un livello record: l’anno scorso sono entrate nel Paese 606mila persone in più di quelle che ne sono uscite. Il dato precedente sull’immigrazione regolare netta era di 504mila.
Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica, nel 2022 sono arrivate un milione e 163mila persone, e ne sono uscite 557mila. Aumenta l’immigrazione da paesi extra Europei, con 925mila arrivi, mentre diminuisce quella dall’Europa, appena 151mila arrivi, a fronte di oltre 200mila partenze.
Più di centomila persone sono arrivate dall’Ucraina e 52mila dall’ex colonia Hong Kong. Moltissimi gli studenti e i loro familiari, tanto che il governo ha varato un giro di vite sui ricongiungimenti familiari a partire dal 2024. I dati creano imbarazzo nel governo, tanto più se si considerano gli sbarchi di immigrati irregolari, 45 mila nel 2022.
Dal 2010, cioè da David Cameron in poi, tutti i primi ministri Tory hanno promesso di tagliare l’immigrazione. Il referendum sulla Brexit è stato vinto grazie al famoso slogan “take back control”, riprendersi il controllo, soprattutto delle frontiere. Ma non è accaduto.
Nigel Farage, l’ex leader dell’Ukip che della Brexit è stato uno dei maggiori artefici, ieri ha gridato alla “totale violazione della fiducia tra gli elettori e questo governo”
L’istituto di statistica ha sottolineato la natura «potenzialmente temporanea» del livello record, dovuto a una «serie di eventi mondiali senza precedenti avvenuti nel 2022 e alla fine delle restrizioni da Covid».
(da agenzie)

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LA “BACCHETTATA” DI MATTARELLA SUI TROPPI EMENDAMENTI CHE SNATURANO I DECRETI

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

CONVOCATI LA RUSSA E FONTANA

Troppi decreti omnibus, troppi emendamenti fuori luogo che snaturano la vera natura dei provvedimenti approvati dal governo Meloni.
È questo il monito lanciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevendo al Quirinale i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa.
Durante il colloquio, il Capo dello Stato ha nuovamente sollecitato Fontana e La Russa a verificare che gli emendamenti presentati nei due rami del Parlamento siano in linea con la reale sostanza dei provvedimenti: un compito che spetta ai presidenti delle due Aule.
Già, perché sempre più spesso durante l’iter di approvazione, vengono presentati e accettati emendamenti che non hanno alcuna connessione con i temi portanti dei decreti, rendendoli così dei contenitori di norme disomogenee.
L’ultimo caso, in ordine di tempo, è stato l’intervento sul decreto Bollette la scorsa settimana, quando il testo è stato fatto tornare in Commissione dopo essere stato “ripulito” di quattro norme che ne avrebbero decontestualizzato la natura, per poi essere approvato dalla Camera.
Non è la prima volta che il presidente della Repubblica interviene in tal senso. Già lo scorso 24 febbraio, il Capo dello Stato aveva firmato il decreto Milleproroghe, convertendolo dunque in legge, inviando però una lettera ai vertici di Montecitorio e di Palazzo Madama sottolineando l’importanza di intervenire concretamente dinanzi al presentarsi e all’inserimento nei provvedimenti di emendamenti che poco o nulla hanno a che vedere con la materia del decreto in sé. Un problema che si è palesato sempre più, anche data la cadenza dei decreti approvati dal governo.
Sin da inizio legislatura sono 27 i decreti legge approvati dal governo, e solo 5 le leggi ordinarie, con una cadenza di quasi un decreto a settimana, in cui vengono inseriti – troppo spesso – emendamenti poco attinenti alla sostanza dei provvedimenti, specialmente se delineati da carattere d’urgenza. E il richiamo che il presidente Mattarella ha nuovamente presentato ai presidenti di Camera e Senato non ha l’obiettivo di fermare i lavori né di interferire con l’attività parlamentare, ma quello di evitare di far arrivare sul tavolo del Quirinale dei provvedimenti che hanno perso la natura d’impianto rispetto quanto dichiarato all’inizio dei lavori, e la sostanza e coerenza delle leggi finali in sé.
(da Open)

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“ARRIVEREMO A MOSCA, BELGOROD E’ SOLO L’INIZIO”

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

INTERVISTA A PONOMAREV, DELLA LEGIONE PER LA LIBERTA’ DELLA RUSSIA CHE E’ PENETRATA IN TERRITORIO RUSSO

L’obiettivo finale è “arrivare a Mosca”. Dove sono in corso “contatti con persone anche vicine a Putin che potrebbero in futuro allearsi con la resistenza”.
Le incursioni all’interno della Federazione “si ripeteranno”. E poco importa se alcune formazioni di partigiani pullulano di estremisti di destra: “Al momento siamo solo russi e fratelli in armi, le questioni politiche le risolveremo poi alle urne in una Russia finalmente libera e democratica. E noi liberali batteremo senz’altro l’estrema destra”.
L’ufficio è lo stesso ma Ilya Vladimirovich Ponomarev non è in giacca e cravatta come l’ultima volta che ci siamo collegati in video-conferenza. Ha addosso una giubba militare con sul petto una spilla azzurra e bianca, come la bandiera appoggiata al muro alle sue spalle. Sono i colori della Russia libera. È seduto alla scrivania, ha la barba di quattro giorni e l’aria stanca ma soddisfatta. È di buon umore e scherza sull’ora tarda — a Kiev sono le 10:30 di sera — e sulla eccessiva loquacità dei giornalisti.
Ponomarev, facoltoso imprenditore nato a Mosca 48 anni fa, è il rappresentante politico della Legione per la libertà della Russia (Frl), una delle due unità combattenti penetrate nei giorni scorsi per oltre quaranta chilometri in territorio russo nell’oblast di Belgorod, creando confusione e rabbia a Mosca.
Fino al 2016 era un deputato della Duma, la Camera della Federazione. Nel 2014 fu l’unico parlamentare a votare contro l’annessione della Crimea. Precedentemente, era stato l’unico a non votare a favore della legge sulla “propaganda gay”, preferendo astenersi. Accusato di appropriazione indebita in un procedimento da lui definito “motivato politicamente”, espulso dalla Duma, si è rifugiato in Ucraina e ne ha poi preso la nazionalità.
Per i suoi detrattori, è poco più di un millantatore che vuol rilanciare la sua carriera politica in un ipotetico dopo-Putin. Sono sempre di più, però, gli osservatori che lo ritengono l’ispiratore e il finanziatore della resistenza armata in Russia.
Ilya Vladimirovich, quali erano gli obbiettivi dell’operazione in territorio russo?
“Un obiettivo era politico, oltre che militare: liberare parte del territorio russo, far sventolare i colori bianco e azzurro della Russia libera (Ponomarev indica la bandiera alle spalle). Dimostrare ai russi che la liberazione del Paese è iniziata. E ispirarli, provando che la resistenza contro il regime e le azioni dei partigiani possono essere efficaci al punto di prendere il controllo di alcuni villaggi e di decine di chilometri di territorio. Contiamo così di attrarre nuovi patrioti nella lotta partigiana”.
E dal punto di vista strettamente militare, cosa volevate ottenere?
“Una distrazione delle forze armate russe, che sono state effettivamente richiamate dai fronti in Ucraina per intervenire in difesa del proprio territorio nazionale. Abbiamo creato sconcerto e indotto movimenti non preventivati da parte del nemico”.
Tatticamente questo può essere d’aiuto alla incombente controffensiva di Kiev…
“Sì, questo era tra gli obiettivi tattici prioritari”.
Lei ha sempre detto che le azioni dei partigiani anti-Putin in territorio russo sono lanciate in pena indipendenza da Kiev. Non mi pare sostenibile. Impossibile che l’Sbu e l’esercito ucraino non fossero a conoscenza di un’azione così clamorosa.
“L’Sbu si occupa di spionaggio e c’entra davvero poco in tutto questo. Ma è ovvio che le forze armate di Kiev erano informate. E hanno dato luce verde all’operazione. Le truppe che sono entrate nel territorio russo fanne parte della Legione internazionale dell’esercito ucraino. Una cosa però è dare semplicemente un via libera e un’altra è organizzare e mettere in pratica un’azione militare di questo tipo. Dalla logistica alla linea di fuoco, tutto è stato fatto da russi. Nessun soldato di nazionalità ucraina ha messo piede sul suolo della Russia. È stata un’operazione di russi all’interno della Russia, condotta con mezzi corazzati sottratti all’esercito di Putin. Non son stati utilizzati armamenti occidentali, tra l’altro. Ah, no: forse un paio di fuoristrada erano di marca americana. (Ride. Il riferimento è alle foto di un paio di autoblindo statunitensi Humvees danneggiati diffuse dal ministero della Difesa russo, ndr)”.
Quindi, avete usato mezzi americani?
Ma nemmeno per sogno. Quelle foto son state mostrate in televisione per propaganda. La mimetizzazione è sbagliata. Il luogo è diverso. Il debunking è fin troppo facile per chi conosce un minimo la zona e le nostre forze. Noi abbiamo utilizzato solo mezzi abbandonati dall’esercito russo. A parte alcune automobili che non so neanche dire di quale provenienza fossero”.
Gli Stati Uniti hanno preso le distanze dalla vostra operazione
“Washington ha solo precisato di “non averla incoraggiata”. Non significa che la ritenga inutile o che si opponga a questo tipo di azioni”.
Conferma che non avete avuto perdite?
“Purtroppo devo annunciare che due dei nostri soldati sono stati uccisi durante l’azione e una decina sono rimasti feriti”.
I russi hanno contato 70 cadaveri, fra i vostri.
“Falso. Pura propaganda”.
E quanti dei soldati di Putin sono morti?
“Difficile per noi calcolarlo con precisione. Senz’altro alcune decine”.
Vittime tra i civili?
“Grazie a Dio nessuna, nonostante i rischi fossero alti. Devo dire che siamo stati fortunati. Mosca ha parlato di un’anziana morta per infarto. Può darsi che sia vero e mi dispiace molto. Ma nessun civile è morto per causa diretta della nostra operazione militare”.
Come avete fatto a travolgere le difese russe? Cosa dimostra l’operazione a questo proposito?
“Dimostra che nelle forze armate e nel sistema di sicurezza della Russia regna una profonda disorganizzazione e una grave carenza di mezzi, frutto di anni ed anni di corruzione e di pressappochismo. Cercano di rimediare con la propaganda. Che naturalmente non basta, quando si tratta di combattere”.
Ripeterete azioni del genere? State allestendo altre mini-invasioni della Russia?
“Intraprenderemo certamente altre operazioni di questo tipo in territorio russo. Ripeto: il nostro obiettivo è liberare la Russia dalle spire di questo regime. Intanto, continuano con cadenza pressoché quotidiana, da parte di altri gruppi di partigiani, i sabotaggi e gli attacchi a obiettivi militari, come i centri di reclutamento, e alle infrastrutture utilizzate a scopi militari, come i trasporti ferroviari. Ma torneremo anche a liberare territori della Federazione”.
Non mi dirà che pensate di arrivare fino a Mosca?
“Alla fine il piano è quello (ride). Ci vorrà del tempo. Ma sì, un giorno noi partigiani saremo a Mosca e Putin non sarà più al Cremlino. Il conto alla rovescia per la fine del suo regime lo ha iniziato egli stesso il 24 febbraio dello scorso anno, invadendo l’Ucraina”.
A proposito di Cremlino, i droni che all’inizio di maggio hanno colpito di striscio la cupola del Senato nella cittadella del potere moscovita li avete mandati voi col via libera dell’Ucraina o era tutta una messa in scena da parte dei russi?
“Certo che erano nostri (Ponomarev ride di gusto). È stato un vero attacco, altro che “false flag”. E anche parecchio efficace, come attacco: il regime per paura di altre azioni simili ha dovuto ridimensionare fino ai minimi termini la parata militare del 9 maggio (festa nazionale per la vittoria nella Seconda guerra mondiale: alla parata ha sfilato un solo carro armato “vintage” invece delle abituali decine e decine di mezzi moderni, ndr). A dimostrare che non è stata una commedia organizzata dai servizi russi ci sono anche le registrazioni telefonate tra pezzi grossi vicini al governo inorriditi dall’accaduto (lo ha riportato il 24 maggio il New York Times, ndr)”.
Tornando all’operazione nell’oblast di Belgorod: c’erano quattro battaglioni della Frl, di cui lei — che si definisce liberale progressista — è il rappresentante politico, e un battaglione della Forza dei volontari russi (Rvc), che si dichiara di estrema destra. Il suo leader, Denis “Nakitin” Kapustin è ritenuto un estremista. Con degli amici così non è che date ragione alla propaganda del Cremlino che dice di combattere il nazismo?
“Con i volontari della Rvc siamo fratelli in armi, anche se probabilmente la pensiamo in modo molto diverso. Combattiamo un nemico comune, che è il regime di Vladimir Putin, e abbiamo un obbiettivo comune: una Russia libera e democratica. Io sono liberale. La maggior parte dei nostri, nella “Legione” e non solo, sono politicamente dei moderati.
Non so quanti della Rvc siano di estrema destra. Di sicuro, quando la Russia sarà libera e democratica, noi liberali saremo strenui avversari dell’estrema destra. E credo proprio che la batteremo alle elezioni, conoscendo il Paese e anche l’andamento dei cicli della storia. Ma questo è il futuro. Nel presente c’è in corso una guerra e se gli alleati sono leali, combattono con coraggio e non condizionano la lotta a particolari esiti politici, sono — appunto — fratelli in armi. Poi, ce la vedremo. Con gli strumenti della democrazia”.
Lei ha contatti anche con un’altra organizzazione della resistenza russa, l’Esercito nazionale repubblicano (Nra). Che ha rivendicato, proprio per suo tramite, l’assassinio di Darya Dugina, figlia del sedicente filosofo putinista Alexander Dugin, e del blogger ultranazionalista russo Vladlen Tatarsky, alias Maxim Fomin. Due attentati dinamitardi: terrorismo, accusa il Cremlino. Con qualche ragione, mi pare. Lei promuove il terrorismo?
“No. Quello che noi stiamo facendo è il contrario del terrorismo. È anti-terrorismo. Perché la Russia è uno Stato terrorista, come hanno riconosciuto più istituzioni internazionali (tra le quali il Parlamento europeo, ndr). E il suo leader è un criminale con sulle spalle un mandato di cattura della Corte penale internazionale. Un uomo che fa uccidere sistematicamente i suoi oppositori politici. E che ora uccide gli ucraini. Noi stiamo colpendo alcune persone chiave del suo regime. Propagandisti, ideologi, uomini di governo e militari sono nel nostro mirino. È una guerra. Quindi colpiamo il nemico. Rispettando le convenzioni e il diritto internazionale. Senza toccare i civili, puntando solo a obbiettivi legittimi”.
Con le bombe però si fa presto a fare vittime civili. La Dugina è morta al posto di suo padre, che era il vero bersaglio.
“È vero che il bersaglio era il padre”.
Una figura che sta diventando sempre più ingombrante nella Russia di Putin è Yevgeny Prigozhin, il fondatore e finanziatore del gruppo di mercenari Wagner. I suoi attacchi al ministro della Difesa Shoigu, ai militari e al governo — Putin escluso — potrebbero farne un vostro futuro alleato?
“No, mi pare davvero improbabile. Prigozhin è un servo di Putin ed è soprattutto un uomo d’affari. Vuol solo fare soldi. Credo che alla fine si distanzierà da questa guerra e da Mosca. Non vuole affondare insieme al regime. Si distanzierà anche fisicamente: lo vedo bene in Africa, dove ha tanti interessi. Poi magari vorrà tornare se cambiano le cose. Ma non potrà mai essere un nostro alleato. È una persona troppo sporca. Non ha nulla a che vedere con la Russia che noi vogliamo”.
E se non Prigozhin, chi? Certo lei avrà ancora molti contatti a Mosca. Anche con persone vicine al potere. State coltivando qualche alleanza alla corte di Putin? Qualcuno che potrebbe facilitare un rivolgimento o addirittura operare un golpe?
“Abbiamo contatti. Anche in alto. Ma sono tutte persone che al momento hanno come primo obbiettivo quello di salvare se stesse. Solo quando le cose si metteranno ancora peggio per il regime potrebbero agire, e diventare davvero nostri alleati”.
(da Fanpage)

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ORA “ITA” È TEDESCA: COSA CAMBIERÀ? L’INVESTIMENTO DI LUFTHANSA NELLA COMPAGNIA AEREA TRICOLORE SARÀ DI 830 MILIONI DI EURO IN TRE FASI

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

LA PRIMA PREVEDE UN ESBORSO DI 325 MILIONI PER IL 41%, POI I CRUCCHI SALIRANNO AL 100% ENTRO IL 2028 – LUFTHANSA PUNTERÀ MOLTO SULLO SCALO DI FIUMICINO, CHE DIVENTERÀ UN HUB INTERCONTINENTALE

“Ita Airways è stata completamente ristrutturata e configurata per essere una compagnia aerea competitiva da un punto di vista dei costi e non ha nessuna relazione e problematiche legate alla vecchia Alitalia”. Lo ha detto l’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, in una conference call con gli analisti, aggiungendo che “ieri è stato un giorno importante per il gruppo Lufthansa”.
Era almeno dal 2017 che Lufthansa ci provava, da quando cioè la procedura di vendita della vecchia Alitalianon aveva avuto seguito. A distanza di sei anni, e dopo altre centinaia di milioni di euro di perdite scaricate sulle spalle degli italiani, saranno dunque i tedeschi a togliere le castagne del fuoco al governo sovranista.
L’intesa sulla nuova Ita Airways, di cui Lufhtansa rileverà a breve il 41% del capitale, è stata ufficializzata ieri al termine di un incontro tra il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti e l’amministratore delegato di Deutsche Lufthansa Carsten Spohr
Per la firma definitiva bisognerà attendere perché vanno ancora definiti gli ultimi dettagli tecnico-legali, poi l’accordo andrà sottoposto alla Corte dei Conti italiana e soprattutto alla Direzione Generale per la Concorrenza dell’Ue che dovrà autorizzare l’operazione.
Per il 41% (e 2 posti su 5 nel futuro nuovo cda) Lufthansa attraverso un aumento di capitale riservato verserà nelle casse di Ita 325 milioni di euro, ma prima di allora il Mef a sua volta dovrà onorare l’ultima tranche dell’aumento di capitale da 250 milioni conservando una quota dei 59%.
Il ministero dell’Economia ha già concordato col nuovo socio un’opzione di vendita che potrà essere esercitata tra il 2025 ed il 2027, in parallelo con lo sviluppo del piano industriale della compagnia, che consentirà poi ai tedeschi di rilevare un altro 49% di Ita.
Il piano prevede di passare dai 2,5 miliardi di fatturato quest’anno ai 4,1 del 2027 e la crescita e il rinnovamento della flotta, che a fine 2027 conterà 94 aeromobili rispetto agli attuali 71, con un’età media di cinque anni a tutto vantaggio dell’ottimizzazione dei consumi di carburante e dell’impatto ambientale. L’organico, previsto quest’anno a 4.300 unità grazie alle 1.200 assunzioni previste salirà a oltre 5.500 a fine piano
Anche col nuovo azionista, «Ita Airways – viene assicurato – continuerà ad essere la compagnia aerea di riferimento del Paese italiano e a rappresentare con orgoglio l’Italia nel mondo, garantendo collegamenti all’interno del Paese e con il resto del mondo, supportando lo sviluppo dei flussi turistici e di business».
Oltre a Fiumicino la «nuova Ita» punterà sempre sullo scalo di Milano Linate; mentre per quanto riguarda Malpensa, […] in prospettiva si ragiona sullo sviluppo dell’attività cargo
Sul fronte politico i 5 Stelle a partire da Giuseppe Conte accusano il governo di aver «svenduto Ita, di averla letteralmente regalata a Lufthansa: con l’ennesima torsione dei sovranisti»
(da La Stampa)

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LEONARDO DA’ A VIOLANTE 300.000 EURO L’ANNO

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA E LA FONDAZIONE

Anche al tempo del governo Meloni, i grandi vecchi della politica rimangono sempreverdi. Uno di loro è Luciano Violante, che negli anni ha lentamente cambiato pelle, dismettendo i panni apertamente politici di ex dirigente prima del Pci e infine del Pd, per vestire quelli di tecnico. Sempre con una sfumatura di parte, ma fortificando le entrature nel mondo della destra. Utili soprattutto ora che il colore dell’esecutivo si è fatto più scuro e che però è alla ricerca di referenti e interlocutori non ostili. Non a caso, negli ultimi tempi Violante si è esercitato in articoli e interviste in cui ha allontanato timori sul fascismo, difeso la nomina di Chiara Colosimo al vertice della commissione Antimafia e criticato i contestatori della ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, al salone del Libro di Torino.
Del resto, forte anche dell’aura istituzionale di ex presidente della Camera, la voce più ripetuta sull’ex magistrato è la sua ambizione al Quirinale. Oggi fresco ottantaduenne, un tempo lo si sarebbe considerato troppo vecchio ma il secondo mandato del suo coetaneo Sergio Mattarella ne avrebbe tenuta accesa la fiammella di speranza.
Del resto, proprio questa sua vocazione alla trasversalità lo sta favorendo con il nuovo vento di destra. Negli ultimi tempi il suo è stato il nome più richiamato nelle locandine dei convegni d’area Fratelli d’Italia, a partire da quelli della fondazione Tatarella dove Violante è intervenuto per ricordare l’ex avversario politico ed è stato accolto più che calorosamente. Tanto da essere diventato ormai il jolly per coprire la quota “sinistra” in tavole rotonde e convegni istituzionali. Tuttavia, il ruolo di pontiere gli è sempre stato congegnale e con il mondo della destra ha sempre avuto un canale di comunicazione privilegiato, soprattutto in materia di giustizia, già ai tempi dei governi Berlusconi. A consolidarlo definitivamente come volto avversario ma non nemico della destra fu però un suo discorso diventato celebre come l’apertura ai «ragazzi di Salò». era il 1996 e Violante si stava insediando allo scranno più alto di Montecitorio, da lì disse che gli italiani dovevano fare pace con la storia e che serviva uno sforzo per capire le ragioni per cui tanti giovani nel 1943 si arruolarono per la repubblica sociale italiana.
Non tutto il mondo intorno a Meloni, però, ama Violante e una parte di chi viene dalla destra sociale non apprezza ritrovare un ex comunista ma anche ex magistrato così vicino alla stanza dei bottoni. «Non tutti noi si sono dimenticati che Violante diventò Violante anche con le indagini che fece da magistrato su quelle che all’epoca venivano chiamate “trame nere”», dice una fonte dell’ex Movimento sociale di Roma. Violante, infatti, indagò sulla sigla terroristica neofascista Ordine nero e sui campi paramilitari in val di Susa. Un passato considerato remoto per i suoi estimatori – tra cui l’ex collega di toga e amico Alfredo Mantovano, oggi potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio – un’onta incancellabile invece per i più legati alle tradizioni post-fasciste.Il suo rapporto con il governo, però, è un fatto: corroborato anche formalmente con l’investitura – rivelata da l’Espresso – come presidente del Comitato per gli anniversari nazionali, la valorizzazione dei luoghi della memoria e gli eventi sportivi di interesse nazionale e internazionale. Un compito tanto altisonante quanto nebuloso, che però ne certifica il legame con la galassia che ruota intorno a palazzo Chigi. L’attività verrà svolta a titolo gratuito, ma un’entrata fissa per Violante è tornata comunque ad esserci.
LA FONDAZIONE LEONARDO
Dal 2019, infatti, Violante è presidente della fondazione Leonardo-Civiltà delle macchine, un piccolo paradiso dal bilancio di 3 milioni di euro che ha l’obiettivo di essere «un ponte tra la cultura umanistica e industriale» ed è finanziata dalla super partecipata di stato Leonardo, che si occupa di difesa, aerospazio e sicurezza.
La fondazione è stata voluta dall’amministratore delegato Alessandro Profumo, che ha appena concluso il suo mandato. A lui si deve la chiamata di Violante, il quale per i primi tre anni ha rivestito la carica di presidente a titolo gratuito. Allo scattare del primo triennio e quindi dal 2023, però, è stato lo stesso Profumo a proporgli un compenso – accettato – da circa 300 mila euro per un impegno a tempo pieno. Cifra decisamente alta, in linea con quella di un manager d’azienda con responsabilità apicali. Cifra, del resto, in linea con quella che percepisce sempre da un incubatore di Leonardo anche un altro esponente del vecchio Pci, amico di Violante ed ex ministro dell’Interno, Marco Minniti.
Nel 2021, infatti, Profumo ha creato un’altra fondazione che fa capo al colosso delle armi controllata dal ministero dell’Economia: Med-Or, che si occupa di intelligence e geopolitica dei paesi che affacciano sul Mediterraneo e del Medio Oriente. A presiederla ha chiamato proprio Minniti in qualità di esperto di sicurezza nazionale e lui, per diventarne presidente a circa 300 mila euro l’anno, a febbraio 2021 l’ex ministro ha lasciato il Pd e il parlamento.
COSA FA
La fondazione Civiltà delle Macchine, con i suoi 3 milioni di bilancio, è un perfetto ingranaggio inserito nella patinata vetrina di Leonardo. La fondazione si occupa di progetti di sviluppo e in questa fase sta investendo moltissimo sulla transizione digitale e sull’intelligenza artificiale, che sono anche il tassello fondamentale per il Pnrr.
A voler riassumere gli obiettivi in uno slogan spesso usato da Violante, la fondazione si occupa di promuovere «l’umanesimo digitale». In pratica, si traduce in una fitta attività di convegnistica a partire da quattro settori chiave: mare, con progetti in collaborazione con la Marina militare; agricoltura e sicurezza alimentare e spazio. Accanto a questo, la fondazione è impegnatissima nel valorizzare l’attività della società madre, Leonardo Spa: da attività con partner museali per «valorizzare il patrimonio storico di Leonardo» a iniziative in giro per l’Italia per «rendere percepibile la capacità di Leonardo di generare valore sociale».
Fiore all’occhiello, però, è la rivista “Civiltà delle macchine”. Fondata nel 1953 da Leonardo Sinisgalli dentro Finmeccanica e chiusa nel 1979, nel 2019 è tornata su carta in forma di trimestrale. Dal 2020 al 2021, direttore è stato Antonio Funiciello, che ha poi lasciato per diventare capo di gabinetto di Mario Draghi e lo ha sostituito l’ex giornalista Mediaset Marco Ferrante. La rivista può permettersi addirittura due direttori: a capo della parte online, infatti, c’è l’opinionista di riferimento del mondo conservatore Pietrangelo Buttafuoco, il cui nome è girato vorticosamente come volto amico del governo da portare in Rai.
La fondazione, infatti, ha fatto da incubatore per una quota di personale tecnico che ha ruotato intorno agli ultimi governi. Sotto l’ala di Violante, infatti, è transitato anche il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, di area leghista ma sostenuto da tutti e tre i partiti. Al momento dell’elezione il suo tratto biografico più noto, dopo quello di avvocato del governatore del Veneto Luca Zaia, era il suo ruolo di membro del comitato scientifico della fondazione Leonardo.
Tutto questo, per un bilancio complessivo che risulta a Domani essere di circa 3 milioni di euro: tanti o pochi – soprattutto se ben spesi – a seconda delle prospettive. Certo è che le informazioni sono ben custodite. Dal fascicolo “Domande e risposte” fornito a maggio 2022 all’assemblea degli azionisti di Leonardo, infatti, risulta che il fondo in dotazione fino a quel momento assegnato alla fondazione è stato di 120mila euro (il minimo necessario per il riconoscimento della personalità giuridica) e che le principali voci di bilancio sono «costo del personale e costi per servizi». Il bilancio completo, però, non viene pubblicato sul sito della fondazione. Secondo gli obblighi normativi, il suo deposito avviene annualmente presso la prefettura competente.
Se il compenso dei due presidenti Minniti e Violante si equivale, il budget dei due think-tank paralleli – uno proiettato verso l’interno e uno verso l’estero – è invece differente. Risulta a Domani, infatti, che Med-or abbia un bilancio da circa 5 milioni di euro per favorire le relazioni internazionali italiane e «il dialogo costruttivo tra paesi, culture e sistemi economici». Circa 8 milioni in tutto, sommando le due fondazioni.
(da editorialedomani.it)

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IL PONTE SULLO STRETTO E’ SENZA SOLDI MA SALVINI PROMETTE 100.000 POSTI DI LAVORO

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

COSTI AUMENTATI DEL 64%, AUTORIZZAZIONI CHE MANCANO, SOLDI CHE NON CI SONO: MA L’IMPORTANTE E’ RACCONTARE BALLE

Il Senato ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto Ponte sullo Stretto, con 103 voti favorevoli, 49 contrari e 3 astenuti. La norma riavvia ufficialmente le attività di programmazione e progettazione del cavallo di battaglia della destra italiana.
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, raccogliendo l’eredità ideologica di Silvio Berlusconi, ha annunciato entusiasta l’avvio dei cantieri entro l’estate del 2024, 6 miliardi di risparmi per i siciliani e i calabresi e centomila nuovi posti di lavoro.
Una sorta di via di mezzo tra i 120mila promessi dal leader del Carroccio dopo la vittoria elettorale e «le decine di migliaia» annunciate lo scorso 17 marzo. Alle stime senza riscontro ha fatto seguito un vuoto: nessun accenno alla crescita dei costi dell’opera, lievitati in poco più di dieci anni del 63%, e tantomeno alle sue coperture finanziarie, sempre più avvolte dal mistero.
La legge approvata dal Parlamento ha rilanciato il progetto presentato nel 2011 da Eurolink: un ponte a campata centrale lungo 3.666 metri, dotato di sei corsie stradali e due binari ferroviari.
L’opera immaginata dal consorzio partecipato al 45% da Webuild di Pietro Salini è sprovvista di diverse autorizzazioni, come quella ambientale e paesaggistica, pertanto dovrà essere aggiornata, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica dei materiali da costruzione nell’ultimo decennio.
Nelle intenzioni del governo, ciò dovrebbe avvenire entro luglio 2024. Poco più di un anno per un lavoro delicato, su cui l’esecutivo non si è sbilanciato più di tanto, e intorno al quale potrebbe ruotare un traffico di risorse prelevabili tra le maglie di qualche ministero.
Nella legge è stato definito anche l’assetto della Stretto di Messina Spa, che conterà su un Consiglio d’amministrazione con 5 membri, di cui due designati dal governo e i restanti dalla Regione Calabria, dalla Regione Sicilia e dall’ANAS. La riattivazione della società chiusa dal governo Monti nel 2012 farà lievitare ulteriormente i costi del Ponte sullo Stretto a causa di diversi contenziosi aperti. In seguito alla decisione dell’esecutivo tecnico, il consorzio Eurolink vide sfumare i contratti con la società e per questo chiese danni per 700 milioni di euro. Altri 90 li ha richiesti Parsons, azienda statunitense tra le più importanti dell’ingegneria civile, per i progetti prodotti.
Ai danni si è aggiunta poi la beffa: anche la stessa Stretto di Messina Spa ha chiesto i danni, aprendo un contenzioso con lo Stato per una cifra pari a 325 milioni di euro. Cause in corso, su cui la riapertura dei contratti avrà di certo un impatto.
Negli anni, i costi per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina sono sempre aumentati, complici i lavori di aggiornamento, l’introduzione di nuove tecnologie, il funzionamento della macchina burocratica e l’aumento dei prezzi delle materie prime.
Nel 2011, la Corte dei Conti stimava una spesa pari a 6,3 miliardi di euro, passata a 8,5 l’anno seguente. A distanza di un decennio, si prevedono costi per 14,5 miliardi di euro. Stime ancora non del tutto chiare, che vengono corrette al rialzo settimana dopo settimana. Durante la conversione in legge del decreto è stato aggiunto un emendamento che destina 7 milioni di euro alla campagna pubblicitaria del ponte. «Questo emendamento è il simbolo della filosofia della propaganda del Ponte sullo Stretto di Messina, ovvero la mangiatoia di soldi pubblici dello Stato per sostenere un’opera che non ha un piano tecnico economico di fattibilità», ha commentato il portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli.
Ad oggi infatti, come ribadito dall’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def), non esistono coperture finanziarie disponibili. Il problema è stato rimandato alla prossima legge di bilancio, guadagnando tempo per condurre un’utile campagna elettorale in concomitanza delle amministrative (domenica i Comuni al ballottaggio si recheranno nuovamente alle urne).
Nel Def emerge che “al finanziamento dell’opera si intende provvedere” tramite le risorse della Calabria e della Sicilia, messe a disposizione dai Fondi per lo Sviluppo e la Coesione europei; soldi a debito, “con priorità a finanziatori istituzionali come la Banca europea degli investimenti”; sovvenzioni europee.
Secondo fonti del Ministero dei Trasporti, l’Unione europea sarebbe disposta ad aiutare l’Italia, andando a coprire il 50% dei costi per l’aggiornamento degli studi sull’impatto ambientale dell’opera. Una spesa contenuta, su cui Bruxelles ancora non si è espressa ufficialmente. A Palazzo Chigi attendevano segnali in occasione delle raccomandazioni di primavera, giunte ieri a Roma. Nulla da fare però: le attenzioni della Commissione europea si sono concentrate sul contenimento della spesa primaria netta, sulla cancellazione degli aiuti legati ai rincari energetici e sul superamento delle concessioni balneari.
(da lindipendente.online)

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IL TRIBUNALE DI VERONA HA DICHIARATO IL FALLIMENTO DELLA PALUANI, STORICA AZIENDA DOLCIARIA: LA SOCIETÀ DELLA FAMIGLIA CAMPEDELLI AVEVA ACCUMULATO 82 MILIONI DI DEBITI

Maggio 26th, 2023 Riccardo Fucile

A PESARE, OLTRE ALLA CRISI LEGATA AL COVID, È STATA ANCHE L’ESPOSIZIONE MILIONARIA NEI CONFRONTI DEL CHIEVO CALCIO, IL CLUB CHE LUCA CAMPEDELLI HA GESTITO FINO AL 2021

Il tribunale di Verona ha dichiarato il fallimento di Paluani spa, la storica azienda dolciaria di Dossobuono, protagonista di un celebre spot natalizio. Il gruppo, noto per la produzione di pandori, panettoni e colombe, nel 2022 aveva ceduto le attività produttive a Sperlari, che fa capo al gruppo dolciario tedesco Katjes International.
Negli anni l’azienda è stata travolta da una serie difficoltà finanziarie che l’hanno portata a cedere le sue attività per un valore di 7,6 milioni di euro a Sperlari in un’asta organizzata dal tribunale lo scorso anno. Il tribunale è arrivato alla decisione di dichiarare il fallimento avendo revocato l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
All’azienda sono state contestate «assai contenute percentuali di soddisfacimento dei creditori in conseguenza del fatto che a fronte di un ammontare complessivo di quasi 82 milioni di euro, la somma che si mette a disposizione è di soli 815.660 euro».
Tra i fattori che hanno determinato la crisi di Paluani ci sono anche le esposizioni nei confronti del Chievo Calcio, fallito un anno fa. L’azienda dolciaria nel 2021 aveva detto di vantare nei confronti della società calcistica crediti per 3,5 milioni a titolo di finanziamento soci e di «aver prestato fideiussioni per circa 11,7 milioni», al Chievo, «su un’esposizione debitoria che al 19 ottobre 2021 risulta pari a 6,9 milioni».
Secondo Paluani il concordato avrebbe dovuto essere lo «strumento per interrompere i rapporti infragruppo e focalizzare la società sul suo core business».
La fine dell’avventura del Chievo ha avuto pesanti ricadute sull’azienda. La società non è riuscita a reggere l’urto della pandemia che ha visto crollare gli introiti televisivi e soprattutto degli stadi. Nell’agosto 2021 è stata esclusa dai campionati professionistici, e pertanto dalla serie B, per inadempienze tributarie.
(da agenzie)

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