Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
SE NE VANNO AL RITMO DI DUE A SETTIMANA… ASSUNTI PER CONCORSO NEL GENNAIO 2022, SI DIMETTONO PERCHÉ SONO RIMASTI PRECARI (CON UNO STIPENDIO DI 50 MILA EURO LORDI L’ANNO). FITTO HA DETTO CHE UN DECRETO LI HA STABILIZZATI, MA IN REALTA’ I MINISTERI NON HANNO I FONDI PER I CONTRATTI
«Eravamo in 500, ora siamo sotto i 400 e se ne vanno almeno due a settimana». I super esperti del Pnrr, i “Draghi boys”, il cervellone umano del Piano, quelli che monitorano gli avanzamenti dei progetti, eseguono i controlli di gestione e poi schiacciano il pulsante del sistema Regis per erogare i famosi soldi da spendere, stanno mollando.
Voluti da Draghi, entrati per concorso, quello dell’ottobre 2021 (34 mila candidati, 17 mila alla prova scritta), in servizio dal gennaio 2022. Per lo più giovani, laureati, qualificati, formati, collocati in tutti i ministeri e alla presidenza del Consiglio: giuristi, economisti, statistici, informatici, ingegneri. Si dimettono perché precari, il loro contratto scade con il Pnrr nel 2026, non vedono prospettive.
Chi resta accusa il ministro Fitto di mentire: «È andato a dire in Parlamento il 26 aprile che ci aveva stabilizzato, dopo le critiche della Corte dei Conti: vero sulla carta, falso nella realtà», dicono in molti, anonimi in questa fase, ma pronti a una clamorosa protesta in piazza davanti a Palazzo Chigi.
«Nel decreto 13, il “Pnrr 3”, non ha stanziato soldi. E senza risorse le amministrazioni possono procedere solo se hanno “tesoretti” di budget e spazi nelle dotazioni organiche, visto che noi siamo un “soprannumero”. Quasi tutte non ce l’hanno».
Anche i funzionari sanno che le tensioni tra i “500” o quel che ne rimane sono crescenti. E vanno gestite assieme alle pressioni del governo in ritardo con l’Europa sulla terza e sulla quarta rata del Piano. Ballano miliardi. Ma ballano anche posti di lavoro e professionalità.
Su 1.534 candidati risultati idonei al concorso del 2021 per i 500 posti, oltre la metà ha rinunciato alla chiamata, puntando su altri posti a tempo indeterminato o determinato ma più vicino a casa. Oppure si è dimesso subito dopo aver preso servizio. Parliamo di 798 rinunce o dimissioni su 1.534: il 52%.
Le tre graduatorie di economisti, statistici e ingegneri si sono esaurite in meno di un mese. In quella giuridica hanno chiamato già 793 idonei su 974. Visto che i posti banditi nell’area giuridica erano 125 significa che i buchi vengono coperti a prescindere dalle competenze: ingegneri e statistici soppiantati da esperti di legge. Questo passa il convento. E tra un po’ neanche questo.
Sin dall’inizio si era capito che questa faccenda dei professionisti assunti a tempo e pagati 50 mila euro lordi, anziché i 100 mila dati ai consulenti, sarebbe stato un grosso intoppo per il Pnrr.
L’allora ministro dell’Economia Franco l’aveva detto in Parlamento alla fine di febbraio dell’anno scorso: «Bisogna rendere più attrattive queste posizioni». A concorso appena chiuso, gennaio 2022, avevano risposto in 383 su 500, poi rimpiazzati dagli idonei. A dicembre 2022 la Corte dei Conti ne contava 366.
Ci aveva pensato il ministro Brunetta con il decreto 115 del 2022 a fissare nel primo gennaio 2027 la data della stabilizzazione, ma senza risorse extra. Il ministro Fitto ora anticipa al primo marzo 2023, ma ancora non mette soldi.
(da La Repubblica)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
SANCHEZ HA RECEPITO IL MESSAGGIO PORTANDO IL PAESE AD ELEZIONI ANTICIPATE: DECIDANO GLI SPAGNOLI DEL LORO FUTURO
Per i socialisti spagnoli, si scrive sui giornali, è stata una notte “aciaga”, infausta. Ed effettivamente la tornata amministrativa parziale in Spagna che vedeva al voto città preminenti come Madrid, Siviglia, Malaga, Barcellona e alcune regioni come la Castilla, hanno dato risultati in chiaroscuro.
Si ripropone un nuovo bipolarismo e Psoe e Pp ridiventano partiti cardine del sistema democratico spagnolo. Le elezioni locali in questo caso hanno rovesciato una tendenza nazionale che vedeva i socialisti di Pedro Sanchez primeggiare in tutti i sondaggi, la stabilità politica unita a buone intuizioni sul piano politico-economico davano la sensazione che la socialdemocrazia in salsa iberica contenesse l’avanzata generalizzata delle destre in Europa.
La sconfitta in alcune aree tradizionalmente legate al Psoe, l’Andalusia su tutte, la secca battuta d’arresto a Madrid, ripropone il Partito Popolare come reale alternativa di governo per le elezioni che Sanchez ha voluto anticipare di sei mesi.
Il voto parziale sembra anche gettare la parola fine o crisi sui movimenti alternativi al bipartitismo spagnolo che avevano insidiato le due grandi tradizionali forze politiche.
I movimentisti di sinistra divenuti partito di governo di Podemos e i centristi liberali di Ciudadanos pagano il prezzo alla ritrovata stabilità iberica, segno che le novità quando non hanno radici e non sono in grado di mantenere lo stesso spirito primordiale della contestazione anti-politica sono destinati al lento declino.
Podemos riduce di netto la sua rappresentanza nei consigli comunali e ha subìto la crescente affermazione di Yolanda Diaz, il ministro del Lavoro che ha dato vita a una propria formazione politica, Sumar, che di fatto ha affievolito il vento delle vele di Podemos.
Quello che era considerato un fiore all’occhiello del movimentismo di sinistra nei primi dieci anni del secolo, ovvero Barcellona e la sua sindaca Ada Colau, deve registrare una battuta d’arresto.
Regge ma arriva solo terza dopo il candidato socialista e soprattutto dopo Xavier Trias, il vecchio sindaco conservatore e indipendentista che “vince” le elezioni ma non potrà avere numeri sufficienti per governare la capitale della Catalogna, la città che gli indipendentisti non riescono a conquistare del tutto.
Semmai la crisi delle formazioni che avevano lanciato il guanto di sfida a Madrid, indicano lo stallo del “processo” separatista, pronto a riemergere nel caso del ritorno della destra al potere in Spagna.
È nella regione turbolenta e contesa che i socialisti si prendono grandi soddisfazioni e pongono un argine sia ai popolari sia verso gli indipendentisti. Sanchez deve al “cinturon rojo” ovvero alla tradizione amministrativa del socialismo catalano la sua unica ragione per non considerare questo turno elettorale più che un segnale d’allarme.
Il paese cresce, non a un ritmo vertiginoso, ma è ritornato a correre. Misure sociali compatibili con il bilancio dello Stato hanno raggiunto milioni di spagnoli, la pandemia è stata gestita con giudizio e la propria posizione, ferma, in Europa e sullo scenario internazionale, ha nuovamente reso la Spagna protagonista.
Eppure la destra fa un balzo in avanti, riemerge addirittura una formazione di estrema destra, Vox l’alleata naturale di Giorgia Meloni, che conquista uno spazio di rilievo e sarà stampella del PP in molte amministrazioni.
È presto per fasciarsi la testa, sono pur sempre elezioni parziali e locali, ma il vento conservatore e in alcuni casi reazionario è tornato a soffiare, non è sbagliato preoccuparsene. Infatti Pedro Sanchez si è dimostrato solerte, ha recepito il messaggio ed è corso ai ripari. Decidano gli spagnoli del loro futuro.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
E IL “CANE SCIOLTO” BANDECCHI TRIONFA A TERNI
Si sono chiuse alle 15 le urne per la seconda tornata delle
elezioni comunali di questa primavera. E nell’arco di un’ora e mezza i risultati sono stati chiari: il risultato più clamoroso è quello di Ancona, dove – invertendo una tradizione più che consolidata – vince il candidato di centrodestra Daniele Silvetti con il 51,7% dei voti.
Ma la destra vince anche a Massa, Pisa, Siena e Brindisi mentre il centrosinistra vince solo a Vicenza, se si guarda ai soli 7 capoluoghi al ballottaggio.
Complessivamente hanno votato 41 comuni in Regioni a statuto ordinario, oltre a 128 comuni in Sicilia (incluse Siracusa, Ragusa, Trapani e Catania) e 39 in Sardegna. L’affluenza è stata complessivamente molto bassa e si è fermata in media al 51,2%. Ieri sera alle 23 era stata del 37,5%.
Le sfide erano interessanti, alcune anche con qualche piccola valenza generale: Ancona è probabilmente quella che sorprende di più. La storica amministrazione di centrosinistra – la candidata era Ida Simonella, ex assessore – è stata “espugnata” da Daniele Silvetti. Proprio ad Ancona la premier Giorgia Meloni ha spinto la campagna elettorale, partecipando personalmente alla campagna elettorale.
L’unica città che passa dalla destra alla sinistra è Vicenza: il sindaco uscente, Francesco Rucco, al primo turno era già stato superato dal giovane Giacomo Possamai che poi ha vinto con il 50,5% degli scrutini. Non hanno riservato sorprese i tre capoluoghi toscani.
A Pisa il sindaco uscente Michele Conti al primo turno si era fermato ad un soffio dalla riconferma ed è poi riuscito a confermare la vittoria. Massa e Siena erano più in bilico.
C’è poi la particolarità di Terni, comune piccolo per carità, ma dove l’outsider Stefano Bandecchi è riuscito a smentire i pronostici e piazzarsi ai ballottaggi, per poi vincere. A Brindisi il candidato di centrodestra, Pino Marchionna, era dato per favorito ed ha confermato i pronostici.
Gli exit poll in Sicilia
Sono 128 i Comuni siciliani chiamati a rinnovare i Consigli comunali. Di questi, solo 15 centri superano i 15 mila abitanti: nel caso in cui nessuno dei candidati ottenga la maggioranza, i ballottaggi si celebreranno l’11 e il 12 giugno. A Catania, secondo gli exit poll di Noto sondaggi è in vantaggio Enrico Tarantino, del centrodestra, in un range di consensi che va dal 56% al 60%. Centrodestra in vantaggio anche a Trapani, con Maurizio Miceli, tra il 42% e il 46%. Partita aperta a Siracusa, mentre a Ragusa appare netta la vittoria del sindaco uscente, il civico Giuseppe Cassì
L’affluenza complessiva
In calo l’affluenza complessiva nei comuni al voto. Il dato medio quando i dati arrivati sono 842 su 1.595, è in calo di otto punti rispetto al primo turno: 51,19% contro il 59,47% di due settimane fa. In Sardegna, dove si vota per 171 comuni, l’affluenza è al 66,62% mentre mancano ancora i dati sulla Sardegna.
(da Open)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
L’EX DIRETTORE: “LA LOTTIZZAZIONE C’E’ SEMPRE STATA MA ORA C’E’ IL TENTATIVO DI TRASPORMARE IL SERVIZIO PUBBLICO IN UN SERVIZIO PRIVATO”
La cifra della destra meloniana? «Disporre e imporre». Per Carlo Rossella giornalista, già direttore del Tg1, del Tg5 e molto altro ancora, con «questo governo non si può lavorare, meglio lasciare e andarsene, anche io lo avrei fatto, mi sarei dimesso».
Scusi Rossella, quindi hanno fatto bene Fabio Fazio ad andarsene e Lucia Annunziata a sbattere la porta dicendo che così «non ci sono più le condizioni per lavorare»…
«Si certo, questo è un regime, come fai a lavorare con un regime…».
Come regime, è un governo votato dai cittadini e anche nel passato il centrodestra ha governato?
«Ma questo è un governo di destra-destra. La Rai di Meloni non è paragonabile a quella del passato, e bene hanno fatto Fazio e Annunziata ad andarsene. Quel tipo di lavoro si può fare con un governo di centro-sinistra dove c’è libertà, non con loro. Lo dice uno che l’ha fatto con il centrosinistra e sa di cosa parlo, con Letizia Moratti presidente e con Romano Prodi presidente del Consiglio»
Sarà anche diverso ma la lottizzazione è parte integrante della storia della Rai…
«Sì, ma il motto di questa destra è quello di disporre e imporre. E in un contesto così non si può lavorare, ha ragione Lucia Annunziata non ci sono le condizioni».
Ma l’ex ministro della Difesa di Forza Italia, Cesare Previti diceva «se vinciamo non faremo prigionieri», eppoi mica si può dimenticare l’editto bulgaro di Berlusconi…
«Non è paragonabile quello che succedeva ieri con quello che accade oggi. Mi viene da dire che questa destra, forse, non conosce bene la Bulgaria come la conoscevano altri. Quell’editto bulgaro rispetto a quello che succede ora è acqua di rose. E poi, quali prigionieri di Previti, Silvio Berlusconi semmai voleva spalancarle le carceri…»
Vuole dire che c’è una differenza tra lottizzazione e lottizzati? Che quelli di oggi sono diversi da quelli di ieri, ma pur sempre lottizzati erano o non è così?
«Ma questa è una lottizzazione selvaggia, che non ha eguali. La Rai è vero che è da sempre la patria dei lottizzati ma nel passato la qualità era migliore, era una lottizzazione più benevola, ma così come la vediamo in queste settimane io non l’avevo mai vista e spero di non vederla più. Quando dirigevo il Tg1 avevo una squadra di super professionisti: da Massimo De Strobel a Lilli Gruber, contraltari alla direzione ma di grande qualità con i quali si discuteva e si trovava sempre una sintesi editoriale autorevole».
Le nomine appena fatte, invece, non vanno in quella direzione?
«Dico solo che la redazione del Tg1 non è una redazione facile, che è sempre stata una redazione libera, e che ha sempre difesa all’arma bianca la sua autonomia».
Ma metti uno lì e caccia un altro di qua, il rischio per la Rai è di perdere la propria centralità
«Sì, e anche la sua missione di servizio pubblico che è quella di rendere conto a tutti i cittadini che la finanziano con il canone di cosa fa con i lor soldi, quali programmi realizza e con chi li realizza. Io non voglio che con i soldi del mio canone la Rai finanzi le campagne elettorali di Giorgia Meloni e della destra e risponda solo a una parte».
Ma non è detto che questo accada. E comunque bisogna dar tempo alla nuova dirigenza di avviare delle scelte, guardare i risultati e poi formulare un giudizio: sono solo dieci giorni che si sono insediati al vertice di viale Mazzini…
«Ma il giudizio è semplice, da queste prime nomine si evince che si sta cercando di trasformare il servizio pubblico in un servizio privato. E il servizio privato non risponde ai cittadini ma a una sola parte che in questo caso è la destra la cui cifra si può riassumere in questo slogan: posso, voglio, comando».
Una deriva pericolosa a sentirla…
«Pericolosa? Siamo già oltre la deriva sovranista e purtroppo una Rai in mano a un regime come quello della Meloni è davvero messa male».
Sul fonte del pluralismo o su quello del mercato?
«Su entrambi. Oggi non c’è più il monopolio e la Rai per restare nel mercato deve confrontarsi con competitor agguerriti e sempre più globali. Questo significa che se perde una serie di professionisti di valore come sta accadendo rischia di perdere in fretta anche il suo pubblico, il suo patrimonio di ascolti e una fetta importante dei suoi ricavi da pubblicità. Indebolendosi viene meno, naturalmente, la sua centralità nel panorama editoriale e questo decreterebbe la fine della sua storia».
E secondo lei l’uscita di Lucia Annunziata e di Fabio Fazio possono costituire una perdita così importante per il servizio pubblico?
«Si tratta di due grandi professionisti. Per giunta costretti ad andarsene. Due personaggi molto popolari per milioni di italiani, un danno vero di immagine per l’azienda. La Rai perde molto con la loro assenza in video. Le loro trasmissioni non potranno essere sostituite facilmente: da un lato chiude un pezzo di Raitre e dall’altro viene meno un appuntamento importante, familiare per il pubblico».
(da La Stampa)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL DIRETTORE DELLA RIVISTA DOMINO: “HA VINTO PERCHE’ RACCONTA UN SOGNO AI TURCHI: QUELLO DI ESSERE UNA GRANDE POTENZA”
Recep Tayyip Erdogan è stato rieletto presidente della Turchia
per la terza volta con il 52,1% dei voti. A uscire sconfitto è invece il suo sfidante Kemal Kilicdaroglu, leader dell’opposizione.
Ma cosa ha permesso al presidente turco di riaffermarsi anche questa volta alle urne? «Erdogan si è imposto perché racconta un sogno ai Turchi: quello di essere una grande potenza», spiega il direttore della rivista Domino, Dario Fabbri.
E per raccontare questo sogno, il leader di Ankara ha adottato soprattutto una strategia: presentarsi come l’uomo che osa andare contro l’Occidente.
Al netto della vittoria, però, Erdogan si ritrova ora a governare un Paese diviso e che prima o poi dovrà fare i conti con la realtà. «La Turchia è un Paese stanco: si è esposta su troppi dossier e ora vorrebbe solo un po’ di respiro e un po’ di soldi – ragiona Fabbri -. I grandi sogni imperiali della Turchia sono vivi ma sono molto velleitari, perché mancano forza economica e volontà popolare».
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
E IRONIZZA ANCHE SULLA MELONI: “COME FAI A ESSERE AMICA DI BIDEN E AL TEMPO STESSO DELL’IDEOLOGO DI TRUMP?”
Il monologo di congedo di Luciana Littizzetto su Rai 3 non è privo di battute – e polemiche – incentrate sull’addio alla Rai. Dopo una serie di sketch sull’arredo dello studio, «da vendere su Ebay» o donare ad «Antonella Clerici», la comica torinese scherza sulle ferie che si dovrà concedere il conduttore, Fabio Fazio. Passa in rassegna alcuni volti noti del servizio pubblico, come Mara Venier – protagonista negli scorsi giorni di una gaffe sul vibratore – e poi sfida Fazio: «Apriamo la pagina politica?». E lui: «Stasera puoi fare quello che vuoi». Si parte allora dal G7 di Hiroshima, «con l’abbiocco di Joe Biden», con il quale «Er Meloni» parrebbe aver «iniziato una relazione». Un po’ «nonno di Heidi e Heidi», un po’ con la presidente del Consiglio a fare «da badante» al presidente degli Stati Uniti. Dopo la foto della leader di Fratelli d’Italia e Biden, Littizzetto fa mostrare dalla regia gli scatti di Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron e Meloni e Xi Jinping. Poi arriva lo scatto che la vede accanto a Justin Trudeau: «Qui le stava dicendo che era preoccupato per i diritti lgbt in Italia e lei ha fatto una faccia…». Mentre, «nella foto con l’ideologo di Donald Trump, vedi con che passione lo guardava?». La comica si domanda: «Come fai a essere così amica di Biden e, insieme, dell’ideologo di Trump?».
E in chiusura, la classica letterina, «indirizzata a Viale Mazzini». Esordisce: «Cara Rai, tu che sei partita con un canale e adesso ne hai più di Venezia. Tu che hai Tg1, Tg2 e, per ora, anche il Tg3. Tu che non hai più l’Annunziata. Eccoci arrivati alla fine della nostra relazione. Abbiamo retto a sette governi. Sono stati anni proprio belli, di allegria, fatica, grandi ascolti, ospiti importanti. Ogni anno pestavamo qualche merdone e ci spostavi di canale, ma abbiamo resistito: soprattutto grazie ai nostri milioni di spettatori che ci vogliono bene. Cara Rai, tu per me non sei la parte politica di turno che ti governa, tu sei Enzo Biagi, Mike Bongiorno, Piero e Alberto Angela, Pippo Baudo, Renzo Arbore, la mia amata Raffaella – e l’elenco continua -. Mi lasci ricordi straordinari, e pure sto pirla di Fabio, che mi dovrò portare “alla prova del Nove”. Grazie a Fabio per tutti questi anni insieme. L’unico presentatore che se fa pessimi risultati gli danno addosso, e che se ne fa di ottimi gli danno addosso il doppio. Cara Rai, restiamo amici, chissà se un giorno ci ritroveremo, in un’Italia diversa, dove la libertà venga rispettata. In un’Italia dove un ministro non si preoccupa di quello che fa un saltimbanco. Non ti dimenticare che il servizio pubblico è di tutti, di chi governa e di chi pensa il contrario». Infine, la stoccata a Salvini: «P.s. Bello ciao».
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
TRENTO LA MIGLIORE PER GLI OVER 65
Quali sono le città italiane in cui si vive meglio? Per i bambini,
Siena. I giovani, Ravenna. Per gli anziani, Trento. È quanto emerge dalla terza edizione dell’indagine sulla Qualità della vita, presentata ieri al Festival dell’Economia di Trento. La classifica – riportata oggi dal Sole 24 Ore – misura i servizi e le opportunità offerte dai vari territori in base alle esigenze specifiche di tre fasce d’età. Ogni città viene valutata sulla base di 36 indicatori, ognuno dei quali riceve un punteggio da 0 a 1000. La classifica finale non è altro che il risultato della media dei punteggi conseguiti. Nel caso dei bambini, per esempio, si tiene conto della retta media della mensa scolastica, la spesa pro capite dei Comuni per i servizi sociali per famiglie e minori, le competenze dei ragazzi di terza media e così via.
I giovani scappano dalle grandi città
Prendendo in considerazione il punteggio relativo ai servizi per i più piccoli, uno dei fenomeni che emergono con più chiarezza dall’indagine è il profondo divario tra le diverse zone d’Italia. Nelle prime 50 città classificate, 4 sono al Sud, 13 sono al Centro e le restanti 33 sono al Nord. Siena, la prima città classificata, è seconda in Italia per numero di pediatri attivi ogni mille abitanti sotto i 15 anni. Per quanto riguarda la classifica dei servizi riservati agli under 35, c’è un trend che spicca su tutti gli altri: l’insoddisfazione dei giovani che vivono nelle grandi città.
Le province minori
«I giovani tra i 20 e i 34 anni sono più soddisfatti nelle province minori: nessuna città metropolitana si trova nelle prime 20 posizioni della graduatoria legata a questo parametro», sottolinea Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne. Delle 107 città prese in esame, nove città metropolitane si collocano negli ultimi 30 posti della classifica. È il caso di Napoli (105ª), Palermo, (101ª), Bari (88ª), Torino (83ª) e Milano (79ª). A pesare sono soprattutto i canoni d’affitto inaccessibili, come dimostrato anche dalle crescenti proteste universitarie delle ultime settimane. A svettare nella classifica degli under 35 è Ravenna, che punta – tra le altre cose – sull’offerta culturale: nel 2021 la città ha organizzato 75,2 concerti ogni 10mila abitanti under 35.
Il confronto con il 2022
Per quanto riguarda i più anziani, a stimare l’indice di benessere contribuiscono alcuni parametri come i posti letto nelle Rsa o l’«indice di solitudine», che misura l’incidenza dei nuclei unifamiliari composti da persone sole over 65. Un indice che tocca il record in tre città: Aosta, Milano e Roma. Il confronto di tutte queste classifiche con i dati dell’edizione 2022 svela alcuni trend. Per esempio, calano medici e infermieri ma aumenta il numero di pediatri (+1,8%) e di geriatri. Si riduce la disoccupazione giovanile e il numero di Neet, ma sale il consumo di farmaci antidepressivi, in particolare tra i più anziani. Un trend che riguarda soprattutto le regioni del Sud, dove – avverte Antonella Levante, ad di Iqvia Italia – «l’educazione alla prevenzione è ancora carente».
(da Open)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
L’IPOTESI DEGLI INVESTIGATORI E’ CHE POSSA ESSERSI TRATTATO DI UN ERRORE TECNICO, ANCHE SE A MOLTI HA RICORDATO L’OPERA DELL’ARTISTA ARGENTINO NICOLÁS GARCÍA URIBURU
Erano le 8.50 del mattino quando il Canal Grande a Venezia, all’altezza del Ponte di Rialto, ha cambiato colore. Una macchia verde fosforescente si è ampliata velocemente. I primi indiziati sono stati gli ambientalisti e gli artisti. Invece no, col tempo ha preso piede l’ipotesi dell’incidente.
Qualcuno che cercava di capire l’origine di una perdita. Infatti la sostanza che ha colorato il Canal Grande è un tracciante che si usa per comprendere il tragitto di un flusso nelle condotte, siano esse in pressione o scarichi di reflui civili. Vien da pensare ad un errore di dosaggio ma il questore, dopo aver parlato con il comandante dei vigili del fuoco, ha spiegato: «Pare basti una piccola quantità per determinare delle colorazioni molto forti».
Il mistero al momento però resta. È stato un gesto consapevole, con finalità artistiche o politiche, oppure inconsapevole? L’autore rischia il procurato allarme? Il questore è prudente: «La valutazione del reato si fa poi con tutti gli elementi in mano. Indaga la Digos, che controllerà anche i filmati di tutte le telecamere».
Entro oggi grazie alle maree, il colore verde dovrebbe sparire. Comunque, «rivendicazioni zero», assicura il Masciopinto. Smentite invece sì, son fischiate le orecchie ai giovani di «Extinction Rebellion» che sono intervenuti per smarcarsi. Il precedente storico c’è, proprio a Venezia, durante la Biennale del 1968, l’artista di Buenos Aires, Nicolás García Uriburu, colorò di verde il Canal Grande cono un pigmento che rendeva fosforescente i microorganismi acquatici.
(da Il Corriere della Sera)
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Maggio 29th, 2023 Riccardo Fucile
VOGLIONO LIBERARE IL PAESE DA PUTIN
I “partigiani” russi protagonisti di azioni di sabotaggio nei
territori di Vladimir Putin hanno attaccato il 22 maggio Belgorod entrando dall’Ucraina. È stata la loro azione più spettacolare. Ma non sarà l’unica. Ieri il ministero della Difesa russo ha fatto sapere di aver colpito un centro in cui si trovano “mercenari stranieri” proprio in quella regione di confine.
Ma intanto nel pomeriggio il villaggio di Novaya Tavolzhanka è stato colpito dal fuoco. Non ci sono state vittime ma frammenti di granate hanno danneggiato un gasdotto e una linea di trasmissione elettrica, case private, facciate, finestre. Tra di loro si chiamano proprio così: “partigiani”. Le incursioni non sono finite. Anzi, si moltiplicheranno nei prossimi giorni. Oggi alcuni di loro si raccontano in una videointervista a La Stampa.
I partigiani russi dicono di far parte di una cellula di una rete che opera nelle regioni di confine tra Russia e Ucraina. Molti di loro hanno fatto il servizio militare ma nessuno è stato mercenario. Anche se dicono che tra di loro ci sono persone con esperienze di combattimento. L’addestramento si svolge soltanto ed esclusivamente nella pratica. «La nostra cellula si è formata a partire da un insieme di persone che erano contro il regime di Putin già prima della guerra su vasta scala. Ciascuno di noi ha i propri conti da saldare con questo regime. Ci sono persone di opinioni diverse, siamo per lo più di destra, ma tra noi ci sono anche liberali. Le opposizioni di ogni tipo in Russia sono state azzerate. Non possiamo più esprimere la nostra opinione in alcun modo, perché il dissenso è perseguibile per legge. E così, invece di protestare pacificamente, cosa che non ha portato ad alcun risultato, abbiamo deciso di imbracciare le armi».
Il rovesciamento del regime
Questa è la ragione per cui combattono: «Poi, molti di noi hanno anche parenti in Ucraina, il che aggiunge anche un’altra motivazione. Potremmo raccontare molto delle ragioni che ci spingono, ma in generale abbiamo un grande obiettivo: il rovesciamento del regime. E per come la vediamo noi, deve avvenire attraverso la sconfitta in guerra di Putin». Nei giorni scorsi il Cremlino ha espresso preoccupazione per la presenza di quelli che chiama sabotatori. L’intelligence di Kiev ha confermato che collabora con loro. Mentre qualche giorno fa Mosca ha fatto sapere di aver arrestato alcuni di loro che preparavano attacchi alle centrali nucleari. L’ipotesi dei russi è quella di schierare un maggior numero di forze sul confine con l’Ucraina per prevenire i loro attacchi.
I sabotaggi
Nel colloquio con Valentina Garkavenko e Letizia Torsello i partigiani russi promettono che i sabotaggi continueranno. «Fino a che punto siamo disposti ad arrivare dipenderà dalle risorse a disposizione. Per ora, non ne abbiamo moltissime, ma siamo riusciti a fare deragliare un treno, abbiamo distrutto una decina di binari ferroviari e spero che continueremo col sabotaggio dei treni. Abbiamo anche fatto saltare alcune sottostazioni elettriche e diversi uffici di registrazione e reclutamento militare. Il nostro lavoro va avanti», sostengono. E credono che «la guerra potrebbe trascinarsi a lungo, perché la riserva di mobilitazione in Russia è ampia e non abbiamo speranza di poter aizzare il popolo alla rivolta. Il nostro popolo russo è abbastanza inerte su questo fronte, nessuno si preoccupa particolarmente della politica internazionale».
Il manifesto di Cristchurch e l’accusa di essere nazisti
Il sito di giornalismo investigativo BellingCat racconta che uno di loro è stato arrestato dai servizi di sicurezza ucraini per aver diffuso il manifesto neonazista di Christchurch: «Non so cosa sia Christchurch e non ho nemmeno letto il suo manifesto. Abbiamo principalmente idee di destra, ma come ho detto raccogliamo persone di opinioni diverse. In linea di principio, il nostro scopo è un altro. Non abbiamo alcun tipo di ideologia, abbiamo sostanzialmente capito che dobbiamo unire i nostri sforzi perché l’obiettivo è troppo grande per noi, la nostra attività è troppo pericolosa per avere anche contrasti ideologici». Gli attentati di Christchurch sono avvenuti in Nuova Zelanda il 15 marzo 2019. Un terrorista chiamato Brenton Tarrant ha ucciso in diretta 50 persone in due distinti attacchi a istituti religiosi.
Freedom of Russia
I partigiani russi di Freedom of Russia e il Corpo dei volontari russi hanno annunciato in diversi messaggi su Telegram, anche con video, di aver lanciato dei raid al confine tra Russia e Ucraina e di aver messo le loro bandiere nelle località di Bezlyudovka, Churovichi e Lyubimovka, nelle regioni russe di Belgorod, Bryansk e Kursk. E hanno lanciato un appello: «Cittadini della Russia, siamo russi come voi. L’unica differenza è che non vogliamo più giustificare le azioni dei criminali al potere e vogliamo che la dittatura del Cremlino finisca. Le prime bandiere di una Russia libera all’alba sulle città liberate», scrivono. Nell’intervista a La Stampa si augurano l’unità del paese: «Speriamo che la Russia non finisca, non si smembri. Finirà il regime. Auguriamo il meglio alla nostra nazione, crediamo che dopo i momenti difficili, dopo la caduta del regime, come di solito accade con le dittature, ci aspetti qualcosa di meglio. In ogni caso, ora dobbiamo scegliere: o marcire lentamente o rischiare tutto».
(da Open)
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