Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA E’ GIA’ UNA JUGOSLAVIA SENZA BARICENTRO
Finita la grande santificazione del Cavaliere a reti unificate,
dell’uomo mondato di ogni peccato e della sua eredità politica mondata di ogni contraddizione – il centrodestra, creatura perfetta e compatta come una falange, ennesima reincarnazione dello spirito del ’94 – ecco il principio di realtà.
Il primo effetto pratico del dopo-Berlusconi va in scena in commissione lavoro al Senato, con la maggioranza che non riesce a far passare il pacchetto lavoro a causa proprio delle assenze di Forza Italia. Che col merito della questione c’entrano poco.
Insomma, non è una questione nobile, tutta politica. Accade che Claudio Lotito, il vulcanico patron della Lazio, non si presenta. Ed è per una mal celata rappresaglia personale: non si è sentito sostenuto sulle norme in materia di diritti televisivi che gli stavano a cuore.
Lo ha fatto anche sapere pronunciando, in modo piuttosto plateale nei corridoi di palazzo Madama, parole di fuoco verso Antonio Tajani, presidente pro-tempore. L’altro senatore assente, Dario Damiani, arriva invece con quindici minuti di ritardo, e non si capisce se si tratti solo di negligenza o di segnale politico, essendo molto vicino alla Ronzulli. Voi capite: c’è da trattare su organigrammi, posti, congresso, e chi gestirà la fase (i mitici “direttori”).
Sia come sia, è un segnale di scarsa tenuta, che rivela due cose.
La prima, di ordine generale, è quanto il governo dell’Aula rappresenti il vero punto debole della maggioranza. Che non è mai andata sotto per “trappoloni” dell’opposizione ma semmai per problemi interni, come nel celebre caso del partito del trolley che affossò il Def, per la prima volta nella storia, col governo costretto a correre ai ripari convocando un cdm di urgenza.
C’erano una volta i ministri dei Rapporti col Parlamento vigili come delle sentinelle, le telefonate di controllo, il lavorio preventivo prima che i malumori diventassero patatrac. La chiamavano “politica”.
La seconda è l’incognita del post-Berlusconi. E cioè quanto il percorso del “dopo” che parte col congresso, in assenza di una leadership che tenga assieme il tutto, sia foriera di una destabilizzazione della maggioranza.
Oggi è Lotito che minaccia sfracelli se non avrà un peso, domani sarà Caio, dopodomani sarà Sempronio imbufalito perché non è stato nominato in qualche ufficio di presidenza o coordinamento, Forza Italia è destinata a diventare una Jugoslavia senza baricentro.
Nessuno avrà la forza di aprire una crisi politica vera, perché se cade il governo, si va a casa, però al tempo stesso sono venuti meno i presupposti di una navigazione tranquilla. Il partito personale per eccellenza è destinato a diventare un crogiuolo di personalismi, che minano la coesione del tutto.
Fin qui, Forza Italia. Prima però, in mattinata, l’altro episodio riguarda la Lega, perché non è banale il parere favorevole al Mes dato dal capo di gabinetto del Tesoro ove viene certificato, nero su bianco, che il meccanismo è una specie di benedizione.
Non si tratta di una “manina” anonima, ma di un atto ufficiale su cui il ministro non prende le distanze, e dunque politicamente rilevante. Giorgetti dunque condivide l’atto che smentisce l’opinione in materia dell’altro corno della Lega, pronto infatti ad andare in Aula per affossarlo, ma soprattutto l’opinione della premier, nella cui contrarietà (per ora) al Mes si somma un’antica ostilità ideologica e un calcolo tattico tutto da dimostrare: utilizzare, nonostante i crescenti malumori europei, il dossier come arma di ricatto o di pressione nella trattativa sulle nuove regole di bilancio.
Morale della favola, non è peregrino pensare che, nell’impossibilità di perdere la faccia rinnegando ciò che si è sostenuto e di andare avanti senza che sembri un cedimento, per i prossimi mesi si risolverà ricorrendo alla più classica delle arti italiche: il rinvio, e poi si vede.
Altro che fascismo, semmai la giornata – dies signanda cum nigro lapillo (per il governo) – è la rappresentazione icastica del rischio anarchia, intesa come pasticcio permanente, assenza di un governo dell’Aula, nodi politici non sciolti, presupposti di implosione di Forza Italia.
E poi la Giustizia: anche qui da un lato i proclami ideologici nel nome di Berlusconi, dall’altro l’iter parlamentare accidentato con la Lega contraria alle intercettazioni, per dirne una. E poi il Pnrr dove ancora non arriva la terza rata ed è avvolto dalle nebbie il famoso negoziato con l’Europa. Se ci fosse un’opposizione degna di questo nome sarebbero guai seri, per fortuna per loro chi sta dall’altra parte, se andasse mai al governo, si scasserebbe sulla politica estera. Una polizza di sopravvivenza.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
TAJANI CERCA DI METTERCI UNA PEZZA
Nelle ore successive alla tempesta è tutta una gara a chi prova a minimizzare meglio: “Un semplice ritardo”, “un incidente di percorso”, “nessun problema politico”, “no alle dietrologie”.
Ma dietro le frasi di circostanza, c’è grande agitazione nella maggioranza, e una notevole dose di nervosismo dalle parti di Palazzo Chigi per ciò che è successo in commissione Bilancio, al Senato: l’assenza dei senatori di Forza Italia, Claudio Lotito e Dario Damiani, ha fatto sì che il voto sui pareri agli emendamenti al decreto Lavoro finisse in parità e che, quindi, la maggioranza non avesse i numeri per farli passare.
“Giorgia Meloni è informata”, hanno fatto sapere da subito i meloniani in Senato, i più irritati per quello che è letto come un pizzino di una parte di Forza Italia, come a segnalare che il sentimento della premier è qualcosa di più di una semplice preoccupazione.
La mossa che ha portato al ritorno in commissione – “e a un sacco di tempo perso”, commentano fonti di FdI di Palazzo Madama – degli emendamenti, che è stato necessario riformulare, viene letta come una bravata pesante di Lotito. Si personalizza la questione, si fa notare che il patron della Lazio ha un comportamento esuberante, ma non si perde di vista il cuore della faccenda: l’instabilità di Forza Italia dopo la morte di Silvio Berlusconi.
L’incidente a Palazzo Chigi se lo aspettavano. Non è un caso se, dopo la morte di Berlusconi, dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani di FdI, fosse arrivata una nota alla squadra di governo affinché non facesse mancare la presenza in Aula e nelle commissioni.
È soprattutto in queste ultime, e soprattutto al Senato, che dopo il taglio dei parlamentari i numeri sono risicati. E l’assenza di un sottosegretario può pesare. Ma il messaggio era rivolto anche ai parlamentari. Ed è stato disatteso – “per colpa di un cocktail di compleanno”, dice, ironicamente, Ignazio La Russa – alla prima occasione utile, con Lotito e Damiani che non si sono fatti trovare al loro posto al momento del voto.
La premier teme molto per la tenuta degli Azzurri. Meloni conosce bene la complessità della situazione, il fatto che la figura di Antonio Tajani non è riconosciuta da tutti nel partito, ma spera che il ministro degli Esteri, in qualche modo, tenga insieme i pezzi della formazione che gli ha lasciato Berlusconi. Per evitare scossoni irrimediabili, le cui conseguenze ricadrebbero dritte sul governo.
Dal canto suo, Tajani fa sponda con la premier. Ed è proprio per questo che ieri, in Senato, subito dopo la commemorazione di Berlusconi, il ministro degli Esteri ha avuto uno scontro con Lotito. Si sono confrontati sui numerosi emendamenti che quest’ultimo si ostina a presentare.
In questo caso, in particolare, al disegno di legge sulla pirateria, di cui ambirebbe a diventare relatore. Il battibecco è finito in malo modo, ma Tajani non avrebbe mai potuto immaginare che nel giro di meno di 24 ore si sarebbe trovato a dover gestire quello che sembra una vera e propria rappresaglia da parte di Lotito. E a doverci mettere una pezza.
Da Londra, infatti, si vede costretto a dire: “È una tempesta in un bicchiere d’acqua, sono incidenti che capitano, non dovrebbero accadere, ma nulla di preoccupante, nessuna divisione”. E ancora: “Lasciamo l’opposizione chiacchierare”,
Poi, arrampicandosi sugli specchi, ha dovuto sostenere che ciò che è successo “non ha alcun significato politico, è stato un incidente di percorso, si è già rimediato”. Tecnicamente, in effetti, il rimedio è arrivato nel giro di poche ore. Il problema sono le tensioni che restano. E che, in vista del comitato di presidenza di domani, che darà il via libera alla nuova fase di Forza Italia, potrebbero aumentare.
L’incriminato per la diatriba di oggi, Lotito, prova a minimizzare: “Io sono quello con più presenze in assoluto. Non ho mai saltato una commissione da quando sono stato eletto, non sono mai arrivato in ritardo. Sono il primo ad arrivare al Senato e sono l’ultimo ad uscire. Praticamente lo chiudo il Palazzo Madama…”, ha dichiarato all’AdnKronos.
Più di qualcuno, però, giura che si aggira per il Senato dicendo di essere lui il vero erede di Berlusconi. E di averlo sentito bisbigliare, dopo il boicottaggio della commissione: “E questo è solo l’antipasto…”.
L’opposizione coglie la palla al balzo per attaccare il governo. “La verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti”, dice Elly Schlein: “Le ultime 24 ore di un Governo Meloni allo sbando”, commenta, invece, Giuseppe Conte.
Mentre in Senato si consumava questo show mal gestito, alla Camera era appena finita una diatriba sul Mes. L’Italia è l’unica che non l’ha ancora approvato e, anche se Giorgia Meloni continua a ripetere che non lo userà mai, su richiesta dell’opposizione il provvedimento dovrebbe arrivare in Aula il 30 giugno.
Oggi il ministero dell’Economia lo ha promosso, con un documento di due pagine. “È un atto tecnico, non politico”, minimizzano dalla maggioranza. E, mentre la Lega continua a ribadire contrarietà, dalla maggioranza cercano un’exit strategy utile a posticipare l’approdo in Aula. L’obiettivo principale sarebbe rinviare il dossier a dopo l’estate. Quello di più breve periodo, invece, è allungare i lavori in commissione, così da allontanare il rischio del voto in assemblea. Le opzioni per riuscire in questo proposito sono varie: domani, 22 giugno, si tornerà in commissione Esteri dopo lo slittamento di oggi, la maggioranza ha ancora qualche ora per sceglierne una.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“ENORMI AREE CONSEGNATE AL NEMICO”
Nuove accuse di Yevgeny Prigozhin ai vertici della Federazione
russa. Per il capo del gruppo Wagner i funzionari di Mosca starebbero ingannando i russi sul corso dell’offensiva ucraina.
«Stanno raggirando il popolo russo», ha dichiarato in un messaggio audio in cui sottolinea i progressi di Kiev: «Enormi aree sono state consegnate al nemico e le truppe ucraine hanno già cercato di attraversare il fiume Dnipro, sulla linea del fronte».
Secondo il leader della milizia privata inoltre «tutto questo» sarebbe «totalmente nascosto. Un giorno la Russia si sveglierà e scoprirà che anche la Crimea è stata consegnata a Kiev», ha concluso Prigozhin.
In mattinata il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky , in un’intervista alla Bbc, ha ammesso come i progressi della controffensiva ucraina sono «più lenti del previsto».
L’ammissione del leader di Kiev è stata subito certificata dal nemico Vladimir Putin, che dopo aver dichiarato che «c’è un rallentamento» delle truppe ucraine sul campo di battaglia e che «il nemico sta subendo perdite serie», ha rincarato la dose: «I nuovi missili nucleari balistici intercontinentali pesanti trasportabili Sarmat, in grado di veicolare all’altro capo del globo fino a 10 testate nucleari con un solo vettore – ha annunciato Putin -, saranno presto pronti per il dispiegamento in combattimento».
Minaccia, quella del presidente russo, bollata dal leader di Kiev come un bluff perché lo zar «ha paura per la sua vita, la ama molto», ha detto Zelensky. In ogni caso, ha aggiunto il presidente ucraino, «non c’è modo di dirlo con certezza, soprattutto per quanto riguarda una persona senza legami con la realtà, che nel XXI secolo ha lanciato una guerra su larga scala contro il suo vicino».
Anche il capo dei servizi segreti militari (Gru) ucraini, Kyrylo Budanov – dato per morto dai russi – si è detto convinto che «non si useranno armi nucleari. Nonostante tutta la mia antipatia per la Federazione Russa, non ci sono poi così tanti idioti nella leadership», ha detto, rilanciando però sugli obiettivi di Kiev: «La pace in Ucraina è impossibile senza la sconfitta strategica della Russia e la riforma del governo».
(da agenzie)
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