Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
“NON ERO ABBASTANZA GRAVE PER NON DOVER ASPETTARE DEI MESI LA VISITA ALL’OSPEDALE, MA SENZA QUEL MEZZO COCCOLONE SAREI MORTO DI CANCRENA. HANNO PERSO TEMPO, E IO HO PERSO LA GAMBA”
Aldo Z. è un pensionato di Alessandria, una «vittima» costretta a vivere sulla sedia a rotelle e in un ospizio: ha perso una gamba.
Il motivo? Colpa di visite saltate e liste d’attesa.
Il 75enne aveva problemi di circolazione nel 2018. Poi è arrivato il Covid e le visite mediche a cui deve sottoporsi vengono rimandate, tutto si blocca: non c’è posto. Prima l’amputazione di due dita del piede per colpa di una setticemia, poi l’attesa di controlli sempre più lontani e infine impossibili.
Quindi l’intervento dei servizi sociali, ma neppure l’insistenza di una volontaria ha potuto abbattere il muro. Ora è invalido al cento per cento. A Repubblica racconta che la sua fortuna è stata «un attacco di cuore».
Il paradosso di una patologia che s’aggrava, ora sì da codice rosso, la corsa al pronto soccorso, gli esami tardivi, la necrosi, l’amputazione. “Potevano tagliare sopra o sotto il ginocchio, hanno preferito tagliare sopra perché costa meno, me l’hanno anche detto, io non ci potevo credere”
Aldo viveva nella casa che si era costruito da solo nella piana alessandrina, era un settantenne ancora abbastanza in forma dopo tanti anni da rappresentante di assicurazioni in Liguria, spaccava la legna e badava all’orto.
La pensione minima, un rapporto difficile con i figli, poi il dolore al piede, sempre più forte. «Se avessi avuto i soldi, quegli esami li avrei fatti privatamente».
Sarebbero bastati un’ecodoppler e una visita angiologica. «Non ero abbastanza grave per non dover aspettare dei mesi la visita all’ospedale, ma senza quel mezzo coccolone sarei morto di cancrena. Mi dicono che devo essere contento: senza il cuore malato, addio Aldo. Così, invece, addio gamba. Penso che chiederò un risarcimento». Se c’è un bravo avvocato si faccia avanti, è una causa giusta.
Adesso attende la protesi. «Lo sbaglio lo hanno fatto all’inizio: stavo male, ma per loro non stavo male abbastanza. Hanno perso tempo, e io ho perso la gamba destra». «Non sono più niente, eppure mi arrangio. Riesco persino a muovermi: ho imparato a saltellare sull’altra gamba».
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
ORA “MAD VLAD” NON PUÒ METTERE PIEDE NEL PAESE SENZA RISCHIARE L’ARRESTO… IL GOVERNO DI EREVAN, DA SEMPRE AMICO DI MOSCA ORA ACCUSA “MAD VLAD” DI AVER LASCIATO CAMPO LIBERO AGLI AZERI
I rapporti tra Russia e Armenia si fanno sempre più tesi. All’indomani della breve (ma sanguinosa) offensiva con cui l’Azerbaigian ha ripreso il controllo del Nagorno-Karabakh, e del drammatico esodo di migliaia di profughi dalla regione, il Parlamento dell’Armenia ha ratificato l’adesione alla Corte Penale internazionale: una mossa che è stata subito accolta favorevolmente da Bruxelles, ma certo non dal Cremlino che non ha nascosto la sua ira bollando immediatamente come “sbagliata” la decisione di Erevan.
Si tratta di un sonoro schiaffo politico per Mosca, accusata da un alleato storico come l’Armenia di non aver fermato l’esercito azero nonostante i 2.000 soldati russi schierati nel Nagorno-Karabakh con l’obiettivo ufficiale di garantire il rispetto della tregua. E soprattutto di una batosta personale per Putin, che rischia di non poter più mettere piede a Erevan e dintorni nel timore di essere arrestato.
La Corte Penale internazionale la scorsa primavera ha infatti emesso un mandato d’arresto nei confronti del leader del Cremlino accusandolo di un gravissimo crimine di guerra: la deportazione di bambini nell’Ucraina devastata dall’invasione delle truppe russe.
Il Parlamento armeno ha ratificato con 60 voti a favore e 22 contrari lo Statuto di Roma che regola la Corte Penale internazionale. E lo ha fatto dopo aver tenuto per quasi un quarto di secolo nel limbo il trattato firmato dall’Armenia nel lontano 1999.
È l’ennesimo vulnus nei rapporti tra il regime di Putin e Erevan dopo le esercitazioni congiunte tra soldati armeni e americani e gli aiuti umanitari armeni all’Ucraina invasa. Il premier armeno Pashinyan – […]ha pure criticato l’alleanza con Mosca definendola «inefficace» dopo che l’Azerbaigian ha ripreso il Nagorno-Karabakh.
Ma il Cremlino ribatte che per Erevan non esiste «meccanismo» difensivo «migliore» dell’alleanza Csto che la lega alla Russia, che in Armenia ha anche una base militare. Sulla Corte penale internazionale Pashinyan cerca invece di gettare acqua sul fuoco e assicura a Mosca che l’adesione non va contro la Russia ma serve per la «sicurezza esterna» dell’Armenia, che accusa l’Azerbaigian di «crimini di guerra». Il Cremlino la vede però in tutt’altro modo e già la settimana scorsa aveva detto di considerare questa mossa «estremamente ostile».
(da La Stampa)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
MCCARTHY REPLICA: “SI TRATTA DI UN ATTACCO PERSONALE. LORO NON SONO VERI REPUBBLICANI”… LO SPEAKER È ACCUSATO DI AVERE ACCORDI SEGRETI CON BIDEN PER FAR APPROVARE NUOVI FINANZIAMENTI ALL’UCRAINA E IL NON AVER ASSICURATO TAGLI PIÙ CONSISTENTI ALLA SPESA FEDERALE…ORA LA CAMERA È PARALIZZATA
“Se dovessi dare un consiglio al prossimo speaker della Camera gli direi di cambiare le regole”. Lo ha detto con ironia Kevin McCarthy in una conferenza stampa dopo il suo siluramento. Quanto all’operazione messa in moto dal repubblicano trumpiano Matt Gaentz, l’ex speaker ha detto che “si tratta di un attacco personale. Loro non sono veri repubblicani. Non sono del partito di Reagan”.
Nella lunga conferenza stampa dopo il suo siluramento da speaker della Camera Usa, Kevin McCarthy ha raccontato qualche aneddoto sulla sua infanzia e le sue origini modeste. Figlio di un pompiere e di una casalinga di origini italiane, entrambi democratici, il repubblicano nato in California ha iniziato lavorando in un chiosco di panini per potersi pagare gli studi.
Lo speaker repubblicano della Camera Kevin McCarthy, 58 anni, figlio di un pompiere di Bakersfield, in California, è il personaggio della vita reale a cui si ispirò Kevin Spacey quando si preparava al suo ruolo in «House of Cards». Ispirerà senz’altro nuovi film e serie tv, poiché ieri è entrato nella Storia: è il primo speaker della Camera ad essere destituito. Non era mai successo negli Stati Uniti.
Repubblicani contro repubblicani, in un momento storico e surreale. Con 216 voti a favore e 210 contrari, McCarthy ha perso la poltrona per iniziativa di un manipolo di «ribelli» dell’ultradestra del suo stesso partito, capeggiati dal deputato della Florida Matt Gaetz, che ha presentato domenica la mozione per destituirlo.
Data la risicata maggioranza repubblicana alla Camera (221 contro 212), sono bastati a segnare la sua fine appena otto voti repubblicani, uniti a quelli dei democratici (c’erano alcuni assenti), che in blocco hanno rifiutato di difenderlo.
Adesso Patrick McHenry, alleato di McCarthy, è speaker ad interim, ruolo puramente cerimoniale che consiste nell’indire il voto per il successore. La Camera è paralizzata, mentre il Congresso deve ancora passare la legge per finanziare il governo dopo metà novembre se si vuole evitare lo «shutdown». Ma non è chiaro chi potrà sostituire McCarthy e governare l’ultradestra. Non è chiaro se McCarthy proverà a ricandidarsi.
Tra le accuse allo speaker da parte dei ribelli: l’approvazione dei finanziamenti al governo fino al 17 novembre con l’aiuto dei democratici; rabbia perché non ha assicurato tagli più consistenti alla spesa federale; sospetti che abbia accordi segreti con Biden per finanziare Kiev; ma anche vanità e vendette personali. Gaetz è un fedelissimo di Trump ma altri trumpiani sono rimasti al fianco di McCarthy.
Trump ha scritto sui social: «Perché i repubblicani lottano sempre tra loro anziché contro l’estrema sinistra?». Ma stavolta non è intervenuto nella faida, a differenza di gennaio, quando telefonò ad alcuni deputati per convincerli a votare per «il mio Kevin». Ci vollero 15 votazioni, e vinse solo dopo aver accettato un cambio di regole, che permetteva che un singolo deputato potesse presentare una mozione per destituirlo: è ciò che ha fatto Gaetz.
Il dilemma dei democratici, che certo non nutrono simpatia per Gaetz, era se appoggiare o meno McCarthy. Alla fine il loro leader alla Camera, Hakeem Jeffrey, li ha istruiti a non opporsi alla sua destituzione affermando che ha fallito «nel prendere le distanze dall’estremismo». I democratici dicono che molteplici vicende, inclusa la sua opposizione alla Commissione sul 6 gennaio, mostrano che di lui non ci si può fidare.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
I GIUDICI CIVILI HANNO ACCOLTO LA RICHIESTA DI UN GRUPPO DI SOCI DI MINORANZA, CHE HANNO INTENTATO CAUSA PER LE PRESUNTE IRREGOLARITÀ FINANZIARIE DELLA SOCIETÀ
Il tribunale civile di Milano ha ordinato un’ispezione giudiziale sull’amministrazione di Visibilia Editore, presieduta fino al gennaio 2022 da Daniela Santanchè. Accolta la richiesta di un gruppo di soci di minoranza e dei pm milanesi.
I giudici civili di Milano (Simonetti-Ricci-Zana), accogliendo le istanze dei soci di minoranza, guidati da Giuseppe Zeno e rappresentati dall’avvocato Antonio Piantadosi, che hanno intentato la causa per presunte irregolarità finanziarie e contabili, e dei pm milanesi Laura Pedio e Marina Gravina, hanno ordinato oggi “l’ispezione giudiziale dell’amministrazione” della società e nominato, per condurre gli accertamenti e stilare una relazione, la “dott.ssa Daniela Maria Ausilia Ortelli”
Con l’ispezione, scrivono i giudici, si dovrà verificare “la correttezza della predisposizione del bilancio di esercizio 2022 e della semestrale 2023 sul presupposto della continuità aziendale, considerando la voce avviamento e la voce crediti per imposte anticipate per euro 128.822”, nonché “le criticità all’epoca in vigore”.
E poi ancora “l’andamento attuale della società anche in relazione agli obiettivi del business plan 2023-2025 predisposto da Epyone, la coerenza delle iniziative dell’organo di amministrazione rispetto al Bp 2023-2025, l’adeguatezza alla natura dell’attività di impresa e della società quotata degli assetti organizzativi contabili, amministrativi”.
Verifiche anche sulla “utilità della revoca della sospensione del Poc cum warrant deciso da ultimo dal Consiglio di amministrazione” e “il rispetto del piano di rientro da parte delle debitrici Visibilia Concessionaria srl e di Visibilia srl in liquidazione con indicazione dell’eventuale scaduto del debito di Visibilia Concessionaria srl”.
I giudici hanno, dunque, rinviato il procedimento all’udienza “del 22 febbraio 2024”, assegnando “termine alla dott.ssa Ortelli per il deposito della relazione ispettiva fino al 31 gennaio 2024, termine fino al 16 febbraio 2024 alle parti per il deposito di brevi e sintetiche note, esclusivamente sui contenuti della relazione ispettiva”.
Su Visibilia Editore e, in generale sul caso Visibilia e sulla galassia di società del gruppo, sono in corso anche indagini della Procura di Milano che vedono la ministra del Turismo indagata, assieme ad altri, tra cui il compagno Dimitri Kunz, per falso in bilancio e bancarotta.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
I TRE MILIARDI PREVISTI AL RIBASSO ASSORBITI DAL RINNOVO DEI CONTRATTI, NON RESTA NULLA
Quando Giorgia Meloni ha detto che la sanità è una priorità ma i margini economici sono limitati, Orazio Schillaci ha cominciato a guardare con un po’ più di apprensione il prossimo faccia a faccia con il titolare dell’Economia Giorgetti, che fino a qualche giorno fa gli aveva lasciato capire che si sarebbe potuta anche superare l’asticella dei 3 miliardi da mettere in più sul piatto della sanità.
Il ministro della Salute sa bene che senza risorse aggiuntive si rischia il tracollo, predetto ieri dalla fondazione Gimbe a suon di numeri. Che in larga parte sono poi quelli della Nadef, dove nella tabella a legislazione invariata, ossia senza un qualche intervento della manovra a integrazione delle risorse, il rapporto spesa sanitaria pubblica- Pil è destinato a scendere dal 6,6 al 6,2% nel prossimo anno.
Considerando che ogni decimale di Pil vale 2 miliardi è come perdersene per strada qualcosa come 8. E anche a voler lasciare da parte il confronto con la ricchezza prodotta nel Paese, la spesa andrebbe giù da 134,7 a 132,9 miliardi. Questo mentre c’è da mettere mano al portafoglio per finanziare la riforma della sanità territoriale, fermare la fuga di medici e infermieri, ridurre le liste d’attesa che oramai costringono a ricorrere al privato un terzo degli assistiti.
Schillaci lo sa bene e per questo al ritorno delle vacanze al collega dell’Economia aveva illustrato un piano d’azione del valore di 4-5 miliardi. Escludendo da questi però i 2,2 miliardi per il rinnovo del contratto dei medici 2021-24, quello che dovrebbe far recuperare loro la quota di salario erosa dall’inflazione. Tanto per capire, se ne arrivassero tre ma dentro ci fosse da finanziare anche l’accordo di lavoro più il miliardo di ripiano degli sfondamenti di spesa per i dispositivi medici che Giorgetti vuole abbonare alle imprese, il piatto sarebbe comunque vuoto, come impietosamente indicano i numeri della Nadef.
«Veniamo da un periodo difficile ma il nostro Ssn è un patrimonio che va difeso», ha detto Schillaci a Torino al festival delle Regioni. Indicando subito dopo le priorità: «Premiare economicamente e con percorsi di carriera più agili gli operatori del servizio sanitario pubblico ma soprattutto finalizzare le risorse, oltre che a pagare meglio gli operatori, a far sì che questi stessi operino per ridurre le liste di attesa». E su questo un piano c’è già. Consiste nel far fare 5 ore settimanali di straordinario ai medici pagandole 100 anziché 60 euro l’ora. Purché l’extra time sia finalizzato all’abbattimento delle liste d’attesa. Stessa cosa con gli infermieri portando la paga per gli straordinari da 25 a 50 euro l’ora. Ma molti camici bianchi di ore ne fanno già oggi 50 e passa. Per arginarne la fuga Schillaci vorrebbe quindi applicare la flat tax del 15% alla cosiddetta “indennità di specificità medica” che percepiscono tutti gli ospedalieri, per non fare figli e figliastri.
Il ministro ha poi detto che «tutte le prestazioni erogate a carico del Ssn, sia dagli ospedali pubblici che dalle strutture private convenzionate, dovrebbero essere messe in un unico ReCup regionale». Un modo per impedire ai privati il giochetto di chiudere le proprie agende per dirottare poi i pazienti verso i reparti solventi. Costo complessivo dell’operazione anti liste d’attesa circa un miliardo. Se pure per il contratto dei medici si limitasse, come appare probabile, ad una prima tranche da un miliardo, sommando a questo l’altro miliardo e cento necessario per ripianare lo sforamento di spesa per i dispositivi medici, ecco che buona parte della dote su cui fa ancora affidamento Schillaci se ne sarebbe andata in fumo. Nella migliore delle ipotesi, tutta ancora da confermare, resterebbe infatti a mala pena un miliardo.
Troppo poco per sciogliere l’altro nodo: quello della sanità territoriale. Che se funziona male come oggi finisce per intasare gli ospedali, con tutto quel che ne consegue in termini di liste di attesa e caos nei pronto soccorso. Lo stesso Schillaci ha ammesso ieri che senza il personale c’è il rischio che le nuove case di comunità diventino «cattedrali nel deserto». Perché i 7 miliardi del Pnrr servono solo ad alzare le mura dei maxi ambulatori aperti h24 e 7 giorni su 7, i soldi per chi ci lavora vanno ricavati sempre dal fondo sanitario. E ne servono tanti per fare quel che ha in mente il ministro, ossia portare a 38 ore l’orario settimanale degli specialisti ambulatoriali delle Asl che nel 42% dei casi oggi ne lavorano meno di 10 e che sono pagati a tassametro dalle regioni. Così come è un costo portare i giovani medici di famiglia da un rapporto libero-professionale a uno di dipendenza, visto che i vecchi non vogliono lasciare i loro studi. Per non parlare degli infermieri di famiglia, oggi inesistenti. Spese che il governo potrebbe essere tentato di coprire con le cosiddette “razionalizzazioni” di spesa, come il taglio di quel 20% di prescrizioni inutili o lo scarso utilizzo di sale operatorie e posti letto. Tutte cose già tentate in passato ma con risparmi pari a zero.
(da La Stampa)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
“BORSELLINO LO VOLEVA FARE ARRESTARE. AVEVA ORGANIZZATO UN INCONTRO SEGRETO CON L’ALLORA COLONNELLO DEL ROS DEI CARABINIERI MORI E IL CAPITANO DE DONNO PERCHÉ AVEVA SCOPERTO CIRCOSTANZE TALMENTE GRAVI CHE LO HANNO CONVINTO CHE ERA UN INFEDELE”
A più di trent’anni di distanza, tasselli di verità vanno al loro posto. E dicono che l’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta non fu affatto il favore di Cosa Nostra a chissà quali poteri occulti dello Stato ma un’operazione militare realizzata con un obiettivo: impedisce le indagini sul dossier Mafia -appalti, insabbiato dai vertici della procura di Palermo.
Il grande capo della procura di Palermo, Pietro Giammanco, era talmente coinvolto nell’opera di insabbiamento che avrebbe dovuto essere arrestato. Invece alle 16,58 del 16 luglio 1992, in via D’Amelio, l’autobomba di Cosa Nostra massacrò Borsellino e i suoi agenti. E Giammanco rimase al suo posto. Sono parole tremende, quelle pronunciate ieri davanti alla commissione parlamentare Antimafia da Giovanni Trizzino, avvocato palermitano.
A renderle pesanti c’è il fatto che provengono da un uomo che storia e protagonisti li ha studiati a fondo. Trizzino, marito di Lucia Borsellino, è l’avvocato di tutta la famiglia del magistrato ucciso, compresa la figlia Fiammetta, che alla leggenda della trattativa non ha mai creduto, e che ha sempre indicato la radice della morte del padre in quell’inchiesta sugli appalti mafiosi, sulle contaminazioni tra imprenditoria del nord – Ferruzzi in testa – e capitali Cosa Nostra, che andava fermata ad ogni costo.
Borsellino si era convinto che c’erano responsabilità precisa dei vertici della procura di Palermo: «Borsellino – dice Trizzino – voleva arrestare o fare arrestare l’allora procuratore Pietro Giammanco» perché «aveva scoperto qualcosa di tremendo».
Giammanco, lo stesso che quando i carabinieri del Ros indicarono in Borsellino il bersaglio di un progetto di attentato non avvisò nemmeno il collega. Giammanco è morto da cinque anni, portandosi dietro ombre e segreti di quella stagione.
Ma le rivelazioni di Trizzino mettono al posto giusto molti passaggi. A partire dal ruolo dei vertici del Ros, fu a loro che il magistrato si rivolse quando scoprì il ruolo del procuratore di Palermo: «Borsellino ha organizzato un incontro segreto con l’allora colonnello del Ros dei carabinieri Mori e il capitano De Donno, il 25 giugno del 1992 , perché aveva scoperto qual cosa tremendo sul conto del suo capo. Si parla di contrasti e circostanze talmente gravi che lo hanno convinto che quel suo capo era un infedele».
A decidere la strage fu poi Totò Riina, «se ne assume in proprio la responsabilità di via D’Amelio, si comportò da vero dittatore».
Ma il movente va ricercato lì, in quel dossier insabbiato. D’altronde anche Matteo Messina Denaro, prima di morire, lo ha detto ai pm di Palermo: «Ma voi pensate davvero che Falcone è morto perché ci aveva dato quindici ergastoli?».
(da Il Giornale)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
“C’ERANO DEI BAMBINI CHE NON RIUSCIVAMO A LIBERARE DALLE LAMIERE, C’ERA IL FUOCO, C’ERANO LE URLA DISPERATE DEI FERITI”
«Le mie scarpe, dove sono le mie scarpe?» La tragedia di Mestre ha il suo eroe scalzo. Si chiama Godstime Erheneden, ha 30 anni ed è nigeriano. Lui e il suo collega e compagno di stanza, il 27enne gambiano Boubacar Tourè, ieri sera si sono lanciati tra i rottami in fiamme dell’autobus precipitato dal cavalcavia.
Entrambi sono lavoratori della Fincantieri in trasferta: il primo vive in Italia da sette anni, il secondo da una decina e dopo aver lavorato a lungo ad Ancona, a luglio, è stato trasferito a Venezia.
«Ho sentito un rumore forte – racconta Godstime – mi sono affacciato alla finestra e ho visto le fiamme. Da lì sono riuscito a capire che si trattava di un autobus. Buba, il mio amico, stava cucinando la cena, gli ho detto “guarda che è caduto un autobus”. E senza pensarci siamo scesi in strada».
La palazzina in cui risiedono è a due passi da via della Pila. «Quando siamo arrivati – raccontano – abbiamo visto subito l’autista, era morto. Mi sono caricato sulle spalle una donna, poi ho portato fuori un uomo».A quel punto però Godstime si è ributtato tra le fiamme. «La donna gridava “mia figlia, mia figlia”e mi sono lanciato. Ho visto questa bambina, avrà avuto due anni. Ho un bimbo di un anno e dieci mesi, poteva essere lui erano grandi uguali. È stato tremendo, non so se sia sopravvissuta. Io credo fosse viva, ma quando sono arrivati i soccorsi ci hanno allontanati». Boubacar, invece, è diventato padre da appena tre giorni.
«Ho tirato fuori tre o quattro persone, non ricordo bene ancora. E un cane. Vedi qui? Le mie mani e i miei vestiti sono ancora ricoperti di sangue. Ho provato anche a spegnere il fuoco, ma non ce l’ho fatta». «Non riesco a credere a quello che ho visto – aggiunge Godstime – tutti quei corpi, tutti quei morti. Non so dirvi quanto fossero, erano tanti. E poi le urla, i pianti».
(da Il Messaggero)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI EMIGRANTI ALL’ESTERO SONO SEI MILIONI, PIU’ DEGLI IMMIGRATI REGOLARI DA NOI, FATTENE UNA RAGIONE
Mentre Giorgia Meloni, per una sorta di legge del contrappasso, si è trasformata in una sorta di migrante che gira per l’Europa elemosinando aiuti, soldi, solidarietà e collaborazione, Matteo Salvini rispolvera uno dei suoi vecchi cavalli di battaglia, ovvero l’avversione per i migranti che arrivano in Italia vestiti, con i denti e senza ferite d’arma da fuoco sulla schiena.
Ospite di Del Debbio, qualche sera fa ha ripetuto il vecchio mantra: “Che poi molti di questi arrivano col telefonino, le scarpe, l’orologino, la catenina…”.
Per Matteo Salvini se hai due zoccoli ai piedi sei chiaramente un magnate tunisino che scrocca un passaggio su un barcone per partecipare alla conferenza Bilderberg in Europa.
I migranti, per avere una parvenza di povertà credibile, devono essere tutti scalzi e capire che ora è guardando l’ombra dei pioppi.
Salvini, sempre convinto che questi falsi profughi in realtà attraversino il Mediterraneo per andare da Crazy Pizza di Briatore, ha ribadito anche la sua volontà di chiedere una cauzione di 5.000 euro a chi non vuole attendere l’esito della richiesta d’asilo in un centro di detenzione.
Una fideiussione anche per il prossimo tesoriere…
Del resto, si tratta di una tutela finanziaria per lo Stato, ovvero una fideiussione con cui una banca garantisce di saldare un eventuale debito. Giusto.
Propongo di imporre una fideiussione anche per il prossimo tesoriere della Lega, si tratta di una tutela finanziaria per lo Stato. Salvini sarà d’accordo con me.
Anche l’espressione “migranti economici” è tornata a essere tra le più abusate del momento, e qui bisogna tornare seri perché il cinismo e la disinvoltura con cui la si utilizza meritano una riflessione.
Ho da sempre una profonda avversione per questa definizione che suggerisce un’idea distorta, ovvero che alcuni migranti scappino per ragioni meno drammatiche di altri. Che esista una gerarchia delle sventure, tra gli sventurati. La verità è che chiunque salga su uno di quei barconi lo fa perché si trova in una condizione di svantaggio.
Le guerre possono determinare fughe più urgenti, ma chi scappa dalle guerre non è più disgraziato di chi sfugge dalla povertà. Anzi, talvolta chi scappa da una guerra – per esempio gli ucraini – ha la vaga prospettiva di un ritorno a casa. Chi scappa da una povertà estrema no.
Perché non dimentichiamolo, la nostra idea di povertà è molto lontana da quella che è la povertà di molti Paesi dell’Africa subsahariana in cui si muore di fame e sete. E la povertà uccide anche in Paesi che riteniamo “sicuri”.
Se la povertà non è un buon motivo per partire
Si muore di malnutrizione, di malasanità o per l’assenza di un sistema sanitario, si muore per il clima che muta, per la necessità di procacciarsi i beni più elementari che induce, spesso, alla violenza, si muore di freddo, di privazioni, di tutto.
L’idea che da quella povertà non sia necessario, urgente affrancarsi perché magari la propria casa è stata spazzata via dal fango ma si ha una catenina al collo o perché tua moglie è morta di parto ma possiedi un telefonino, è un’idea becera e ingiusta.
Il recente terremoto in Marocco ha spiegato molto bene come vivere in condizione di estrema povertà significhi avere meno chance di sopravvivenza.
Dopo le scosse di terremoto, nelle città più ricche le case sono rimaste in piedi, nei paesi più poveri sull’Atlante le case di fango si sono sbriciolate. A morire sono stati i più poveri, quelli che avevano forse le scarpe o un cellulare ma non un muro portante. Non una casa che potesse farli vivere in condizioni minime di sicurezza.
I migranti economici non sono, come l’espressione sembra suggerire, persone che vogliono diventare più ricche, ma gente che vuole avere una chance di sopravvivenza, una dignità.
I veri migranti economici, a dirla proprio tutta, siamo noi italiani che migriamo in altri Paesi per avere più opportunità, stipendi migliori o anche maggiore ricchezza.
Gli italiani residenti all’estero (6 milioni circa) sono più degli immigrati regolari in Italia. Certo, quando poi realizziamo che i migranti economici ci servono per lavorare nei campi, in fabbrica, negli allevamenti, allora Meloni dichiara: “Una quota di immigrazione legale può dare un contributo positivo all’economia”.
Noi possiamo essere più ricchi, loro meno poveri no
Improvvisamente, i rapaci clandestini col telefonino e le scarpe, visti in funzione utilitaristica, riacquistano un’utilità sociale.
Insomma, noi abbiamo il diritto a essere sempre più ricchi accogliendo i migranti di cui abbiamo bisogno nell’edilizia o nell’agricoltura, ma loro non hanno diritto di essere meno poveri. Con la zappa sì, col telefonino no. L’unico poveretto a cui è consentito non staccarsi mai dal cellulare si chiama Matteo Salvini, a quanto pare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 4th, 2023 Riccardo Fucile
UN POLITICO SPUTTANATO CHE LA SINISTRA NON HA ANCORA ESPULSO DAL GRUPPO
Dopo la vittoria in Slovacchia dello “sputtanatissimo ex (tre volte) premier Robert Fico” – rubo la definizione a Marco Travaglio – in molti si chiedono come mai un tale figuro resti affiliato al Partito socialista europeo che a intermittenza ha preso in considerazione e accantonato l’idea di espellerlo.
Temo di conoscere la risposta: perché il nazionalsocialismo rivendicato dallo Smer – partito socialdemocratico slovacco – alligna e permane come tentazione fortissima non solo a Est, ma anche nella sinistra occidentale.
Per fronteggiare l’avanzata dell’estrema destra Afd, pure il cancelliere tedesco Scholz sfodera una bella stretta anti-immigrati. Mentre in Italia Giuseppe Conte punta a sottrarre voti al Pd accusandolo di essere il partito delle frontiere aperte dopo che ha rinnegato la linea Minniti.
Torniamo alla piccola Slovacchia, ci aiuterà a capire. Ricordo quando feci visita nel 2015 al Parlamento di Bratislava. Bussai alla porta del deputato-filosofo Lubos Blaha, divenuto oggi il braccio destro di Fico. Con mio stupore la sua stanza era tappezzata di ritratti di Che Guevara, Fidel Castro, Marcuse. Non mancavano i testi di Toni Negri e Immanuel Wallerstein; in bella mostra teneva i libri di interpretazione del marxismo da lui scritti.
Blaha cominciò a spiegarmi: “Rispetto alla sinistra occidentale qui la socialdemocrazia è più concentrata sulle questioni socio-economiche, sulla critica del neoliberismo. Abbiamo molte più persone povere rispetto alla Germania, all’Italia, alla Francia. Le superpotenze coloniali attraverso i loro imperi sono entrate in contatto con altre culture in Africa e Medio Oriente. Qui le persone non hanno un rapporto reale con i musulmani. Li vedono in tv che tagliano le teste e commettono atti terroristici. Per questo non siamo il luogo adatto per accoglierli”.
Con le sue argomentazioni di sinistra Blaha sorvolava sulla propaganda xenofoba scatenata dal suo partito contro le minoranze rom e l’“immigrazionismo” dell’Ue. Per non parlare delle infiltrazioni criminali che in Slovacchia hanno alimentato la corruzione di una classe dirigente imbevuta di nazionalismo.
Già nel 2015 il Partito socialista europeo minacciava di espellere lo Smer. Ma guarda caso, un paio d’anni dopo, anche il Pd italiano decideva di pagare i libici per fermare gli sbarchi e accusava le Ong di collaborazionismo coi trafficanti. Nel mentre che un abile burocrate posto a capo del M5S, Luigi Di Maio, lanciava una campagna contro i “taxi del mare”. Non tirava più aria di espellere il Fico di Bratislava.
Ora, poi, con la guerra ucraina in pieno corso al confine orientale della Slovacchia, rieletto trionfalmente nonostante il suo profilo Facebook fosse bloccato con l’accusa di razzismo, Lubos Blaha può vantarsi di rappresentare la vera “sinistra classica” con lo slogan “Pane e pace. È così che si fa, dannazione!”.
Quanto alla linea del Partito socialista europeo, Blaha si compiace di irriderla: “In Occidente i socialdemocratici si occupano di gay, migranti, Greta e odio per la Russia. Sputano sui lavoratori e precipitano a capofitto”.
Non è ancora detta l’ultima parola sul prossimo governo slovacco, anche se per conseguire la maggioranza in Parlamento Fico si è detto disposto ad allearsi con l’estrema destra.
Cavalcare il sovranismo in chiave socialdemocratica, affermando che il tenore di vita delle classi subalterne può essere migliorato solo tramite politiche discriminatorie nei confronti degli stranieri, è una seduzione cui si è già adeguata la sinistra in Danimarca, pagando il prezzo di calpestare i diritti umani.
Il nazionalsocialismo implica di erigere muri nell’illusione di offrire una giustizia sociale riservata ai nativi. Si ammanta di una retorica patriottica (non a caso Orbán è stato il primo a festeggiare la vittoria di Fico) che finge di sfidare le multinazionali solo per favorire i capitalisti fiancheggiatori del potere politico locale.
E se questo manda all’aria l’integrazione europea, chi se ne importa. Ecco perché dobbiamo scongiurare il pericolo di cadere nel tranello di una sinistra in salsa slovacca. Magari spinti dalla convinzione che i diritti costituzionali delle minoranze e la sorte degli immigrati debbano venire dopo, e non insieme alla difesa dei salari, della sanità pubblica, dello stop alla guerra.
In Slovacchia abbiamo assistito alla vera e propria metamorfosi di un partito di sinistra che facendo proprie le cause di un nazionalismo e di un tradizionalismo storicamente reazionari ha preso le sembianze dell’estrema destra. Ma in Italia stiamo pur sicuri che di una svolta del genere se ne avvantaggerebbe direttamente la destra al potere.
(da La Stampa)
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