Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile
LA PREMIER ACCENTRA I DOSSIER E CERCA LO SPOT PER LE EUROPEE… SCONFESSATA LA LOGICA DEL PIANO MATTEI (ALTRA BALLA MELONIANA)
La destra di governo si infrange a Tirana. Colpa della premier, che “depista” i suoi vice. Lascia all’oscuro fino all’ultimo Matteo Salvini e Antonio Tajani dell’operazione migranti in Albania. Tratta personalmente l’accordo con Edi Rama. E quando lo firma, il governo implode.
La Farnesina chiede una bozza, inascoltata. Il segretario della Lega è furioso. Il Viminale, commissariato, sbanda. Ma non basta. Con un colpo di penna su una bozza rimasta fantasma fino a sera, Palazzo Chigi sconfessa pure la filosofia del Piano Mattei. E lancia una sfida agli alleati, destinata a trascinarsi fino alle Europee
Antefatto: vendetta di Meloni
C’è un antefatto, utile a spiegare questa storia. Risale ai giorni caldissimi degli sbarchi a Lampedusa. È estate, fa caldo. La situazione è fuori controllo. Matteo Salvini dà mandato ai suoi colonnelli di criticare Meloni per la gestione dell’immigrazione. La premier reagisce con durezza. Avoca a sé il dossier, vara una cabina di regia a Palazzo Chigi affidandola ad Alfredo Mantovano, organizza una missione con Ursula von der Leyen a Lampedusa. E, soprattutto, medita vendetta contro chi l’ha colpita nel momento di massima difficoltà. Durante la missione in barca in Albania inizia a ragionare con Edi Rama di migranti. Non informa nessuno, nel governo, ad eccezione dei due sottosegretari alla Presidenza. Il senso della sua strategia si può sintetizzare così: “Volete scaricare su di me un eventuale fallimento? E allora sarò io a gestire la partita, da sola”.
La rabbia di Salvini
Quando la premier firma l’accordo, tutti capiscono di trovarsi di fronte a un blitz. E infatti Matteo Salvini tace per quasi 24 ore, furente. Ostentatamente distante, secondo quanto riferiscono i suoi. Dal suo quartier generale, trapelano sconcerto e rabbia. In Transatlantico, il suo vice Andrea Crippa dà voce al risentimento: è un buon accordo, premette, ma non basta. E non può bastare, aggiunge, perché serve una soluzione strutturale. Quale? Il “modello Salvini”. Lo dice in chiaro il sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteni. È vicinissimo al leader. Parla pochissimo. E manda un segnale chiaro: “Quella di Salvini al Viminale è stata una stagione straordinaria, con una normalizzazione degli sbarchi, partenze e morti in mare azzerati”. Nel frattempo, riappare anche il leader del Carroccio. Poche righe sui social per dire: “Bene il governo. È un passo concreto e significativo. L’Italia non è il campo profughi d’Europa: Tirana l’ha capito e merita un sincero ringraziamento, Bruxelles ancora no”. È il cuore del problema: a suo avviso, la premier non riesce a scalfire la corazza continentale. E lui indica il problema, ridimensionando implicitamente ‘l’operazione Tirana’.
Piantedosi commissariato
Per non parlare di Matteo Piantedosi. Anche lui non sa nulla, fino all’ultimo. E infatti tace, a lungo. Finché nel pomeriggio di ieri, davanti al Comitato parlamentare Schengen, mette in chiaro, gelido: “Quelle previste dal protocollo siglato con l’Albania non sono Cpr, ma strutture come quella di Pozzallo-Modica” dove si trattengono i migranti per il tempo necessario all’identificazione e a processare le domande di asilo. Non dice altro, non loda l’accordo. E si espone soltanto per chiarire alcune imprecisioni delle ore precedenti, alimentate da Fratelli d’Italia.
La bozza misteriosa
Fino a sera, tutti inseguono la bozza del memorandum. Esiste? Gli uffici legislativi della Farnesina e del Viminale – trapela per l’intera giornata – inseguono l’ultima versione. A Bruxelles si attivano i canali diplomatici per comprendere cosa ha davvero in mente Roma. Qualcuno inizia addirittura a sostenere che la stesura non è ancora completata. A caldo, l’unico a commentare l’accordo è Antonio Tajani, ma è inevitabile: guida gli Esteri, Palazzo Chigi glielo chiede. Ma anche in Forza Italia lo sconcerto per l’esclusione supera i livello di guardia. A sera, iniziano a circolare indiscrezioni sul contenuto del testo, diffuse però dai media albanesi: a quel punto, il governo decide di rendere pubblico il memorandum. Soltanto che da Tirana si pubblicano anche gli allegati con le cifre, mentre gli italiani evitano di farlo.
Caccia ai voti per le Europee
Prima ancora di comprendere a pieno i dettagli giurisdizionali dell’accordo, la contropartita per Tirana, i costi del piano, inizia a farsi spazio una certezza: Meloni intende aprire i primi centri in Albania entro l’aprile del 2024. Al massimo entro maggio. Non è una tempistica scelta a caso: la presidente del Consiglio immagina di recarsi di persona a Tirana, in primavera, per tenere a battesimo queste strutture di prima accoglienza. Ma soprattutto, per mostrare al Paese di essere stata capace di costruire una soluzione concreta per contrastare l’emergenza e ridurre la pressione migratoria. Vuole farlo poche settimane prima delle Europee di giugno: in tempo per conquistare voti e consenso, ma comunque prima che i probabili ricorsi rischino di rendere inefficace l’operazione. Si tratta di un’opa ostile contro Salvini, la reazione allo sgarbo estivo sui migranti. Con l’intento di svuotare il Carroccio dall’argomento più forte: quello della linea dura sui migranti.
E il Piano Mattei?
Nel frattempo, scivola alla periferia delle politiche del governo l’annunciato Piano Mattei. Più che cooperazione e investimenti, Palazzo Chigi investe capitale politico e risorse sulla costruzione di centri in Albania. L’impressione è di un approccio emergenziale. L’obiettivo è replicare questo schema anche altrove: per Roma, il target principale è la Tunisia. Sempre che Saied si convinca.
(da La Repubblica)
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Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile
L’ALBANIA E’ SOLO L’ULTIMA PROPAGANDA… IL GIOCO DELLE TRE CARTE: RAMA FA IL PALO, MELONI VINCE, IL MIGRANTE PERDE E TORNA (IN ITALIA)
Emma Bonino, ex ministro degli Esteri, abbiamo dunque abolito
l’immigrazione grazie all’Albania? “Non esiste un documento, non conosciamo il memorandum. Al momento abbiamo solo l’annuncio della premier che parla di un trasferimento di migranti in un paese extra Ue. L’Albania dovrebbe cedere sovranità all’Italia, l’Italia trasportare i migranti in Albania. Non si capisce nulla”.
Alla Camera è già chiamata “operazione fumo a manovella”, anche detta “fazzolarata”. Prende il nome da Giovanbattista Fazzolari, il sottosegretario di FdI che cura la strategia di governo.
La “fazzolarata” è come il gioco delle tre carte. Funziona sempre. Il premier albanese Edi Rama fa il “palo”. Meloni vince, il migrante perde, il migrante torna (in Italia).
Si può combattere qualcosa che non esiste ma che tutti credono sia vera? La “fazzolarata” è la tecnica del governo Meloni, ed è banale. Nei momenti di difficoltà si sposta l’attenzione su un altro argomento, si ottengono titoloni di quotidiani, perché, come spiega Piero De Luca, deputato del Pd che si occupa di politica estera, “tra due mesi tutti dimenticheranno. Il presunto accordo con l’Albania non è altro che il remake del memorandum Meloni con la Tunisia. Nessuno ricorda come è finita”. E come è finita? “Il governo aveva promesso delle risorse economiche alla Tunisia. Da quello che sappiamo i soldi non sono mai partiti, altri dicono che la Tunisia non l’abbia mai accettati”. Matteo Renzi la chiamava “la strambata”, la “mossa del cavallo”. Gli hipster la chiamano invece la mossa “Kansas city”, da un film con Bruce Willis. La lezione: “Quando tutti guardano a sinistra, il vero evento sta accadendo a destra”. Mentre tutti guardavano alla manovra economica ecco infatti arrivare la “fazzolarata” del premierato. Il giorno del premierato, durante la conferenza stampa, Meloni rilancia il Piano Mattei, altro piano che è tutto da assemblare, e che per i nostri diplomatici “è scritto con inchiostro simpatico”. Se va bene una volta, e a Meloni è andata bene, tanto da cancellare lo scherzo dei due ciarlatani russi, perché non ripeterla? Alla Camera, anche Luciano Violante, il cosacco per Meloni, ieri in visita, si rifiutava di commentare questo “storico” accordo. Il testo? Risponde Violante: “L’accordo con l’Albania? Di solito io leggo e poi mi esprimo. Ma il testo di questo accordo mi sembra che non ci sia. Lei ce l’ha?”. Di immigrazione, politica estera, da che mondo è mondo se ne occupa, anche, il ministro degli Esteri ma da quanto si apprende, e si apprende, il memorandum non lo ha visto neppure il buon Antonio Tajani, uno che ogni giorno deve incassare un dispiacere. Ieri era a Tokyo, in Giappone, paese di riferimento della destra con la sua “cara solitudine”. Il Pd, a sua volta, sa che nulla è più complicato di spiegare che si tratta solo di polvere di stelle, fumo di Meloni. Per Peppe Provenzano, il ministro degli Esteri del Pd, l’accordo con l’Albania “nella migliore delle ipotesi è inutile e nel peggiore è una grave violazione dei diritti umani”. Emma Bonino, alle 17, ancora cercava il testo. Telefonata: “Vediamo se riesco a capirci qualcosa. Ci risentiamo dopo”. Alle 20 si attendeva. Quando è arrivato, alle 20.39, sembrava più un fascicolo da amministratori di condominio. Nessun riferimento alla Ue, ma solo una specie di contratto di affitto: un Cpr a Tirana. Riccardo Magi, di +Europa, che la materia la mastica e bene, dice che “il diritto d’asilo è disciplinato con atti di legge e i protocolli d’intesa non hanno valore di legge”. Secondo lo schema di sintesi, altra caratteristica della “fazzolarata” (spararla prima di averla scritta; la legge) se la giurisdizione si sposta in Albania, anche i nostri magistrati dovrebbero spostarsi in Albania. Equivale a spese.
I Cpr andrebbero pure presidiati da italiani, anzi, perfino ristrutturati. E qui siamo già in zona Superbonus a Tirana. Lo sanno tutti, ed è un diritto, che il migrante può fare ricorso quando si trova nel Cpr. E se lo vince? Se lo vince torna in Italia. Solo di gasolio costerebbe insomma alla Guardia costiera quanto una cedolare secca. In un divanetto del Transatlantico, le tigri di Mompracem del Pd, Orlando-Sarracino-Amendola-Provenzano, parlano a voce unica e la raccontano meglio: “La verità è che Meloni ha un problema, e grosso, con i governi di destra di Ungheria, Polonia, Svezia e Finlandia. I suoi amici. Sono loro che dicono ‘no’ alla redistribuzione. Senza tenere conto che il confine con la Slovenia è stato chiuso non tanto per paura di infiltrazioni da parte di Hamas, ma solo per mettere un freno all’immigrazione”. E’ vero che in Inghilterra, la fazzolarata era già stata sperimentata, e si chiama “modello Ruanda”, ma i giudici inglesi hanno bocciato il modello Ruanda di Sunak e smontato quindi la fazzolarata a Londra. Tra l’altro, nel 2012 l’Italia è stata pure condannata dalla Corte Cedu per violazione dei diritti d’asilo. La Commissione Ue, così come Bonino, attende il memorandum e l’8 dicembre ha cerchiato la data. Quel giorno l’Italia ha l’esame di revisione del Pnrr. Ma se l’Italia con la “fazzolarata” dice all’Europa che “sull’immigrazione ci pensiamo noi” perché l’Europa dovrebbe dire “cara Italia, ti aiuto io”? Per quel giorno non resta che confidare in un’ennesima mossa di Fazzolari, l’Andy Warhol di Meloni, che come l’artista americano ha fatto suo questo aforisma: “Ricordatevi. Bisogna sempre trattare il niente come fosse qualcosa”.
(da ilfoglio.it)
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Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile
PORTO SICURO, EXTRATERRITORIALITA’, GIURISDIZIONE E RIMPATRI. I GIURISTI: “SIAMO TRA IL FANTAGIURIDICO E LA BOUTADE”
Ha fatto vacillare anche gli esperti di diritto dell’immigrazione più ferrati il neonato protocollo tra Italia e Albania per – Meloni dixit – “la gestione dei flussi migratori”. Perché, allo stato, sono più i dubbi che le certezze. Partiamo da queste ultime: il governo italiano e quello albanese hanno deciso che nel 2024 sorgeranno due strutture per l’accoglienza temporanea dei migranti. Uno sarà una sorta di hotspot, il secondo una struttura – Meloni la definisce “modello Cpr”, il ministro dell’Interno la smentisce dicendo che sarà un hotspot simile a quello appena nato a Pozzallo – gestiti dall’Italia su suolo albanese. Ospiteranno tremila migranti al mese, che volevano raggiungere l’Italia. Quasi 40mila l’anno. Navigando in un mare di interrogativi – lasciati aperti dal governo – proviamo a capire come si realizzerà l’accordo. E che conseguenze avrà. In termini di diritti dei migranti, di decongestione dei flussi e di complicanze burocratiche.
Al momento è stato siglato è un protocollo d’intesa che, però, necessita di alcuni passaggi per avere conseguenze pratiche e giuridiche. Il diritto internazionale – la cronaca bellica di questi giorni ce lo insegna – non è una scienza esatta. Alcuni punti fermi, però, ci sono: un accordo bilaterale tra governi è un trattato internazionale. Deve, dunque, essere autorizzato dalle Camere e ratificato dal Presidente della Repubblica. Lo prevede l’articolo 80 della Costituzione, quando prescrive: “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”. In questo caso, l’accordo è di natura politica e comporta una spesa a carico dell’Italia, perché i due centri da realizzare saranno finanziati e gestiti in toto con risorse italiane. Nel programma di governo di FdI c’era l’idea di questi centri “in Paesi terzi”, ma c’era l’ambizione che a gestirli fosse l’Ue. Siccome Bruxelles non ha intenzione di perseguire questa scivolosissima strada, Roma prova a fare da sola.
Durante le dichiarazioni congiunte con Edi Rama, Meloni ha detto che i due centri dovrebbero essere operativi sin dalla primavera del 2024. Data la necessità del voto delle Camere, i tempi sembrano un po’ stretti. Vedremo se saranno rispettati. Vedremo, soprattutto, se l’accordo non sarà bloccato. “I passaggi parlamentari sono necessari ma non garantiscono uno scrutinio attento. Lo abbiamo visto nel corso della conversione dei decreti varati da questo governo sull’immigrazione”, dice ad HuffPost Maurizio Veglio, dell’avvocato dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione.
Sembra che l’opzione Albania possa essere dedicata solo ai richiedenti asilo che arrivano da Paesi considerati sicuri, come la Tunisia. Non è detto che questi finiscano nella località a confine tra Albania e Montenegro scelta dai due governi a questo scopo, perché le strutture potranno ospitare massimo 3mila persone alla volta. Quando il migrante si imbarca verso l’Italia, può andare incontro a tre destini: il barchino riesce a raggiungere autonomamente le nostre coste, l’imbarcazione viene soccorsa dalle Ong, oppure il soccorso viene operato da una nave di un’istituzione italiana. Ai centri albanesi potrebbero essere destinati solo le persone soccorse da queste ultime.
Ora: le regole del diritto internazionale prescriverebbero che dopo il salvataggio, la nave che ha soccorso i naufraghi debba ricevere l’autorizzazione a entrare nel porto sicuro disponibile più vicino. E l’Albania, a meno che il salvataggio non avvenga a Est, difficilmente è tale. “Complesso immaginare che il porto sicuro più vicino sia quello che dista più ore di navigazione. Si tratta costringere naufraghi, magari traumatizzati, a stare più tempo sulla nave”, osserva ad HuffPost Alberto Pasquero, docente di Diritto internazionale umanitario alla Statale di Milano. Anche per Veglio “è chiaro che il principio venga messo in discussione. Si creerà un problema diverso da quello lamentato dalle Ong (che sostengono che le autorità mandino le loro navi in porti distanti, ndr), perché sistematicamente si sceglierà lo stesso luogo di sbarco”. Benché lontano, viene da aggiungere.
La premier ha chiarito che non seguiranno la procedura ‘albanese’ le donne, i minori e i soggetti deboli. E questo è un secondo discrimine, che segue quello della provenienza da Paesi sicuri. A questo punto, però, si pongono vari temi. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ha negato che la procedura possa configurare un respingimento perché “i migranti soccorsi non arriveranno in Italia, saranno portati direttamente in quelle strutture”.
Senza un testo è difficile spingersi al punto di dire che si tratti di una procedura di respingimento. Potrebbe non essere tale, ma non certamente per le motivazioni addotte da Fazzolari, perché le navi italiane sono a tutti gli effetti territorio italiano. Come spiega Pasquero: “Non si può stabilire che, in blocco, un numero di migranti venga portato in Albania. La decisione deve essere su base individuale”. L’osservazione apre la strada a un altro problema: “Quando un migrante sale a bordo della nave italiana – argomenta Veglio – è come se fosse in Italia. A quel punto, in base alle norme internazionali, ha il diritto di ricevere informazioni e di manifestare la volontà di chiedere asilo”. Allora, delle due l’una: o le richieste d’asilo vengono vagliate sulla nave – mentre il natante già fa rotta verso l’Albania? – e allora si è ancora nei confini del diritto, oppure no. Questa seconda opzione, però, dice Veglio, “cozza con il divieto di respingimento”.
Ammettiamo che questo, non banale, problema venga superato, il migrante viene poi portato in Albania. Lì si dovranno svolgere le procedure per stabilire se è titolato a restare in Italia – sì, in Italia, l’Albania presta il suo territorio solo per il tempo che serve per capire se il migrante ha diritto d’asilo o no – oppure deve essere rimpatriata. Si tratta di una procedura che prevede una serie di garanzie. A occuparsene, dice Meloni, sarà l’Italia.
“La giurisdizione all’interno di questi centri sarà italiana”, ha sottolineato più volte Giorgia Meloni. Ma esattamente cosa vuol dire? E soprattutto, è possibile fare una cosa del genere? “Dipende molto da cosa scriveranno nel trattato”, avverte Pasquero. Per Veglio “ci muoviamo in un terreno molto scivoloso ad oggi la giurisdizione italiana all’estero si applica solo alle ambasciate, ai consolati e alle navi battenti bandiera italiana. Pensare che questa regola sia estesa solo sulla base di un accordo lascia perplessi. Non è difficile immaginare che l’Albania acconsenta a delle limitazioni sul suo territorio. Ciò che va al di là dell’immaginabile è come sia possibile che la giurisdizione italiana possa estendersi ai centri in Albania e, soprattutto, limitatamente alle procedure d’asilo. Siamo tra il fantagiuridico e la boutade”.
Questo accordo, aggiunge ad HuffPost Amarilda Lici, avvocata dell’Asgi: “Per l’Italia è una novità: nonostante le tantissime modifiche legislative in materia del diritto dell’immigrazione non si era ancora arrivati a esternalizzare il diritto d’asilo in un altro territorio”.
C’è poi un altro aspetto che non è stato sufficientemente arato, che riguarda il diritto Ue. “Già il fatto che l’Italia intenda stipulare un accordo con un Paese extra Ue pone problematiche nell’ambito dell’applicazione del diritto europeo in materia di diritto d’asilo. Questo, infatti, è limitato agli stati membri aderenti”, dice . “Il principio è stato affermato – fa notare Veglio – proprio ieri da un portavoce della Commissione europea. Proprio ieri ha dichiarato che in materia di asilo si applicano soltanto alle richieste di asilo fatte nel territorio degli Stati membri, non a quelle fatte al di fuori”. Quindi, nonostante la Costituzione italiana rinvii direttamente al diritto Ue, non è scontato che si riesca a trasferire a piccole porzioni di Albania l’applicabilità del diritto europeo. L’unico modo per farlo sarebbe attuare una vera e propria cessione territoriale da parte dell’Albania nei confronti dell’Italia. Per Veglio, però, si tratta solo di un caso di scuola.
“L’intenzione ricorda il modello della Gran Bretagna, che ha stipulato un accordo con il Ruanda: secondo l’intesa, i richiedenti asilo avrebbero dovuto essere mandati nel Paese africano e lì sarebbero state valutate le richieste d’asilo. L’accordo, però, è attualmente sospeso dalla Corte d’appello britannica che ha bocciato il piano del governo”, dice Lici. Come ha fatto notare la Commissione europea, però, l’accordo Roma-Tirana è molto diverso, perché sarà applicata la giurisdizione italiana e non del Paese ‘ospitante’. La Gran Bretagna, invece, aveva lasciato che si applicasse la legislazione del Ruanda.
Grossi nodi riguardano le procedure che si svolgeranno su suolo albanese. Dovranno esserci verosimilmente dei funzionari italiani, ma come farà il migrante a esercitare il diritto di difesa? Avrà degli avvocati disponibili in Albania o dovrà rivolgersi all’Italia. E, ancora, i giudici titolari a vagliare la procedura, dove saranno? In Italia? In Albania? Interrogativi, questi, a cui nessuno riesce a rispondere: “C’è il rischio di violazione dei principi fondamentali della direttiva Ue sulle procedure – argomenta Pasquero – che prevede, tra l’altro, un esame attento delle singole domande d’asilo”. Lici, che ha origini albanesi, ci offre alcuni spunti su come il Paese di Edi Rama potrebbe porsi rispetto all’accordo: “L’Albania è considerata Paese sicuro, ma non è in Ue proprio perché, nonostante sia candidata, ancora non soddisfa i requisiti Ue in alcuni settori. Non ha problematiche evidenti, è vero, ma è un Paese dal quale ancora si emigra. “C’è poi un aspetto che riguarda i numeri: “Tremila migranti da ospitare al mese per l’Italia non sono tantissimi. Anzi, l’accordo riguarda una minima parte del totale degli arrivi. Per l’Albania che è un Paese piccolo, questi numeri hanno, però, una rilevanza diversa. Peraltro è stata fatta una scelta particolare: quella del Nord del Paese, che ha centri piccoli, e non è particolarmente sviluppato da un punto di vista delle infrastrutture. Non sottovalutarei i risvolti sociali e politici di questa scelta”
In questo nebuloso viaggio denso di nodi giuridici, siamo arrivati alla fase finale. Entro 28 giorni, in teoria, le autorità italiane dovrebbero essere in grado di decidere se il migrante è titolato ad avere l’asilo o no. Se ha i titoli, sarà accolto in Italia – ricordiamo che resta invariato il trattato di Dublino – e se invece non ne ha? Deve essere rimpatriato. Vasto programma, dal momento che se c’è una cosa che non funziona sono i rimpatri, in quanto è complesso stipulare accordi con i Paesi di origine dei migranti. Rama ha preso in considerazione l’eventuale fallimento dei rimpatri e la sua risposta è stata, in sostanza, “se non li rimandate in patria, ve li portate in Italia”. Viene da chiedersi, dunque, fino a che punto questo accordo – se mai entrerà in vigore – porterà un aiuto concreto nella gestione italiana del fenomeno migratorio. “La verità – chiosa Veglio, che considera questo un attacco al diritto d’asilo – è che questo protocollo non dissuaderà le partenze. Nessuno sarà dissuaso dal partire pensando al ‘rischio’ di essere portato in Albania”.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile
INTANTO IL GOVERNATORE DEMOCRATICO DEL KENTUCKY ANDY BESHEAR HA VINTO L’ELEZIONE AL SECONDO MANDATO, IN UN ALTRO STATO CHE AVEVA SCELTO TRUMP NEL 2020
Lo stato dell’Ohio vota sì all’aborto. Secondo le proiezioni al referendum
i sì hanno raggiunto il 57% e gli elettori hanno approvato l’”Ohio Issue 1” che stabilisce il diritto all’interruzione di gravidanza nella Costituzione. Per i democratici si tratta di una vittoria in uno stato che ha visto la vittoria di Donald Trump di otto punti percentuali alle elezioni del 2020. E pone le basi per un ribaltamento del risultato anche per il 2024.
«Gli americani hanno votato ancora una volta per proteggere le loro libertà fondamentali, e la democrazia ha vinto. Gli elettori dell’Ohio e del resto del Paese hanno respinto i tentativi dei repubblicani Maga di imporre divieti estremi sull’aborto», ha detto Joe Biden.
L’emendamento
Biden ha anche chiesto di ripristinare le tutele della Roe v Wade in una legge federale. Gli elettori dell’Ohio hanno anche deciso di legalizzare la marijuana ad uso ricreativo.
Dopo all’Ohio toccherà all’Arizona e alla Florida. Intanto il governatore democratico del Kentucky Andy Beshear ha vinto l’elezione al secondo mandato, in un altro stato che aveva scelto Trump nel 2020. L’emendamento approvato prevede che ogni individuo abbia «il diritto di prendere e attuare le proprie decisioni» in materia di aborto e contraccezione. L’Ohio si aggiunge così a California, Michigan, Vermont, Montana, Kentucky, che avevano già votato per garantire il diritto.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2023 Riccardo Fucile
IL NOME COPERTO DEI DEM E’ IL GOVERNATORE DELLA CALIFORNIA, GAVIN NEWSOM
Ha fatto scalpore la sortita di David Axelrod, stratega della vittoria elettorale di Barack Obama nel 2008, una voce democratica molto influente, che, ribadito che se decide di candidarsi il partito sarà con lui fino in fondo, ha invitato Biden a chiedersi se una sua nuova corsa per la Casa Bianca è nel miglior interesse suo, dei democratici e del Paese. Quattro anni fa, quando navigava nelle retrovie delle primarie democratiche, fu Obama a rilanciare la candidatura di Biden per evitare che a sfidare Trump fosse un radicale, nemmeno iscritto al partito, come Bernie Sanders. Oggi dall’ex presidente che ebbe Biden come suo vice sembra venire un messaggio di segno opposto.
Certo, a un anno dalla rielezione del 2012 anche Obama era molto indietro nei sondaggi. E il partito dei progressisti non sembra avere altri candidati pronti, mentre il tempo stringe, vista l’imminenza delle primarie. Axelrod replica che, rispetto al 2012, ci sono due differenze fondamentali: uno sfidante repubblicano molto più forte e aggressivo di Mitt Romney e un presidente democratico più vecchio di 30 anni. Quanto ai candidati alternativi, sostiene che la sinistra ha personaggi con una capacità di leadership fin qui inespressa.
Di sondaggi negativi Joe Biden ne ha collezionati tanti negli ultimi due anni, dopo la fine della sua breve luna di miele con gli elettori democratici. Ma nessuno aveva avuto effetti devastanti come quello pubblicato domenica dal New York Times (ne abbiamo già accennato ieri in newsletter): in cinque dei sei Stati in bilico che decideranno le elezioni 2024 per la Casa Bianca il presidente perderebbe il confronto con un Trump inseguito da 91 capi d’imputazione nei quattro processi penali che dovrà affrontare. Biden sconfitto, e con notevole distacco, in Georgia, Arizona, Nevada, Michigan e perfino nella sua Pennsylvania. La spunterebbe, ma per appena due punti, solo nel sesto Stato in bilico: il Wisconsin…
In teoria a sfidare Biden, in campo democratico, per ora c’è solo lo sconosciuto deputato del Minnesota Dean Phillips, ma il senatore della Pennsylvania, John Fetterman, sostiene che, in realtà, ce n’è un altro, coperto, che non ha il coraggio di farsi avanti: il governatore della California, Gavin Newsom.
Di un’ipotesi Newsom si parla da mesi tanto che lui, che certamente ambisce alla Casa Bianca, a settembre ha chiuso bruscamente la discussione sostenendo che tutto quello che sta facendo serve a sostenere la candidatura di Biden: la sua emergerà solo nel 2028.
Ma sono in tanti a notare che il suo attivismo delle ultime settimane mal si concilia con un obiettivo così remoto: sembra più l’atteggiamento di chi si accomoda in panchina in attesa di essere chiamato. Basti pensare alla recente visita del governatore a Pechino coronata da un incontro col presidente cinese Xi Jinping per parlare del futuro della tecnologia, tema strategico nei rapporti tra le due potenze. O al prossimo duello televisivo col governatore della Florida Ron DeSantis. Il 30 novembre Newsom sfiderà l’arciconservatore che vorrebbe scalzare Trump in un duello di 90 minuti sulla Fox «arbitrato» da Sean Hannity, il conduttore di punta della rete dei Murdoch.
(da agenzie)
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