Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
UIL E CGIL NON CI STANNO: SCIOPERO GENERALE CONFERMATO… UN PAESE IN BALIA DI SOGGETTI CHE NON HANNO MAI LAVORATO IN VITA LORO E CHE DA 30 ANNI VIVONO DI POLITICA
I sindacati non ci stanno. «Confermiamo la proclamazione dello sciopero generale e le sue modalità di svolgimento per la giornata del 17 novembre», affermano Cgil e Uil.
«Non condividiamo la decisione assunta dalla Commissione di garanzia. Si tratta – proseguono – di un’interpretazione che non riconoscendo la disciplina dello sciopero generale, mette in discussione nei fatti l’effettivo esercizio del diritto di sciopero sancito dalla Costituzione a tutte le lavoratrici ed i lavoratori».
Dopo il rischio precettazione ora anche la Commissione di garanzia si mette di traverso nello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil il 17 novembre 2023 contro la legge di bilancio del governo Meloni.
La Commissione di garanzia conferma «il contenuto del provvedimento adottato in data 8 novembre» e chiede la rimodulazione dello stop in alcuni settori.
«Esperti nominati dal governo»
Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, a Tagadà su La7 dichiara: «Sono esperti nominati da questo governo. Spiegare alle organizzazioni sindacali che non è uno sciopero generale ma uno sciopero intersettoriale è una presa di posizione, una visione singolare. Non abbiamo alcuna intenzione di rispettare i divieti della commissione di garanzia, del governo. Singolare che il ministro dica una cosa e coincida esattamente con quello che dice la commissione».
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
MENTRE SARA, LA DISCUSSA MOGLIE DEL PREMIER ISRAELIANO, AMANTE DEL LUSSO, AVREBBE IMPOSTO AL MARITO UN CONTRATTO PER VIAGGIARE SEMPRE CON LUI E APPARIRE A OGNI EVENTO PUBBLICO
«Dichiara di vivere ancora con i genitori, non ha un’occupazione». Yair
Netanyahu viene sentito come testimone dai poliziotti che stanno indagando sul padre Benjamin, adesso sotto processo per corruzione.
Il primogenito del capo di governo più longevo nella Storia di Israele – quasi sedici anni in totale – un’occupazione in realtà ce l’ha: è il consigliere ombra per le strategie mediatiche molto appariscenti del leader conservatore, è lui ad aver messo insieme gli ingranaggi della macchina digitale che il capo del Likud fa girare nelle campagne elettorali e non ha fermato neppure in questi giorni di campagna militare.
Da prima dell’estate Yair con i genitori nella residenza a Gerusalemme non vive più. Ad agosto era ospite a Puerto Rico di un miliardario delle criptovalute, questi 37 giorni di conflitto contro Hamas li sta passando invece a Miami, anche se a 32 anni sarebbe in età per arruolarsi con i riservisti, ha prestato il servizio obbligatorio nell’ufficio dei portavoce militari.
Yair non si esprime nelle piazze più visibili (X, Instagram) ma usa il suo profilo Telegram per allontanare dal padre qualunque responsabilità legata al disastro del 7 ottobre e per cercare di addossarle ai vertici militari o dell’intelligence.
I giornali locali avevano rivelato in primavera che il genitore gli aveva suggerito di prendersi una lunga vacanza all’estero e di concederla anche agli israeliani sommersi da migliaia di suoi messaggi su varie piattaforme, silenzio stampa elettronico dopo una sparata contro il Dipartimento di Stato accusato dal più conosciuto dei fratelli — il minore Avner se ne sta ritirato — di manipolare le manifestazioni contro il piano giustizia anti-democratico portato avanti dalla coalizione di estrema destra.
Qualche suo intervento è già stato condannato per diffamazione: quando Benny Gantz stava all’opposizione e non sedeva ancora nel consiglio di guerra ristretto con papà, Yair ha diffuso il nome della donna che avrebbe dovuto essere l’amante dell’ex capo di Stato Maggiore e ha perso in tribunale.
Psicologa infantile, terza moglie di Netanyahu, ex hostess, Sara ha conosciuto il futuro marito in aereo. Hanno due figli, Yair e Avner. Lui ha anche una figlia da un precedente matrimonio, ma Sara preferisce che i rapporti avvengano da lontano.
Si dice che esista tra i due un contratto (scritto, pare, dopo un tradimento di Bibi) secondo il quale lei avrebbe potuto partecipare a tutti i viaggi del premier, salendo e scendendo dalla scaletta tenendosi per mano, e che lui si sarebbe dovuto consigliare con lei nelle sue decisioni. E così è stato.
Ormai è cosa nota che chi non “passa” per Sara, non arriverà lontano. Dai ministri all’ultima delle segretarie. È nota per le sue scenate e le sue urla allo staff della residenza ufficiale, compresa, anni fa, la scarpa tirata a una governante. Ultimamente ha dovuto risarcire lo Stato per aver ordinato interi pasti a ristoranti pur avendo lo chef in residenza.
Ama lo champagne rosé, del quale siamo venuti a conoscenza attraverso il processo per corruzione frode e abuso di potere del marito. Non le dispiacciono i gioielli come regalo di compleanno.
I Netanyahus sono da anni le star della trasmissione satirica “un paese meraviglioso”, lei nella parte della regina, il marito in quella del re, il figlio Yair Netanyahu in quella del principino viziato e nullafacente che vive in casa.
Se la madre è l’eminenza grigia, il giovane Netanyahu è l’occulto consigliere del padre. Estremista di destra, portatore di fake news, oggi si trova a Miami e certo non combatte alcuna guerra. E tutti e tre sono convinti che anche dopo continueranno a regnare. Ci stanno già lavorando. Ogni legge antidemocratica verrà usata a questo proposito. Ogni guerra. Il loro principale interesse non è il bene del Paese, ma il loro stesso bene
Resteranno abbarbicati al potere fino all’ultimo momento, malgrado sappiano di essere odiati dalla maggioranza del loro stesso popolo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
“I LIVELLI BASSI DEI SALARI DISINCENTIVANO LE PERSONE A LAVORARE O LE SPINGONO A FARLO IN NERO. UN SALARIO MINIMO POTREBBE ESSERE UN ELEMENTO POSITIVO PER CONTRASTARE QUESTA DINAMICA. INOLTRE POTREBBE INCITARE MOLTI GIOVANI A RESTARE IN ITALIA”
Anche se la direttiva europea non lo impone, l’Italia avrebbe bisogno di introdurre un salario minimo per legge visto che in molti settori i livelli sono inadeguati. A sostenerlo è Nicolas Schmit, commissario europeo responsabile del Lavoro, che all’inizio di dicembre arriverà in Italia proprio per discutere con Confindustria e con il Parlamento l’esigenza di garantire «stipendi decenti».
C’è un problema legato ai livelli retributivi: secondo la direttiva Ue sul salario minimo, l’Italia non è tenuta a introdurlo perché ha un elevato livello di contrattazione collettiva.
«La fermo subito. La direttiva non dice che i Paesi che hanno un elevato livello di contrattazione collettiva non devono introdurre il salario minimo. È vero, ci sono Paesi come l’Austria o la Svezia che non ne hanno bisogno. Ma l’Italia è un caso particolare perché ha un tasso di copertura della contrattazione collettiva, ma al tempo stesso presenta settori interi con stipendi molto bassi. E dunque la questione si pone. L’obiettivo della direttiva è assicurare salari decenti e adeguati al costo della vita».
In molti settori non lo sono, non trova?
«Allora vuol dire che c’è qualcosa che non funziona nei contratti di categoria. I livelli bassi dei salari disincentivano le persone a lavorare o le spingono a farlo in nero. Un salario minimo potrebbe essere un elemento positivo per contrastare questa dinamica perché fornirebbe un incentivo a entrare nel mercato occupazionale. Inoltre, l’Italia soffre di un altro problema: la fuga dei giovani che hanno deciso di lasciare il Paese. Quelli qualificati, ma non solo. […] Avere un salario minimo decente ed adeguato potrebbe incitare molti giovani a restare in Italia. Si tratta di un dibattito che deve essere affrontato in maniera molto seria».
Molti Paesi non indicizzano i loro salari all’inflazione perché temono una spirale, ma laddove questo sistema esiste – per esempio in Belgio – l’effetto non si è materializzato: chi ha ragione?
«I dati sui salari reali, ossia il livello delle paghe orarie tenuto conto del peso dell’inflazione, ci dicono che in Belgio e nei Paesi Bassi c’è stato addirittura un aumento. In Spagna sono scesi solo dell’1,2% e sapete perché? Perché Madrid ha più volte aumentato il salario minimo negli ultimi anni. In Francia sono calati solo dell’1,8% e anche qui perché il salario minimo è indicizzato all’inflazione. In Italia i salari reali sono calati del 7,3%. Vuol dire che il sistema della contrattazione collettiva non ha permesso di adeguarli al costo della vita. Senza un salario minimo, il peso dell’inflazione lo subisce maggiormente chi ha una paga più bassa».
Il governo Meloni ha sostituito il Reddito di Cittadinanza con un nuovo sistema: promosso o bocciato?
«È stato ristretto il numero dei potenziali beneficiari e noto che in questo c’è una certa discrepanza con la nostra raccomandazione. Le modifiche relative all’inserimento nel mondo del lavoro mi sembra invece che siano in linea con il nostro approccio perché non bisogna lasciare che i cittadini percepiscano un reddito minimo a prescindere. Ovviamente vanno fatte delle distinzioni. Ci sono persone che per varie ragioni potrebbero non essere più in grado di lavorare e a queste va garantito un livello di assistenza minimo per far sì che abbiano una vita decente».
Il nuovo modello lo garantisce?
«Mi pongo anche io la domanda, ma mi fermo qui».
La riforma delle pensioni, che sta sollevando proteste, va nella giusta direzione?
«È una questione delicata e sensibile ovunque. Da un lato c’è un tema legato all’età pensionabile nel momento in cui la speranza di vita aumenta. Serve un approccio più flessibile. Dall’altro c’è un tema di sostenibilità dei conti pubblici che deve fare i conti con i trend demografici, soprattutto in Paesi come l’Italia. Infine, c’è una questione del livello delle pensioni: deve essere adeguato perché non possiamo spingere le persone più anziane nella povertà».
(da La Stampa)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
“BREVETTA UN PRESIDENTE ELETTO A TEMPO INDETERMINATO, SENZA IL VINCOLO DEL DOPPIO MANDATO. SARÀ L’UNICO CASO, FRA I 14 PAESI DELL’UE CHE HANNO SCELTO L’ELEZIONE DIRETTA”… “L’ELEZIONE NON È GARANZIA DI SANTITÀ. D’ALTRONDE PURE HITLER, NEL 1932, FU VOTATO DA 14 MILIONI DI TEDESCHI. E COME LUI MOLTI ALTRI DITTATORI”
Due mandati, e perché non anche tre? Perché non trentatré? Dal ventre
profondo della politica italiana sale un appello, un’istanza, un altolà: via il vincolo del doppio mandato per essere rieletti, anzi via ogni limite, che ciascuno governi vita natural durante, basta che sia d’accordo il popolo, d’altronde il popolo ha sempre ragione.
Da qui la sentenza del governatore leghista del Veneto, Luca Zaia (peraltro in sella dal 2010, giacché nella sua Regione il divieto è scattato solo dopo): proibire la rieleggibilità «significa dare degli idioti agli elettori».
Questa patente d’idiozia viene condivisa sia a destra che a sinistra, per una volta unite nella lotta. Da Vincenzo De Luca . Dai suoi colleghi di partito e di governo Emiliano (Puglia) e Giani (Toscana).
Dalla stessa Conferenza delle Regioni, per bocca del suo presidente Fedriga, che a giugno ha inviato una nota ufficiale alla Premier e al ministro Calderoli. E ovviamente dai sindaci colpiti dal medesimo divieto; per esempio Bucci (Genova) e Brugnaro (Venezia) a destra, Nardella (Firenze) e De Caro (Bari) a sinistra.
È un’ingiustizia, dicono in coro tutti questi signori. Tanto più ingiusta adesso, perché la riforma più riformatrice non reca limiti per il presidente del Consiglio eletto. Potrà regnare 21 anni, come l’imperatore Adriano; oppure uno di meno, come Mussolini. Ma dipenderà solo dai voti, non dai veti del diritto.
Come succede quasi sempre, quando un’innovazione rafforza il potere dei potenti, questa richiesta si veste di nobili principi. Due, soprattutto: la sovranità popolare; la libertà del voto.
Trascurando tuttavia che il popolo italiano esercita la sovranità «nei limiti della Costituzione» (articolo 1). E i limiti derivano dalla lezione della storia, che dovrebbe averci messo in guardia dalla democrazia plebiscitaria. A partire dal processo a Gesù, quando Ponzio Pilato chiede alla folla: «Chi volete libero, Barabba o Gesù?». E il popolo salva il primo, lasciando crocifiggere il secondo. Insomma, gli umori popolari talvolta vanno contrastati, e comunque sottoposti a un telaio di regole, di vincoli giuridici. L’elezione non è garanzia di santità. D’altronde pure Hitler, nel 1932, fu votato da 14 milioni di tedeschi. E come lui molti altri dittatori.
Quanto alla libertà del voto, è vero casomai il contrario. L’ha chiarito una volta per tutte la Consulta (sentenza n. 60 del 2023), annullando una legge della Sardegna che estendeva il limite a quattro mandati. Perché il divieto dopo due elezioni consecutive rappresenta «un temperamento di sistema rispetto all’elezione diretta dell’esecutivo e alla concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva».
E perché quel limite tutela il diritto di voto dei cittadini, «impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo».
Ma a quanto pare la politica italiana ha in odio le sentenze. Nonché le norme costituzionali, che vietano per esempio di rieleggere i membri del Csm e i giudici della Consulta. Così, l’anno scorso la legge n. 35 ha esteso da due a tre i mandati consecutivi per i sindaci dei comuni meno popolosi.
E mentre la madre di tutte le riforme brevetta un presidente eletto a tempo indeterminato, senza il vincolo del doppio mandato. Sarà l’unico caso, fra i 14 Paesi dell’Unione europea che hanno scelto l’elezione diretta. Ma noi, evidentemente, siamo un po’ speciali.
Fu un presidente speciale pure Roosevelt, che guidò gli Stati Uniti attraverso la crisi del 1929 e la guerra mondiale. Però gli americani […] emendarono la propria Costituzione per non ripetere più quell’esperienza. Due mandati e basta, anche se alla fine della giostra sei popolare come Obama. Perché un potere prolungato t’ubriaca, ti priva di senso della misura e d’equilibrio. Ecco dunque la bevanda più indicata per i nostri governanti: la camomilla, non la grappa.
Michele Ainis
(da “la Repubblica”)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
PUÒ UNA PERSONA CON UN PROFILO PROFESSIONALE DI QUESTO TIPO TENERE LA PROPRIA AZIONE SGOMBRA DALL’INFLUSSO DEGLI ALTRI INTERESSI CHE RAPPRESENTA NELLA SUA ATTIVITÀ POLITICA? … LA CAPACITÀ DI DISCERNERE QUALE CLIENTE RAPPRESENTARE SAREBBE UNA DOTE AUSPICABILE NEI PROFESSIONISTI DI RILEVANTE FUNZIONE PUBBLICA
Ho vissuto larga parte della mia vita nell’epoca berlusconiana. E per molto tempo la mia mente è stata occupata da riflessioni sul conflitto d’interessi, che ha mutato forma, nella mia testa e nella vita politica del paese. Questa fastidiosa nozione mi è ritornata in mente leggendo le angoscianti dichiarazioni della sua cliente riportate dall’avvocato Giulia Bongiorno, nel processo a carico di Ciro Grillo per un presunto stupro di gruppo. L’imparzialità serve sempre, nell’amministrazione della giustizia. È la capacità di considerare il peso e la rilevanza di tutti gli interessi in gioco, di mettersi nei panni di tutti. È per questo […] che il padre di una persona accusata di stupro può e deve tacere, senza per questo venire meno ai suoi doveri genitoriali.
Ma la capacità di vedere e tutelare gli interessi di tutti è necessaria soprattutto quando la giustizia serve a proteggere la dignità umana. E l’imparzialità è necessaria non solo a chi giudica, ma anche a chi concorre al giudizio rappresentando le parti. Pur se un avvocato rappresenta gli interessi di una parte, la base e la giustificazione della sua presenza nel processo stanno sempre nell’obiettivo di assicurare l’interesse pubblico alla giustizia.
La brillante difesa di un imputato o il successo di un’accusa giova non solo a una delle parti, ma alla società in generale. La senatrice Giulia Bongiorno rappresenta la parte civile al processo che vede imputato Ciro Grillo, il quale, com’è noto, è figlio di chi ancora rappresenta l’ispiratore di uno dei movimenti politici del paese, in questo momento all’opposizione.
La senatrice Bongiorno appartiene alla maggioranza politica. Il suo impegno a favore delle donne e della parità di genere è noto. Si può capire che per chi l’ha scelta questo sia garanzia. E garanzia, ovviamente, sono le enormi abilità che Bongiorno ha dimostrato. E anche la capacità di lavoro della senatrice è commendevole, dato che è anche presidente dalla Commissione Giustizia.
Ma è qui che il conflitto si manifesta. Può una persona con un profilo professionale di questo tipo tenere le propria mente e la propria azione sgombra dall’influsso degli altri interessi che rappresenta nella sua attività politica, e guardare con la sua azione all’interesse non solo del suo cliente ma anche della società in generale?
Non credevo durante la lunga era berlusconiana alle soluzioni esclusivamente legislative del conflitto di interessi e non ci credo neanche ora. Ma la sensibilità civica, invece, avrebbe le armi per farlo. La capacità di discernere quale cliente rappresentare e quale no, per esempio, sarebbe una dote auspicabile nei professionisti che si occupano di questioni delicate e di rilevante funzione pubblica, come gli avvocati.
La capacità di evitare di trovarsi all’incrocio di interessi opposti e la sensibilità di evitare anche solo la tentazione di una rappresentanza surrettizia di certi interessi sarebbe una dote non solo auspicabile, ma anche necessaria in chi occupa una funzione politica, rappresentando interessi anch’essi di parte, ma all’interno di un sistema che mira nel suo complesso a tutelare il bene pubblico.
(da Editoriale Domani)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
IRONIA SU CONTE E DI MAIO… “BONGIORNO E’ SENATRICE E FA COMIZI AI PROCESSI, E’ INOPPORTUNO”
Tutto in nero, in maniche di camicia, scende dai gradini. Inizia
scherzando, o magari confessa, o forse fa entrambe le cose quando scandisce: “Io sono veramente il peggiore”. Rieccolo in televisione, Beppe Grillo, da Fabio Fazio, nove anni dopo l’ultima apparizione sullo schermo. Era il maggio 2014, quando andò da Bruno Vespa a Porta a Porta ad annunciare una vittoria del M5S alle imminenti Europee che però non arrivò mai, perché quelle furono le urne del 40 per cento per Matteo Renzi. Era un altro Grillo, leader di un altro Movimento, solo parente del M5S contiano, e soprattutto, era un’altra Italia. “Ho usato le parole che gli hanno rivolto contro per convincerlo a esserci” dice Fazio attorno alle 21, visibilmente contento di aver portato l’artista in prima serata a Che Tempo che fa sul canale Nove. Sullo schermo mostrano una sequela di insulti, poi appare l’insultato, il garante dei Cinque Stelle Grillo. “Feci l’intervista con Vespa e perdemmo le elezioni, quelli che mandavo a fanculo sono tutti al governo” prorompe subito.
Parla in piedi, Fazio lo marca a malapena. “Non posso portare a buon fine un movimento politico, non ero in grado c’era Casaleggio, era un manager” dilaga. “Ho fondato il M5S, ma ero iscritto al Pd di Arzachena” ricorda. In platea sorridono, ma è tutto vero. “La mia rabbia, quella del vaffanculo, era buona”, giura. “Sono qui per capire chi sono, se devo andare avanti” si macera. Sembra quasi una seduta di psicoterapia di gruppo. Perché si auto-accusa, l’artista: “Ho peggiorato questo Paese”. Ma qualche secondo dopo si assolve: “Ho fatto anche delle cose per voi”. Il conduttore lo convince a sedersi, ma dura pochissimo. Grillo si alza dopo pochi attimi, parla di anziani, e c’è poco da ridere. Si rialza anche Fazio, per inseguirlo. “Noi liguri…” tenta di tamponarlo il conduttore savonese. Ma il genovese Grillo già scherza sul leone che gironzolava per Ladispoli: “Sono animali incredibili, trombano 40 volte in dieci minuti”. Poi, improvviso, arriva l’attacco a Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato, ma soprattutto l’avvocato della presunta vittima di uno stupro di gruppo di cui è accusato anche il figlio di Grillo, Ciro. “È una senatrice della Lega, ma fa i comizietti davanti ai tribunali dove c’è una causa a porte chiuse. È inopportuno, così si mischia tutto”. Fazio fa muro: “È inopportuno anche parlarne”. Però è successo ciò che alla vigilia temevano nel M5S: Grillo ha fatto riferimento a quel processo, in pieno svolgimento in tribunale con la dolorosissima testimonianza della ragazza. Susciterà polemiche in serie, l’uscita del comico.
Nell’attesa, Fazio lo porta altrove, lo spinge a seminare aneddoti di anni prima. Poi gli cita Conte. “Lo scegliemmo io e Luigi Di Maio” rievoca Grillo. Poche ore prima l’ex capo politico dei 5Stelle aveva parlato a In Mezz’ora. Ma il fondatore del M5S non si commuove: “Giggino la cartelletta, era il politico più preparato ma poi ci ha pugnalato per potere”. Però si sofferma volentieri su Conte. “Era un bell’uomo, aveva un curriculum della Madonna, parlava e si capiva poco, quindi era perfetto per la politica…”. Non lo odia, ma non lo ama: “All’inizio ci fu un bel litigio con lui, però è migliorato, ora ci mette un po’ più di cuore”. E il governo? Grillo non lo morde davvero. “Questo esecutivo è una decalcomania, più ci sputi sopra più si appiccica. Lasciamolo seccare, cadrà da solo” concede. Infine, su Mario Draghi: “Con lui eravamo d’accordo che il superbonus durasse cinque anni”. Accadeva solo poco tempo fa. Quando Grillo non andava in tv a chiedersi se continuare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
UGUALE A QUELLO DI TREMONTI NEL 2003: SU 3 MILIONI DI CONTRIBUENTI ADERIRONO SOLO IN 250.000, INVECE CHE I 3.6 MILIARDI PREVISTI LO STATO INCASSO’ SOLO 57 MILIONI… GLI EVASORI VANNO STANATI E MESSI IN GALERA, ALTRO CHE BLANDIRLI PER INTERESSI ELETTORALI
Giulio Tremonti nel 2003. Si rivolgeva a 3 milioni di contribuenti: le adesioni sono state 250 mila e in 2 anni lo Stato ha incassato 57,5 milioni contro i 3,58 miliardi stimati.
Un patto con gli evasori in un’Italia dove i dati accertati dal Mef fanno impressione: 41,45 miliardi di evasione da lavoro autonomo o reddito di impresa per 4,1 milioni di contribuenti.
Sono così suddivisi: ci sono quasi 3 milioni di autonomi (di cui 1,7 in regime di flat tax al 15%) e 453.429 società di persone che complessivamente evadono il 69,2% dei redditi Irpef per 32,4 miliardi, e altre 674.551 società di capitali che evadono il 23,8% di Ires per 8,98 miliardi.
Il governo Meloni ritiene che la causa dell’evasione sia un fisco «troppo poco amico» e quindi nella legge di delega fiscale (n. 111 del 9 agosto 2023, art. 17 comma 1, lettera g, par. 2 qui) propone un concordato preventivo per i prossimi 2 anni, estendibili ad altri 2. Vediamo che cos’è e come funziona.
La proposta dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate presenta a ciascun contribuente con un volume d’affari sotto i 5 milioni di euro una proposta che vale per la tassazione nel 2024 e nel 2025 con una stima del reddito imponibile.
Il calcolo avviene sulla base delle informazioni presenti nella banca dati dell’Anagrafe tributaria e nei modelli Isa che sono una sorta di pagella (con voto da 1 a 10) sul livello di affidabilità fiscale di ciascuno. Il contribuente si confronta con l’Agenzia delle Entrate in un contraddittorio semplificato e, se accetta, per due anni paga le imposte in base alla proposta che gli viene fatta.
Esempio: l’offerta dell’Agenzia delle Entrate alla mia società di persone definisce per gli anni 2024 e 2025 un reddito imponibile di 75 mila euro al posto dei 52 mila di solito dichiarati. Qualora nel 2024 la mia società consegua un reddito imponibile di 100 mila e nel 2025 di 120.000 le mie imposte e contributi saranno sempre calcolati su 75 mila euro. L’accordo però mette come condizione che venga dichiarato tutto quello che guadagno, e se sgarro, o comunque dichiaro meno, non perdo il beneficio del concordato solo se i ricavi nascosti non superano il 30% di quelli dichiarati.
I vantaggi
Per il contribuente o la società che evade le tasse ci sono, dunque, due vantaggi su tutti: 1) paga meno del dovuto, anche perché difficilmente i dati e le informazioni che utilizzerà il Fisco per calcolare l’imponibile sono completi; 2) non subirà accertamenti dall’Agenzia delle Entrate nei 2 anni successivi (a meno che non decadano i presupposti). I controlli, semmai ci saranno, si concentreranno su chi non aderirà al concordato. In sintesi: il Fisco «amico» non mi chiede tutto, mi concede un margine di errore, e poi non mi controlla. Non ci sarà, invece, nessuno sconto sull’applicazione dell’Iva che andrà pagata secondo le regole ordinarie. Ma nella pratica cosa bisogna fare per aderire?
I requisiti
Strada aperta anche a quel 1,7 milioni di autonomi con redditi fino a 85 mila euro che pagano la flat tax al 15%, ai quali l’Agenzia delle Entrate ricalcolerà l’imponibile un po’ al rialzo: chi aderirà potrà comunque mantenere il regime forfettario. I requisiti di adesione prevedono che non ci siano pendenze con il fisco (o, non superiori a 5.000 euro) e la qualifica di soggetto «fiscalmente affidabile», ossia con un punteggio Isa almeno di 8 (come previsto dal decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 3 novembre, qui il comunicato del Cdm qui). Su 4,1 milioni di contribuenti al momento la pagella fiscale in ordine ce l’hanno in poco più di 1,1 milioni, cioè il 28% del totale. Una percentuale che sale al 47% se si esclude quel 1,7 milioni di contribuenti in regime forfettario che aderisce alla Flat tax, perché l’Isa non ce l’ha, e pertanto non è possibile sapere se sono o meno fiscalmente affidabili.
Chi ha la pagella fiscale attendibile
Il prof. Marco Leonardi della Statale di Milano e il prof. Leonzio Rizzo dell’Università di Ferrara hanno spacchettato i dati. Prendiamo come esempio la categoria dei commercianti di dimensioni medio-grandi. Quelli che possono essere considerati più affidabili (Isa sopra 8) sono il 43%, dichiarano in media un fatturato di 575.690 euro e un reddito imponibile lordo di 61 mila. Perché dovrebbero aderire pagando in più visto che, rientrando nella categoria di quelli presumibilmente in regola, non sono nel mirino dei controlli? Potrebbe convenire a chi in realtà non ha proprio tutti i conti a posto, ma ha solo ingannato l’algoritmo, e aderendo si porta a casa proprio la garanzia della sospensione degli accertamenti per due anni.
Chi ha la pagella fiscale inattendibile
È poco affidabile invece, il 57% dei commercianti di dimensioni medio-grandi (Isa sotto 8): il fatturato medio dichiarato è di 434 mila euro e il reddito imponibile di 19.150 euro lordi. I soldi di questa probabile evasione come il governo intende recuperarli? La speranza di Meloni & C. è che dichiarino spontaneamente un po’ di più per prendersi il voto 8, e quindi poter aderire al concordato preventivo con i suoi vantaggi.
Una scommessa difficile da vincere perché legata completamente al comportamento spontaneo dell’evasore, in cambio di «minori oneri connessi alla gestione, da parte del contribuente, delle attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, alla riduzione delle occasioni di conflitto e dei conseguenti contenziosi».
La prova che è poco più di un’illusione recuperare in questo modo un po’ di evasione è nelle stime che fa il governo stesso: dalle previsioni risulta che da chi dichiarerà un po’ di più per prendersi il voto 8 saranno recuperati solo 605 milioni di euro. Secondo il professor Leonardi e il professor Rizzo avrebbe avuto più senso prevedere che l’Agenzia delle Entrate facesse una proposta a chi è poco affidabile, andandoli davvero a stanare, e proponendo poi un accordo tarato sul reddito imponibile simile in tutto e per tutto a quello del contribuente che sta sopra 8.
I professionisti
Per fare un altro esempio: il 51% dei professionisti medio-grandi ha un Isa superiore a 8, un fatturato in media di 171.550 euro e un reddito di 105.940; mentre il 49% con Isa inferiore a 8 dichiara in media 170 mila euro di fatturato e 64 mila euro lordi di reddito imponibile. Affinché il provvedimento possa avere più probabilità di successo in termini di recupero di evasione, anche in questo caso il vantaggio per lo Stato sarebbe quello di fare una proposta a questi ultimi.§
Chi non aderisce al concordato
In ogni caso il patto con gli evasori può funzionare solo se c’è una minaccia credibile di controlli in caso di rifiuto del concordato preventivo. Vuol dire che, chi non accetta la proposta dell’Agenzia delle Entrate sarà sottoposto a controlli puntuali ed inesorabili. L’articolo 34 comma 2 del decreto legislativo dice: «L’Agenzia delle Entrate e il Corpo della Guardia di finanza programmano l’impiego di maggiore capacità operativa per intensificare l’attività di controllo nei confronti dei soggetti che non aderiscono al concordato preventivo biennale». Per fare più controlli serve più personale: resta da capire come il proposito sarà attuato nella pratica visto la cronica carenza di risorse.
Il precedente
In questo provvedimento non c’è nulla di nuovo: è del tutto simile a quello messo in campo dal ministro Giulio Tremonti nel 2003. Si rivolgeva a 3 milioni di contribuenti: le adesioni sono state 250 mila e in 2 anni lo Stato ha incassato 57,5 milioni contro i 3,58 miliardi stimati.
In questo caso le stime complessive sono ben al di sotto: nella relazione tecnica è indicata la cifra di 760,5 milioni di euro. Con un’aggiunta che dice tutto: «nonostante le quantificazioni sopra sviluppate, alla presente disposizione non si ascrivono cautelativamente effetti positivi di gettito». Tradotto: sono pochi soldi e non è detto che si riesca ad incassarli.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
GLI ISRAELIANI SPIANANO TUTTE LE CASE DI GAZA CON L’AVIAZIONE, HAMAS SI NASCONDE E POI SBUCA A SORPRESA
Per i guerrieri d’Occidente la violenza deve avere una forma, un corso.
Ci sono un terreno, uno spazio, un tempo: il nemico è laggiù, all’orizzonte, si prendono le coordinate, l’artiglieria aggiusta il tiro, i carri armati si muovono a tenaglia, gli elicotteri e gli aerei aprono la strada, distruggono bonificano, puliscono il campo di battaglia. I fanti avanzano. Ecco fatto: abbiamo vinto.
Ma se la guerra diventa una sfida tra il Sopra e il Sotto, la superficie e il sottosuolo, se non esiste più una prima linea e una retrovia, presidiata e sicura, perché il nemico si muove sotto di me, a destra a sinistra spunta laddove credevo ormai fosse tutto regolato? Se il campo di battaglia si capovolge come un acrobata e in realtà quello che vedo e posso distruggere con le mie armi più potenti, la mia tecnologia che allunga lo sguardo, è solo la parte meno importante dello scontro? Là sotto, inestricabili e misteriose ci sono le gallerie i tunnel i labirinti scavati dal nemico, l’altra Gaza, quella che appartiene davvero ad Hamas, più difficile da espugnare perché è disegnata dai guerriglieri. Questa di oggi, allora, che guerra è?
Il terreno è nostro, possono vantare gli israeliani, con metodo avanziamo da settimane, eliminando i nidi di resistenza visibili, cancelliamo dall’elenco gli obiettivi fissati nei piani di attacco, cento mille ventimila. La guerra non è forse una questione di aritmetica? E questa dovrebbe essere la vittoria. Ma sotto resta un mondo buio, indecifrabile anche per le tecnologie più sofisticate, un mondo minerale con ossa di cemento armato, un mondo da minatori, da guerriglieri, da ostaggi dove le voci rimbombano ed è sempre notte. Su quei tenebrosi penetrali voci e leggende moltiplicano l’eco, sono lunghi centinaia di chilometri, non migliaia, contengono depositi refettori e cucine attrezzatissimi, confortevoli cinque stelle per i capi della diabolica ghenga… Quel mistero non l’hanno decifrato, ne cercano ancora a tentoni un baedeker esauriente, un filo che spunti in superficie, per afferrarlo saldamente e sgomitolarlo metri dopo metro, bomba dopo bomba.
È l’altro campo di battaglia, micidiale e sfuggente. Il modo più giusto sarebbe entrarvi, accettarne la logica, rischiare di esserne inghiottito, di perdersi nella sua geografia scandita di trappole e segreti. Ci vorrebbe una razza di soldati, di uomini, a parte che accettano di diventare creature sotterranee: come gli americani che in Vietnam si addentravano con una pila e una pistola nei tunnel dei vietcong. Avevano accettato che in quella guerra non ci si poteva aspettare pietà, che diventavano spietati per una insopprimibile fame di sopravvivenza. L’autoconservazione il più viscerale e tirannico degli istinti. E perfino la gloria restava sotterrata nel buio dei tunnel, non era visibile, appagante. Era un segreto tra noi e lor, i nemici.
Gli israeliani, che sono guerrieri moderni, che praticano l’arte occidentale della guerra, distruggono abbattono ripuliscono con i buldozzer: un campo di battaglia, un poligono piatto liscio perfetto, il paesaggio diventa il terreno da valutare con criteri tattici e non estetici. Ma il nemico non è lì, è nascosto e protetto da un Averno da cui escono forme oscure e crudeli, una dimensione ctònia in cui i fantasmi si attivano e diventano simili a mostri. Se ci sono i tunnel, che guerra è quella di Gaza?
Una terribile, feroce guerra bastarda, di quelle che a noi occidentali non piacciono, che consideriamo scorrette, subdole, che infatti perdiamo quasi sempre. Noi vogliamo un risultato inequivocabile e immediato. Le nostre società, (anche quella israeliana di oggi diversa da quella eroica del tempo dei pionieri), non possono, al contrario dei guerriglieri e dei terroristi, impegnarsi in campagne senza limiti. Dobbiamo tornare a casa subito, la incertezza interminabile, rovinosa e dissanguante della guerriglia è inaccettabile. Siamo super potenti, con armate gonfie di tecnologie efficacemente omicide: questa guerra sotterranea, che è tutto un agguato e un nascondersi, ci dà vertigini, epilessie, sogni pieni di paura.
Tutte le meraviglie della modernità assassina, su cui Israele ha fondato e cerca ora di rimettere insieme i cocci della sua invincibile deterrenza, sono scavalcati dal vecchio trucco dei deboli, la sorpresa. In guerra ogni sorpresa colpisce di paura, come suggeriva il giudizioso e reazionario Senofonte, soprattutto coloro che sono indiscutibilmente i più forti. I tunnel di Gaza sono la sorpresa di Hamas per resistere alla punizione; e forse capovolgerla in una nuova vittoria.
A Gaza la nebbia della guerra, la sua eterna indecifrabilità legata all’imponderabile, scende sotto terra. La perdita di efficacia di una potenza mal impiegata si legge nella sparizione fisica del nemico. Da una parte il carro armato da milioni di dollari, dall’altra il vecchio economico trucco della tana. Come in Afghanistan, in Iraq, in Libano, gli insorti i jihadisti i talebani i terroristi si ingegnano a rifiutare il combattimento che gli occidentali, gli israeliani, vogliono imporgli, si dedicano a combattere sempre altrove, dove la forza e la tecnologia sono quasi inutili.
Tsahal ripete un errore che altri eserciti hanno provato a loro spese, l’illusione cioè che la dispersione della minaccia nemica nella prima fase dei combattimenti renda inutile prenderla in conto sulla durata. Ma mentre in Iraq e in Afghanistan la bruciante disillusione è avvenuta nella fase in cui si pensava che la guerra fosse finita e il problema fosse semmai la stabilizzazione, Hamas l’ha prevista con accuratezza per reggere subito il prevedibile urto dell’esercito israeliano che cercava la vendetta per il 7 ottobre.
L’imponente Tsahal è stata risucchiata in una strana distorsione spaziale. Di sopra conduce la sua guerra da manuale, uccidendo anche i civili, radendo al suolo città e campi profughi e lasciandosi dietro pezzi stracciati del suo buon diritto a difendersi. Ma la vera battaglia gli sfugge perché sotto, appena scalfito, c’è quell’Ade armato fino a denti, che attende. È come se la terra stessa fosse in combutta con i miliziani per sfiancarli, per farli impazzire, per ucciderli. Disponendo di una determinazione e di una pazienza che è ormai vietata alla potenze convenzionali. I guerriglieri hanno fatto la loro rivoluzione militare.
In quella che era Saigon per poche decine di dollari e una accertata assenza di debolezze claustrofobiche si può fare un tour orfico dei vecchi tunnel vietcong di Cu Chi, ti accompagna un veterano che credeva nello zio ho come un gesuita crede nella chiesa di Roma, con un modesto sovrapprezzo ti portano anche a fare il giro del delta del Mekong. Mercimonio consumistico e post rivoluzionario, che fa turismo di ogni leggenda e storia. Ma da quel reticolo di gallerie balzò fuori la bruciante sorpresa del Thet che asciugò ogni illusione dell’America. Precedente che Israele dovrebbe meditare. Gaza è davvero una oscura pianura, spazzata da allarmi confusi di lotte e di morte, in cui eserciti ignari si scontrano di notte.
(da La Stampa)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
UNA DONNA SOLA AL COMANDO, CAMERE SCAVALCATE: IN 12 MESI 47 PROVVEDIMENTI URGENTI, MOLTO PIU’ DI DRAGHI
Il 3 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma della Costituzione che potrebbe introdurre l’elezione diretta del presidente del Consiglio: l’obiettivo del governo Meloni è quello di approvare la riforma nelle due Camere e svolgere il referendum entro il 2025. Il disegno di legge della Carta ha lo scopo di rafforzare i poteri del governo nei confronti del Parlamento: “Con questa riforma diamo stabilità e credibilità internazionale all’Italia”, ha detto la premier Meloni venerdì scorso in conferenza stampa.
Peccato che, secondo i dati dei lavori parlamentari, nel primo anno di governo Meloni, l’esecutivo abbia già operato scavalcando le Camere e istituendo già un premierato di fatto. Secondo i calcoli di OpenPolis, l’esecutivo nei primi 12 mesi ha pubblicato 47 decreti-legge (provvedimenti che hanno un carattere di necessità e urgenza che devono essere convertiti dal Parlamento in 60 giorni) e posto 33 voti di fiducia, un modo per limitare il dibattito delle Camere.
L’abuso dei decreti e delle fiducie è una prassi molto comune negli ultimi governi ma l’esecutivo di Meloni sta superando i record negativi. La leader di Fratelli d’Italia è quella che ha pubblicato più decreti al mese con una media di 3,83 contro i 3,20 di Mario Draghi e 3,18 del Conte-2 che, tra l’altro, si erano trovati a operare durante l’emergenza pandemica. Anche per le fiducie, Meloni è al terzo posto con 2,5 al mese, superata solo dai 3 di Mario Monti e 2,89 di Draghi.
Una situazione che peggiorerà da qui a fine anno. Nell’ultimo mese e mezzo prima della fine del 2023, infatti, il Parlamento dovrà convertire ben nove decreti legge: il Senato dovrà approvare i decreti Sud, Proroghe, Anticipi e Fisco, mentre la Camera Bollette, Migranti, Campi Flegrei, Referendum. Resta il decreto sul Piano Mattei che non è ancora stato trasmesso alle Camere. Inoltre, Palazzo Madama si bloccherà fino a metà dicembre per l’approvazione della legge di Bilancio che poi passerà, blindata e senza possibilità di modifiche, alla Camera.
A questo si aggiungono tre disegni di legge governativi che dovranno essere approvati entro la fine dell’anno perché collegati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: il Concorrenza e le Guide Turistiche al Senato, mentre il Made in Italy andrà licenziato entro il 31 dicembre per non perdere alcuni finanziamenti.
Questo quadro però è ancora più complicato dalle riforme istituzionali – l’autonomia e il premierato entrambi al Senato – ma anche dalla riforma della Giustizia di Nordio che contiene l’abolizione dell’abuso d’ufficio: il termine per gli emendamenti scadrà il 21 novembre ed è probabile che il testo, almeno in prima lettura, slitti a inizio 2024.
Il cosiddetto “ingorgo” parlamentare avrà degli effetti diretti di compressione del dibattito parlamentare. L’obiettivo di convertire in legge i decreti entro la fine dell’anno porterà a porre diversi voti di fiducia (praticamente per tutti) e quindi limitare la discussione sui provvedimenti nelle due Camere. Resta il fatto che anche quest’anno, con ogni probabilità, deputati e senatori lavoreranno tra Natale e Capodanno.
A questo si aggiunge la strategia di Meloni di “blindare” la legge di Bilancio imponendo la regola di non presentare emendamenti al testo. Un accordo che è già in parte saltato nel decreto Anticipi, il primo collegato alla manovra, che è stato riempito di emendamenti da parte della maggioranza: 277 in tutto.
(da Il Fatto Quotidiano)
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