Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
E BOCCIA IL CONCORDATO PREVENTIVO PER GLI AUTONOMI E LE PICCOLE IMPRESE: “POTREBBE COMPORTARE RISCHI DI CONFORMITÀ FISCALE”. TRADOTTO: AUMENTA IL RISCHIO DI EVASIONE
La riforma sull’autonomia differenziata delle Regioni «rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di tenere sotto controllo la spesa pubblica nazionale». E il concordato preventivo per gli autonomi e le piccole imprese «potrebbe comportare rischi di conformità fiscale», ossia aumentare il rischio di evasione.
Nel suo esame approfondito sulla situazione economica italiana, nel quadro della procedura per squilibri macroeconomici, la Commissione europea lancia un chiaro avvertimento su alcune misure che sono state adottate o che sono attualmente in discussione in Parlamento e che potrebbero avere un significativo impatto sui conti pubblici. Soprattutto alla luce del nuovo quadro normativo previsto dalla riforma del Patto di Stabilità
E anche se il Superbonus e le misure «volte a mitigare l’impatto economico e sociale della pandemia e dell’aumento dei prezzi dell’energia sono state ormai revocate o sospese», l’esecutivo europeo «prevede che il deficit di bilancio rimarrà elevato e ben al di sopra del valore di riferimento del 3%».
La ragione è legata al fatto che «negli ultimi anni sono state adottate misure con un impatto permanente sulle finanze pubbliche tra cui, tra gli altri, piani di prepensionamento, una revisione del sistema fiscale e previdenziale e una riduzione dei contributi previdenziali nelle regioni più povere» (la decontribuzione per le regioni del Sud, ndr).
Ci sono inoltre «diverse tendenze strutturali che peseranno sulla spesa nei prossimi anni»: a titolo di esempio, vengono citati «una maggior spesa per i salari pubblici e per le pensioni (anche a causa dell’invecchiamento della popolazione)».
Ed è in questo contesto che il documento dei tecnici di Palazzo Berlaymont punta il dito contro due misure specifiche: «A seconda della formulazione finale e della sua attuazione – premette la Commissione, lanciando un chiaro avvertimento in vista della conclusione dell’iter legislativo – la riforma delle autonomie differenziate regionali, attualmente in discussione in Parlamento, rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di tenere sotto controllo la spesa pubblica nazionale».
Allo stesso modo, «a seconda delle modalità di attuazione, il sistema di liquidazione fiscale semplificato recentemente introdotto, in base al quale i lavoratori possono concordare in anticipo i propri obblighi con il Fisco, potrebbe comportare rischi di conformità fiscale». Tradotto: far aumentare l’evasione e ridurre le entrate per le casse dello Stato.
Accanto agli interventi positivi che sono stati adottati nel contesto del Pnrr, restano significative fragilità: l’elevato costo degli interessi sul debito, «l’andamento piatto» della produttività, il fatto che le banche italiane siano ancora «notevolmente esposte al rischio di credito sovrano e all’andamento dei prestiti garantiti dallo Stato nei loro bilanci».
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
NEL PARTITO MONTA LA PROTESTA CONTRO LA SATRAPIA DEL FU AVVOCATO DEL POPOLO, CHE HA INFARCITO LE LISTE PER LE EUROPEE DI AMICHETTI
Giuseppe Conte si è rotto i cabasisi dell’uno vale uno, e sta trasformando il Movimento 5 Stelle in una piccola satrapia dove lui comanda e gli altri obbediscono. La composizione delle liste elettorali, infarcite di suoi amichetti, ha infastidito i vertici e la base grillina. Irrita ancor di più il movimentismo furbetto di Peppiniello Appulo su Mamma Rai.
L’obiettivo dell’ex “avvocato del popolo” è piazzare uno dei suoi fedelissimi alla direzione del Tg3, al posto di Mario Orfeo (il giornalista, nominato in quota Pd e già soprannominato “pongo” per la sua duttilità nei confronti del potere, non ha mai fatto breccia nel cuore di Conte e non è riuscito a “sedurre” neanche Elly Schlein).
Mesi fa, Conte incontrò la triade Chiocci-Sergio-Vespa, all’epoca asse portante di Viale Mazzini, a cui consegnò l’idea di piazzare al Tg3 Giuseppe Carboni, che il M5s paracadutò alla guida del Tg1 ai bei tempi del governo gialloverde. Sciolta l’alleanza tra l’ad Rai e i due giornalisti, Conte è stato costretto a cambiare interlocutore e ha affidato a Giampaolo Rossi i propri desideri: oltre al Tg3, vorrebbe una direzione di fascia.
Il direttore generale di Viale Mazzini, però, non si è mostrato accomodante nei confronti della pochette inamidata di Peppiniello, il quale, da gran “Camale-conte”, ha deposto il volto conciliante e ha mostrato gli artigli. Davanti alle ritrosie di Rossi, Conte ha agitato lo spauracchio. Della serie: ora vi faremo vedere i sorci verdi in Vigilanza (commissione presieduta dalla senatrice M5s, Barbara Floridia).
(da Dagoreport)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
EPPURE LA MELONI NON È DISPOSTA A RINUNCIARE AL BONUS DA 80 O 100 EURO DA SVENTOLARE PRIMA DEL VOTO
Il regalo di Natale può attendere, ma non troppo. Giorgia Meloni non ha cambiato idea, resta determinata ad approvare il bonus per i lavoratori dipendenti con i redditi più bassi. Il decreto legislativo sulla revisione delle imposte Irpef e Ires, che contiene la nuova norma sulle tredicesime, non è approdato in Consiglio dei ministri nonostante fosse atteso.
Lo stop è stato deciso ieri mattina, al termine della riunione del pre-consiglio: testo «non bollinabile» e bisognoso di ulteriori approfondimenti, per problemi sia tecnici che politici. Ma gli 80, o 100 euro che siano, potrebbero tornare sul tavolo del Cdm già il 30 aprile. Una data non casuale, perché consentirebbe alla presidente del Consiglio di annunciare la nuova misura alla vigilia del primo maggio, festa dei lavoratori.
A Palazzo Chigi la misura è stata pensata come provvedimento-bandiera, da poter sventolare nella campagna elettorale delle Europee. E forse è anche per questo che l’iter del provvedimento si è inceppato. Alla Camera, nel tardo pomeriggio, la lettura maliziosa condivisa da diversi deputati meloniani è che sia stato Matteo Salvini a chiedere al Mef di rallentare il treno del «bonus». Interpretazione che però non trova conferme, né a Palazzo Chigi , né tantomeno in via Venti Settembre.
La frenata, secondo la versione governativa, è stata «concordata» dal ministro Giancarlo Giorgetti con la presidenza del Consiglio e con il viceministro di Fdi Maurizio Leo, che ha la delega al Fisco e al quale la premier aveva chiesto di progettare la norma a tempo di record. Nessuno scontro, assicurano ai pianti alti dell’Economia. «Nessuno ha bloccato il testo» e non c’è alcun problema con Palazzo Chigi.
Eppure qualcosa, forse proprio per la fretta, non ha funzionato, sul piano dei contenuti e su quello della comunicazione tra le due anime del Mef, Economia e Finanze. Leo avrebbe informato Giorgetti solo parzialmente di come stava costruendo la bozza. E lunedì sera, dopo aver parlato con il ministro, lo stesso numero due del ministero del Tesoro ha dovuto rendere noti i suoi dubbi e spiegare che serve ancora tempo, per «mettere a punto un decreto compatibile con le esigenze dei contribuenti e rispettoso degli equilibri di finanza pubblica».
Gli equilibri, ecco. È tempo di vacche magrissime e Giorgetti, convinto che non sia il momento di azzardare, teme che non ci siano i soldi e manchino coperture certe. Da qui la cautela e la decisione di rinviare, per verificare la platea dei beneficiari e il costo complessivo dell’operazione.
«La bozza era ancora acerba, serve un approfondimento», ha spiegato Giorgetti al termine del Cdm ai ministri che gli hanno chiesto del destino del bonus: «Bisogna studiare meglio le coperture…».
Un provvedimento espansivo, che potrebbe lievitare ben oltre i cento milioni inizialmente ipotizzati, sarebbe a dir poco in contrasto con il rischio che, dopo le elezioni europee, il governo si veda costretto a ripianare i conti pubblici con una manovra correttiva, che potrebbe mettere in allarme in mercati.
Giorgia Meloni però ci tiene molto. La presidente del Consiglio, che domenica a Pescara annuncerà la discesa in campo per le Europee, sperava nel via libera già ieri. E se pure nel governo gira voce che la misura potrebbe definitivamente saltare, la leader della destra non sembra affatto disposta a rinunciare. Eccolo allora, il problema politico a cui ieri alludevano sottovoce i meloniani.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
GIAMPAOLO ROSSI VOLEVA LA TESTA DI PAOLO CORSINI, MA A DIFENDERE IL “CAMERATA” È SCESA IN CAMPO LA “FIAMMA TRAGICA” DI GIORGIA MELONI. RISULTATO? FINISCE TUTTO A TARALLUCCI E VINO
La parola d’ordine tra i Fratellini d’Italia è: sopire e troncare. Anzi, insabbiare. Come già accaduto con il caso Striano, partito tra fuochi d’artificio e ormai finito con un petardino al punto che nessuno più se ne occupa, così avverrà per lo Scurati-gate. La censura dell’innocuo monologo dello scrittore aveva acceso polemiche virulente, compresa la richiesta di dimissioni della conduttrice della trasmissione “Chesarà”, Serena Bortone, arrivate dal capogruppo alla Camera, Tommaso Foti. Scazzi, accuse, reazioni e controreazioni, e a cosa siamo arrivati? Praticamente a nulla.
Il dg, Giampaolo Rossi, per salvaguardare soprattutto se stesso e il suo futuro da ad, voleva la testa di Paolo Corsini, direttore degli approfondimenti Rai, per allontanare da sé ogni responsabilità legata al caso: vuole restare immacolato fino all’investitura ufficiale. La mossa di Rossi è anche legata al non idilliaco rapporto con Corsini, che da tenace rugbista mostra i muscoli e si prende un po’ troppa (per Rossi) autonomia sulle decisioni.
Esautorarlo sembrava la decisione più conveniente, ma a difendere Corsini sono scesi in campo il partito, Palazzo Chigi, e la stessa Fiamma magica di Giorgia Meloni (Arianna- Scurti-Fazzolari): nessun “camerata” viene abbandonato al suo destino. Con il risultato della solita “scemeggiata” all’italiana quando si parla delle beghe Rai: finisce tutto a tarallucci e vino.
Ps. Lo scazzo Rossi-Corsini è l’ennesima dimostrazione che ormai le vere lotte politiche avvengono all’interno dei partiti e non tra di essi. Nella Lega si battaglia sulla candidatura alle Europee del generale Vannacci (dopo Centinaio e Molinari, Max Romeo è tornato a esprimere perplessità: “Io voterò per la Lega, poi la preferenza la darò ai candidati che riterrò meritevoli, non dico a chi”); nel Pd volano i colt-Elly sulle scelte improvvide della Schlein (dal suo nome nel simbolo, fino alle candidature); nel Movimento 5 Stelle è iniziato un tiro al piccione contro Conte per il suo leaderismo senza limitismo.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL VOTO DI BIDIMEDIA
Le elezioni regionali in Basilicata hanno segnato una nuova sconfitta per il campo largo di Partito democratico e Movimento 5 stelle, mentre Azione e Italia viva hanno scelto di sostenere il presidente uscente del centrodestra Vito Bardi.
Insomma, le opposizioni sono sembrate più divise che mai, e proprio questa rottura potrebbe essere stata determinante. Il M5s ha confermato le sue difficoltà a livello locale, Forza Italia è andata molto bene. Lorenzo Regiroli, sondaggista di BiDiMedia, ha analizzato i risultati in un’intervista a Fanpage.it, spiegando cosa è andato storto per il campo largo e perché per il momento sembra difficile che le cose cambino.
Era un risultato prevedibile?
Direi di sì. Il nostro ultimo sondaggio tre settimane prima del voto dava otto punti di vantaggio a Bardi. In queste situazioni, quando la sfida pare abbastanza chiusa tende a esserci effetto ‘bandwagon’, gli elettori salgono sul carro del vincitore. E così il distacco si è ampliato ancora [circa quattordici punti, ndr].
Le cose avrebbero potuto andare diversamente, o in Basilicata il campo largo non aveva modo di mettere davvero in difficoltà il centrodestra?
La Basilicata tradizionalmente non è una Regione di centrodestra, è stata storicamente favorevole al centrosinistra. Fino a un paio di mesi fa l’esito non era scontato. Non tanto per la questione del candidato in sé: Marrese non è stato un ‘cattivo’ candidato tecnicamente, aveva un buon tasso di approvazione e i suoi voti nella provincia di Matera (da dove viene) li ha presi. Il punto è come si è arrivati alla sua candidatura. Le polemiche, le candidature saltate, il campo largo che si scinde, poi si riassembla, poi ne esce un pezzo.
Quanto ha pesato l’assenza di Azione e Italia viva?
Hanno portato via una porzione importante di voti. Dentro Azione ci sono i fratelli Pittella, personaggi importanti della politica lucana, tra cui l’ex presidente di Regione Marcello Pittella che da solo ha preso più di 7mila preferenze, in un’elezione in cui gli elettori erano circa 270mila. È tantissimo. Azione ha preso circa il 7,5%, Italia viva aveva i suoi candidati all’interno di un’altra lista. Nel complesso si può stimare che i due partiti abbiano portato via il 9 o 10%.
È vero, come ha detto Marrese, che Calenda e Renzi hanno sostanzialmente fatto vincere Bardi?
A livello numerico, Marrese ha ragione. Ma a livello politico bisogna capire perché questa rottura è avvenuta. Non è piovuta dal cielo, è dipesa da veti incrociati. Non solo tra Azione e il Movimento 5 stelle, di cui si è parlato molto a livello nazionale, ma anche per dinamiche locali che sono passate un po’ sotto traccia. Fonti locali hanno parlato ad esempio di un’ostilità tra Pittella e Angelo Chiorazzo, nome di punta del centrosinistra [e unico candidato a prendere più preferenze di Pittella, ndr].
La Basilicata era contendibile, ma alla fine non si è trovato un candidato che andasse bene a tutti. Se dovessi dire il momento in cui il campo largo ha perso queste elezioni, è quello in cui ha perso il sostegno di Azione e Pittella. Poi c’è stata un’altra dinamica, di cui chiaramente Marrese non può parlare in modo altrettanto netto.
Quale?
Gli elettori del Movimento 5 stelle sostanzialmente non sono andati a votare, o hanno votato per altri. Il nostro sondaggio prima del voto aveva già messo in evidenza la questione: il M5s è forte in Basilicata, nelle intenzioni di voto per le europee arriva al 25% ed è ampiamente il primo partito in Regione; ma nello stesso sondaggio, per le elezioni regionali, stimavamo il M5s poco sotto il 10%. È poi finito vicino all’8%. Si vede che c’è una discrepanza.
Essere parte di una coalizione ha penalizzato il M5s? Alle ultime regionali, con un suo candidato, aveva raggiunto il 20%.
In coalizione, sembra che i 5stelle facciano fatica. Mentre gli elettori del centrosinistra non hanno problema a votare un candidato del Movimento, come avvenuto in Sardegna, gli elettori M5s faticano a votare un candidato che non è il loro. Questo si aggiunge al fatto che il M5s ha poco radicamento a livello territoriale. I suoi elettori si sentono liberi di non andare a votare, o di votare altre liste, anche di coalizioni diverse. Alla base di ciò ci sono molti fattori, sia il fatto che il Movimento è relativamente giovane, sia delle scelte come il limite dei due mandati.
Perché è un aspetto negativo?
Per quanto riguarda il legame con il territorio, è un ostacolo colossale: in elezioni locali dove conta tantissimo la persona da votare, se dopo due mandati un politico deve ritirarsi si perde tutto il capitale politico della sua esperienza. Soprattutto al Sud, questo crea un fortissimo problema di radicamento.
Tornando ad Azione e Italia viva, Bardi ha detto che la loro alleanza con il centrodestra potrebbe diventare un modello da replicare. È possibile?
Non direi. Così come era difficile replicare a livello nazionale il modello dell’Abruzzo – con tutte le opposizioni unite – lo stesso si può dire qui. Non trarrei troppe conclusioni sulle alleanze da un’elezione nella terza Regione più piccola d’Italia.
La Lega ha preso il 7,8% ed è riuscita ad arrivare davanti ad Azione e al M5s per una manciata di voti. Un flop?
In realtà, per essere la Basilicata, non è andata male. Il motivo è lo stesso di Azione: aveva due o tre candidati molto forti che hanno portato molti voti. Ha retto, ma non è indicativo di una ripresa a livello nazionale. Il problema per la Lega è che sta cedendo fortemente il passo al Centro-Sud, dove aveva guadagnato con il Salvini del 2018/19. Alle europee, e ancora di più alle politiche, tutta questa forza dei porta-voti locali non c’è. Mi aspetto che alle europee prenda meno del 7% in Basilicata.
Dall’altra parte, Forza Italia sembra essere in ascesa. Riuscirà a confermare questo momento positivo anche alle europee?
Forza Italia è un po’ la sorpresa di questo periodo. Molti dopo dopo la morte di Silvio Berlusconi avevano pensato che sarebbe sparito, invece Tajani sta gestendo in modo molto accorto il partito: facendo la sponda moderata del centrodestra e, a livello locale, inglobando più personalità politiche possibili per prendere il loro consenso. E ci sta riuscendo bene. Anche a livello nazionale gode di una buona salute, ha fatto un accordo con Noi moderati e si tratta di due elettorati perfettamente compatibili, per cui non dovrebbero avere troppi problemi a sommarsi.
Le regionali degli ultimi mesi danno qualche indicazione su come andranno le elezioni europee?
A livello nazionale il consenso del governo Meloni è intorno al 40%, non altissimo e non bassissimo. Ma soprattutto, è in calo da tempo. Invece l’intenzione di voto ai partiti di maggioranza scende pochissimo. Perché manca l’alternativa.
Manca un’opposizione credibile?
Azione attacca il Movimento 5 Stelle, il Movimento 5 Stelle attacca il Pd. Non c’è un’opposizione in grado di convogliare su di sé il voto ‘popolare’ di chi non apprezza il governo. Le divisioni restano, e il centrodestra continua a governare indisturbato, anche senza grandi punte di consensi. Al momento non si vede come possano andare diversamente le europee. Nelle prossime elezioni il tema sarà soprattutto chi riuscirà a superare il 4%: ci sono gli Stati Uniti d’Europa, Azione e Alleanza Verdi-Sinistra che oscillano attorno a quella soglia. Oltre alla lista di Santoro e quella dell’istrionico Cateno De Luca, che alle ultime elezioni politiche fece molto bene nella sua area. Loro dovranno faticare per arrivare davvero a quel livello.
(da Fanpage)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
SI SCOPERCHIA LA FOGNA SOVRANISTA: PATRIOTI? NO, TRADITORI AL SERVIZIO DI RUSSIA E CINA
Gli inquirenti della Procura di Dresda hanno aperto due indagini preliminari su Maximilian Krah, capolista del partito di estrema destra tedesca Alternative für Deutschland (Afd), con il sospetto di finanziamenti dalla Russia e dalla Cina.
L’annuncio arriva a pochi giorni dall’arresto il 22 aprile scorso di uno dei suoi assistenti, Jian Guo, accusato di essere un agente segreto al servizio di Pechino.
La Procura di Dresda assicura che le inchieste non sono correlate tra loro. «Queste indagini preliminari servono al momento solo a verificare se emerga il sospetto di un comportamento penalmente perseguibile per corruzione di un deputato ai sensi dell’articolo 108e del Codice Penale», sulle tangenti a funzionari eletti, spiegano i magistrati.
Pechino aveva negato qualsiasi coinvolgimento definendo l’inchiesta un tentativo di «diffamare e reprimere», per «distruggere l’atmosfera di cooperazione tra Cina ed Europa», come ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Wang Wenbin.
Il partito si era interrogato sull’opportunità di presentare comunque Krah alle prossime elezioni europee di giugno. Il candidato in giornata aveva assicurato che sarebbe rimasto capolista per l’Afd. Una presenza scomoda per lo stesso partito, tanto che l’eurodeputato aveva già dichiarato che non sarebbe andato alla manifestazione di avvio della campagna elettorale in una cittadina del Baden-Württemberg e la dirigenza aveva confermato che non sarebbero stati trasmessi i video elettorali già prodotti con Krah né affissi i suoi manifesti.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
LA LEGA E FORZA ITALIA ERANO ASSENTI, VOTO RINVIATO, INSORGONO LE OPPOSIZIONI… LA MAGGIORANZA NON RISPETTA NEANCHE IL REGOLAMENTO… I LEGHISTI HANNO COSI’ A CUORE L’AUTONOMIA CHE ERANO ASSENTI
Una modifica sostanziale, che fa sparire la parola “autonomia” dall’articolo 1 del disegno di legge sull’autonomia differenziata.
È questo l’effetto dell’emendamento approvato in commissione Affari costituzionali della Camera a firma della deputata del M5S, Carmela Auriemma, con un voto che ha visto la maggioranza andare sotto per 10 voti a 7 “a causa dell’assenza di Lega e Forza Italia”, raccontano dall’opposizione. Il voto, avvenuto alla presenza del ministro Roberto Calderoli, non è stato però proclamato dal presidente Nazario Pagano di Forza Italia. Per la maggioranza, infatti, non era stato ufficializzato l’esito del voto, quindi la votazione è da ripetersi. Non la pensano così le opposizioni, che insorgono. E nel corridoio antistante la sala della commissione gli animi si accendono con urla e grida.
Le opposizioni unite contestano la linea della maggioranza e del presidente della commissione, il forzista Pagano, secondo cui il voto su un emendamento di M5S all’autonomia differenziata, sul quale c’era il parere contrario del governo, non è stato concluso e quindi l’esito – il centrodestra è stato battuto per 10 voti a favore e 7 contrari – non è ufficiale.
“Il regolamento prevede che una votazione sia ripetibile solo dopo l’annullamento immediato della votazione precedente e successiva, in tempi brevissimi, ripetizione del voto, chiudendo le porte così da non consentire l’ingresso di deputati precedentemente assenti. Questo non è avvenuto”, sostengono Pd, M5S e Avs.
Per di più, insistono le opposizioni, “a decretare l’esito e l’ufficialità del voto è il segretario, non il presidente, e il segretario, il deputato Penza di M5S (Bordonali della Lega era assente) ha detto che il voto era regolare”.
Le forze di minoranza, quindi, hanno chiesto la sospensione dei lavori della commissione (che riprenderanno venerdì), “non riconoscendo più l’imparzialità del presidente Pagano” e invocando l’intervento del presidente Lorenzo Fontana e della Giunta del Regolamento.
“Non siamo disposti a riaprire i lavori della commissione fino a quando non avremo un pronunciamento della Giunta per il regolamento e della presidenza della Camera che attesti che la procedura fantasiosa avanzata dal presidente Pagano sia reale”.
È la linea delle opposizioni, illustrata al termine della seduta dal capogruppo di Avs in commissione Filiberto Zaratti. “Siamo in inferiorità numerica in quanto opposizioni, ma che si neghi un voto quando abbiamo i numeri è la distruzione delle regole democratiche”, aggiunge, sottolineando il “dato politico enorme: non c’è più il rapporto di fiducia con il presidente della commissione Pagano”.
Molto netta anche la posizione del Pd: “Abbiamo chiesto di rivedere la decisione e di poter interloquire con il presidente Fontana” anche “per evitare che venga meno il ruolo di terzietà del presidente Pagano, altrimenti sarà complicato andare avanti”, spiega la capogruppo dem in commissione, Simona Bonafè, che saluta positivamente la decisione di rinviare i lavori a venerdì. “La maggioranza è andata sotto nel voto, chiediamo che venga riconosciuto. Speriamo che questo rinvio porti il presidente Pagano a riconsiderare la forzatura in termini di regolamento che vorrebbe fare”, aggiunge Bonafè spiega ancora che al momento del voto era presente solo un deputato della Lega, uno di Forza Italia e cinque di FdI. “Si prenda atto della realtà dei fatti: la maggioranza è stata battuta”, conclude la deputata dem.
Questo il testo dell’articolo 1 del disegno di legge: “La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei principi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei principi di indivisibilità (‘e autonomia’, qui il passaggio che verrebbe soppresso dall’emendamento, ndr) e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei principi di sussidiarieta, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della costituzione, definisce i principi generali per l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo stato e una regione, nel rispetto delle prerogative e dei regolamenti parlamentari”.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
LO STOP È ARRIVATO DAL MINISTRO DELL’ECONOMIA, CHE HA GIUDICATO LE COPERTURE “FRETTOLOSE” (TRADOTTO: NON CI SONO SOLDI)… NELL’ULTIMA BOZZA IL CONTRIBUTO UNA TANTUM È SALITO A 100 EURO AI LAVORATORI DIPENDENTI CON REDDITO FINO A 28 MILA EURO LORDI. MA SONO STATI INSERITI DEI PALETTI: PRENDERÀ IL BONUS SOLO CHI È SPOSATO E HA FIGLI (SICURI CHE, COSTITUZIONE ALLA MANO, SI POSSA FARE?)
Il bonus per rendere la tredicesima più pesante slitta alla prossima settimana. Lo stop è arrivato direttamente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha giudicato le coperture «frettolose». La norma che doveva aprire la campagna elettorale del centrodestra in vista delle elezioni europee si è rivelata un pasticcio.
La bozza arrivata lunedì sul tavolo di Palazzo Chigi prevedeva un contributo aggiuntivo di 80 euro da erogare con le tredicesime dei lavoratori dipendenti fino a 15 mila euro di reddito. Si tratta di una misura una tantum inserita nel decreto legislativo di attuazione della riforma fiscale che rivede l’Irpef e l’Ires, e che aveva subito destato qualche perplessità da un punto di vista di metodo, ma il problema principale è apparso subito legato alle coperture.
Già lunedì sera il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo, l’artefice di questa proposta, si affrettava nel dire che la bozza era superata e si stava studiando «un decreto compatibile con le esigenze dei contribuenti e al tempo stesso rispettoso degli equilibri di finanza pubblica».
Ieri mattina, è arrivata la nuova bozza con un importo più alto. L’articolo 4 del decreto legislativo, si legge, destina un’indennità «di importo non superiore a 100 euro» ai lavoratori dipendenti con reddito fino a 28 mila euro lordi, ma solo se sono sposati e con un figlio a carico.
Al di là della forzatura politica nel voler indicare solo le coppie sposate, anche i tecnici di Palazzo Chigi hanno espresso i loro malumori sulle coperture aleatorie della misura. La seconda versione della bozza, infatti, ribadisce il carattere una tantum del contributo e l’incertezza dell’intervento che rimanda la definizione effettiva del bonus a un decreto da varare entro il 15 novembre.
Il vice ministro Leo, confidando sull’appoggio parlamentare dei partiti del centrodestra che da un anno presentano emendamenti per irrobustire le tredicesime, ha comunque tentato di far passare il bonus nonostante i dubbi degli uffici di Via XX Settembre, però si è dovuto arrendere all’altolà arrivato da Giorgetti.
Con le coperture della prossima manovra ancora tutte da trovare, pensare di finanziare adesso agevolazioni spot con il concordato preventivo biennale sembra prematuro, il cui incasso peraltro non è chiaro. L’esecutivo immaginava di stimare 1,8 miliardi di euro di gettito nei primi due anni, ma poi ha preferito non indicare gli incassi aggiuntivi nella relazione tecnica
(da La Stampa)
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Aprile 24th, 2024 Riccardo Fucile
PRIVILEGI: AVERE LIQUIDITA’ SUL CONTO DELLA FILIALE DI MONTECITORIO DIVENTA PIU’ REDDITIZIO DI QUALSIASI INVESTIMENTO
Ci sono regali che non si possono descrivere. Quello fatto da Banca Intesa ai deputati della Repubblica non lo si riceve nemmeno a Natale. Un tasso di interesse del 5,6250% sulla liquidità detenuta sul conto corrente aperto presso la filiale della banca interna alla Camera dei deputati. Non sappiamo se tale vantaggio esista anche al Senato, ma immaginiamo che i senatori, in caso contrario, reclameranno i propri diritti
Un tasso di interesse così remunerativo spazza via qualsiasi investimento alternativo in titoli di Stato, obbligazioni, certificati di credito e, visto che il mercato sta iniziando a girare al contrario, anche in azioni. Secondo un recente rapporto della Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, la media dei tassi attivi per un conto corrente in Italia è dello 0,20%. Quello che offre la filiale di Banca Intesa della Camera dei deputati è 28 volte superiore.
Il privilegio, tipico da vecchia “casta” è il frutto di “Condizioni economiche agevolate” prevista nella “Convenzione Camera dei deputati”. La convenzione prevede che ai correntisti venga corrisposto un “tasso creditore annuo nominale” pari al tasso Euribor a un mese, fissato come valore di riferimento al 3,8550, maggiorato dell’1,77%. Questo determina la cifra astronomica del 5,60% (lordo).
Oggi un Buono del tesoro poliennale a dieci anni, quindi sul lungo periodo, rende intorno al 3,80%. Qui si realizza molto di più senza dover far nulla e senza rischiare alcunché. La convenzione della filiale di Banca Intesa data da anni. Prima, però, a gestire il conto di deputati, ex parlamentari, ma anche giornalisti parlamentari, assistenti e dipendenti, era il Banco di Napoli che nel 2018 si è fuso per incorporazione in Banca Intesa che oggi è a tutti gli effetti titolare della filiale.
La banca diretta da Carlo Messina si è aggiudicata la gestione dei servizi bancari interni alla Camera, che già gestiva, da pochi giorni. Il bando è stato chiuso il 5 aprile 2024 e recava la seguente descrizione: “Il concessionario ha il diritto di gestire, presso le sedi della Camera dei deputati, i servizi bancari destinati all’Amministrazione della Camera e alle altre categorie di utenti indicate nel capitolato d’oneri. Non formano oggetto della concessione i servizi di tesoreria”. Il valore dell’appalto è di 800 milioni di euro e i servizi bancari oggetto del bando di gara, sono suddivisi in: “a) condizioni di conto corrente; b) servizio titoli a custodia e amministrazione; c) mutui ipotecari e prestiti personali; d) virtual banking; e) cassette di sicurezza; f) gestione di portafogli”.
Si specifica poi che “le prestazioni principali sono quelle da rendere presso la succursale di cui al punto II.2.3 e cioè i “locali messi a disposizione dalla Camera dei deputati – Roma, centro storico”. I locali dentro Montecitorio dove in effetti è collocata la filiale bancaria a disposizione di deputati, ex parlamentari e loro congiunti.
Le condizioni della convenzione sono tutte estremamente vantaggiose. Dei conti correnti abbiamo detto: anche il tasso debitore “sulle somme utilizzate in assenza di fido” è abbastanza favorevole, fissato al 10,3550 sempre con il riferimento all’Euribor maggiorato del 6,5%. Simile il tasso di “sconfinamenti in assenza di fido”. C’è poi un sfilza di “zero costi” che è impossibile da riportare per intero e che riguardano le “spese fisse”, “la tenuta del conto”, i “bonifici”, anche quelli urgenti, la “domiciliazione delle utenze”, le “operazioni allo sportello”, “commissione di pagamento dei bollettini”, “ricarica della carta prepagata” e molto altro ancora.
A quanto risulta al Fatto la convenzione con i clienti risale al 2 aprile scorso, qualche giorno prima che chiudesse il bando. Un modo per ingraziarsi gli uffici della Camera. Sia il collegio dei Questori sia l’Ufficio di Presidenza rinviano ogni responsabilità agli uffici amministrativi. Ma non appena la convenzione è stata firmata, già dal 3 aprile frotte di deputati si sono recati presso gli sportelli a firmare le nuove condizioni contrattuali. Hanno saputo tutto subito.
(da ilfattoquotidiano.it)
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