Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
LUI SI È DIFESO SOSTENENDO CHE LE BICI OSTRUIVANO L’INGRESSO DEL COMUNE, MA UN VIDEO LO SMENTISCE…DOPO LA CONDANNA, FDI COSA HA FATTO? LO HA PROMOSSO
È il sindaco dei record, l’unico amministratore pubblico che resta al suo posto nonostante una condanna in primo grado per furto. Ecco, dunque, le immagini, che Domani pubblica sul sito in esclusiva, inequivocabili, che lo immortalano durante il blitz compiuto in piena pandemia.
Lui si chiama Antonio Del Giudice, di mestiere imprenditore, sui social pubblica foto in compagnia di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove.
Del Giudice è primo cittadino del comune di Striano, nuovamente candidato sotto la bandiera di Fratelli d’Italia, primo sindaco del partito in provincia di Napoli. Non è l’unico record, l’altro meno nobile è quello di aver rimediato una condanna per furto a quattro mesi, pena sospesa, per aver rubato le bici a cinque ragazzi migranti, bici che gli stranieri utilizzano per andare a lavorare nei campi per pochi euro al giorno.
Di sicuro è considerato un ras del partito locale, numero due di FdI in Campania, dove il coordinatore regionale è il senatore Antonio Iannone. Il vice coordinatore è proprio Del Giudice.
Nella sentenza di primo grado contro Del Giudice è stata esclusa l’aggravante della discriminazione razziale perché non è provato che gli imputati, sindaco e due complici, sapessero che le bici appartenevano a soggetti stranieri.
Ma cosa è accaduto quel 15 novembre 2020? Secondo il primo cittadino quelle bici ostruivano l’ingresso al comune, ma la sua giustificazione è smentita dal tribunale e anche dai video.
Le immagini mostrano il sindaco, munito di una cesoia gialla, intento a spezzare le catene e consentire la sottrazione delle bici. Una scena che era finita anche in una foto con Del Giudice e i due collaboratori immortalati con attrezzo da lavoro e refurtiva.
Una delle bici, quella più nuova, prima è stata nascosta nel sottoscala del palazzo comunale e «successivamente trasportata presso la ditta del Del Giudice per essere riverniciata, smentisce, ancora una volta, l’intento di rimuovere temporaneamente le biciclette».
Il furto aggravato, grazie alla legge Cartabia, è divenuto un reato procedibile a querela di parte. Così il giudice ha dovuto pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti degli imputati per i reati commessi nei confronti di quattro migranti.
Modiba Diarrà, difeso dall’avvocato Salvatore Aiello, è l’unico che ha presentato querela nei confronti di sindaco e dei due collaboratori aprendo così il processo che si è chiuso con la sentenza di primo grado, ora sarà l’appello a stabilire se confermare o annullare il pronunciamento del primo giudice.
Restano le immagini che immortalano il sindaco impegnato con la cesoia, intento a farsi un selfie dopo la sottrazione delle bici insieme a due fidi collaboratori, fieri dell’azione compiuta. Nel frattempo il primo cittadino è diventato numero due di Fratelli D’Italia in Campania e resta vicepresidente regionale dell’Anci, l’associazione dei sindaci.
(da EditorialeDomani)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL “CODICE SALVINI” ABOLISCE LE GARE PER IL 98% DEGLI APPALTI… PER GLI ESPERTI “E’ CRIMINOGENO”… E L’ITALIA RESTA IN FONDO ALLE CLASSIFICHE MONDIALI SU TRASPARENZA E MALAFFARE
Se il malato ha la febbre alta, cosa direste di un dottore che, per non farlo sapere, nasconde il termometro e butta via le medicine? «È quello che sta facendo il governo italiano per la corruzione», è l’ironica sintesi del professor Alberto Vannucci, che ha firmato studi importanti sul malaffare politico-amministrativo e i suoi intrecci con le infiltrazioni mafiose. «Il problema della corruzione è sparito dall’agenda di governo, come se non esistesse. Si parla solo di eliminare gli strumenti che la fanno emergere, come le intercettazioni o i trojan, e i reati-sentinella che la segnalano, come l’abuso d’ufficio o il traffico d’influenze illecite. Invece di contrastare la corruzione, si combatte l’anti-corruzione. Ma poi basta una sola indagine della procura europea, con un ristretto gruppo di accusati tra Venezia e Roma, per scoprire un sistema di frodi per appropriarsi di fondi del Pnrr e crediti fiscali per cifre allucinanti: oltre 600 milioni di euro. La verità è che sembra di essere tornati agli anni di Tangentopoli: stiamo vivendo un’altra fase storica di vero e proprio saccheggio delle risorse pubbliche».
Trasparency International pubblica ogni anno un rapporto che valuta con un voto in centesimi, da 0 a 100, i livelli di corruzione in 180 nazioni. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei sotto la sufficienza, con un punteggio di 56: la media nella Ue è di 65. Siamo messi peggio del Botswana e di altre nazioni africane o asiatiche, molto al di sotto dei valori assegnati a Francia e Gran Bretagna (71), Germania (78) e a tutti i Paesi nordici, da sempre in vetta alla classifica ora guidata dalla Danimarca (90).
Il rapporto non dipende dalle indagini dei giudici nazionali, che possono essere frenate da vari fattori, tra cui la dipendenza della magistratura dal potere politico o economico. Misura invece il tasso di malaffare «percepito» da esperti esterni: il voto finale è la media dei punteggi assegnati dagli uffici studi della Banca Mondiale, Fondo Monetario, centri di ricerca e fondazioni internazionali. Negli ultimi dieci anni, il giudizio sull’Italia era migliorato grazie a una serie di riforme considerate positive, varate a partire dal 2012: dalla nascita dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) al primo codice degli appalti, dalla legge Severino alla cosiddetta spazza-corrotti. «È tutto un insieme di regole e controlli che l’attuale maggioranza progetta di smantellare e in parte ha già abolito», commenta Vannucci, che denuncia: «Il nuovo codice intitolato al ministro Salvini merita di essere definito criminogeno. Basti dire che con le nuove norme, secondo le stime dell’Anac, il 98 per cento degli appalti rischia di essere assegnato senza alcuna gara, senza una competizione pubblica aperta alla concorrenza. È la legalizzazione dei favoritismi».
La torta da spartire è gigantesca. Nell’ultima relazione annuale dell’Anac si legge che in Italia, nel 2022, erano stati assegnati oltre 233 mila appalti sopra i 40 mila euro, quindi con obbligo di gara, per un valore totale di 289,8 miliardi. Il nuovo codice ha quasi quadruplicato la soglia delle scelte discrezionali: fino a 140 mila euro ora è possibile privilegiare una singola impresa privata, con un «affidamento diretto», o poche ditte raccomandate, le uniche che vengono «invitate» a una «selezione ristretta». La controriforma ha addirittura «eliminato l’obbligo di pubblicare avvisi e bandi per lavori fino a cinque milioni».
Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, ha contestato pubblicamente queste «pericolose scorciatoie legali»: «La deroga non può diventare regola». Il giurista ha bocciato anche l’abolizione del «divieto di subappalti a cascata», che rischia di strangolare l’azienda finale, obbligata a eseguire i lavori a prezzi ribassati e quindi incentivata e «scaricare i costi realizzando opere di minore qualità, con deteriori condizioni di lavoro del personale», con ovvie ricadute sul problema delle infiltrazioni mafiose.
L’Anac pubblica sul proprio sito un grafico che misura i «rischi oggettivi di corruzione» negli appalti, evidenziando 17 «indicatori di anomalia». Tra più evidenti c’è proprio «l’addensamento sotto la soglia» che imporrebbe la gara: prima l’allarme scattava sotto i 40 mila, ora è tutto lecito fino a 140 mila. «È proprio come truccare il termometro», dice Vannucci, «e non è certo l’unico caso».
Il ministro delle Infrastrutture, che in questa materia è perfettamente in linea col governo, giustifica tutte le cosiddette norme “sblocca-cantieri” con l’urgenza di accelerare i tempi, imposta soprattutto dalle scadenze del Pnrr (fine 2026). Ma a rallentare e complicare le procedure, come spiegano da anni gli esperti, in realtà è la dispersione dei poteri di spesa tra ben «26.500 stazioni appaltanti». L’Anac, già con l’ex presidente Raffaele Cantone, ipotizzò la creazione di centrali uniche degli appalti in ogni provincia, da affidare a ingeneri, legali e tecnici selezionati e preparati. «Occorre ridurre drasticamente il numero delle stazioni e qualificare il personale», rilancia da tempo Busia, sconfessato però dal codice Salvini, che «ha escluso quasi il 90 per cento delle gare dall’obbligo di ricorrere a stazioni qualificate».
Nel deserto delle misure contro la corruzione e gli sprechi, abbondano gli attacchi politici ad Anac, Corte dei Conti, indagini della magistratura, inchieste giornalistiche e a tutte le autorità e centri di controllo della legalità e trasparenza della spesa pubblica. Intanto l’asettico rapporto di Transparency evidenzia un legame strettissimo tra corruzione, dittatura, guerra, spoliazione delle risorse, povertà della popolazione, effetti della crisi climatica, migrazioni di massa. I cinque Paesi più corrotti al mondo sono Somalia, Venezuela, Siria, Sud Sudan e Yemen, seguiti da nazioni come Nord Corea, Haiti e Libia. Mentre nell’Unione Europea il voto peggiore (42) va all’Ungheria autoritaria di Orbán.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL 70% INTENZIONATO AD ANDARE A VOTARE… PIU’ DELLA META’ DEGLI ITALIANI BOCCIA IL GOVERNO MELONI
Manca poco alle elezioni europee e tra gli italiani qualcosa sembra esser cambiato. Lo rileva l’ultimo Eurobarometro pubblicato dal Parlamento europeo che registra un aumento del numero di interessati all’appuntamento elettorale di giugno. Se si votasse tra una settimana, pochi resterebbero a casa. Dagli italiani però, arriva la bocciatura sull’operato del governo Meloni: più della metà pensa che le cose stiano andando nella direzione sbagliata nel nostro paese.
La pubblicazione dell’Eurobarometro è stata un’occasione per la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola per rinnovare il suo invito nei confronti dei cittadini europei “a votare alle prossime elezioni europee, a partecipare a questo anno storico e a rafforzare la democrazia europea. Il 2024 è un anno elettorale importante”, ha ricordato. “L’esito di queste elezioni sarà con ogni probabilità cruciale per il futuro della democrazia nel mondo”.
Cresce l’interesse degli italiani per le europee: il 70% andrebbe a votare tra una settimana
Se alla precedente rilevazione condotta a dicembre, il 51% degli italiani si dichiarava effettivamente interessato al voto per rinnovare l’Eurocamera, ora questo dato sale al 59%. Se fossero chiamati alle urne tra una settimana il 70% di loro andrebbe votare, mentre la restante parte si divide tra chi non crede che andrebbe a votare (13%) e gli incerti (17%). Un dato in calo se si considera che fino a quattro mesi fa, in vista delle europee, il numero di astensionisti (veri o presunti) e di incerti in Italia si aggirava attorno al 45%.
L’interesse per il voto europeo, inoltre, si rafforza alla luce della considerazione dell’attuale contesto internazionale. Quasi otto italiani su dieci, infatti, pensano che la situazione internazionale renda la partecipazione all’appuntamento di giugno molto più importante.
Quali sono i temi prioritari e i valori da difendere per gli italiani in Europa
In particolare, per gli italiani, i temi che dovrebbero essere al centro della campagna elettorale sono soprattutto quelli della salute pubblica (38%) e della creazione di nuovi posti di lavoro (41%). Questioni più sentite rispetto alla media europea (rispettivamente 32% e 31%) e che grossomodo riflettono le difficoltà che si trova ad affrontare il nostro paese.
Sul podio dei valori prioritari che il Parlamento europeo dovrebbe difendere, pace e democrazia risultano al primo e secondo posto per gli italiani con percentuali (rispettivamente 42% e 29%) che non si discostano più di tanto dalla media europea (47% e 33%).
Ma se al terzo gradino nella scala delle priorità di cui dovrebbero farsi carico i futuri europarlamentari, per i cittadini ue c’è la protezione dei diritti umani nel mondo (al 24%), per gli italiani risulta più importante la solidarietà tra gli stati membri (23%).
Gli italiani scontenti del governo Meloni: solo 3 su 10 sono soddisfatti
Secondo l’Eurobarometro gli italiani bocciano il governo Meloni. Il 59% infatti pensa che “a livello nazionale le cose stiano andando nella direzione sbagliata”. Solo tre su dieci si ritengono soddisfatti dell’operato dell’esecutivo. A livello europeo invece, l’insoddisfazione diminuisce con il 48% di cittadini italiani che ritengono che “le cose stiano andando nella direzione sbagliata”.
Per gli italiani l’insoddisfazione nei confronti dell’Unione europea riguarda soprattutto questioni come la migrazione, dove la percentuale è particolarmente alta (75% rispetto alla media europea del 71%). Oltre 6 italiani su dieci inoltre si ritengono insoddisfatti della risposta di Bruxelles alla crisi economico finanziaria e all’invasione russa dell’Ucraina.
(da Fanpage)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
MELONI A TUNISI, LA FICTION DELLA CONFERENZA STANMPA SENZA GIORNALISTI E’ ORMAI UN FORMAT
Ormai è un format: leggio, microfono, sguardo verso interlocutori della stampa immaginari, ‘’buonasera a tutti’’. Fiction, quella di Giorgia Meloni. Scenografia tunisina travestita da ‘dichiarazioni alla stampa della Presidente del Consiglio’’ da Tunisi, cosi si legge. È la quarta visita in pochi mesi nel Paese nordafricano.
Meloni ha bisogno di Saied, teme un’ondata di sbarchi estivi che complichino la campagna elettorale. Ogni volta, al termine dell’incontro, la presidente del Consiglio si rivolge alla stampa. Quando quella italiana volò in Tunisia direttamente da Roma, fu lasciata fuori dal palazzo presidenziale, per decisione del governo locale. Anche stavolta le dichiarazioni di Meloni seguono lo schema richiesto dagli uomini di Saied, poco incline alle abitudini delle democrazie occidentali: un intervento senza domande, in estrema sintesi. E, soprattutto, senza giornalisti. Nessun cronista assiste all’evento. C’è appunto il podio, ma mancano anche i rappresentanti dei media vicini al regime (non è chiaro soltanto se sia presente un esponente dell’agenzia di stampa statale). Manca anche la tv tunisina, perché le immagini diffuse sono quelle prodotte direttamente Palazzo Chigi.
Come in passato, la premier parla da sola – così hanno chiesto i tunisini – inseguendo presumibilmente lo sguardo di qualcuno dei suoi collaboratori. C’è la postura della leader tipica di quando si dichiara alla stampa, quindi. Ci sono pure i fogli che servono a raccontare della visita a Tunisi. Meloni guarda a destra, poi a sinistra, racconta il senso dell’incontro. ‘’Sono molto contenta’’, ribadisce, sempre cercando ciò che non c’è: i giornalisti.
Ci sono però due indizi che incrinano la scena messa in atto a favore di camera. Il primo: al termine del discorso, lungo poco più di cinque minuti, Meloni si rivolge alla sua destra cercando qualcuno con lo sguardo, facendo un segno di assenso e soddisfazione, come quando si conclude la registrazione di un intervento video, che termina proprio in quel momento. Il secondo è che c’è uno specchio dietro alla premier, di quelli che restituiscono un effetto ottico sfumato, ma comunque sufficiente a svelare la realtà, a mostrare chi c’è davanti a Meloni mentre parla: nessuno.
(da repubblica.it)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
MA IL PRESIDENTE TUNISINO È INCAZZATO COME UNA BISCIA: ANCORA NON HA VISTO MANCO UNO DEI 900 MILIONI DI EURO PROMESSI DAL MEMORANDUM UE-TUNISIA
La premier Giorgia Meloni è giunta al Palazzo presidenziale di Cartagine, dove è stata accolta dal presidente della Repubblica tunisina, Kais Saied. Dopo la presentazione delle delegazioni, a quanto si apprende, si terranno l’incontro bilaterale fra Meloni e Saied e, parallelamente, la riunione dei ministri con il loro omologhi tunisini.
Come è stato spiegato da fonti italiane alla vigilia della visita, uno dei temi centrali dell’incontro sarà la cooperazione in materia migratoria, ed è prevista la firma di tre strumenti nell’ambito del Piano Mattei: un accordo sul sostegno diretto al bilancio dello Stato tunisino a favore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili; una linea di credito a favore delle piccole e medie imprese tunisine; un protocollo d’intesa tra il Ministero dell’università e della ricerca italiano e l’omologo tunisino che fornirà il quadro per la cooperazione in questo ambito.
L’obiettivo è tenere buono lo spazientito presidente tunisino, che non ha ancora visto neppure l’ombra dei 900 milioni di euro, il grosso dell’assistenza macroeconomica prevista dal memorandum Ue-Tunisia, firmato nel luglio 2023 alla presenza di Meloni, ancora lei.
Per mesi quell’accordo sembrava aver convinto Saied a frenare con diligenza il flusso migratorio (tunisini ma soprattutto subsahariani) diretto dalle sue coste verso Lampedusa. Ma nelle ultime settimane i barchini metallici strapieni di migranti hanno ricominciato a navigare verso la Sicilia. E così Meloni è ora costretta a ritornare a Cartagine, a calmare Saied.
Ma in che modo? Secondo fonti vicine alla presidenza del Consiglio, proporrà alcuni “contentini” nell’ambito del piano Mattei, la sua idea di cooperazione con l’Africa. Dovrebbero essere firmati tre accordi: uno a sostegno diretto del bilancio dello Stato tunisino a favore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili; una linea di credito per le piccole e medie imprese tunisine; un protocollo d’intesa tra i rispettivi ministeri dell’Università della ricerca.
Non è ancora chiaro a quanto ammontino finanziariamente i nuovi accordi previsti tra l’Italia e la Tunisia, forse alcune decine di milioni di euro: di sicuro non saranno risolutivi per un paese, che resta a rischio di default per le finanze pubbliche.
E le cui esigenze di finanziamento si contano in miliardi di dollari (vedi il prestito del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi di dollari mai arrivato, il cui negoziato è ormai completamente bloccato) o il quasi miliardo di euro (i 900 milioni) del memorandum, vincolati proprio al prestito Fmi.
Stasera Meloni raggiungerà Bruxelles, dove si terrà il Consiglio europeo e forse cercherà di convincere i suoi partner a sbloccare quei 900 milioni, nonostante l’assenza del prestito del Fondo monetario. Ma la Germania e i Paesi del Nord, sensibili al tema dei diritti umani (due parole mai pronunciate da Meloni nelle sue trasferte tunisine) storcono il naso di fronte alla deriva autoritaria di Saied. E non sono d’accordo per il momento a concedergli niente.
Dopo l’incontro con Meloni vedremo proprio come reagirà il presidente tunisino. A Cartagine non si tengono mai conferenze stampa . Agli incontri di questo tipo, seguono in genere video con monologhi dei protagonisti. Nel caso specifico dovrebbero esserci quello di Meloni, poi il video di Saied. Nei giorni scorsi l’uomo, enigmatico e imprevedibile, è sembrato irritato.
Quattro giorni fa ha fatto mettere online un video dove dichiarava che “la Tunisia non accetta di trattare con nessuno (ndr, inteso paese straniero) se non su un piede di parità” e ha ribadito che la Tunisia non vuole essere un paese di transito di migranti, né uno dove possano installarsi. Insomma, che a Meloni non passi per la testa l’idea di un hotspot in terra tunisina.
Lunedì sera altro video e altra bordata: “Chi pensa di metterci sotto tutela, si sbaglia”. Quasi a mettere le mani avanti prima dell’arrivo dell’”amica” italiana, che resta comunque l’unica in Europa capace ancora di parlargli, pur di portare a casa una gestione soddisfacente del flusso migratorio. A uso e consumo della sua campagna elettorale.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL PIL IBERICO ALL’1,9%, IL DOPPIO DELLA MEDIA UE E IL TRIPLO DI QUELLA ITALIANA
A differenza di quella italiana, secondo il Fmi, l’economia spagnola va, e continuerà ad andare, a gonfie vele. Stando alle ultime stime nel 2024 il Pil iberico si espanderà dell’1,9%, oltre il doppio della media dell’area euro e quasi il triplo rispetto all’Italia.
Nel 2025 un’ulteriore accelerazione a +2,1%, sempre in testa tra i paesi euro. È quindi giustificata la soddisfazione del premier Pedro Sanchez che oggi rimarca: “Se gli Stati Uniti trainano l’economia mondiale, la Spagna guida le previsioni di crescita in Europa per il 2024 e il 2025”, scrive su X.
Quelle di Spagna e Usa sono le uniche due previsioni che sono state migliorate rispetto a quelle pubblicate lo scorso gennaio. Nel 2025 “saremo la seconda economia avanzata del mondo che più cresce”, ha detto il premier spagnolo.
“Un successo le misure del governo, di imprenditori, sindacati, lavoratori e lavoratrici, andiamo nella buona direzione”, nota Sanchez. La disoccupazione rimane alta ma il Fondo monetario si attende un calo, dal 12,1% del 2023 all’11,6% quest’anno e poi all’11,3% nel 2025. A differenza di Italia o Francia, la Spagna quasi rientra nei parametri di deficit europei. Quest’anno il deficit sarà al 3,1% del Pil, il prossimo al 3%. Il debito è visto in calo dal 106,3% del 2024 al 104,9% del Pil del 2025
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA FNSI, VITTORIO DI TRAPANI: “STIAMO ASSISTENDO A UNA DERIVA UNGHERESE. IL GOVERNO CONTROLLA LA RAI IN MODO SEMPRE PIÙ ASFISSIANTE”
La Commissione europea è stata sollecitata a indagare sui presunti tentativi del governo italiano di estrema destra di trasformare l’emittente pubblica Rai in un “megafono” per i partiti al governo prima delle elezioni europee
L’appello dei Verdi è arrivato dopo che la commissione di vigilanza sulla Rai del Parlamento italiano ha approvato una misura che consente al canale di informazione dell’emittente di trasmettere integralmente, e senza alcuna mediazione giornalistica, i comizi politici in vista del voto di inizio giugno.
L’Agcom, l’autorità di vigilanza sulle comunicazioni, ha respinto il tentativo dei politici del primo ministro Giorgia Meloni, del partito Fratelli d’Italia, della Lega e del partner di coalizione più piccolo, Noi Moderati, di concedere ai ministri un tempo di trasmissione illimitato durante il periodo di campagna elettorale per discutere della loro “attività istituzionale e di governo”. Tuttavia, avranno ancora il diritto di farlo in fasce orarie limitate che, secondo i critici, potrebbero essere sfruttate a fini elettorali.
“La Meloni vuole trasformare i media italiani in canali di propaganda illimitati per i partiti al governo”, ha dichiarato al Guardian Bas Eickhout, candidato capolista per i Verdi europei.
“Una stampa libera e indipendente è un prerequisito per elezioni corrette e libere. Queste interferenze da parte del governo Meloni, che comprende un membro del Partito Popolare Europeo di Ursula von der Leyen (Antonio Tajani, ndR), minano la libertà di stampa e il corretto processo elettorale”.
Terry Reintke, un altro candidato principale del Partito Verde Europeo, ha dichiarato: “I media sono i custodi della democrazia. Non possiamo accettare che la Meloni cerchi di trasformarli in un megafono per il suo governo. Siamo al fianco dei giornalisti in Italia e in tutta Europa che lottano coraggiosamente per la libertà di stampa e la verità”.
Il regolamento dell’Agcom sulla par condicio per la comunicazione mediatica durante le campagne elettorali è solitamente seguito sia dalle reti televisive private che da quelle pubbliche, anche se la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai ha il potere di apportare modifiche che l’Autorità può poi approvare o meno.
“Per la prima volta ci sono due regimi diversi per le reti televisive pubbliche e private”, ha commentato Elisa Giomi, commissario dell’Agcom, l’unica a votare contro tutte le modifiche apportate dalla commissione parlamentare. “Per i telespettatori della Rai sarà difficile decifrare ciò che è comunicazione dell’attività di governo e ciò che è propaganda elettorale”.
In un’azione senza precedenti, la scorsa settimana i conduttori dei tre principali canali televisivi della Rai hanno letto un comunicato del sindacato dei giornalisti, Usigrai, che condanna l’amministrazione Meloni per aver “trasformato la Rai in un megafono del governo”.
Daniele Macheda, presidente dell’Usigrai, ha criticato l’Agcom per aver approvato la norma che consente la trasmissione integrale dei comizi politici sulla Rai. “A prescindere dal comizio di quale partito sia, è sbagliato”, ha detto. “I comizi in diretta, soprattutto quelli senza alcun contributo di giornalisti o commentatori, sono destinati a YouTube e ad altri social media, non a un servizio pubblico di informazione. Riuscireste a immaginare la BBC che fa questo?”.
Da quando è salito al potere nell’ottobre 2022, il governo della Meloni è stato accusato di esercitare sempre più potere sulla stampa. La scorsa settimana un politico di Fratelli d’Italia ha proposto di inasprire le pene per la diffamazione, prevedendo pene detentive da due a tre anni.
Nel frattempo, i giornalisti dell’AGI, la seconda agenzia di stampa italiana, hanno tenuto diversi scioperi nelle ultime settimane per protestare contro la potenziale vendita dell’azienda ad Antonio Angelucci, parlamentare della Lega.
“In Italia stiamo assistendo a una deriva ungherese”, ha dichiarato Vittorio Di Trapani, presidente della FNSI, la federazione nazionale della stampa italiana e del sindacato dei giornalisti, alludendo alla stretta presa che il governo di Viktor Orbán ha sui media nazionali.
“Il governo controlla la Rai in modo sempre più asfissiante: da servizio pubblico sta diventando un servizio governativo. Poi vuole vendere la seconda agenzia di stampa a un parlamentare della maggioranza di governo. A questo si aggiungono le leggi liberticide come quella sulla diffamazione. “L’Italia è sempre più lontana dall’Europa e dagli standard dell’European Media Freedom Act”.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
TRABALLA IL PATTO SIGLATO NELLA MAGGIORANZA PER PORTARE IN AULA LA LEGGE IL 29 APRILE, TAJANI PUNTA AD “AFFOSSARE” LA RIFORMA DOPO LE EUROPEE, IN CASO DI DISFATTA PER SALVINI
La battaglia sull’Autonomia dilania ogni giorno di più la maggioranza. E traballa il patto siglato fra i leader, quello di portare in aula la legge il 29 aprile e far svolgere almeno la discussione generale prima delle Europee, lasciando che il voto finale giunga dopo.
Ieri si è consumato un altro passaggio sofferto: Forza Italia, con il capogruppo Paolo Barelli e il presidente della commissione Affari costituzionali Nazario Pagano, hanno chiesto al ministro Roberto Calderoli più tempo per l’esame degli emendamenti. Facendo sostanzialmente sponda con l’opposizione, che ha presentato un’enorme mole di norme aggiuntive o di modifica, all’ultima conta addirittura 2.453.
La trattativa, svolta in modo riservato e con l’appoggio sostanziale di Fratelli d’Italia, si è consumata dopo che il termine per il deposito degli emendamenti veniva spostato in avanti di cinque ore – non a caso – da Pagano. Ma il no della Lega è stato irremovibile.
Rimane ferma, per ora, la data del 29 per lo sbarco in Aula del provvedimento ma lo stop ai lavori delle commissioni per domani pomeriggio e venerdì per la minoranza apre uno spiraglio per un rinvio.
Il tutto quando ormai la sfida fra Forza Italia, che non vede di buon occhio la legge, e la Lega, è aperta. Il segretario di FI Antonio Tajani è esplicito: «Deve essere una riforma che favorisce tutta l’Italia – afferma non a vantaggio di uno o l’altro. Vigileremo per questo». Tajani afferma che «il voto finale sarà più in là», come aveva lasciato intendere lunedì Giorgia Meloni.
Ma qualsiasi ipotesi di rallentamento suscita l’irritazione dei leghisti del Nord. E nel dibattito irrompe il governatore veneto Luca Zaia: «Rispetto i tempi del Parlamento ma dà fastidio sentir dire che bisogna vigilare. Qui non c’è nessuno che scappa con la refurtiva, è un processo serio e di responsabilità per l’Italia». E il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, lancia un chiaro avvertimento a FI: «I patti vanno rispettati».
La Lega vuole accelerare ma l’idea che in ogni caso il voto finale all’Autonomia arrivi dopo le Europee – circostanza accettata anche da Salvini non entusiasma: una cosa è fare campagna elettorale su un provvedimento già varato, un’altra è “vendere” agli elettori solo la discussione generale.
Anche perché dentro Forza Italia c’è chi è convinto che dopo le consultazioni per l’Europarlamento, se Salvini ne uscirà indebolito come dicono alcuni sondaggi a vantaggio proprio di Tajani, sarà più facile boicottare la riforma. Un clima di reciproca diffidenza. Che rischia di investire anche la legge simbolo per Giorgia Meloni, quella sul premierato. Lì, invece, FdI non tollera ritardi: e, a margine del consiglio dei ministri di lunedì, è stato chiesto a Elisabetta Casellati di spendersi con tutte le forze per far giungere la normativa in aula.
Una “strigliata” in piena regola. Ad acuire le tensioni la partita sulle candidature. Sembra ormai quasi certo che due dei tre leader della maggioranza saranno in campo: la premier Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Matteo Salvini in vece non ci sarà. Il suo progetto è di mettere in pista, come capolista in ogni circoscrizione, il generale Roberto Vannacci. Ma i malumori sulla sua presenza in lista crescono.
Riguardano la base ma anche i big del partito: «Certamente c’è una precedenza per i militanti storici e i parlamentari uscenti», dice Molinari. «Ci sta prosegue – che nelle liste ci possa essere qualche esterno. È una valutazione che deve fare il segretario. È un’interlocuzione che hanno loro due». Parole che seguono quelle più pesanti del vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio: «La Lega deve candidare leghisti, già uno che deve meditare se candidarsi o no non lo sceglierei mai. Se Vannacci sarà candidato nella mia circoscrizione non lo voterò, sceglierò uno della Lega che si è fatto il mazzo sul territorio».
(da Repubblica)
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Aprile 17th, 2024 Riccardo Fucile
MOSCA DESTINA IL 30% DEL PIL ALLA DIFESA, E LE FABBRICHE PRODUCONO 24 ORE SU 24. MA L’EUROPA NON PUÒ TRACCHEGGIARE… “GLI USA NEL 2023 SOLO PER GLI APPALTI HANNO SPESO 250 MILIARDI, IN EUROPA È STATA SPESA LA METÀ: NON SAREMO MAI UN BUON PARTNER NELLA NATO SE NON SIAMO AFFIDABILI. GLI EUROPEI DEVONO RICONSIDERARE IL PREZZO DELLA PACE”
“Ora il 30% del pil russo è dedicato alla difesa, le fabbriche producono 24 ore su 24 e in alcuni casi sono state nazionalizzate le catene del valore sono state ottimizzate ed evadono le sanzioni facilmente: i russi ora producono annualmente il triplo delle munizioni di artiglieria di Usa e Ue insieme”. Lo ha detto James Appathurai, vice assistente del Segretario Generale della Nato per l’Innovazione, l’Ibrido e il Cyber al forum europeo sulla sicurezza e la difesa. “È chiaro che dobbiamo fare le cose in modo diverso, e comunicarlo agli europei e ai canadesi”.
“Dopo la fine della guerra fredda abbiamo avuto una pace fredda, in cui la sicurezza è stata data per scontata: gli europei devono riconsiderare il prezzo della pace, che deve essere difesa”. Lo ha detto Roberto Cingolani, ad di Leonardo, partecipando al forum sulla sicurezza e la difesa in Europa. “Gli Usa nel 2023 solo per gli appalti hanno speso 250 miliardi, in Europa è stata spesa la metà con 30 piattaforme diverse, quindi l’investimento pro capite è più basso: non saremo mai un buon partner nella Nato se non siamo affidabili”, ha aggiunto.
(da agenzie)
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