Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
“DALLA LEGA LO AVEVANO FATTO FUORI E L’ULTIMA PROPOSTA ERA UNA CANDIDATURA SOLO AL CENTRO, MENTRE LUI VOLEVA ESSERLO IN TUTTA ITALIA. L’HO AUTORIZZATO AD USARMI PER ALZARE IL PREZZO CON SALVINI, CHE È IMPAZZITO QUANDO HA SAPUTO CHE ERA IN CONTATTO CON ME”
Il Generale Vannacci? “Prima di scendere in campo con la
Lega mi aveva chiesto di essere candidato in tutta Italia, gli ho detto di no…”. A parlare, contattato telefonicamente dall’Adnkronos, è il leader di Sud chiama Nord Cateno De Luca, il quale, all’indomani dell’annuncio della candidatura di Roberto Vannacci con la Lega alle europee, racconta un retroscena sull’autore del libro ‘Il mondo al contrario’, sostenendo che quest’ultimo, prima di dare il suo sì definitivo a Matteo Salvini, abbia provato a ottenere una candidatura con la lista ‘Libertà’ di cui De Luca è federatore.
“Ho sentito più volte Vannacci. Dalla Lega lo avevano fatto fuori e l’ultima proposta era una candidatura solo al Centro, mentre lui voleva esserlo in tutta Italia”, spiega il sindaco di Taormina ed ex primo cittadino di Messina.
“Io – precisa De Luca – con il Generale ero stato chiaro: ti candidi solo nel tuo collegio e in ordine alfabetico, da noi non ci sono privilegiati. L’ho autorizzato ad usarmi per alzare il prezzo con Salvini che è impazzito quando ha saputo che era in contatto con me ed è caduto nella trappola”.
Il leader di Sud chiama Nord chiude la telefonata con un commento rivolto ai nostalgici della Lega Nord: “Poveri leghisti ‘celoduristi’ della prima ora, dopo l’Udc ora anche Vannacci…”.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
A PARTIRE DA ROMEO E MOLINARI FINO AI 3 GOVERNATORI, TUTTI HANNO PROVATO A CONVINCERE IL CAPITONE A NON CANDIDARE IL GENERALE
Ci avevano provato, i big, a dissuadere Salvini. L’apertura all’esterno, in queste condizioni, con un inevitabile calo dei consensi rispetto al 2019 e quindi con molti seggi in meno a disposizione della Lega a svantaggio degli uscenti, è un azzardo: la precedenza, la tesi di molti, dovrebbero averla gli esponenti storici della Lega, o comunque chi in questi anni ha lavorato sul territorio. Ma il segretario non ne ha voluto sapere.
È convinto che Vannacci porti voti. Tanti voti. Quanti? Almeno in misura sufficiente a far restare la Lega sopra l’asticella dell’otto per cento, ritenuta la soglia minima di sopravvivenza per il segretario di un partito non premiato dalle Politiche 2022 né dalle recenti Regionali.
E un altro traguardo imprescindibile è il mantenimento del secondo posto nella coalizione: il sorpasso di Forza Italia, alle Europee, avrebbe conseguenze non facilissime da gestire in via Bellerio.
Per sedare i malumori il segretario potrebbe evitare di indicare Vannacci come capolista almeno nelle circoscrizioni settentrionali. Ma poco cambia: Salvini, la sua scommessa, la gioca senza metterci la faccia, non candidandosi in prima persona, a differenza degli altri leader della maggioranza, Meloni e Tajani.
Davvero un salto senza rete, aggrappato ai pennacchi di un generale che teorizza che gli omosessuali “non sono normali”, che un’atleta come Paola Egonu ha “tratti somatici che non rappresentano l’italianità” e giustifica l’omicidio come legittima.
“Non condivido tutto quello che scrive Vannacci”, precisa l’ex capitano. Sorvolando su quanti, accanto a lui, non condividono il fatto di vederlo candidato nella Lega.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
NELLA LEGA SCOPPIA LA RIVOLTA : “UNA MANCANZA DI RISPETTO NEI CONFRONTI DI TANTI MILITANTI”… IL VICEPRESIDENTE DEL SENATO CENTINAIO TUONA: “E’ UNA DECISIONE CHE HA PRESO IL SEGRETARIO…”
Sceglie il giorno del 25 Aprile, Matteo Salvini, e il momento
della presentazione del suo libro Controvento, a Milano, per annunciare la candidatura alle Europee del generale Roberto Vannacci: «Sono contento che un uomo di valore abbia deciso di portare avanti le sue battaglie di libertà insieme alla Lega nel Parlamento europeo. Sono contento che in tutti i collegi elettorali, nelle nostre liste gli italiani potranno trovare il nome di Vannacci»
È lui la grande scommessa.
L’uomo che nei piani di Salvini dovrebbe aiutare il Carroccio a frenare il calo nei sondaggi e superare l’asticella dell’8%, al di sotto della quale annegano i pensieri più cupi del leader.
Un nome chiamato a portare freschezza nella corsa leghista verso le Europee, ma che finora si è rivelato in grado solo di spaccare in due il partito. Da una parte i salviniani di ferro, entusiasti, dall’altra i tanti parlamentari e militanti del Nord che vedono l’arruolamento politico di Vannacci come un errore.
Di più, «una mancanza di rispetto nei confronti di tanti militanti che da anni si impegnano e sudano ogni giorno», ringhia un deputato di peso. Quasi un’eresia.
«È una decisione che ha preso il segretario, e quindi va bene così», risponde al telefono il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, che negli ultimi giorni aveva avversato con forza la candidatura di Vannacci. Ha quindi cambiato idea? «No, non l’ho cambiata, ma oggi sono con la famiglia, c’è poco spazio per la politica. No comment».
D’altronde, c’è poco spazio anche per la rabbia. Si aspettavano tutti questo epilogo. La decisione, anche se non condivisa con il partito, era presa già da alcune settimane.
Chi è ostile al generale, ora, vuole sapere se sarà anche premiato con un posto da capolista. Salvini, ieri, è stato volutamente vago, limitandosi a dire che «correrà in tutte le circoscrizioni». Quindi anche al Nord. Uno schiaffo.
Ma il ramoscello d’ulivo potrebbe essere proprio questo: non mettere Vannacci capolista. Piuttosto, in seconda o terza posizione. D’altronde lo stesso generale ha chiarito che sarà «un candidato indipendente che mantiene la propria identità».
E per il leader sarebbe difficile giustificare la scelta di posizionare come capolista un indipendente, che non ha alcuna intenzione di appuntarsi al petto la spilla di Alberto da Giussano.
(da La Stampa)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
SECONDO IL CENTRO STUDI DI UNIMPRESA, DA QUI AI PROSSIMI QUATTRO ANNI LO STATO INCASSERÀ 100 MILIARDI IN PIÙ DALLE IMPOSTE, PASSANDO DA 996 A 1.094 MILIARDI DI EURO… IL PESO DELLE TASSE RISPETTO AL PIL SALIRÀ DAL 42,1% DEL 2024 AL 42,3% NEL 2027
La premier Meloni ha rivendicato in più occasioni «il taglio delle tasse più importante degli ultimi decenni». Ma la realtà è un’altra: il Centro studi di Unimpresa calcola che, se quest’anno il peso delle tasse rispetto al prodotto interno lordo si fermerà al 42,1%, nei prossimi anni aumenterà sistematicamente.
L’anno prossimo si arriverà al 42,4%, nel 2026 al 42,2% e poi ancora un altro aumento al 42,3% nel 2027, quando nelle casse dello Stato entreranno quasi 100 miliardi di euro in più rispetto al 2023: l’incasso totale passerà infatti da 996 miliardi del 2023 a 1.094 miliardi del 2027. Il calcolo si basa sulle ultime stime del Def.
Nell’arco di quattro anni, dunque, si assisterà a una crescita del gettito pari al 9,8%. L’aumento riguarda sia le imposte dirette che quelle indirette. L’aumento delle entrate fiscali non solo delude cittadini e imprese, che si aspettavano il calo delle tasse che era stato promesso, ma non risolve neanche gli squilibri di bilancio.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
LA STAMPA INTERNAZIONALE DERIDE SALVINI… È FALSO CHE PER REALIZZARE IL PONTE DI MESSINA SARANNO CREATI 120 MILA POSTI DI LAVORO. NEGLI STESSI DOCUMENTI DEL PROGETTO C’E’ SCRITTO “AL MASSIMO 7.000”
“Il futuro di Matteo Salvini è appeso alla costruzione di un
ponte”, titola Politico, testata internazionale che si occupa di cose europee. Ma c’è un piccolo problema: il ministro delle Infrastrutture dimostra di non saper leggere nemmeno i documenti del suo ministero.
“All’inizio di marzo Matteo Salvini è salito su una ruspa per aprire il terreno per un nuovo ponte”, scrive Politico, in “un cantiere benedetto da un prete” e promettendo che in caso di ritardi “sarà lui stesso a piantare un tenda per protestare contro i ritardi”.
Il leader italiano agli occhi della stampa europea viene descritto come “l’Orbán italiano” che “spera di poter avere successo dove Benito Mussolini e Silvio Berlusconi hanno fallito lanciando il progetto di costruzione entro giugno, rinvigorendo la sua leadership politica sgretolata lungo la strada”. Segue nell’articolo l’elenco dei deludenti risultati elettorali raccolti fin qui.
Il ministro deriso sul palcoscenico internazionale però rilancia. Ospite della trasmissione “Cinque minuti” su Rai lo scorso 24 aprile ha annunciato che “gli studi della Società Stretto di Messina calcolano che dall’apertura del cantiere del ponte sullo Stretto saranno creati 120 mila posti di lavoro”.
È falso, ovviamente.
La difficoltà del leader leghista con la gestione dei numeri ormai è cronicizzata. I 120mila posti di lavoro erano una declamazione che risale a un anno fa. Poi i 120 mila sono diventati 100 mila, poi 50 mila, poi 40 mila, fino ad “alcune decine di migliaia”. Il 24 aprile siamo tornati al punto di partenza, 120 mila, stamattina nell’intervista al Corriere della sera è tornato a 100 mila.
Ma dove li prende i numeri il ministro Salvini? La risposta è peggio di quanto si possa immaginare.
Come sottolinea Pagella politica a marzo la Società Stretto di Messina ha presentato il progetto del ponte sullo Stretto in un’audizione alle Commissioni Ponte dei comuni di Messina (Sicilia) e Villa San Giovanni (Calabria). Tra le slide della presentazione, ce n’è una dedicata agli impatti che la realizzazione del “collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria” potrebbe avere sull’occupazione. La Società Stretto di Messina ha stimato che la costruzione del ponte richiederà 30 mila unità lavorative annue (abbreviate con la sigla “ULA”) per quanto riguarda il lavoro diretto e 90 mila ULA per quanto riguarda il lavoro indiretto e quello indotto. Salvini ha sommato le due cifre, sbagliando.
Come spiega Pagella politica le unità di lavoro annuo non corrispondono al numero di occupati: “un’unità di lavoro annuo rappresenta infatti la quantità di lavoro svolta da una persona impiegata a tempo pieno per un intero anno”.
In base alle tempistiche stimate dalla Società Stretto di Messina, il cantiere del ponte durerà almeno sette anni. Da qui viene il numero dei “4.300 occupati in media nel periodo di costruzione del ponte” indicato dalla Società Stretto di Messina: bisogna dividere le 30 mila ULA per sette.
La stessa Società stima un picco di “7 mila occupati” durante la costruzione del ponte sullo stretto. Insomma, lo scrive la stessa società incaricata dal ministro: i lavoratori impiegati alla costruzione del ponte sono molti molti molti meno. Se riteniamo attendibili le cifre date dalla società che dovrebbe costruire l’opera i numeri sventolati dal ministro sono una panzana che non si ritrova da nessuna parte. Siamo nel campo della fantasia moltiplicata per questioni elettorali. Un terreno sdrucciolevole che non lascia ben sperare per la costruzione di un ponte lungo tre chilometri. Soprattutto se la carriera di Salvini è appesa lì.
(da La Notizia)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
LE FRASI IRRISPETTOSE E DEMENZIALI RIVOLTE ALLE DIPENDENTI: “PREPARA IL CAFFE’, ALTRIMENTI TU. DONNA, CHE CI STAI A FARE QUI?”
“Non posso sottostare all’operato di una dirigente che prende le proprie decisioni in base al flusso del suo ciclo mestruale”. E ancora: prepara il caffè “altrimenti tu, donna, che ci stai a fare qui?”. A rivolgersi così ad alcune dipendenti di Consip, la centrale di acquisto nazionale interamente partecipata dal ministero dell’Economia, sarebbe stato l’amministratore delegato della società Marco Mizzau, secondo quanto riporta il blog “Sassate”.
Episodi ripetuti che nelle ultime ore avrebbero spinto la presidente Barbara Luisi e la consigliera Luisa D’Arcano a dimettersi, facendo così decadere tutto il board, compreso il manager contestato visto che il consiglio di amministrazione era composto dalle due dimissionarie e da Mizzau.
Un mese fa sempre il blog aveva denunciato “il clima creatosi in Consip per i comportamenti ‘sessisti’ (ma soprattutto maleducati) di Mizzau nei confronti di una dirigente dell’azienda”.
Negli scorsi giorni, sempre sullo stesso sito, era apparso un post che rilanciava le accuse anonime di alcune dipendenti.
“Il giovane manager, inesperto di società pubbliche e di ruoli così importanti – si legge nel post – “scivola“ spesso in azienda in commenti fuori controllo nei confronti delle dirigenti donne”. Commenti e battute che ritiene scherzose, ma che non sono certo ammissibili con il suo ruolo. E comunque non in linea con le norme in vigore. Per non parlare del codice etico aziendale e di tutte le policy e leggi a difesa delle donne”.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
E’ INCOSTITUZIONALE ESCLUDERE GRUPPI DI AVENTI DIRITTI DA MISURE DI WELFARE E ASSISTENZA SOCIALE
Per accedere alle case popolari bisogna aver avuto la residenza
in Veneto per almeno cinque anni, anche non consecutivi, negli ultimi dieci. Era questa la norma regionale sull’edilizia popolare dichiarata incostituzionale, ancora una volta, dalla Consulta.
Se le notizie si caratterizzano per la loro novità, per l’eccezionalità del fatto raccontato rispetto al normale fluire degli eventi, questa potrebbe non essere una notizia: non è infatti la prima volta che la Corte costituzionale deve intervenire su casi del genere, così come hanno fatto e fanno Tribunali, Corti d’appello, giudici di Cassazione e perfino la Corte di giustizia dell’Unione europea. Eppure i requisiti illegittimi, irragionevoli e discriminatori continuano a essere previsti da molte norme regionali e locali per l’accesso all’edilizia popolare, ai bonus sociali, ai servizi pubblici di assistenza
Il dovere pubblico di assistere chi ha bisogno
L’assistenza sociale è il dovere pubblico di garantire sostegno alle fasce di popolazione più bisognose. In altri termini, sussidi e servizi devono aiutare chi altrimenti, sul mercato, non riuscirebbe a soddisfare le proprie necessità, tra cui quella abitativa, che, secondo la Consulta, “esprime un’istanza primaria della persona umana radicata sul fondamento della dignità”. A tal fine vengono erogate prestazioni, sia verso categorie specifiche (ad esempio gli invalidi), sia verso chi si trovi in uno stato di bisogno.
Ma come si individua lo stato di bisogno? Certo non con requisiti di residenza permanente, spiega ancora una volta la Corte costituzionale. Imporre, come ha fatto la regione guidata da Zaia, la prolungata residenza in Veneto per concorrere all’assegnazione di case popolari equivale a fissare “una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’ERP [edilizia residenziale pubblica, ndr] a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli)”.
La discriminazione indiretta del requisito di prolungata residenza
Resterebbero così fuori dall’assistenza persone e nuclei familiari che pure versano in stato di bisogno e vivono in contesti svantaggiati, per la sola mancanza di un requisito residenziale regionale. Sia il diritto nazionale, sia quello europeo prevedono però delle regole contro la discriminazione e puniscono, cercando di correggere, non solo la discriminazione diretta, cioè quella che colpisce una persona o un gruppo di persone sulla base di un fattore di diversità (per genere, etnia, nazionalità, religione, orientamento sessuale…), ma anche la discriminazione indiretta.
Questo tipo di discriminazione si verifica quando, attraverso un criterio apparentemente neutro, si pongono le persone di una determinata nazionalità (o genere, religione, etnia…) in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
È proprio questo il caso della normativa veneta incostituzionale. Il requisito della prolungata residenza esclude indirettamente chi, per qualunque motivo inclusa la precarietà lavorativa (che aggrava, invece che diminuire, lo stato di bisogno), si sia dovuto spostare. Questa imposizione non punisce soltanto gli immigrati europei ed extracomunitari, attraverso una discriminazione indiretta sulla base della nazionalità, ma danneggia anche gli italiani che emigrano da una parte all’altra del paese, in cerca di fortuna, di benessere, di impieghi migliori.
Di fatto, questa discriminazione indiretta viola anche la libertà di circolazione, principio alla base del funzionamento dell’Unione europea, oltre che diritto sancito sul piano nazionale e internazionale: una libertà è infatti calpestata non soltanto da specifici divieti diretti, ma anche dalle discriminazioni che ne ostacolano l’esercizio.
Diritti e doveri: perché il discorso che lega tasse e assistenza non ha senso
Si potrà obiettare che i veneti (come prima di loro lombardi, liguri, marchigiani e valdostani, che di recente hanno visto la bocciatura di analoghe norme regionali incostituzionali) hanno diritto di escludere i forestieri dall’accesso ai servizi locali, perché, dopotutto, questi ultimi non avrebbero contribuito alla loro istituzione e al loro finanziamento. Ma non è così.
Primo. La gestione dell’edilizia residenziale pubblica, così come vari livelli di assistenza sociale, sono sì di competenza regionale, ma la fissazione dei criteri generali di assistenza, oltre che il finanziamento, derivano da una complessa combinazione di diversi livelli integrati. Le case popolari non sono finanziate dall’addizionale regionale Irpef (che comunque è pagata anche da chi sia residente da meno di cinque anni), ma da fondi e stanziamenti locali e regionali, e anche statali, europei e perfino, talvolta, privati.
Secondo. In ogni caso, la relazione tra diritti e doveri non è corrispettiva ma funzionale. I diritti non sono merci, che si pagano e si scambiano in cambio di denaro. Adempiere a un dovere non è il prezzo di un diritto, ma un modo di contribuire al finanziamento pubblico, affinché chiunque possa ricevere quanto necessita per una vita dignitosa. Paghiamo le tasse per la sanità, ma alcuni di noi ricevono cure più costose (e non riteniamo certo siano le persone più fortunate, o che stiano approfittando del denaro pubblico). Finanziamo le scuole, a prescindere che abbiamo o meno figli che le frequentano. Costruiamo strade, ponti, ferrovie anche se magari, individualmente, non li percorreremo mai. L’assistenza non si paga come fosse un servizio di mercato: si riceve se se ne ha bisogno, si finanzia se non se ne ha.
Terzo. L’assistenza a chi ha bisogno non è solo un diritto di chi riceve sostegno, né solo un dovere pubblico, ma è anche un interesse dell’intera collettività: le sacche di disagio, l’esclusione sociale, l’invisibilità dei più poveri sono un rischio per il benessere e la sicurezza di tutta la comunità.
Tra razzismo, risparmio e viltà: escludere chi non ha strumenti di difesa
Chiarito perché la norma che impone almeno cinque anni di residenza in Veneto per poter concorrere all’assegnazione di case popolari sia incostituzionale (in quanto illogica, irragionevole e discriminatoria), è necessario notare come la regione amministrata da Zaia non sia certo l’unica ad aver varato regole palesemente illegittime per l’accesso ai servizi di welfare. Basta leggere questa sentenza della Corte Costituzionale per scoprire che una norma molto simile è stata bocciata anche per Lombardia (sentenza 44 del 2020), Liguria (sentenza 77 del 2023), Marche (sentenza 145 del 2023), e, ancor prima, per l’edilizia popolare in Valle d’Aosta (sentenza 168 del 2014). E possiamo anche attendere altre bocciature nei prossimi mesi: al vaglio della Consulta c’è la legge regionale piemontese sulle case popolari, con lo stesso requisito di prolungata residenza per poter accedere alle graduatorie.
Se allarghiamo lo sguardo all’assistenza sociale e non solo agli alloggi popolari lo scenario di esclusione tramite norme locali o regionali diventa ancor più grave. Come si può scoprire dalla banca dati di ASGI, sono innumerevoli le sentenze che dichiarano illegittimi regolamenti locali che impongono certificazioni e adempimenti aggiuntivi agli stranieri per accedere ai servizi sociali (come nel celebre caso di Lodi, ma non solo) o che impongono il requisito della prolungata residenza o del permesso per lungosoggiornanti, senza i quali non è possibile accedere ai vari bonus previsti dagli enti pubblici.
Si tratta di norme illegittime, e le sentenze dei vari tribunali sono ormai costanti nel dar ragione a chi ricorre contro questi regolamenti discriminatori, eppure gli enti locali continuano a vararne. Il sospetto è che, in un ibrido tra esigenze di risparmio sulla spesa pubblica e tendenze xenofobiche e razziste, certi amministratori impongano requisiti escludenti, confidando che gli emarginati non abbiano la forza di reagire, difendersi, ottenere i propri diritti. La burocrazia diventa strumento ulteriore di discriminazione e, di fronte a un primo diniego, molte persone, che pure avrebbero bisogno (e diritto) di assistenza, rinunciano a richiederla. Si tratta di una strategia politica subdola e con una certa dose di vigliaccheria: dietro un ricorso vinto, spesso grazie all’impegno delle associazioni antidiscriminatorie, ci sono molte altre norme locali e regionali che, pur illegittime, restano vigenti e applicate, escludendo dallo stato sociale proprio coloro che ne avrebbero più bisogno.
Calpestare i diritti è una strategia politica di propaganda
Sullo sfondo c’è poi la capitalizzazione elettorale, che arriva al punto di calpestare tanto i diritti quanto il funzionamento della democrazia. Appresa la notizia della bocciatura per incostituzionalità, infatti, Zaia ha dichiarato di non condividere la sentenza e ha promesso di modificare la norma per privilegiare comunque i residenti da più tempo, assegnando punteggi più alti nelle graduatorie.
Ma una sentenza simile non è un’opinione che Zaia possa ignorare. O, meglio, può farlo, come dichiara di voler fare con uno sprezzo delle regole preoccupante in un paese democratico. La sua scelta propagandistica continuerà però a costare ai contribuenti veneti e italiani altro denaro pubblico, e le sentenze che arriveranno sulle nuove versioni delle stesse discriminazioni finiranno per ribadire gli stessi princìpi. Nel frattempo, però, la retorica passa, la propaganda fa presa, gli esclusi restano esclusi, emarginati da una società a cui appartengono ma che non li vuole, aumentando il disagio anche ai danni della comunità.
(da Fanpage)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
“VOGLIO AFFRONTARE IL PROCESSO PER DIFENDERMI DALLA ACCUSE, MA DEVE VALERE PER TUTTI LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA E IL DIRITTO A NON TROVARSI DI FRONTE A SENTENZE GIA’ SCRITTE PER RAGIONI POLITICHE”
Ilaria Salis ha deciso di candidarsi alle elezioni europee per portare avanti la battaglia in difesa dei diritti fondamentali.
È lei stessa a spiegarlo, in una lettera presentata dal padre durante una conferenza stampa alla Camera insieme ai leader dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. “Io ho avuto la fortuna di non essere dimenticata ma situazioni di ingiustizia simili sono all’ordine del giorno di diversi paesi d’Europa. Per questo, dopo notti insonni e settimane di riflessioni ho deciso di accettare la candidatura alle elezioni europee per portare l’attenzione che mi avete mostrato anche ad altre persone che si trovano nella mia stessa situazione e trasformare questa mia sfortunata vicenda in qualcosa di costruttivo nella tutela dei diritti fondamentali”.
La donna –detenuta in un carcere ungherese dal febbraio 2023, dopo essere stata arrestata con l’accusa di aver partecipato all’aggressione di alcuni neonazisti – ha iniziato la lettera ringraziando “con tutto il cuore le persone che in Italia mi hanno supportato in questi lunghi mesi senza rimanere indifferenti di fronte alla sconvolgente storia di cui sono mio malgrado protagonista da più di un anno”.
Per poi proseguire: “I sorrisi che ho trovato ad accogliermi alle udienze mi hanno scaldato il cuore, mi hanno dato grande forza e soprattutto la consapevolezza di non essere sola. Sono immensamente grata per quello che si sta facendo per me e soprattutto perché un paese come l’Italia si è mobilitato per ciò che mi sta accadendo. Mi avete dato grande forza e soprattutto la consapevolezza di non essere sola in questa storia che purtroppo è ancora ben lontana da un epilogo”.
Salis sa di avere davanti mesi, forse anni, prima che si concluda il processo. Il suo obiettivo, con la candidatura, non è sottrarvisi ma affrontarlo con la sicurezza che i suoi diritti fondamentali vengano rispettati: “Davanti a me mesi, forse anni ancora in questo buco nero in attesa della conclusione del processo, l’unica certezza in questo momento è la richiesta della procura: undici anni di carcere duro. Non è mia intenzione sottrarmi al procedimento in cui sono imputata, ma difendermi nel processo nel rispetto dei diritti fondamentali, dei principi di proporzionalità e della presunzione di innocenza. So di non essere un caso unico ma eccezionale”.
Durante la conferenza a Montecitorio, suo padre – Roberto Salis – ha sottolineato: “Mia figlia fa questa battaglia anche per la libertà, c’è chiaramente una componente emotiva che in altre campagne elettorali non è presente”. Sul perché la figlia abbia deciso di candidarsi proprio con Avs, ha aggiunto: “Ognuno fa le scelte che ritiene opportune, ci sono dei partiti più grandi che hanno dato disponibilità e li ringrazio per questo. Non c’è un noi, c’è Ilaria che ha preso una sua decisione autonomamente sulla base delle sue convinzioni politiche. Ci sono stati 11 mesi di silenzio totale, tombale in cui non è accaduto nulla, poi arriva un momento in cui se non funziona un sistema, bisogna trovare un’alternativa”.
Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, da parte sua ha detto: “La candidatura di Ilaria Salis è una candidatura di carattere costituzionale, perché parla della costituzione materiale e formale dell’Europa che vorremmo. Abbiamo deciso di fare un atto concreto: noi ci impegneremo affinché sia eletta e affinché questa elezione contribuisca a chiudere il ciclo infernale in cui è finita, oltre che a disegnare una Europa costituzionale in cui i diritti fondamentali non siano più calpestati”.
(da Fanpage)
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Aprile 26th, 2024 Riccardo Fucile
IERI SONO ARRIVATI IN CITTÀ 15 MILA TURISTI PAGANTI, MA CE N’ERANO OLTRE 44 MILA ESENTI … LA PROTESTA DEI RESIDENTI CHE CHIEDONO CASE IN CUI VIVERE E NON B&B
Finti biglietti per entrare a “Veniceland”, provocatori
passaporti con scritto “Venezia città aperta” e messaggi audio diffusi per le calli ricordando ai visitatori di chiedere il rimborso «qualora le attrazioni non siano state di vostro gradimento».
Ieri, nel primo giorno di avvio del contributo di accesso a Venezia, i cittadini hanno scatenato la loro fantasia per contestare il provvedimento per regolare i flussi turistici, proposto e voluto dal sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro.
Oltre all’ironia, ci sono stati momenti di tensione tra polizia e manifestanti al clou di una protesta per dire no a “Veniceland”. La tassa di 5 euro, rivolta ai turisti giornalieri, è entrata in vigore ieri in via sperimentale per 29 giorni nel 2024, ma non tutti la ritengono la misura giusta per risolvere il problema dell’impatto di un turismo fuori controllo.
Chi è contrario invece contesta la misura e le troppe esenzioni: ieri sono arrivati in città 15.700 turisti giornalieri paganti, ma ce n’erano oltre 44 mila esenti (40 mila in strutture ricettive che pagano già la tassa di soggiorno, 2.100 parenti di residenti e 2.000 amici di residenti), senza contare gli esenti permanenti (13 mila studenti e quasi 21 mila lavoratori).
Risultato: le calli di Venezia erano comunque intasate.
«Il sindaco a parole dice che vuole regolare i flussi e nei fatti incentiva il turismo», ha detto Federica Toninelli dell’Assemblea sociale per la casa, collettivo che ha organizzato la manifestazione finita con lo scontro con la polizia.
«La giunta non ha mai applicato il provvedimento che prevede che il Comune possa limitare le locazioni turistiche, sta realizzando hub turistici alle porte della città e non investe nelle politiche per la casa, né per servizi per i residenti. Il ticket trasforma la città in museo con tanto di biglietto di accesso».
(da “La Repubblica”)
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