Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
UNA MOSSA PER TENERE LONTANO DAI MEDIA IL DEPUTATO PISTOLERO … I PROBIVIRI SONO FERMI, NON E’ NEMMENO INIZIATO IL “PROCESSO” INTERNO
Dopo lo sparo di Capodanno alla festa di Rosazza (Biella) che ha portato a un’inchiesta – chiusa a inizio aprile – per lesioni colpose e porto illegale d’arma, il deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo è sparito per diverse settimane dal Parlamento. Dopo alcuni colloqui con i vertici del partito e del gruppo parlamentare, Pozzolo aveva evitato i riflettori dei media disertando la Camera
E Fratelli d’Italia ha deciso di “coprire” la sua assenza: secondo i dati della Camera dei deputati, infatti, nel mese di gennaio del 2024 Pozzolo è stato assente giustificato nel 96% delle votazioni. In totale, a gennaio, il deputato meloniano non ha partecipato al 100% delle votazioni – in tutto 515 mediante procedimento elettronico – e il partito gli ha concesso una “giustificazione” per 493 di esse (95,73%).
Ogni gruppo parlamentare ha a disposizione un numero di “giustificazioni” proporzionato a quello dei parlamentari e queste vengono autorizzate dal capogruppo, nel caso specifico Tommaso Foti. L’assenza giustificata serve soprattutto a evitare che al deputato assente venga decurtata parte della sua busta paga: circa 200 euro a seduta.
In tutto, secondo un calcolo spannometrico, per un mese il deputato può tenersi una cifra che oscilla tra i 1.200 e i 1.600 euro che in caso contrario gli sarebbero stati tolti.
La decisione di garantire una “giustificazione” a Pozzolo è servita per allontanare il deputato dai media che a inizio gennaio si erano occupati molto della festa di Rosazza fino a coinvolgere lo stesso governo: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni il 4 gennaio in conferenza stampa aveva annunciato la sospensione di Pozzolo da Fratelli d’Italia.
Da allora è partito l’iter dei probiviri che però non è mai andato avanti: lo stesso deputato di FdI, sentito l’1 febbraio, aveva chiesto di aspettare i riscontri dell’autorità giudiziaria. Proprio quel giorno il deputato meloniano era tornato in Parlamento e dalla metà del mese ha ripreso a frequentare l’aula della Camera.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
RAFFICHE DI QUERELE E SANZIONI DISCIPLINARI ALL’INTERNO DI UNA ASSOCIAZIONE IL CUI PRESIDENTE HA IMPOSTO UNA SVOLTA PRO-LEGA CANDIDANDOSI CON IL CARROCCIO… QUALCUNO RICORDA CHE AFD, L’ALLEATO IN EUROPA DI SALVINI, E’ PER DISCRIMINARE I DISABILI
Una storia di fratture interne all’Unione italiana ciechi e ipovedenti, l’Uici. Una storia che interseca la magistratura civile, il ministero del Lavoro e la politica. Ed è stata proprio la politica, un anno e mezzo fa, a far deflagrare la tensione nell’onlus ultracentenaria, una delle più antiche di Italia.
Quando Matteo Salvini decise, nel 2022, di candidare il presidente dell’Uici, Mario Barbuto, nel collegio senatoriale di Palermo, diversi membri e dirigenti dell’associazione insorsero. Da quel momento, una raffica di querele, procedimenti e sanzioni disciplinari ha irrimediabilmente scosso le fondamenta associative.
Un componente della direzione nazionale è stato sospeso per quattro anni, sei membri dell’Uici hanno fatto ricorso in tribunale contro una governance definita «fuori dalla legalità». La polemica si riapre in questi giorni perché la Fondazione istituto dei ciechi di Milano ha deciso di ospitare, il 25 aprile, la prima presentazione del libro di Salvini, Controvento.
Agli addentellati tra vertici dell’associazionismo dei ciechi e Carroccio si aggiunge la scelta singolare della data: pochi passi dal palazzo di via Vivaio, in contemporanea, sfilerà il corteo per la festa della Liberazione. Nella giornata simbolo della cacciata nazifascista dall’Italia, Salvini farà una sorta di lancio della sua campagna elettorale per l’Europee.
La Sala Barozzi, pregiatissimo salone che funge da teatro, «è stata regolarmente affittata dalla Lega» e ciò è permesso a qualsiasi forza politica, spiega la Fondazione. Tuttavia, «la presentazione del libro in quella sala è un fatto politico decisivo di questa fase della campagna elettorale», denuncia a Open Giuseppe Lapietra.
Già membro della direzione nazionale dell’Uici, ha subito un tentativo di ostracismo interno per aver attaccato pubblicamente le manovre politiche del presidente Barbuto. «Non è un caso che Salvini abbia scelto l’Istituto dei ciechi di Milano». Da statuto, l’Uici deve essere apartitica e aconfessionale, eppure «dopo un anno e mezzo dalla candidatura di Barbuto, si torna a offrire l’immagine dell’associazione alla campagna elettorale leghista».
L’intreccio fra Fondazione istituto dei ciechi di Milano è Uici è solido. Rodolfo Masto, presidente della Fondazione, è anche consigliere nazionale dell’Uici. Barbuto, presidente dell’Uici dal 2014, è stato a sua volta membro del cda della Fondazione. Un duo che si incrocia anche in altre realtà influenti dell’associazionismo dei ciechi e al quale, afferma Lapietra, si aggiunge un’altra figura di spicco in queste realtà, Nicola Stilla.
«Da tempo il trio Masto-Barbuto-Stilla ci ha compromessi con i propri evidenti spettacolari azzardi partitici. In una fase tanto drammatica per le nostre associazioni, flirtare con quella componente antieuropea della politica italiana, esponente di punta del raggruppamento sovranista estremo, crea un danno a noi non vedenti e alle nostre famiglie».
L’abbraccio tra Salvini e associazioni rappresentative delle persone con disabilità visiva sembra stridere soprattutto se si parla di elezioni europee. La Lega è capofila del gruppo Identità e democrazia, nelle cui fila siedono i tedeschi di Alternative für Deutschland. Il loro leader in Turingia, Bjoern Hoecke, meno di un anno fa, si è scagliato contro l’«ideologia inclusiva» nelle scuole. «I progetti ideologici, ad esempio dell’inclusione, non permettono ai nostri studenti di avanzare. Non li rendono più efficienti». Anzi, sono «fattori di stress da eliminare dal sistema educativo». La stampa di mezzo mondo ha accusato Hoecke di propagandare teorie naziste sull’eugenetica, alludendo alla formazione di classi separate per gli studenti con disabilità. Il leghista Claudio Borghi ha provato a scagionarlo: «Si riferiva all’immigrazione, con il fenomeno non trascurabile di molte classi in cui i madrelingua sono ormai in minoranza».
Ma è stato lo stesso leader di Alternative für Deutschland, con dei post precedenti, a confermare che le sue esternazioni sobillavano l’idea di classi separate per alunni con disabilità: «Per le mie critiche al “progetto ideologia inclusione” ho ricevuto una dura disapprovazione da parte dei media, tuttavia la mia argomentazione si basa sull’esperienza: a seconda del tipo di disabilità, la scuola regolare è semplicemente sovraccarica per riuscire a soddisfare le esigenze di apprendimento degli studenti. L’inclusione a tutti i costi spesso serve più all’ambizione dei genitori e dei pedagoghi che agli interessi dei disabili». La Lega, dunque, prova a tenersi stretti due alleati – uno in Germania e l’altro individuato nell’associazionismo dei ciechi – i cui interessi carambolano. «Ho subito querele, ma continuerò a battermi per il rientro nella legalità della vita associativa.
Barbuto si è candidato con la Lega nel momento in cui, da presidente, era il rappresentante legale dell’Uici. Il rappresentante legale di un’associazione che all’articolo 1 comma 4 prevede l’apartiticità. Qualsiasi libero cittadino ha diritto di esercitare i propri diritti politici, però non deve entrare in collisione con il ruolo che ha in un’associazione. Barbuto, nel 2022, si inventò questo istituto dell’auto-sospensione, che non esiste nello statuto. Si è auto-sospeso lasciando, per altro, il comando alla vicepresidente dell’Uici, indicata dal presidente. Sa chi è? Linda Legname».
Sul suo nome si era espresso anche Vincenzo Zoccano, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri e consigliere nazionale dell’Uici: «Legname risulterebbe, fino a smentita dell’interessato, essere la compagna e convivente di Barbuto. Se così fosse, sarebbe in palese conflitto di interessi».
Dopo la parentesi dell’auto-sospensione, non essendo stato eletto, Barbuto ha ripreso le redini dell’associazione. Eppure, in un’intervista a Vita, nelle vesti di candidato della Lega e presidente Barbuto garantì: «Non rimarrò presidente dell’Uici, indipendentemente dal risultato elettorale».
Lapietra oggi ha 71 anni ed è iscritto all’Uici da quando ne aveva 7. «Per 65 anni mi sono dedicato a questa associazione, continuerò a farlo nonostante i vertici mi abbiano denunciato per diffamazione». Una querela «temeraria» per delle dichiarazioni rilasciate da Lapietra a Radio radicale. «Barbuto, dopo la sconfitta elettorale, non solo ha smentito la promessa fatta in campagna elettorale di non restare presidente, ma è tornato calpestando il pavimento dell’associazione che gli si era rivoltata contro con delle scarpe chiodate. Quando ad agosto 2022 gli feci dei rilievi, ovvero di non abusare della sua posizione per non influire sui soci, mi minacciò di portarmi in tribunale. Il 26 settembre emerse la sua sconfitta nelle urne, il 27 settembre questo signore ha depositato una querela nei miei confronti».
Perché il ministero del Lavoro, competente in materia di regolamentazione delle associazioni, non è intervenuto? «Sono andato io personalmente a Roma per sollevare la questione al ministero, ma il caso non sembra interessare, vista la consonanza politica degli interessati».
E conclude: «Dopo un anno e mezzo, è assurdo che la questione Salvini torni a scuotere l’Uici, di nuovo per fini elettorali. Basta con questi ammiccamenti tra ciechi e leghisti».
(da Open)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
COSA PROPONGONO IL DEPUTATO DI ITALIA VIVA E LA PRESIDENTE DI NESSUNO TOCCHI CAINO
Una proposta di legge “semplice”, che si sviluppa in tre punti, con un obiettivo altrettanto chiaro: risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri.
«La sua urgenza è dettata dal numero di suicidi in carcere. Siamo già a 32 da inizio anno: con questo ritmo, rischiamo di superare il record del 2022». A parlare è Roberto Giachetti, raggiunto al telefono da Open durante una pausa dai lavori d’Aula, a Montecitorio.
«Il sovraffollamento delle celle è una causa sostanziale di questa tragedia: le condizioni delle carceri concorrono ad aumentare il numero dei suicidi tra i detenuti», spiega il deputato di Italia Viva. Che, nella conversazione, restituisce la dimensione dell’emergenza attraverso qualche cifra: «Più di 500 nuovi detenuti ogni mese, una popolazione carceraria che ha superato le 61 mila persone. Stiamo tornando di nuovo alla situazione della sentenza Torreggiani». Ovvero, la decisione con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2013, ha condannato l’Italia per le condizioni di vita dei detenuti nelle sue carceri.
«Ora, in questo esatto momento, la situazione sta esplodendo – afferma Giachetti -. Bisogna intervenire immediatamente, al di là delle ideologie. Se la maggioranza non approva la nostra proposta di legge, deve indicare subito un’altra strada». “Nostra” perché il testo, che ha come primo firmatario il deputato, è stato elaborato insieme a Rita Bernardini, radicale come Giachetti e oggi presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino.
Entrambi hanno portato avanti uno sciopero della fame per sollecitare l’avvio della discussione sul testo. Nelle dinamiche parlamentari, una semplice proposta di legge delle opposizioni segue un tunnel che, spesso, non ha luce sul fondo.
Giachetti si era appellato alla procedura d’urgenza per accelerare l’iter, poi ha revocato la richiesta dopo la promessa della maggioranza di incardinare la proposta in commissione Giustizia. Così è stato. Ieri, 22 aprile, è scaduto il termine per presentare gli emendamenti, mentre domani si esauriranno le audizioni e inizierà la discussione degli emendamenti.
Seguendo il calendario d’Aula, il testo dovrebbe approdare nell’emiciclo il 29 aprile, ma è probabile che slitti di qualche giorno, considerati i canali preferenziali su cui si muovono i decreti, a cui si aggiungono i ponti del 25 aprile e del primo maggio. Anche la campagna elettorale per le Europee potrebbe rallentare la discussione, ma Giachetti si dice fiducioso: «Ho avuto delle interlocuzioni informali. Forza Italia – ma i suoi esponenti l’hanno anche detto esplicitamente – è favorevole al testo, fatte salve alcune possibili limature».
Anche dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro sarebbe arrivata un’apertura su uno dei tre punti della proposta. Ovvero, quello che eleva «la detrazione di pena, ai fini della liberazione anticipata, da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata». Si tratta dell’estensione di un beneficio che già esiste per i detenuti che osservano un buon comportamento in carcere e partecipano all’opera di rieducazione.
Dalle audizioni in commissione, invece, sono emersi rilievi di incostituzionalità sul secondo aspetto della legge, cioè quello che trasferisce alcune competenze – sempre in materia di permessi e liberazione – dal magistrato di sorveglianza al direttore dell’istituto carcerario. Sarà suscettibile di emendamenti, dunque.
Infine, il terzo punto, è quello che «prevede per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della legge l’ulteriore elevazione della detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata da 60 a 75 giorni». Sconto calcolato ogni sei mesi, importante «perché sarebbe introdotto con il principio della retroattività», sottolinea Giachetti. «Sono misure che porterebbero fin da subito a un allegerimento della sovrappopolazione carceraria», conclude.
Su questo ultimo aspetto della legge, Fratelli d’Italia sarebbe meno d’accordo. In sintesi, in Forza Italia ci sarebbe abbastanza consenso sul testo, il partito di Giorgia Meloni, invece, ne approverebbe qualche contenuto. E la Lega? A Open risulta che il Carroccio non farà concessioni sulla proposta di legge che arriva dall’opposizione, respingendola in toto.
(da Open)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
VERDI- SINISTRA DOPO LA CANDIDATURA DI ILARIA SALIS SALGONO AL 4,3%
C’è chi sale e chi scende. E l’orientamento di voto degli italiani questa settimana, secondo l’ultimo sondaggio Swg per La7, sembra penalizzare maggiormente Fratelli d’Italia: il partito di Giorgia Meloni perde lo 0,4% scendendo sotto il 27% e raggiungendo il 26,8%; mentre premia il Pd con un incremento dello 0,6% e ora al 20% pieno.
Nella settimana di presentazione delle liste per le elezioni Europee, si accorcia la distanza tra il primo e il secondo partito.
Ma sono stati anche i giorni del caso Bari in cui si è consumato lo strappo tra il Movimento e i dem tra tensioni e accuse reciproche. Il Pd sembra averne guadagnato: sale infatti più di mezzo punto e tocca il 20% mentre il M5S di Giuseppe Conte ora è al 15,9%: scende dunque di poco, precisamente dello 0,1%, stesso dato per la Lega all’8,5%. Stabile invece Forza Italia e Noi Moderati (8,4%); in forte discesa Stati Uniti d’Europa (-0,5) ora al 4,7%.
Tra i partiti minori guadagnano Verdi e Sinistra al 4,3% (+0,2) che hanno incassato la candidatura di Ilaria Salis in settimana; Libertà al 2,2 (+0,3) e Pace Terra Dignità al 2,1 (+0,2). Stabile all’1,4 Democrazia Sovrana e Popolare.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
PER SALVARE IL “CAMERATA” ROSSI, PROSSIMO A.D. RAI, LA MELONI E’ PRONTA A OFFRIRE LA TESTA DI CORSINI (DESTINATO AD ESSERE SOSTITUITO DOPO LE EUROPEE DA ANGELA MARIELLA, IN QUOTA LEGA)
In Rai è considerato il meno sicuro del gruppo destrorso e per questo lo «yesman» più a rischio inciampo della nidiata meloniana cresciuta sotto la guida di Giampaolo Rossi. Paolo Corsini nei corridoi dell’azienda pubblica è da molti definito il meno arrogante e quello dai modi più garbati nel trio nero che comanda oggi davvero la tv di Stato e dal quale lui “dipende”: un trio composto, oltre che dal direttore generale e filosofo del pensiero della destra televisiva, Rossi, anche da Angelo Mellone e Nicola Rao.
Ma Corsini resta in fondo la seconda fila promossa e ripromossa dalla destra al governo fino al vertice del genere Approfondimenti, al posto di un nome di peso come quello di Antonio Di Bella: promosso fino a sedersi su una poltrona che deve prendere scelte delicate e in tempi brevissimi.
Corsini è uno che si chiede con candore «allora come stiamo?» alla festa di Fratelli d’Italia, sentendosi parte della casa Meloni, ma ora al vertice della tv di Stato deve gestire patate bollenti continue: perché sotto la sua direzione ci sono programmi non graditi a Palazzo Chigi, come Report, e il monologo da tagliare perché non piace al partito è sempre dietro l’angolo. Se si è insicuri il pasticcio è solo questione di tempo.
Per tutto questo dentro la nuova Rai «non a caso», si sussurra, Corsini «rischia di finire adesso stritolato » dal caso Scurati, essendo lui formalmente il responsabile di quanto accaduto da direttore dell’Approfondimento e, allo stesso tempo, il più «sacrificabile» del gruppetto destrorso che ha preso le redini del Cavallo di viale Mazzini.
Una carriera dietro le quinte, quella di Corsini, giocata molto sulla politica oltre al giornalismo: entrato in radio alla fine degli anni Novanta, ha lavorato a Tg Parlamento e Rainews, occupandosi anche di sport: ma in 25 anni di carriera non ha mai condotto un tg o un programma.
Per il resto solo qualche uscita sui social dal sapore nostalgico del Ventennio, dalla pubblicazione su Facebook della foto del padre bambino tra i «Figli della Lupa» nel 1938 a Tripoli con la frase «con ali e fiamme la Giovinezza va», alla foto del concerto dei 270bis, il gruppo di Marcello De Angelis noto anche per la canzone «Claretta e Ben», brano dedicato a Benito Mussolini e Claretta Petacci, che recita: «Io ho il cuore nero, e me ne frego e sputo in faccia al mondo intero».
«Grazie per le emozioni» scriveva dopo questo “evento” qualche anno fa. Corsini insomma non dà le soddisfazioni del suo dante causa Rossi, che nel suo blog in anni precedenti alla guerra in Ucraina descriveva magari un Putin come colui che non vuole sottomettere la Russia al «nuovo ordine mondiale preconizzato da Soros». Al massimo si trovano frasi, sempre sui social, contro la stampa di sinistra e «l’ossessione per il fascismo e il razzismo che dilagherebbero in Italia ».
Oppure battute, come quando in risposta a un tweet di Gianni Riotta che sosteneva di non «avere mai detto che Grillo è fascista», Corsini sottolineava: «Il fascismo è una cosa seria».
Il direttore tiene invece alla sua immagine ardita e indomabile, ad esempio postando foto da giocatore di rugby che affronta il fango del campo, o di amante delle moto stile anni Settanta, che guida magari con un giubbotto di pelle da inquieto giovane (che non è, avendo 55 anni).
Ma poi quando deve parlare con un Sigfrido Ranucci furibondo per il taglio alla repliche del suo programma o con una Serena Bortone che si lamenta per i budget di Chesarà, il direttore tentenna e prende tempo. E a proposito di grane: ieri, nonostante abbia ben altro a cui pensare, ha dovuto ascoltare al telefono pure il premier albanese Edi Rama furibondo per la puntata di Report sull’accordo Italia-Albania in tema di migranti
Di solito comunque alle richieste di chiarimento di Ranucci, di Bortone, oppure di Riccardo Iacona, Corsini dice no a caldo, ma poi magari telefona al piano di sopra per sapere che fare. Resta quindi una domanda che circola in questi giorni tra gli addetti Rai: sul caso Scurati la telefonata l’ha fatta o per una volta ha detto, «decido io?». Il risultato comunque non cambia.
Un disastro, soprattutto per la leader maxima Meloni che le veline del Palazzo narrano essere andata su tutte le furie.
(da La Repubblica)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
NEL MEZZO C’È L’IRRIDUCIBILE ANGELO MELLONE, NEL MEZZO C’E’ IL DIRETTORE DEL TG1, GIAN MARCO CHIOCCI, STA ALLA FINESTRA E ASPETTA
«Ostracizzati per anni», ama ripetere Giorgia Meloni, hanno adesso gli occhi perennemente adombrati dal senso di rivalsa. In Rai li chiamano «i neri», e sono tutti amici dichiarati e ricambiati della presidente del Consiglio.
Uno dopo l’altro, nominati ai vertici della tv pubblica. Uno contro l’altro, finiti ora in una faida per il controllo di Viale Mazzini ribattezzata, anche grazie alle loro gesta, TeleMeloni. Eccoli, schierati: chi più chi meno tirato in ballo dall’epurazione pasticciata di Antonio Scurati, a pochi giorni dalla festa della Liberazione.
Giampaolo Rossi, il direttore generale che la premier vuole promuovere entro giugno ad amministratore delegato: un mese fa riunì in una stanza della Rai, come fosse un club di patrioti di Colle Oppio, i parlamentari di Fratelli d’Italia membri della commissione di Vigilanza Rai, per ragionare su come portare Guido Paglia – tra i fondatori di Avanguardia nazionale, gruppo neofascista in odore di terrorismo e servizi deviati – dentro il Consiglio di amministrazione. La Stampa pubblicò il retroscena, la nomina di Paglia sfumò.
Angelo Mellone, il più giovane, e dicono il più irriducibile, ma anche il meno esposto. Perché, per il momento, non tocca a lui maneggiare la polveriera dei talk show giornalistici, o quello che ne rimane. È il direttore del genere Intrattenimento/Day Time.
Autore anni fa di un libro “Dì qualcosa di destra”, in cui cercò di rifondare il mito della destra vivace, pop, futurista, lontana dall’immagine periferica dei camerati reazionari retrogradi e arretrati culturalmente. Utile, alla pre-vigilia del 25 aprile, ricordare il suo pensiero.
Sul saluto romano dell’ex laziale Paolo Di Canio: «Non è stato un atto di nostalgismo ma di appartenenza al popolo della curva. In questo senso, un gesto contemporaneo pop-fascista».
E ancora: «Il fascismo è oggi de-ideologizzato, ma sopravvive come cultura “pop”: ragione per cui Benito Mussolini è un pezzo di primo piano dell’immaginario popolare italiano e non una scoria da espellere».
Gianmarco Chiocci, è il quarto, un po’ più laterale perché in Rai non ci è cresciuto ma ci è arrivato da direttore del Tg1 un anno fa. È l’autore, per Il Giornale di Silvio Berlusconi, dello scoop sulla casa di Montecarlo, che costò la carriera a Gianfranco Fini, ex leader di An. Quando era direttore de IlTempo pubblicò in prima pagina: “Mussolini, uomo dell’anno”.
Il party dei suoi 60 anni, un paio di settimane fa, è il racconto per immagini di una capacità smaliziata di navigare tra mondi diversi (c’erano il leader della Lega Matteo Salvini e il presidente del M5S Giuseppe Conte).
Paolo Corsini. È l’uomo finito nel calderone arroventato degli Approfondimenti. Da sempre fieramente schierato a destra, lo scorso dicembre, sul palco di Atreju, la festa di FdI, si è lasciato sfuggire un «noi» che rivela l’appartenenza alla comunità di Meloni. È lui ad avere la responsabilità diretta del programma di Serena Bortone, ed è lui a non aver risposto alla conduttrice che insistentemente cercava spiegazioni sull’esclusione dal suo show del monologo di Scurati sull’antifascismo.
Ieri La Stampa ha svelato le telefonate che Meloni ha fatto a Corsini e a Rossi per capire come indebolire le accuse di censura sbeffeggiando l’autore per il compenso pattuito, cosa che farà poi la premier in un post sui social. Meloni non cederà. Perché nella sua testa e in quella dei suoi uomini si agita il sospetto di un complotto permanente.
In questo caso nel mirino è finito l’ad Roberto Sergio. Non è piaciuta a Palazzo Chigi l’intervista a questo giornale con cui il manager si è voluto sfilare dal caos su Scurati. Meloni si è fatta raccontare cosa è accaduto e, secondo le ricostruzioni di Corsini e di Rossi, la segreteria di Sergio era stata informata e sapeva che l’intervento dello scrittore era stato cancellato.
Meloni, adesso, farà quello che fa sempre in questi casi. Difenderà le sue scelte e i suoi uomini. Anche a costo di deludere qualche altro amico. Come Chiocci, spinto da una fronda interna in Rai a sognare il grado di ad al posto di Rossi.
Non dispiacerebbe alla Lega che cerca di affossare in tutti i modi i meloniani meno graditi. Gli stessi che Meloni ha contattato. Corsini era in bilico, e in Rai se ne parla da tempo.
Ma ora paradossalmente potrebbe uscirne blindato. Farlo fuori come vorrebbe il Carroccio per fare spazio ad Angela Mariella – ragionavano ieri da FdI – vorrebbe dire sconfessare Meloni e smentire la tesi, confezionata assieme a loro e diffusa dalla premier contro lo scrittore, che è stata solo una questione di soldi.
(da La Stampa)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
SENZA DI LORO IN EUROPA CI SARANNO SEMPRE MENO PERSONE IN ETA’ DI LAVORO, CON UN IMPATTO NEGATIVO PER L’ECONOMIA
Con l’invecchiamento della popolazione, in Europa, nei prossimi anni “si rischia un forte calo dell’offerta di lavoro e quindi della crescita potenziale dell’economia europea”. Quindi, serve “uno sforzo significativo per consentire un ingresso regolare e controllato di immigrati e la loro integrazione nel mercato del lavoro”. La questione non può “essere affrontata dagli Stati membri singolarmente”, infatti è necessaria una “politica di immigrazione comune” per evitare “squilibri” tra i vari Paesi e coordinare gli arrivi per motivi di lavoro. Questo è l’avvertimento che Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, ha lanciato oggi durante la cerimonia in cui ha ricevuto una laurea ad honorem dall’università Roma Tre.
Gli Stati dell’Ue, ha ricordato Panetta, “stanno affrontando la sfida dell’invecchiamento e del calo della popolazione”, e l’Italia è capofila in questo: le nascite sono in calo e l’invecchiamento sarà sempre più evidente. In Ue, la stima Eurostat è che nei prossimi quindici anni la popolazione in età lavorativa scenderà del 7%, un calo che sarebbe quasi doppio (13%) se non ci fosse l’immigrazione di cittadini extracomunitari. L’avviso di Panetta suona ancora più attuale l’Unione europea ha da poco approvato il nuovo Patto migrazione e asilo, che non aiuterà ad aumentare gli ingressi regolari e controllati. Una politica comune è “essenziale per attrarre lavoratori qualificati, in grado di contribuire all’innovazione nei sistemi produttivi anche come imprenditori”.
Le richieste di Panetta all’Europa: “Più integrazione e investimenti comuni su clima, energia e difesa”
Panetta ha anche guardato più in generale alla situazione dell’Europa, e alla sfida della crisi climatica: “L’economia europea”, ha detto, “non può rimanere dipendente dai combustibili fossili”. Per questo bisogna aumentare “la produzione di energia pulita senza escludere alcuna tecnologia”, incluso quindi il nucleare, “promuovendo la decarbonizzazione dei processi industriali e investendo in una rete infrastrutturale integrata per gas ed elettricità”. L’energia non è l’unico settore in cui l’Ue si è concentrata troppo sulle esportazioni: oggi questa scelta è “sempre più rischiosa”, e si va verso un rafforzamento della domanda interna.
Su temi come questi, la transizione climatica e anche quella digitale, così come per portare la spesa militare al 2% del Pil, La stima di Panetta è che servano “800 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati” in tutta Europa. È chiaro quindi che i Paesi non possono farcela da soli: “Un programma di tale portata richiede di impegnare il bilancio dell’Ue” e non può “ricadere soltanto sui singoli Stati membri”. Peraltro, ha sottolineato il governatore di Bankitalia, quando si parla di “sicurezza energetica, transizione digitale, produzione di tecnologia, immigrazione, difesa” si sta parlando di “beni pubblici europei”. Dunque, è normale che servano “interventi anch’essi europei. In questi settori i vantaggi di un’azione congiunta vanno ben oltre la sfera finanziaria”. Una richiesta non molto diversa da quella avanzata dall’ex premier Enrico Letta nel suo rapporto all’Ue, e anche da Mario Draghi.
(da Fanpage)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
UN MALLOPPO CHE LA CAMERA FINORA NON AVEVA MAI RECLAMATO. MA ORA UN’ASSOCIAZIONE DI LEGHISTI BOSSIANI E ANTI-SALVINIANI HA PRESENTATO UNA MOZIONE AL PRESIDENTE FONTANA
La Camera, finalmente, si è mossa. E ha deciso di aprire un fascicolo scottante, di cui finora i vertici del Parlamento si erano sostanzialmente disinteressati. Un fascicolo che è un’appendice poco nota della vicenda dei 49 milioni sottratti dalla Lega alle casse pubbliche, attraverso un allegro utilizzo dei contributi elettorali ai tempi della gestione di Bossi e del tesoriere Francesco Belsito, che il partito oggi guidato da Salvini è stato chiamato dal giudice a restituire, patteggiando un rimborso a rate in oltre settant’anni.
Nello stesso procedimento che ha portato alla condanna di Bossi (per il reato di truffa poi prescritto) e Belsito, e che si è conclusa in Cassazione nell’agosto del 2019, Camera e Senato si erano costituiti parti civili e avevano ottenuto il diritto al risarcimento di una parte del danno patrimoniale complessivo non oggetto di confisca (ovvero interessi e altre voci che eccedono i i 49 milioni) ma anche del danno patrimoniale. Significa che il tribunale di Genova aveva stabilito che la Lega Nord avrebbe dovuto pagare anche il pregiudizio d’immagine che il Parlamento ha subito.
Una somma che i giudici di Genova, nel luglio del 2017, hanno quantificato in circa un milione di euro: 224.856 a favore del Senato e 754.562 a favore della Camera. Ma a Montecitorio e Palazzo Madama, negli ultimi cinque anni, non è stata avviata un’azione esecutiva per recuperare quei fondi.
E dall’ottobre del 2022 alla guida della Camera c’è proprio un leghista, Lorenzo Fontana. La vicenda, già poco edificante di per sé, è pure diventata campo di battaglia politico. Perché una delle associazioni che danno vita all’opposizione a Salvini – con una robusta sponda dentro il partito – ha deciso di chiedere conto e ragione dell’inerzia del Parlamento.
L’associazione si chiama “Lega per il Nord” e, dopo aver approvato una mozione, ha affidato a uno studio legale una diffida alle presidenze di Camera e Senato: «Pur consapevoli dei rilevanti ruoli politici attualmente assunti dai protagonisti della vicenda il mandato ci impone di chiedere chiarezza», scrivono gli avvocati dell’associazione di cui fanno parte tra gli altri uno dei fondatori della Lega lombarda, Giuseppe Leoni, e Matteo Brigandì, ex legale di Bossi. Nella lettera c’è anche la minaccia di un esposto in Procura.
Davanti a quest’iniziativa il numero uno della Camera, Fontana, ha deciso di riunire l’ufficio di presidenza. Che ha stabilito, con una decisione che sarà pubblicata nelle prossime ore sul bollettino degli organi collegiali di Montecitorio, di avviare un’istruttoria. Il motivo nel non intervento, è scritto nel bollettino, starebbe «in una particolare complessità tecnico-processuale».
Fonti di Montecitorio raccontano due particolari non secondari. Il primo: la somma oggetto del risarcimento potrebbe ammontare ad almeno tre milioni di euro. Il secondo, più importante: a pagare alla fine potrebbe essere personalmente Umberto Bossi, segretario del Carroccio ai tempi della truffa ma riferimento di chi oggi reclama un’azione per riprendere quei fondi, con l’obiettivo di mandare in tilt i bilanci dell’attuale Lega capitanata da Matteo Salvini.
Insomma, dagli ambienti della Camera filtra un avvertimento: la denuncia potrebbe trasformarsi in un boomerang per i ricorrenti. Ma sullo sfondo resta il senso di una lunga melina che ha finora ostacolato il recupero di denaro pubblico.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“LA RAI HA SEMPRE SAPUTO CENSURARE CON BUONGUSTO, È IL BUONGUSTO CHE MANCA ALLA SOVRANITÀ ALIMENTARE, NIENTE VOL-AU-VENT, ZERO CHATEAUBRIAND E VINO DELLA CASA. NON È CHE CENSURANO, È CHE NON SANNO CENSURARE. BASTAVA LASCIAR PERDERE”
Non lo hanno capito, ma nella meravigliosa cornice del Palazzo Reale di Napoli lo scrittore Toni Scurati, che si è appena appena concesso il narcisismo della vittima illustre, comprensibile vista la puttanata che gli hanno fatta e si sono fatta, e lo ha declamato così, arronzando per fare titolo e ulteriori copie (“sono un bersaglio”), ha in realtà spiegato le origini del fascismo agli ignari moltitudinari di Repubblica senza idee.
L’ho sentito con le mie orecchie in fibra ben connessa. Ha giustamente avvertito: non aspettatevi le camicie nere della rivoluzione fascista o la marcia su Roma, non esiste il fascismo eterno di Umberto Eco (scandaloso).
Il residuo di populismo, con l’aggiunta posticcia del sovranismo temperato von der Leyen (questo lo aggiunge chi scrive), nasce dalle fiaccolate sotto la procura di Milano, dall’assassinio dei partiti e del Parlamento con l’accusa di corruzione generale, dalle intemerate di un poliziotto-magistrato e dei suoi mandanti, dalla “casta” di Stella Rizzo e Gabriele D’Annunzio (citazione maligna di Toni), dalle frasi di Mussolini (cit. di Toni) così simili alle grida di Beppe Grillo contro gli eletti del popolo e la classe dirigente da arrestare in blocco.
Meloni arriva dopo, e con regolari elezioni. La Rai ha sempre saputo censurare con buongusto, è il buongusto che manca alla sovranità alimentare, niente vol-au-vent, zero Chateaubriand e vino della casa. Non è che censurano, è che non sanno censurare. Bastava lasciar perdere.
(da Il Foglio)
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