Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
SI SPACCA IL FRONTE SOVRANISTA, CON IL MINISTRO DELLA CULTURA CHE DIFENDE LO SCRITTORE DALLA CANEA ORBANIANA
La maggioranza governativa continua a smentire con passione i denunciati tentativi di censura sull’ospitata di Antonio Scurati a Che sarà e il suo monologo sul 25 aprile.
A prendere la parola su quello che la premier Giorgia Meloni ha definito l’ennesimo «caso montato dalla sinistra» è adesso anche il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
«Scurati? Con una battuta potrei dirle che il primo monologo gliel’ha fatto fare liberamente Sangiuliano», ha dichiarato rispondendo a chi gli ha chiesto se gli sarebbe piaciuto ascoltare il monologo dello scrittore in tv, dedicato a Giacomo Matteotti, nella trasmissione di Serena Bortone. «Assolutamente sì! Scurati deve poter esprimere liberamente il proprio pensiero», ha dichiarato Sangiuliano.
Il dibattito
Per poi aggiungere: «Quando ero direttore del Tg2 noi abbiamo fatto ben tre interviste a Scurati. Credo che nessun direttore dei telegiornali, neppure al Tg3, abbia mai dato tanto spazio a Scurati».
E ancora: «Quando vinse il premio Strega facemmo addirittura due pezzi nella stessa edizione del telegiornale».
«Poi – conclude – quando lui è andato a Pordenonelegge gli abbiamo fatto un’altra intervista e in questa intervista espresse gli stessi concetti che avrebbe espresso nel monologo».
Poche ore prima delle dichiarazioni di Sangiuliano, anche il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva commentato lapidario: «La vicenda si è conclusa quando Giorgia Meloni ha pubblicato il monologo sui social».
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
SCOPPIA LA POLEMICA: “SFIDUCIA A GIORGETTI”
Il Parlamento europeo ha approvato con 367 voti favorevoli, 161 contrari e 69 astensioni il nuovo Patto di Stabilità, ossia le nuove regole economiche dell’Ue. In sostanza la norma che prevede come rientrare dal deficit eccessivo (oltre il 3 per cento) e dal debito (60 per cento).
L’unità nazionale degli astenuti
E l’aspetto clamoroso è che sostanzialmente quasi tutti i parlamentari italiani non hanno votato favore. Si è assistito ad una sorta di unità nazionale. Con una giravolta incredibile, però, da parte dei partiti di governo (Fdi, Lega e Forza Italia) che si sono astenuti. Clamoroso perché il governo italiano aveva approvato a dicembre scorso l’accordo considerandolo un passo avanti rispetto alla precedente disciplina molto rigida.
A dicembre scorso, in occasione del via libera dell’Ecofin (il vertice di ministri finanziari) la presidente del consiglio Giorgia Meloni aveva usato queste parole: “È’ importante che sia stato trovato tra i 27 Stati membri della Ue un compromesso di buonsenso per un accordo politico sul nuovo Patto di stabilità e crescita. Nonostante posizioni di partenza ed esigenze molto distanti tra gli Stati, il nuovo Patto risulta per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato. Regole meno rigide e più realistiche di quelle attualmente in vigore, che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri, che sarebbero stati insostenibili per molti Stati membri. Grazie a un serio e costruttivo approccio al negoziato, l’Italia è riuscita, non solo nel proprio interesse ma in quello dell’intera Unione, a prevedere meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo Covid”.
E il ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, non era stato da meno: “Abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi. Ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo”.
Una capriola davvero inspiegabile e che risulta incomprensibile soprattutto all’interno del gruppo principale, il Ppe di cui fa parte Forza Italia, che invece si è espresso in blocco a favore. Una linea che compromette ulteriormente il giudizio di affidabilità del nostro Paese.
Anche l’opposizione – Pd e anche Italia Viva – si è astenuta. Il dem Benifei ha spiegato la linea del suo gruppo sottolineando che non potevano appoggiare un accordo chiuso dall’esecutivo Meloni.
Scoppia la polemica
La posizione dei partiti di maggioranza non passa ovviamente inosservata. “Ma dove è finito il partito di Giorgia Meloni che diceva che avrebbe rigirato l’Europa come un calzino?”, attacca il capogruppo M5s alla Camera, Francesco Silvestri. “Che fine hanno fatto le sue urla contro la Bruxelles dell’austerità? Oggi la maggioranza di governo si è astenuta su un patto di stabilità che pregiudicherà il futuro dell’italia e farà piovere sui cittadini tagli dolorosissimi ai bisogni essenziali. Tra l’altro con questo voto le forze di governo hanno sfiduciato di fatto il proprio ministro Giorgetti che lo aveva negoziato”.
Con il voto sulla riforma del Patto di stabilità, ha ironizzato il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, “abbiamo unito la politica italiana”. Il nostro Paese, però, ha aggiunto, ha di fronte “una doppia sfida, la sfida di politiche di bilancio prudenti, indispensabili per un Paese con un deficit e un debito così alto ma, al tempo stesso, la sfida a continuare con investimenti pubblici che sostengano la crescita. Certamente chi ha il deficit più alto ha una sfida più complicato ma, con le regole esistenti sarebbe forse molto difficile da attuare”.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
I MELONIANI IN RAI IN TRINCEA: SI CERCA DI SALVARE LA TESTA DI PAOLO CORSINI E L’AD IN PECTORE, GIAMPAOLO ROSSI: RISALGONO LE QUOTAZIONI DI ROBERTO SERGIO
“Autore antifascista italiano accusa Giorgia Meloni di censura dopo la cancellazione della sua apparizione televisiva”. Con questo titolo il Financial Times racconta la recente vicenda dell’intervento cancellato di Antonio Scurati, ripercorrendo gli eventi e le diverse posizioni.
“L’autore del libro su Mussolini sostiene che il Primo Ministro sta cercando di riscrivere la storia e non riesce a condannare adeguatamente il fascismo” è il sottotitolo dell’Ft.
Nel monologo, ricorda tra l’altro l’Ft, “Scurati ha scritto che il primo ministro, che ha iniziato la sua carriera politica con un partito neofascista fondato dagli alleati sopravvissuti di Mussolini, stava tentando di riscrivere la storia, non riuscendo a condannare adeguatamente il fascismo. Da allora il monologo è stato pubblicato su molti giornali italiani oltre che sulla pagina Facebook di Meloni”.
Punizione sì, punizione no. L’asse Mellone-Corsini-Rossi vorrebbe mandare una lettera di richiamo e dare una sospensione alla “resistente” Serena Bortone, e se ancora non lo hanno fatto è perché Giorgia Meloni non gradisce altra legna sulla pira del martirio della giornalista.
Anche perché le fiamme dell’incendio “Scurati” sono ancora altissime, e la censura improvvida è arrivata anche in Europa con un esposto del leader di Europa Verde Angelo Bonelli, nato dopo che La Stampa ha rivelato le telefonate di Meloni a Rossi e Corsini con cui è stata confezionata la strategia per smontare l’accusa di censura e imputare allo scrittore la richiesta di un compenso più alto.
Secondo Bonelli si configurerebbe «una violazione del Media Freedom Act» (legge per un’informazione sganciata dalla politica, approvata dal Parlamento europeo il 13 marzo scorso) per «ingerenza del governo finalizzata alla censura e al controllo dei media». «In Italia – denuncia – è in corso un’occupazione totale degli spazi dell’informazione da parte del governo Meloni».
Nicola Fratoianni (che guida insieme a Bonelli Alleanza Verdi Sinistra) sottolinea come «sia insopportabile voler far passare intellettuali liberi come avidi». Perché la carta che si è giocata la premier è quella dei soldi, motivazione che i “suoi” fedelissimi avrebbero dovuto usare prima che le cose degenerassero, con il post della Bortone che denunciava la censura. Il cachet usato come una scusa e una clava, visto che era stato l’ufficio contratti a pattuire il compenso, che nessuno aveva avvertito la Bortone del problema e che tutti gli scrittori invitati a “Che Sarà” sono stati pagati.
E mentre ieri in casa Rai si cercava di salvare la testa del soldato Corsini dal ceppo, con una nota congiunta l’Esecutivo Usigrai e la Fnsi, Federazione nazionale stampa italiana, chiedevano alla commissione Vigilanza chiarimenti «sul ruolo avuto da Meloni nell’indirizzare le scelte dei vertici Rai come ricostruito da La Stampa, non smentita dagli interessati». Vertici che sono sempre più divisi. Roberto Sergio si è tirato fuori parlando a questo giornale («non sapevo») accusando «dilettanti» e «mandanti» che vogliono distruggere la Rai.
Giampaolo Rossi continua a recitare la litania del compenso troppo alto e in una nota si tira fuori dalla vicenda. E se è vero che non ha una delega editoriale è strano che se ne esca a parole 48 ore dopo lo scoppio della querelle. Quindi rimarrebbe con il cerino in mano Paolo Corsini, capo dell’Approfondimento, ma sotto elezioni cambiarlo sarebbe complicato. E per salvarlo c’è anche stato il tentativo di tirare dentro a questo pasticcio il direttore del Tg3 Mario Orfeo.
E anche se la trasmissione “Che Sarà” è sotto testata giornalistica, quindi sotto Orfeo, lo è solo per quanto i riguarda i problemi di par condicio. Comunque non era stato informato del problema.
L’8 maggio i vertici Rai saranno ascoltati in commissione Vigilanza Rai. Una decisione già presa prima della «mancata partecipazione dello scrittore Antonio Scurati alla trasmissione di Serena Bortone». «Ho chiesto fin da subito che l’azienda fornisse tutti i dettagli su questa vicenda ed è assolutamente corretto che ci possa essere un dibattito aperto e trasparente nella sede naturale del dialogo tra Parlamento e concessionaria del Servizio Pubblico».
Mancano 20 giorni alla chiusura del procedimento per la nomina del cda, e a palazzo Chigi c’è molta tensione anche perché tutto quello che capita in Rai viene attribuito a Giorgia Meloni, soprattutto perché la squadra di Giampaolo Rossi, il suo uomo di riferimento, destinato a prendere il posto di Roberto Sergio come ad, è quella che ha creato più problemi. Sullo switch al vertice Meloni non torna indietro nonostante le quotazioni di Sergio siano in risalita
(da La Stampa)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
KRAH ERA GIA’ ACCUSATO DI ESSERE AL SOLDO DI MOSCA… NEONAZISTI E SOVRANISTI TRADITORI DEL PROPRIO PAESE ALTRO CHE PATRIOTI
In Germania un collaboratore dell’eurodeputato Maximilian Krah, capolista del partito Alternativa per la Germania (Afd) alle elezioni europee, è stato arrestato dalla polizia a Dresda con l’accusa di sospetto spionaggio a favore della Cina. In base a quanto emerso, nel gennaio 2024 l’uomo avrebbe ripetutamente trasmesso al suo cliente dei servizi segreti informazioni sui negoziati e sulle decisioni del Parlamento europeo, e spiato esponenti dell’opposizione cinese in Germania per conto degli 007 di Pechino. Krah ha dichiarato che “spiare per conto di uno Stato straniero è un accusa grave” e che se dovessero esserci conferme, questa comporterebbe la “cessazione immediata del rapporti di lavoro”. Per il ministero degli Esteri cinese si tratterebbe di congetture volte a “diffamare e soffocare la Cina”.
Cosa è successo in Germania
Un assistente di Krah, tale Jian G., è accusato di aver compiuto azioni di spionaggio per la Cina. Il procuratore generale federale ritiene che l’uomo avrebbe spiato il movimento di opposizione cinese in terra tedesca. Il presunto agente si sarebbe offerto come informatore alle autorità tedesche circa 10 anni fa. All’epoca, però, era stato considerato inaffidabile e un possibile doppiogiochista per la Cina. G. è considerato uno stretto confidente di Krah. Quando l’esponente di AfD è entrato al Parlamento europeo nel 2019, ha portato G. nella sua squadra di Bruxelles come assistente. Poco dopo G. avrebbe accompagnato Krah in un viaggio in Cina e da allora avrebbe lavorato per le autorità di Pechino, ha riportato Zeit.
L’Ufficio federale della polizia criminale si sta adesso occupando di ulteriori indagini sul caso. Jian G. verrà ora portato davanti al giudice istruttore di Karlsruhe, che deciderà sull’esecuzione della custodia cautelare. G. è cittadino tedesco da diversi anni, ma ha radici cinesi. Come riporta Ard, l’uomo è arrivato a Dresda nel 2002 come studente e alla fine ha lavorato come uomo d’affari. È stato temporaneamente membro dell’Spd. Si dice che nel corso degli anni abbia incontrato Maximilian Krah, che ha lavorato come avvocato a Dresda, in relazione alla fondazione di un’azienda. L’anno scorso il portale di notizie t-online è stato il primo a riferire sui dubbi rapporti di Krah con la Cina, nonché sul suo assistente G. e sulla fondazione di società e associazioni legate alla Cina. Nel ruolo di collaboratore di Krah al parlamento europeo, l’uomo aveva accesso alle informazioni relative alle operazioni parlamentari che, secondo Ard, sarebbero di grande valore per i servizi segreti cinesi
Nelle scorse ore, sempre in Germania, tre cittadini tedeschi sono stati arrestati con l’accusa di spionaggio a favore dell’intelligence cinese, alla quale avrebbero fornito informazioni su tecnologie sensibili che potrebbero essere utilizzate per scopi militari. Il principale sospettato Thomas R., 59 anni, sarebbe stato in contatto con un dipendente del servizio segreto cinese MSS e avrebbe ottenuto dati su “tecnologie innovative che possono essere utilizzate per scopi militari” in Germania per suo conto. A tal fine, R. si sarebbe avvalso dell’aiuto dei coniugi Herwig, 72 anni, e Ina F., 58 anni, che gestivano un’azienda a Düsseldorf. Secondo gli investigatori, l’azienda sarebbe servita “come mezzo per stabilire contatti e cooperazione” con scienziati e ricercatori tedeschi. Tra le altre cose, c’era un “accordo di cooperazione” con un’università tedesca, ha precisato Der Spiegel.
La reazione dell’Afd
Un portavoce dell’AfD ha definito “molto inquietanti” le notizie trasmesse nelle ultime ore. “Dal momento che non abbiamo per ora ulteriori informazioni sul caso, dobbiamo aspettare altre indagini del procuratore generale federale”, ha spiegato un portavoce del partito citato da Focus.de. “Stamattina ho appreso dalla stampa dell’arresto del mio collega Jian Guo. Non ho ulteriori informazioni. Spiare per conto di uno stato straniero è un’accusa grave. Se le accuse si rivelassero vere, ciò comporterebbe l’immediata cessazione del rapporto di lavoro”, ha affermato Krah in una dichiarazione.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“L’ABORTO E’ UN DIRITTO INDISCUTIBILE. MELONI È STATA UNA GRANDE DELUSIONE. HA DETTO CHE NON AVREBBE TOCCATO LA LEGGE 194 E INVECE STA TRADENDO LE DONNE”
Nessuno deve entrare nel rapporto «tra una donna e il concepito», e sono insondabili i motivi per cui una donna sceglie di interrompere una gravidanza, avverte la scrittrice Barbara Alberti che non nasconde la sua delusione per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che sta tradendo le donne .
La vicedrettrice del Tg1 Incoronata Boccia ha affermato durante il programma televisivo «Che sarà» che sull’aborto «stiamo scambiando un delitto per un diritto». Che ne pensa?
«L’aborto è un delitto. Il Papa ha ragione e io l’ho scritto in un articolo pubblicato un anno e mezzo fa sull’Espresso. Noi donne lo sappiamo bene, le donne hanno in abominio l’aborto più del Papa, le donne non vogliono abortire. Però nessuno deve entrare fra noi e il figlio che abbiamo concepito. È un fatto. Ma vuole sapere che cosa è capitato dopo che scrissi questo articolo?».
Dica…
«La ministra Eugenia Roccella lo citò in un articolo ma prendendo solo la prima parte come se io mi fossi schierata con lei contro l’aborto. Si è fermata alla mia affermazione che l’aborto è un delitto e ha del tutto ignorato quello che sostenevo subito dopo e cioè che nessuna forza al mondo può mettersi tra noi e il concepito.
La maternità è un meccanismo magnifico e atroce: non possiamo negare che sopprimiamo una vita ma sono insondabili e appartengono solo alla donna le ragioni per cui afferma questa scelta. Le donne si assumono questo delitto per non commetterne uno peggiore: quello di avere un figlio che non si vuole».
Nessuna forza può mettersi tra la donna e il concepito, lei dice, ma il governo porterà le associazioni pro vita nei consultori pubblici.
«Sì, quelli che io chiamo i persuasori. Mi sembra una pessima idea. Si tratta di una coercizione, una tortura in più. Una donna che va li ha già attraversato tutto il calvario di questa scelta, non ha bisogno di uno che non la conosce e vuole soltanto dissuaderla. Se una donna ha deciso, ha deciso e basta. Ma lo sanno perché non si fanno i figli?».
Secondo la presidente del Consiglio, perché esiste una «cultura dominante» secondo la quale avere un bambino vorrebbe dire compromettere la libertà o i sogni e in alcuni casi addirittura la bellezza di una donna. E perché esistono dei «cattivi maestri», persone che parlano da «cattedre magari con il sei politico» che hanno trasformato la genitorialità in «qualcosa di stantio, un concetto arcaico da superare». È davvero così
«Giorgia Meloni è stata una grande delusione. Ha detto che non avrebbe toccato la legge 194 e invece…».
Non sta toccando la legge 194, la sta lentamente rendendo sempre meno applicabile…
«Sta tradendo le donne».
In Francia hanno inserito l’aborto nella Costituzione. Scelta giusta o esagerata?
«L’aborto è un diritto indiscutibile».
La scorsa settimana, l’onorevole Gilda Sportiello ha raccontato alla Camera dei Deputati di aver scelto di abortire 14 anni fa e di averne voluto parlare nel luogo più alto della rappresentanza democratica perché nessuno deve colpevolizzare una donna. E, invece, proprio tra i deputati c’è stato chi l’ha insultata.
«Sono cose tribali di un Paese in cui invece da secoli si continua a colpevolizzare le donne. Il dominio maschile ha sempre saputo che la donna è la chiave di ogni potere perché produce la vita. Se ci ha calpestate, rinchiuse, atterrite, tenute nell’ignoranza è perché siamo pericolose davvero».
E che effetto le fa vivere in un simile Paese?
«Certe volte sono contenta di essere nell’ultimo tratto, sento il privilegio di aver vissuto in un tempo in cui si poteva avere la libertà o comunque ce la prendevamo».
(da la Stampa)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA SUI BABY DETENUTI PESTATI AL BECCARIA DI MILANO
«Hanno spaccato un mio amico, giuro. C’aveva qua sul labbro l’impronta degli stivali. Quello che so, quello che ho visto con i miei occhi. Delle guardie gli hanno spaccato la faccia con gli stivali». Tredici agenti della polizia penitenziaria sono finiti in carcere con l’accusa di violenze nella struttura minorile Cesare Beccaria di Milano. Altri otto sono stati sospesi dal servizio. Tra cui l’ex comandante Francesco Ferone. Che avrebbe «agevolato, contribuito, favorito e coperto le condotte violente integranti i ripetuti maltrattamenti anche attraverso false relazioni di servizio». Le accuse sono lesioni, maltrattamenti, tortura, falso e una tentata violenza sessuale.
Le videocamere
La Stampa racconta che la vicenda inizia con una denuncia del garante dei detenuti Franco Maisto il 24 marzo 2023. La segnalazione partiva da una psicologa e dalla madre di un ex detenuto. L’inchiesta è delle pubbliche ministere Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena. Le violenze avvenivano nell’ufficio del capoposto. Perché privo di telecamere. Ma anche nelle celle dell’area ristrutturazione. Un ex baby detenuto racconta che «ai maggiorenni non succedono le cose che succedono ai minorenni. Ti picchiano senza motivo ma ti picchiano proprio».
Uno di loro racconta alla madre che gli hanno spaccato la faccia. Arrivano le intercettazioni. «Mo’ ci inculano. Perché prima non c’erano le videocamere, si trovavano le scuse “sì il ragazzo c’ha aggredito, bla bla bla bla bla bla” e ma mo’ non è più come una volta… Le telecamere parlano…E come cazzo ti giustifichi?», dice uno degli intercettati.
Le testimonianze
Le testimonianze fanno paura: «Sono arrivati sette assistenti, mi hanno messo le manette e mi hanno cominciato a colpire. Me le hanno messe coi polsi dietro la schiena. Io ho un problema alla spalla sinistra e mettendomele con forza mi è uscita, mi è uscita la spalla… Gli dicevo “Per favore toglietemi queste manette che mi sta uscendo la spalla”. Hanno cominciato a darmele, con forza. Il primo colpo è stato uno schiaffo, il secondo un pugno, il terzo è stato un calcio nelle parti intime e da lì ho visto tutto nero, vedevo tutto nero. È l’ultima cosa che ricordo… Mi hanno sputato addosso».
Un altro finisce nei guai perché accusato di incendio: «Hanno detto che era colpa mia. Mi hanno chiuso nell’ufficio del capoposto privo di telecamere». Poi lo picchiano a mani nude e lo colpiscono ripetutamente «con le punte degli stivali che hanno scarpe pesanti, mi hanno sollevato così, proprio come niente, con le manette da dietro». Aveva «il labbro aperto e l’occhio destro nero» e la mattina dopo aveva «segni sulle braccia» e «dolori ai genitali per due settimane».
Sei contro uno
Successivamente finisce in isolamento. E nella cella non c’è nemmeno il materasso per dormire. Infine c’è la violenza sessuale. Succede il 7 novembre 2023: «Mi sono svegliato all’improvviso perché uno degli agenti mi ha messo la mano sul sedere. Io stavo dormendo in mutande, faceva molto caldo. Gli ho chiesto: “Cosa vuoi?” e lui mi ha sussurrato: “Stai tranquillo, voglio solo fare l’amore con te”». Il ragazzo reagisce: «L’ho colpito con diversi pugni per fermarlo». A quel punto per punirlo il giorno dopo si presentano in sei: tre di loro sono fuori servizio. Gli spruzzano spray al peperoncino, lo pestano, lo portano in un’altra cella di isolamento e lo prendono a cinghiate sui genitali fino a farlo sanguinare.
(da La Repubblica)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA RENDERA’ L’ACCESSO ALLE CURE UN PRIVILEGIO
A differenza di altri Paesi europei, in Italia si disinveste sulla sanità. Mancanza di disponibilità e ripetuti tagli nel settore spingono sempre più italiani a spostarsi dal Mezzogiorno verso nord per farsi curare. La riforma dell’autonomia differenziata rischia di rendere l’accesso alle cure, più che un diritto, un privilegio.
C’è un diritto, quello alla salute, che sempre meno cittadini possono dare per scontato: le lunghe liste d’attesa, la mancanza di disponibilità nelle strutture pubbliche, i costi nel settore privato che diventano sempre meno accessibili hanno reso ormai la sanità italiana un lusso.
Il Servizio sanitario nazionale, infatti, è al centro di un profondo divario tra il Nord e il Sud del Paese, un divario che nel corso degli anni, secondo il rapporto Svimez 2024, si è ampliato significativamente. E le cifre parlano chiaro: mentre le risorse pro capite investite nel SSN sono diminuite del 2% tra il 2010 e il 2019, altri Paesi europei hanno visto un incremento significativo. Come la Spagna, che nello stesso periodo ha registrato un +9%, o il Regno Unito (27%), ma anche Francia (+32%) e Germania (+38%). Solo la pandemia da Covid-19 ha portato un’incerta inversione di tendenza, con un aumento della percentuale di PIL investita nella sanità in tutti i Paesi. Gli effetti di questa mancanza di investimenti e ripetuti tagli nel settore sanitario, dunque, hanno dato vita a disuguaglianze sempre più marcate tra il Nord e il Sud Italia: secondo il rapporto, infatti, le regioni meridionali mostrano livelli di spesa per abitante inferiori alla media nazionale di 2140 euro. In particolare, la spesa corrente più contenuta si registra in Calabria (1748 euro), seguita da Campania, Basilicata e Puglia. Per quanto riguarda gli investimenti, i valori più bassi emergono in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), rispetto alla media nazionale di 41 euro. Oltre ai dati finanziari, il fattore sociale aggiunge un ulteriore strato di disuguaglianza: su 1,6 milioni di famiglie italiane che vivono in povertà sanitaria, 700mila di queste vivono nel Mezzogiorno: in particolare, le famiglie considerate in povertà sanitaria sono l’8% al Sud, il 5,9% al Nord-Ovest, il 5% al Centro e il 4% al Nord-Est. Le conseguenze di questo divario, naturalmente, non sono solo statistiche, e producono degli effetti concreti che si traducono in una costante migrazione di pazienti dal Sud al Centro-Nord del Paese, soprattutto per le patologie più gravi. Per esempio, nel 2022, su un totale di 629 mila migranti sanitari, il 44% proveniva da una regione del Mezzogiorno; per le patologie oncologiche, oltre 12.400 pazienti meridionali si sono dovuti spostare per ricevere cure al Centro o al Nord.
I dati del rapporto Svimez, dunque, restituiscono l’immagine di un Paese diviso a metà nell’accesso alle cure ed evidenziano un quadro preoccupante del sistema sanitario italiano. E adesso il rischio, se verrà approvata la riforma dell’autonomia differenziata – passata a fine gennaio al Senato e ora in attesa di essere discussa alla Camera – è che questo divario si acuisca, rendendo l’accesso alle cure, più che un diritto, un privilegio.
(da ultimabozza.it)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
E NON SONO NEMMENO LE SUE
Quest’anno si celebra il trentennale di Eures, la rete di cooperazione dei servizi per l’impiego europei operativa in tutti i Paesi Ue oltre a Islanda, Lichtenstein, Norvegia e Svizzera. Serve ad attuare l’articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (TFUE) che assicura la libera circolazione dei lavoratori, e comprende un portale con offerte di lavoro da tutta Europa. Il Regolamento Ue 589 del 2016 impone a tutti gli Stati membri di rendere disponibili sul portale Eures “tutte le offerte di lavoro rese pubblicamente disponibili dai Servizi per l’impiego” (art. 17). Per sapere quante sono le offerte basta andare sul portale, che in questi giorni ne pubblica circa 4,5 milioni, divise per Paese. La Germania ne propone 798.072, il Belgio 728.700 e la Francia 650mila. La Spagna ne pubblica 45.000, l’Italia 45. No, non è un errore, gli zeri non ci sono. Il nostro Paese è il peggiore di tutti i 28 Stati dell’Unione europea. Un bel problema, visto che gli italiani, compresi quelli giovani e preparati, usano Eures, trovano lavoro e se ne vanno all’estero.
Solo 45 offerte: come è possibile?
In base ai regolamenti europei è stato creato il Single Coordinated Channel (SCC), un canale unico per la sincronizzazione dei dati tra le piattaforme dei servizi all’impiego nazionali e il portale Eures. Ma “fornire i dati, mantenerne l’integrità e la tempestività è responsabilità esclusiva degli Stati membri”, spiega al Fatto la European Labour Authority (Ela), che gestisce la rete Eures in collaborazione con la Commissione europea e i 31 Paesi partecipanti. E sul magro contributo dell’Italia, suggerisce di contattare l’Ufficio nazionale di coordinamento Eures Italia che fa capo al ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone. Nonostante esplicita richiesta, il ministero non ci fa parlare con l’attuale responsabile. In cambio fa sapere che nel 2023 le attività Eures, che in Italia conta una settantina di consulenti (advisor) presso i centri per l’impiego, hanno registrato 630mila contatti da italiani e 65mila da cittadini Ue. Che i collocamenti lavorativi sono stati 830 in uscita, cioè di italiani trasferiti altrove, e appena 310 in entrata, di europei che hanno trovato lavoro nel nostro Paese.
La versione del ministero
Secondo il ministero, “le 45 offerte sono quelle intermediate dagli advisor Eures e per le quali i datori di lavoro autorizzano la pubblicazione sul portale europeo”. Cliccando sulle 45 offerte, però, di italiano c’è ben poco. Si tratta di posizioni aperte da aziende straniere con interessi e sedi in diversi Stati. Quando cercano qualcuno da impiegare in Italia, l’offerta compare tra quelle “italiane”. Ma andiamo avanti. Il ministero assicura che nel 2023 “circa 140.000 offerte sono state caricate da datori di lavoro o soggetti autorizzati sul portale Anpal”. Si tratta del portale MyAnpal, dal quale, spiega lo stesso ministero, avviene il trasferimento dei dati al portale Eures. Cosa che ad oggi, invece, non avviene. Ma non disperiamo, per il futuro “stiamo valutando l’unificazione dei portali, pubblicando sul portale Eures tutte le offerte disponibili grazie a una modifica dei flussi”. Di certo c’è che dal 2016, da quando esiste il Regolamento Ue che impone agli Stati di pubblicare le offerte su Eures, l’Italia non ha mai mosso un dito. Ci penserà la ministra Calderone? Sarebbe una bella notizia, sempre che quel treno non sia già partito, come sembrano dire i dati sulla mobilità lavorativa nell’Unione.
Chi parte e chi arriva
L’ultima relazione della Commissione europea (Annual report on intra-EU labour mobility 2023) dice che l’Italia è il terzo Paese Ue, dopo Romania e Polonia, per cittadini trasferiti in altri Stati membri. Come spiegato al Fatto da un consulente Eures, “si rivolgono a noi esclusivamente under 35 molto, molto preparati“. Giovani con alto livello di istruzione che lasciano l’Italia per migliori opportunità. A differenza delle offerte di lavoro, su Eures gli italiani ci sono eccome: al primo posto tra gli iscritti al portale già nel 2019, con un numero di visite pari a quello di spagnoli e francesi, questi secondi solo ai tedeschi. Insomma, usiamo Eures soprattutto per regalare forza lavoro agli altri Paesi. Gli italiani rappresentano il 10 per cento dei 9,9 milioni di europei in età da lavoro trasferiti in altri Stati Ue nel 2022. Con la Germania che si conferma la principale destinazione per il 39% degli italiani (382mila ingressi), la Spagna al secondo posto (168mila), la Svizzera al terzo (158mila) e la Francia al quarto (108mila). Paesi in cui la mobilità in ingresso presenta una vasta gamma di Paesi d’origine, a differenza dell’Italia. Di oltre un milione di europei arrivati da noi nel 2022, i romeni costituiscono da soli l’80 per cento, seguiti da polacchi e bulgari per un ulteriore 10 per cento. Dati che vanno letti insieme ad altri: i più bassi tassi di occupazione dei cittadini Ue trasferiti in altri Stati membri si riscontrano proprio in Italia (61%), seconda solo alla Grecia (57%). Peggio: gli europei con un alto grado di istruzione hanno in Italia il più basso tasso di occupazione di tutta la Ue a 28. In altre parole, se sei istruito ti conviene andare altrove.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“STANNO DEPAUPERANDO LA RAI. CENSURARE QUALCOSA ADESSO SIGNIFICA MOLTIPLICARE LA FORZA DI UN MESSAGGIO”
A volte bastano poche parole a lasciare un segno. Quando sono controcorrente, diventano scelta politica. «Le polemiche su Scurati?», è la domanda rivolta a Guido Crosetto più volte nelle ultime ore. «Io – è stata la sua risposta, riferiscono – ho letto tutti i suoi libri e mi è sembrato obiettivo nei giudizi».
Un segnale impossibile da fraintendere, perché il ministro della Difesa parla dello scrittore finito nel mirino della destra di governo, massacrato dai giornali d’area per un monologo sul 25 aprile e sull’antifascismo censurato dalla Rai.
Crosetto non ha soltanto letto i libri di Scurati, non li ha anche apprezzati, ma sente di dire qualcosa in più: «Mi è sembrato obiettivo nei giudizi e, anzi, nel primo libro fu addirittura accusato di essere stato troppo tenero». Tenero, dunque, nel romanzo “M – Il figlio del secolo”, e quindi con la storia del fascismo. Un paradosso che adesso lo colpiscano per un monologo di tre minuti dedicato a quella stessa storia, provando a silenziarlo.
Ecco, è proprio seguendo questa riflessione che il ministro della Difesa è portato a pensare tutto il male possibile della gestione della vicenda Scurati da parte di viale Mazzini, di chi ha organizzato questa evidente censura. E quando dice male, intende: malissimo.
Chi ha avuto modo di sentirlo, riporta le sue parole sull’incidente che sta terremotando i vertici della radiotelevisione pubblica, ma anche un ragionamento assai più ampio: «Il mio giudizio su molti della Rai travalica il caso di oggi». E dunque, ecco cosa pensa, condensato in un passaggio ancora più chiaro, anch’esso destinato a lasciare un segno: «Stanno depauperando la Rai».
Nomi non ne fa, riferiscono. Ma è chiaro che ce l’ha con chi ha pensato, organizzato, coperto e sostenuto scelte che giudica evidentemente miopi, perché non tengono conto del contesto in cui vengono calate, dell’epoca in cui il nascondimento può trasformarsi in amplificazione: «È la dimostrazione che vivono fuori dal tempo – sono le parole consegnate a chi l’ha sentito – Tu potevi pensare di censurare qualcosa nel 1965, quando avevi tre reti e null’altro. Censurare qualcosa adesso significa dargli una spinta mediatica fortissima e moltiplicare la forza di un messaggio. Come è accaduto».
In effetti, ilmonologo censurato è diventato manifesto politico virale, colpo durissimo per chi voleva silenziare l’autore. In questo giudizio e in questi ragionamenti Crosetto non include però Giorgia Meloni (che pure le opposizioni – e lo stesso scrittore – considerano tra i responsabili di questa nuova stretta illiberale). No, il ministro della Difesa sulla presidente del Consiglio dice tutt’altro, pensa tutt’altro:«Ha fatto bene lei a pubblicare l’intervento sui social».
Crosetto non è mai stato missino, mai iscritto neanche ad Alleanza nazionale, semmai giovane democristiano e poi berlusconiano. E anche quando con Meloni ha fondato Fratelli d’Italia, non ha mai temuto di dire: sono antifascista. E neanche: viva la Liberazione. Chi lo conosce, sa che il giudizio sul fascismo è quello di sempre, non è mai cambiato e non può dunque cambiare oggi: «Io penso che il fascismo si combatta con gli atti e non con le proclamazioni. Antifascismo significa difendere la democrazia, le libere istituzioni, il confronto libero, la libertà d’impresa, i più deboli. Significa avere un giudizio obiettivo e netto sul Ventennio e sulle ferite del fascismo. Ciò detto, penso la stessa cosa sul comunismo».
(da La Repubblica)
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