Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
COME IN PASSATO AL MINISTERO NON C’E’ MAI
Fiere, anniversari, inaugurazioni. Il leader della Lega trova il modo per fare tutto, anche per trovare Verdini in carcere. Ma alle Infrastrutture non si fa vedere. E infatti le opere non partono e i soldi mancano
Settembre del 2023: la notizia passa inosservata. A chi può interessare l’ennesima nomina in una piccola società pubblica, per giunta sconosciuta ai più? Che il ministero dell’Economia abbia nominato amministratore unico di Ram – Rete Autostrade Mediterranee un certo Davide Bordoni merita solo qualche riga sull’Ansa. Eppure la notizia, a dispetto del ruolo superfluo della società in questione, creata nel 2004 dal governo di Silvio Berlusconi per l’iniziativa poi rivelatasi fallimentare di far viaggiare i tir sui traghetti, non è affatto marginale.
Purtroppo in Italia è normale che i partiti occupino le poltrone pubbliche senza ritegno. Anche quando sono pressoché inutili. Ma questo è davvero un caso limite. Perché appena qualche giorno prima Davide Bordoni ha rilevato Claudio Durigon nell’incarico di segretario regionale nel Lazio della Lega. Ossia il partito di cui è numero due il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che in quanto titolare delle azioni l’ha nominato amministratore di Ram, società in house del ministero delle Infrastrutture del numero uno del partito: Matteo Salvini.
Già, ma perché un funzionario di partito viene collocato dai capi del partito al vertice di una società di Stato, neanche fossimo l’Unione Sovietica?
I maligni sussurrano che è per fargli pagare lo stipendio (120 mila euro lordi l’anno) dai contribuenti. Forse. Ma il piano è sicuramente più raffinato. Salvini si presenta nella sede di Ram poche ore dopo l’insediamento di Bordoni per dire ai 37 dipendenti che la loro società con un giro d’affari di 5 milioni l’anno è assolutamente strategica. E dice il vero. Ram festeggerà i 20 anni di vita sponsorizzando «L’Italia dei sì 2023-2032», il tour del ministro Salvini per presentare le opere pubbliche nelle Regioni dove si vota. Anche quello assolutamente strategico. Il tour parte da Trento e Bolzano alla vigilia delle elezioni provinciali. Poi passa a Cagliari. Poi a Pescara. E poi a Potenza. Con Salvini che promette alla Basilicata 2,8 miliardi di opere pubbliche.
Il bello è che, nella politica italiana ormai narcotizzata al punto da riuscire a digerire qualunque arbitrio, non c’è chi solleva il caso. Il Fatto Quotidiano titola: «Salvini si fa la campagna elettorale a spese nostre», ma senza suscitare una sollevazione popolare.
Così come nel governo o nella maggioranza nessuno batte ciglio quando Salvini va al carcere di Sollicciano a trovare il quasi-suocero Denis Verdini arrestato il giorno prima perché ripetutamente evaso dai domiciliari. E Verdini è indagato, assieme al figlio Tommaso, per presunta corruzione all’Anas, società pubblica per le strade vigilata dal ministero di Salvini.
Nella coalizione di Giorgia Meloni si registra appena qualche mormorio di incredibile vacuità in risposta all’ultima sbalorditiva uscita di Salvini a proposito della farsa elettorale in Russia («Quando un popolo vota ha sempre ragione»).
Continuando così a fare finta che in un governo impegnato a sostenere l’Ucraina con tutta l’Unione europea non rappresenti un caso la presenza di un vicepremier leader di un partito legato a quello di Vladimir Putin, Russia Unita, grazie a un accordo siglato a Mosca nel 2017. Accordo a quanto pare tacitamente rinnovato nel 2022, poco dopo l’invasione russa, e del quale non si sa neppure se sia ancora in vigore: tutte le richieste di chiarimenti rimangono ancora inevase e hanno originato una mozione di sfiducia individuale delle opposizioni.
Un caso clamoroso anche per le implicazioni sulla sicurezza nazionale, che però non sembra causare particolari imbarazzi nel governo di Giorgia Meloni.
Dove Salvini, peraltro, è sempre di più un ministro che non c’è. Torna in mente cosa disse nel 2019 Carlo Calenda a Luigi Di Maio che ne aveva preso il posto al ministero dello Sviluppo economico: «Questo è un lavoro serio. Se credevi di fare 18 lavori insieme, senza averne mai fatto uno prima, finisce che li fai male tutti. In ufficio non ci stai mai».
I record di assenteismo ministeriale, Salvini li ha battuti davvero tutti. Dal 14 novembre 2022 all’11 marzo 2024 ha girato come una trottola per l’Italia, tagliando nastri o partecipando a inaugurazioni le più varie. Ne abbiamo contate 50. Una in media ogni 10 giorni, ma anche due in una sola giornata. È stato avvistato pure al Vinitaly, al Salone del Mobile, all’Esposizione Universale delle 2 ruote, alla Fiera del Levante. Spesso con il caschetto in testa. Una volta, il primo marzo di quest’anno, ha inaugurato un cantiere a Lecco guidando una ruspa.
Ma non si è risparmiato neppure le celebrazioni dell’anniversario della rivoluzione cinese, approfittandone per invitare l’ambasciatore all’inaugurazione dei lavori del Ponte sullo Stretto di Messina. Perché ogni appuntamento pubblico, ogni taglio di nastro, ogni colpo di piccone non è mai fine a sé stesso. Deve servire a un messaggio politico.
La modalità Salvini di lavoro ministeriale, in realtà, non è mai cambiata. Fabio Tonacci raccontò su Repubblica che nei primi quattro mesi e mezzo del 2019 il leader della Lega aveva passato al Viminale soltanto 17 giornate piene su 112. Dedicando le altre 95 «a 211 eventi fra comizi elettorali e incontri non istituzionali». C’erano in ballo le elezioni europee, proprio come adesso. Quindi la storia si ripete.
Allora al Viminale c’era il fido capo di Gabinetto Matteo Piantedosi e il ministero lo mandava avanti lui. Oggi alle Infrastrutture c’è il viceministro leghista Edoardo Rixi. E il ministero lo manda avanti lui. Il capo ha un sacco di altre cose da fare. Anche andare a un convegno sul trasporto pubblico organizzato da Doppelmayr, gruppo austriaco che produce funivie, propugnando la «pace edilizia», cioè un condono mignon.
Anche la presentazione del libro del ministro dell’Istruzione ora salviniano Giuseppe Valditara: occasione per proclamarsi contro il numero chiuso a Medicina, vergognarsi «come papà» per la mancanza di insegnanti di sostegno e scagliarsi contro «l’inaccettabile chiusura delle scuole per il Ramadan».
Al massimo, può prendere a cuore le ansie degli automobilisti che non vogliono i limiti dei 30 all’ora in città né gli autovelox. Nonché quelle dei tassisti allergici alla concorrenza, imponendo un decreto con clausole capestro per i cosiddetti Ncc. Ma con l’ariaccia che tira per le prossime Europee, tutto fa brodo.
Quando però il ministro non sta sul pezzo, i risultati sono quelli che sono. Come abbiamo già documentato, opere importanti del Pnrr già appaltate non partono. Mentre le imprese aspettano da mesi i soldi del caro materiali per finire i lavori: necessitano di 1,6 miliardi, sono disponibili 524 milioni. Il resto? Boh… Invece i denari per il Ponte sullo Stretto di Messina, quelli sì, sono stati già stanziati con la Finanziaria del 2024.
E c’è chi ancora si stupisce. Mentre stava nascendo il governo di Mario Draghi, a Otto e Mezzo Lilli Gruber chiese a Salvini: «Lei farebbe il ministro delle Infrastrutture?». E lui: «No, no, per carità di Dio, meglio di Toninelli non potrei mai fare…». Ridacchiava; invece c’è riuscito, eccome.
Sergio Rizzo
(da lespresso.it)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
“NON COMPRENDIAMO NEMMENO COME SIA POSSIBILE CONIUGARE L’ALLEANZA ELETTORALE CON L’UDC DI CESA E QUELLA STRUTTURALE IN EUROPA CON L’AFD TEDESCA…”… LA BORDATA CONTRO LA POSSIBILE CANDIDATURA DEL GENERALE VANNACCI
Caro segretario, così non va. Firmato, 21 amministratori, ex parlamentari, ex consiglieri regionali della Lega. Che, in una lettera garbata nei toni e durissima nei contenuti, recapitata oggi al leader Matteo Salvini, si rivolgono a lui «auspicando di essere ascoltati», per sottoporre «riflessioni» (e critiche) alla linea del Carroccio in vista delle Europee.
Partendo dal presupposto che, «nonostante la storica affermazione elettorale conseguita, la Lega è stata relegata ad un ruolo residuale sia nell’assemblea parlamentare che nelle altre istituzioni europee», denunciano un «isolamento politico» che «non ci ha consentito di incidere concretamente nella ricerca della soluzione a problematiche di interesse del movimento, siano esse di natura storica o attuale». Servono risposte ai cittadini, esortano, «evitando l’appannamento dell’interesse degli iscritti e un affievolimento della loro partecipazione». Insomma, «è inevitabile chiedersi dove sia finito il tradizionale pragmatismo che ci ha sempre portati alla ricerca di collocazioni utili al raggiungimento degli obiettivi».
Le Europee sono fra due mesi, e i firmatari – ex parlamentari come Paolo Grimoldi, Daniele Belotti e Cristian Invernizzi, ex consiglieri regionali come Alex Galizzi, Marco Mariani, Ugo Parolo, Andrea Monti e Francesco Ghiroldi, sindaci come Magda Beretta di Senago o Renato Pasinetti di Trevigliato – si chiedono «dove sia finita la tradizionale e giusta distanza che abbiamo sempre mantenuto da tutti gli opposti estremismi». Se non fosse chiaro il concetto, lo spiegano meglio: «Perché abbiamo smesso di dialogare con forze autonomiste e federaliste, per accordarci con chi non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche?».
Perché, se ritengono «per alcuni aspetti anche condivisibile» la decisione di non aderire a nessuna delle grandi famiglie europee, ritengono però che questo non debba portare a condividere il cammino con «partiti e movimenti che NULLA HANNO A CHE FARE (in maiuscolo nell’originale, ndr.) con la nostra storia culturale e politica».
Infine, la richiesta di chiarimenti sulle «indiscrezioni sulla candidatura di personaggi con forte marcatura nazionalista, totalmente estranei al nostro movimento», un riferimento si direbbe al generale Vannacci: fossero vere, «renderebbero ancor più difficile il perseguimento degli obiettivi storici del partito». Ma il problema non è eventualmente solo lui: «Non comprendiamo nemmeno come sia possibile coniugare l’alleanza elettorale con l’Udc di Cesa e quella strutturale in Europa con l’Afd tedesca. Due alleanze obiettivamente inconciliabili».
(da La Stampa)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
IL PARTITO DELLA PREMIER AL 26,7% (-0,3%), I DEM AL 20,1% (+0,2%)
Scende ancora Fratelli d’Italia. Secondo l’ultimo sondaggio Swg sulle intenzioni di voto al 2 aprile 2024, il partito di Giorgia Meloni ora si attesta al 26,7% (-0,3% rispetto alla rilevazione al 25 marzo).
Un calo che fa preoccupare la premier a due mesi dalle elezioni europee. E che va di pari passo con l’avvicinarsi delle Europee.
Colpa anche delle recenti spaccature nella maggioranza e della campagna sempre più aggressiva portata avanti da Matteo Salvini contro la leader, come ha scritto oggi Repubblica. E
colpa anche dei guai giudiziari che hanno coinvolto alcuni esponenti del governo, come la ministra del Turismo Daniela Santanchè.
Dietro c’è sempre il Partito democratico che accorcia la distanza. Mentre prosegue la trattativa sui capilista per le prossime elezioni Europee, secondo l’ultima rilevazione ora i dem sarebbero al 20,1% guadagnando lo 0,2% come il M5S che tocca il 15,8%.
Terza posizione per la Lega all’8,5% (+0,2%) e quarto posto per Forza Italia al 7,6% (-0,1%).
Avs ed Azione risultano entrambe sopra al 4%: nessuna novità rispetto a sette giorni fa per Verdi e sinistra ora al 4,1% e piccola crescita per Azione al 4,1% (+0,1%).
Resta stabile Italia viva al 3,4% mentre +Europa raggiunge il 2,9% (+0,1%).
La lista Pace Terra Dignità di Santoro viene quotata all’1,4% (-0,2%), Democrazia Sovrana e Popolare all’1,3% (-0,3%); Noi moderati all’1% (-0,1%); Non si esprime il 37% (+3%).
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
L’OCCIDENTE HA PAURA DI DIRE CHE IL GOVERNO DI ISRAELE COMPIE DA TEMPO CRIMINI DI GUERRA
Dolore per i compagni ammazzati, rabbia, ma soprattutto sconcerto, stupore e anche preoccupazione per scenari operativi improvvisamente cambiati. E che impongono di stravolgere subito anche i piani immediati, inclusa la consegna degli aiuti via mare.
Dopo il raid israeliano che ha ucciso sette dei suoi operatori mentre distribuivano aiuti a Gaza, la ong World Central Kitchen si è trincerata nel silenzio, limitandosi a esprimere dolore e rabbia attraverso una nota ufficiale e un brevissimo tweet del fondatore, lo chef José Andres con cui si annuncia la sospensione delle attività. Ma in fretta si lavora per mettere in sicurezza tutti gli altri operatori che operano dentro la Striscia o si stanno avvicinando.
Sebbene non ci sia ancora conferma ufficiale, tutte le applicazioni di tracciamento delle navi in transito danno la Open Arms di Oscar Camps, che con Wck ha costruito l’operazione Sapheena, in rotta verso Cipro. E la conferma arriva anche dal porto di Larnaca, dove le navi sono attese per domani pomeriggio. E’ la base di partenza del corridoio marittimo che nelle scorse settimane ha permesso di consegnare un carico di cibo nel Nord della Striscia, dove anche i convogli umanitari hanno difficoltà ad arrivare.
Per le prossime ore era prevista una nuova consegna: 240 tonnellate di cibo, abbastanza per preparare almeno un milione di pasti caldi, più un carico di datteri tradizionalmente usato per rompere il digiuno del Ramadan. Ma adesso le condizioni di sicurezza per avvicinarsi al molo provvisorio costruito davanti a Gaza City sembrano non esserci più, per questo la Open Arms e la nave cargo di aiuti hanno invertito la rotta.
Non è strano. In mare, il comandamento – incluso per le navi di salvataggio – è “safety first”, la sicurezza prima di tutto. E ci sono troppi elementi – filtra dall’interno – che fanno pensare che il convoglio di Wck sia stato considerato un target, un obiettivo. Per un motivo: l’attività umanitaria – si sussurra – rischia di depotenziare l’uso della fame come strumento di pressione o arma.
Non è mai successo nelle tante zone di conflitto, a partire dall’Ucraina, in cui Wck abbia operato. L’Idf – si ragiona all’interno – conosceva movimenti, percorso, destinazione, le auto erano bianche e avevano vistosi contrassegni, in più l’ong opera da tempo a Deir el Balah. Sulla carta è una “deconflicted zone”, ma i raid continuano.
E uno ha cancellato il convoglio dell’ong. Non è la prima volta che gli operatori umanitari vengono colpiti. Da ottobre, ha fatto sapere l’Unrwa nel suo ultimo rapporto, almeno 173 dei suoi sono stati uccisi in bombardamenti o attacchi.
“Gli operatori umanitari non possono mai e poi mai essere un obiettivo”, ha scritto sui suoi social José Andres, tuonando “Il governo israeliano deve smetterla con questi omicidi indiscriminati. Deve smettere di limitare gli aiuti umanitari, smettere di uccidere civili e operatori umanitari e smettere di usare il cibo come arma. Basta vite innocenti perse”.
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
E’ VERO, E’ INUTILE TRATTARE CON GLI AMICI DI PUTIN E DEI NEONAZISTI: E’ SUFFICIENTE FAR VALERE IN UE IL DIRITTO DI VETO SU OGNI EURO DESTINATO ALL’UNGHERIA, BASTA FINANZIARE UNA DITTATURA FILOPUTINIANA
“Dobbiamo chiarire che nessuno, nessun gruppo di estrema sinistra, dovrebbe vedere l’Ungheria come una sorta di ring di pugilato dove venire e pianificare di picchiare qualcuno a morte”, scrive su X il portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs.
Dimenticando ovviamente che sono tollerati i raduni e le violenze neonaziste nel loro Paese.
“Nessuna richiesta diretta da parte del governo italiano (o di qualsiasi altro importante organo di informazione) al governo ungherese renderà più semplice difendere la causa di Salis, perché il governo, come in qualsiasi altra democrazia moderna, non ha alcun controllo sui tribunali”.
Esilarante, visto che le recenti riforme hanno posto la nomina dei magistrati sotto il controllo del potere esecutivo.
“Da metà febbraio”, scrive ancora Kovacs, “il padre di Ilaria Salis, Roberto Salis, ha fatto il giro dei media europei dicendo di essere ‘preoccupato’ per la sicurezza della figlia finché sarà in Ungheria. Per questo motivo hanno chiesto gli arresti domiciliari in Italia, giovedì scorso il tribunale di Budapest ha respinto la richiesta di arresti domiciliari avanzata da Salis, affermando che esisteva il rischio che fuggisse o si nascondesse. Per lei la procura chiede ora una condanna a 11 anni. Perché? Perché c’è il ragionevole sospetto che Ilaria Salis si sia recata in Ungheria con i suoi due sodali antifascisti con l’obiettivo di picchiare persone innocenti per le strade di Budapest. Hanno quasi ucciso delle persone in Ungheria, e ora lei è dipinta come una martire”, aggiunge Kovacs postando ancora una volta il video della presunta aggressione (da cui non emerge la responsabilità della Salis). Una prognosi di 5 giorni è aver “quasi ucciso” delle persone? Tesi esilarante.
“Perché vanno avanti con le udienze? Le parole di Kovacs incredibili”
“Il processo è già stato fatto, il verdetto è già stato emesso, non si capisce perché proseguano con le udienze”, dice Roberto Salis commentando le parole del portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs.
“Quando c’è un politico che se la prende con un privato cittadino di un altro Stato è chiaro che c’è qualcosa di incredibile”, ha aggiunto parlando di “spiccata tendenza alla tirannide” da parte dell’Ungheria.
Per Roberto Salis, il tweet del portavoce del governo ungherese dimostra che l’intera vicenda di sua figlia “è già tutta politicizzata” e il padre della docente milanese ha ricordato un precedente intervento di Kovacs dopo la prima udienza del processo in cui aveva attaccato Gyorgy Magyar, il legale ungherese di Ilaria Salis, definendolo “un avvocato apertamente di sinistra”.
“Già a fine gennaio Kovacs ha cercato di screditare l’avvocato di mia figlia”, ha sottolineato Roberto Salis, “quindi un portavoce di un primo ministro che scredita l’avvocato difensore di un imputato. Stiamo parlando di un regime in cui i diritti civili e la separazione dei poteri e lo stato di diritto vengono completamente superati da una spiccata tendenza alla tirannide”.
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
I DUBBI SUL PRINCIPIO DELL’ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER CHE ACCOGLIE “SENZA ENTUSIASMO. IL PREMIO DI MAGGIORANZA SAREBBE SPROPORZIONATO”… SECONDO PERA BISOGNEREBBE INSERIRE UNA SOGLIA MINIMA NELLA COSTITUZIONE E CHIARIRE NELLA CARTA SE SI DEBBA RICORRERE AL BALLOTTAGGIO
È stato chiamato come figura di riferimento nobile del partito, uno dei simboli della svolta istituzionale di Giorgia Meloni.
Ma Marcello Pera, ex presidente del Senato, è diventato un censore garbato ma implacabile della madre di tutte le riforme: il premierato. Il centrodestra, in queste ore, addossa all’opposizione le responsabilità dei ritardi nell’esame della legge. Ma nel corso dell’ultima commissione Affari Costituzionali del Senato, mercoledì scorso, è stato Pera a muovere le critiche più incisive.
O comunque politicamente più rilevanti. Ha detto, tra l’altro, che in questo momento, con il testo approvato dal governo e con la previsione di tre poli politici, per l’elezione a premier basterebbe il 30 per cento dei voti: «Il premio di maggioranza sarebbe sproporzionato ». Secondo Pera bisognerebbe inserire una soglia minima nella Costituzione e chiarire nella Carta se si debba ricorrere al ballottaggio. Non una critica secondaria. Ma una delle tante che vengono mosse dal senatore di FdI, che ribadisce la condivisione «delle finalità della riforma», ma non nasconde dubbi sul principio dell’elezione diretta del premier che accoglie «senza entusiasmo» .
È lo stesso principio contestato dall’opposizione. Che, in effetti, si è messa di traverso anche perché nulla si sa della riforma elettorale che dovrebbe accompagnare le nuove norme costituzionali: «In passato, quando sono state proposte modifiche costituzionali sulla forma di governo – dice Dario Parrini, esponente del Pd e vicepresidente della commissione – si è sempre discusso in parallelo della legge elettorale destinata a renderle operative. Col ddl sul premierato, per la prima volta, la maggioranza sperimenta il metodo delle riforme costituzionali a carte coperte, giocando a nascondino con la legge elettorale
In questo clima, riprende oggi l’esame delle norme del premierato, che va a rilento: la commissione ha finora esaminato appena il 40 per cento degli emendamenti (349 pagine del fascicolo su 864).
(da La Repubblica)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
L’ITALIA SI TROVEREBBE NELLA SCOMODA POSIZIONE DI NON AVER VIGILATO ADEGUATAMENTE SU CHI ENTRA E ESCE DAI NOSTRI CONFINI
Gli stessi ufficiali dei servizi segreti militari russi (GRU) che avvelenarono nel Regno Unito Sergey Skripal, appartenenti alla famigerata unità 29155, stanno paralizzando almeno dal 2015 diplomatici e agenti americani in tutto il mondo con attacchi mirati fatti con un’arma acustica segreta, che usa microonde e ultrasuoni e causa quella che è nota ormai come “sindrome di Havana” – un’improvvisa malattia che causa gravi danni al cervello e all’orecchio provocando fortissimo mal di testa, perdita di equilibrio, in alcuni casi anche sordità da un orecchio (il nome alla sindrome fu dato perché una serie di agenti e diplomatici Usa cominciarono a soffrirne a Cuba)
Ma la rivelazione di un’inchiesta di The Insider, Der Spiegel e della trasmissione tv “60 Minutes” non è la sola. La Stampa può raccontare un particolare estremamente inquietante di quello che sarebbe un grave atto di guerra contro gli Stati Uniti: si sapeva già che […] diverse delle spie russe dell’Unità 29155 sono entrate e uscite liberamente in questi anni dagli aeroporti dell’Italia (Milano e Roma), ma ora sappiamo che due di loro avevano regolari visti italiani, e sono partiti dall’Italia per almeno una delle loro missioni con l’arma acustica, avvenuta a Francoforte.
La cosa naturalmente può imbarazzare molto il Belpaese, perché gli attacchi dei russi con l’arma acustica sarebbero un casus belli con gli Stati Uniti, rimontando ad atti di guerra contro personale diplomatico e militare americano. E l’Italia si troverebbe nella scomoda posizione di non aver vigilato adeguatamente su chi entra e esce nei nostri confini.
Il 25 settembre 2015, Denis Sergeev (nome fittizio Sergey Fedotov) volò da Mosca a Milano. Diversi mesi prima aveva ottenuto un visto Schengen multi-ingresso rilasciato dall’Italia, che gli offriva un facile accesso in assenza di controlli alle frontiere, a quel tempo, tra 26 paesi europei e anche la Svizzera.
Ma comunque sia aveva preferito entrare nello spazio comune europeo attraverso il Paese che gli aveva rilasciato il visto. Ossia l’Italia. Un altro – il colonnello Evgeny Kalinin – entrò dall’Ungheria, volò a Budapest fingendosi un corriere diplomatico russo. Un altro, Igor Gordienko, entrò da Parigi (proveniente da Mosca) con un visto Schengen rilasciato dalla Francia.
L’11 ottobre altri tre “turisti” russi, in realtà membri dell’unità 29155, entrarono in Europa tutti viaggiando sotto false identità: il capo, il colonnello Ivan Terentiev, vice del comandante dell’unità Andrey Averyanov volò da Mosca a Milano. Il suo aiutante, il tenente colonnello Nikolay Ezhov, volò da Mosca a Vienna, sempre l’11 ottobre.
Secondo i documenti pubblicati da The Insider, quegli stessi uomini dell’unità 29155 del GRU che entravano e uscivano dall’Italia stavano sviluppando quelle che chiamano «armi acustiche», ossia armi basate sull’uso di energia a microonde puntata contro esseri umani.
Anatoly Chepiga e Alexander Mishkin (i due avvelenatori di Skripal) alcuni anni prima, nel 2015, erano stati diversi giorni a Milano, prima di ripartire per Ginevra. Come anche Sergeev (il capo del trio). Ora apprendiamo che la stessa Accademia scientifica del GRU presso la quale Mishkin si è laureato (e dove lavorano il medico del GRU Sergey Chepur e il membro 29155 Kovalchuk) – aveva emesso un documento che ordina di studiare le conseguenze della “sindrome dell’Avana”.
Sergeev (col nome Sergey Vyacheslavovich Fedotov) risultava anche imbarcato in un volo delle tre di pomeriggio del 4 marzo 2018 da Londra a Fiumicino – poche ore dopo che l’ex spia sovietica passata all’MI6, Sergey Skripal, e sua figlia Yulia sono collassati, avvelenati, a Salisbury nel Wiltshire, in Inghilterra. La mattina dopo, è a Mosca, al “Conservatorio”, la scuola militare del GRU. Ma questa è ormai già storia.
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
IN RAPPORTO AL PIL, NOI CI FERMIAMO AL 6,8%, MENTRE LA GERMANIA ARRIVA AL 10,9%, LA FRANCIA AL 10,3% E IL REGNO UNITO AL 9,3%
La categoria del miracolo non appartiene agli strumenti di analisi della finanza pubblica. Ma sembra avvicinarsi parecchio a quanto compiuto fin qui dal sistema sanitario italiano. Che viaggia su livelli di finanziamento pubblico ormai sideralmente lontani da quelli abituali nei principali Paesi europei, ma riesce comunque a garantire un livello di risultati in linea con le medie continentali: anche se con difficoltà crescenti, in un quadro macchiato da distanze sempre più allarmanti fra Nord e Sud.
Il quadro emerge chiaro dalla nuova Relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali appena depositata dalla sezione Autonomie della Corte dei conti (delibera 4/2024; relatori Paolo Peluffo ed Elena Tomassini).
I numeri parlano chiarissimo, come sono abituati a fare. La spesa pubblica italiana per la sanità oscilla oggi intorno ai 131 miliardi, contro i 427 della Germania, i 271 della Francia e i 230 del Regno Unito. Nel rapporto al prodotto interno lordo, che misura in modo più efficace il confronto internazionale, noi ci fermiamo al 6,8%, mentre la Germania arriva al 10,9%, la Francia al 10,3% e il Regno Unito al 9,3%. Il grado di condizionamento imposto dallo stato dei conti pubblici e dal livello del debito si fa ancora più evidente quando si guarda alle dinamiche degli ultimi anni.
Fra 2016 e 2022 l’Italia ha realizzato la crescita economica più modesta fra i grandi Paesi del continente, con un +6,6% che si confronta con il +8,5% della Germania, il +8,2% della Francia e il +10,2% del Regno Unito. Ma è anche l’unica ad aver aumentato la spesa sanitaria meno del prodotto interno lordo: nello stesso periodo il contatore segna +6,6%, mentre Berlino, Parigi e Londra hanno fatto segnare valori fra il 24,8 e il 25,4%, a ritmi cioè circa quattro volte superiori a quelli italiani.
In sintesi estrema, a parità di potere d’acquisto la spesa sanitaria italiana per abitante (3.255 dollari all’anno;, circa 3.018 euro) è il 47% di quella tedesca (6.930 dollari) e il 57,9% di quella francese (5.622). Prima morale ricavabile: il vincolo prodotto dallo stato dei conti pubblici ha potuto più della pandemia e dei nuovi bisogni generati dal miglioramento delle tecnologie sanitarie e anche dall’invecchiamento della popolazione, altro fenomeno in cui l’Italia è primatista.
Ma nemmeno in sanità i pasti sono gratis. E a fare da contraltare alla carenza di risorse pubbliche ci sono, banalmente, i portafogli degli italiani, che si caricano direttamente tramite prestazioni a pagamento una spesa annua da quasi 920 euro a testa, coprendo per questa via il 21,4% del costo complessivo della sanità italiana. I tedeschi invece si accontentano di pagare l’11% del totale, 882,6 euro in termini nominali, gli abitanti del Regno Unito si attestano a 763,9 euro (13,5%) e i francesi non vanno oltre i 544,9 euro, coprendo così l’8,9% della spesa complessiva. Basta una chiamata a un Centro di prenotazione unica per fissare la data di qualche esame o visita specialistica per capire il perché.
Ma anche con queste premesse complicate, sottolinea la Corte dei conti, «le performance del servizio sanitario nazionale riguardo agli esiti di salute e alla qualità delle cure, risultano generalmente superiori a quelle medie dei Paesi Ocse, e descrivono, quindi, un sistema sanitario mediamente efficiente ed efficace».
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LA RAGAZZA ERA CON IL FIDANZATO IN ZONA BALLARÒ QUANDO È STATA AVVICINATA E PRESA CON LA FORZA DA UN GIOVANE SOTTO INCHIESTA PER VIOLENZA SESSUALE: “VOLEVA CHE RITIRASSI LA DENUNCIA”
Un’arma a pochi centimetri dal volto, il sequestro di persona, le minacce di morte. «Mi gridavano: ti ammazziamo, mentre mi picchiavano, dopo avermi trascinata a forza a casa loro». Non c’è pace per Asia Vitale, la ventenne stuprata da sette ragazzi la scorsa estate al Foro Italico di Palermo. Ieri, in quella che doveva essere una normale serata in centro storico con il fidanzato, ha vissuto l’ennesimo incubo. Una notte di terrore finita per fortuna in una caserma dei carabinieri. «Ci hanno puntato un coltello e ci hanno divisi – racconta il fidanzato ancora sotto shock – Mi hanno immobilizzato e ho visto che portavano via Asia con la forza. Volevo chiamare subito aiuto ma me l’hanno impedito».
I due sono in piazza a Ballarò insieme ad altre persone ed è passata da poco la mezzanotte. Arriva un’auto e la trama della nottata cambia direzione. In quella macchina, infatti, c’è S., uno dei presunti molestatori della giovane. E non uno dei sette presenti al cantiere abbandonato, teatro della violenza del 7 luglio: loro sono tutti in carcere. Si tratta di un altro ragazzo di cui Asia ha fatto il nome durante le deposizioni proprio per gli abusi del Foro Italico, quando le forze dell’ordine le hanno chiesto se in precedenza ci fossero stati altri episodi di violenza. E lei ha ricordato quest’altra esperienza avvenuta tra maggio e giugno fornendo dettagli, luoghi e identità che meritavano un approfondimento.
Da lì la procura di Palermo ha proceduto d’ufficio. Insomma, chi ieri riconosce Asia è un altro ragazzo indagato per violenza sessuale. Come i sette, le cui famiglie hanno minacciato Asia perché ritrattasse, anche lui non ci sta. Anche lui vuole che Asia smentisca se stessa. Ma va ben oltre quanto fatto dagli indagati del Foro Italico: quando la intravede dalla macchina, tra la folla che si crea nelle notti di Ballarò, lui rallenta, abbassa il finestrino e comincia a insultarla.
Inizia un botta e risposta, poi lui si allontana ma lo fa per tornare. Stavolta a piedi, armato e insieme alla madre: costringono Asia ad andare con loro fino a casa, nello stesso quartiere. E la prendono con la forza, minacciandola con un’arma da taglio. «L’ho vista mentre la trascinavano via, se la sono portata fino a casa mentre io avevo un coltello puntato alla gola», racconta il fidanzato, che aggiunge: «Quando finalmente sono riuscito a liberarmi volevo dare l’allarme perché intervenissero le forze dell’ordine, ma ho avuto paura di peggiorare le cose. Anche le persone attorno a me mi hanno sconsigliato di farlo perché quel ragazzo era armato e poteva avventarsi su Asia».
Ma il timore che le facciano del male è troppo grande e il ragazzo non appena può corre alla caserma dei carabinieri più vicina, il comando provinciale dietro il teatro Massimo. A questo punto è circa l’una del mattino. Ai militari racconta quanto è accaduto per filo e per segno. Loro gli assicurano che le telecamere di videosorveglianza piazzate a Ballarò saranno utili alla ricostruzione della vicenda. Ma il ragazzo non ha il tempo di finire il racconto che si presentano Asia, il giovane indagato per violenza sessuale e sua madre. «Appena li ho visti entrare ho subito detto che erano proprio loro le persone di cui stavo parlando», ha detto ai militari. I tre sono stati tenuti in caserma per diverse ore.
La prima ad uscire è Asia attorno alle sette di questa mattina. Rientrata a casa della zia rivive la notte infernale appena trascorsa: l’esperienza di essere trascinata con la forza e la minaccia di morte nell’abitazione del ragazzo, le urla, i colpi ricevuti alle gambe.
«Mi gridavano: “ci hai rovinato la vita”, mentre mi picchiavano e mi dicevano che mi avrebbero uccisa», racconta Asia. Poi per qualche ragione madre e figlio hanno scelto di portarla alla caserma dei carabinieri per farle ritrattare quanto raccontato la scorsa estate. «Ma hanno proceduto d’ufficio, anche volendo non posso fare niente», ha provato a spiegare Asia ai suoi aguzzini, ma non c’è stato verso. Madre e figlio, forse inconsapevoli della sfilza di reati appena commessi, si sono presentati alla caserma Carini. E pretendevano che la ragazza scagionasse il giovane.
Sull’episodio di ieri sera i carabinieri della compagnia di piazza Verdi stanno già indagando. Madre e figlio sono stati trattenuti per ore in caserma e sentiti sulla base di quanto hanno detto Asia e prima ancora il suo fidanzato. I militari stanno cercando riscontri alle versioni di entrambi, visionando tutte le telecamere presenti nel tragitto dalla piazza di Ballarò alla casa dove la giovane è stata portata. I possibili reati sono pesantissimi: si va dalla minaccia aggravata al sequestro di persona. “Quando ho saputo che la mi assistita è stata messa in sicurezza ho tirato un sospiro di sollievo”, commenta Carla Garofalo, l’avvocata di Asia che l’assiste nei due procedimenti per lo stupro del Foro Italico.
(da La Repubblica)
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