Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
DA 515 MILIONI DEL 2022 A 351 MILIONI DEL 2O23… LA DENUNCIA DELLO STUDIO OXFARM
Ma quale “Piano Mattei”. Ma quale “aiutiamoli a casa loro”. Semmai, aiutiamo gli autocrati che opprimono i loro popoli, depredando le ricchezze dei paesi su cui governano col pugno di ferro e prestandosi, a suon di milioni-miliardi, a fare il lavoro sporco (respingimenti, lager) a posto nostro.
Si investe in armamenti, si chiudono i cordoni delle già asfittiche borse quando si tratta di sostenere progetti di pace e di cooperazione.
Radiografia di un disimpegno
Nel 2023 l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) da parte dei Paesi ricchi si è mantenuto sostanzialmente stazionario, con una crescista di appena l’1,8%, in buona parte dovuta al sostegno umanitario e finanziario per la crisi in Ucraina. Tuttavia, non è stato fatto nessun nuovo sforzo significativo per dotare i paesi più poveri – spesso attraversati da guerre, carestie e dall’impatto del caos climatico – di risorse chiave per garantire beni e servizi essenziali come sanità e istruzione a centinaia di milioni di persone.
Dal canto suo, l’Italia si distingue in modo particolarmente negativo. Il nostro Paese passa infatti dallo 0,33% di APS nel 2022 allo 0,27% nel 2023 in rapporto al reddito nazionale lordo, con un taglio di 631 milioni di dollari.
È quanto denunciato da Oxfam all’indomani della pubblicazione dei nuovi dati preliminari 2023 daparte del Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’OCSE.
“Ancora una volta, i Paesi ricchi, inclusa l’Italia, hanno tradito le loro promesse di aiuto e si avviano a non rispettare gli impegni internazionali, presi e ribaditi in ogni sede. Una posizione assolutamente irresponsabile. – rimarca Francesco Petrelli portavoce e policy advisor su finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia – Non si tratta infatti di carenza di risorse ma della volontà politica nel destinarle a questo impegno o nell’individuare ulteriori fonti di finanziamento a sostegno della spesa pubblica. Basti pensare alla possibilità di tassare i grandi patrimoni dell’0,1% dei cittadini più ricchi che permetterebbe all’Italia di disporre di un gettito addizionale tra i 13,2 e i 15,7 miliardi all’anno. Viviamo in un mondo in cui, in un solo mese, gli uomini più ricchi del pianeta incrementano di decine di miliardi di dollari le proprie fortune, mentre decine di migliaia di donne nei Paesi più poveri del mondo muoiono di parto o durante la gravidanza. Esiste una prova più evidente delle enormi ingiustizie e disuguaglianze a cui stiamo assistendo?”
Quasi un terzo dell’aiuto italiano resta nel nostro Paese per far fronte ai costi dell’accoglienza dei migranti
Allo stesso tempo si conferma per l’Italia la tendenza che vede buona parte dell’APS essere destinato a far fronte all’accoglienza dei richiedenti asilo, risorse che rimangono quindi entro i confini nazionali, senza il doveroso stanziamento di risorse aggiuntive: da 1480 milioni nel ‘22 a 1.609 milioni nel ’23, circa il 27% del totale dell’aiuto pubblico italiano per l’anno passato.
“Certamente su questi numeri pesa l’aumento degli arrivi attraverso il Mediterraneo passati da 104 mila nel 2022 al numero record di 155 mila nel 2023, resta però un’evidenza lampante: si tratta di risorse che ancora una volta non vengono destinate ai Paesi poveri”, aggiunge Petrelli.
Altro che “Piano Mattei” per l’Africa, cala anche l’aiuto bilaterale
“Nonostante le promesse di un nuovo “Piano Mattei” da parte del Governo, ribadite durante la Conferenza Italia-Africa dello scorso gennaio, i dati preliminari per il 2023 forniti dall’OCSE sono chiari – continua Petrelli – Il nostro Paese è passato dallo stanziamento di 515 milioni nel ’22 per gli aiuti bilaterali ai Paesi africani a 351 milioni nel ’23 (-32%).
Lo stesso vale per i fondi destinati ai cosiddetti Paesi a basso tasso di sviluppo (LDC), ovvero i più poveri e fragili, che calano da 381 milioni di dollari nel 2022 a 265 nel 2022 (-30%); così come per gli aiuti destinati a fronteggiare le più gravi crisi umanitarie che crollano di ben 143 milioni, passando da 398 milioni a 255 (- 36%). Nonostante i bisogni umanitari siano in netta crescita alla luce delle gravissime crisi umanitarie che si stanno consumando a livello internazionale”.
Infine, in termini generali, nonostante le dichiarazioni del Governo – come certificato esplicitamente dall’OCSE- è proprio l’aiuto bilaterale diretto dall’Italia ai Paesi in via sviluppo che nel complesso cala quasi del 25%; mentre il multilaterale (ovvero i fondi italiani destinati ad organizzazioni internazionali specializzate in cooperazione) rimane costante.
Tra i Paesi donatori OCSE l’obiettivo dello stanziamento dello 0.70% è stato rispettato solo da 5 Paesi
Nel frattempo, resta un miraggio il mantenimento dei solenni impegni presi oltre 50 anni fa e ribaditi nel 2015 con l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. In particolare, quello di raggiungere lo 0.70% rispetto alreddito nazionale lordo in aiuto allo sviluppo.
In media i Paesi ricchi nel 2023 hanno destinato infatti solo lo 0,37% del loro reddito nazionale lordo globale agli aiuti allo sviluppo, rispetto allo 0,36% nel 2022: passando da 211 miliardi di dollari a 223,7 per l’anno scorso. I 21 paesi donatori dell’Unione Europea, con 92,6 miliardi di dollari complessivi raggiungono in media lo 0,52% nel rapporto APS/RNL e rappresentano il 41% del totale globale. Gli USA da soli pesano invece per il 30%.
Nel 2023, solo 5 paesi europei – Lussemburgo, Norvegia, Svezia e Danimarca e Germania – hanno raggiunto un obiettivo cruciale per il presente e futuro di centinaia di milioni di persone. E l’Italia in questo, come visto, si distingue in senso negativo.
“Da questi dati appare evidente che l’Italia non mantiene la parola data. Anziché aumentare gli investimenti in cooperazione internazionale mantenendo l’impegno di destinare lo 0.70% in aiuto allo sviluppo, si torna indietro. – aggiunge Ivana Borsotto, portavoce della campagna 070, sostenuta anche da Oxfam -Con un calo particolarmente duro per l’Africa e i paesi più fragili. Altro che Piano Mattei! Dove vanno a finire le promesse le dichiarazioni e gli impegni? Chiediamo al Governo e al Parlamento, con spirito di dialogo, più coerenza e determinazione nel cambiare marcia, a partire dalla prossima Legge di Bilancio. In nome della credibilità e responsabilità dell’Italia nel mondo e verso l’Africa”.
(da Globalist)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
SOLDI PER IL CASALE DI DON SANTO
Sfogli il documento degli espropri, quelli previsti per la costruzione del Ponte sullo Stretto, e nel gelido linguaggio della burocrazia, dietro i numeri del catasto e di un codice fiscale, ci trovi un pezzo di storia di Cosa Nostra. La storia di un piccolo casolare di Villafranca Tirrena in provincia di Messina. Al suo interno una masseria – c’è chi dice una stalla – che funzionava da nascondiglio per latitanti e summit tra mafiosi del calibro di Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, o del boss di Bagheria Michelangelo Alfano. E così, nel conteggio degli espropri analizzati dal Fatto, tra gli eredi di don Ciccio Mancuso in Calabria e quelli di don Santo Sfameni detto “il patriarca” in Sicilia, il derby tra ’ndrangheta e Cosa Nostra per adesso è di 1 a 1. Ma torniamo a quelle quattro righe che raccontano di un piccolo, piccolissimo appezzamento di terreno.ù
Scavando, pian piano scopri che apparteneva a un boss che, se non fu condannato per mafia, ma “solo” per omicidio, è perché l’accusa fu stralciata. Il motivo: incapacità di stare a giudizio.
Scopri anche che, per qualche motivo, questo pezzo di terra scovato dal Fatto è sfuggito al resto dei beni che gli sono già stati confiscati e che, codice alla mano, lo Stato dovrebbe pagare per espropriarlo. Sembra davvero che il suo destino fosse quello di sfuggire ai controlli, visto che in fondo è sempre stato un nascondiglio. E lo rimborseremo al suo proprietario: il figlio, l’erede menzionato (non da indagato) negli atti dell’antimafia, ovvero Antonino (detto Nino).
Il terreno è infatti ancora oggi di proprietà del defunto boss e dei suoi parenti. Ed è nell’elenco degli espropri del progetto dalla società Stretto di Messina Spa e dal Consorzio Eurolink, guidato da Webuild. Stafeni “il patriarca” è stato definito da diversi collaboratori di giustizia un “intermediario o anello di congiunzione tra Cosa Nostra e alcuni magistrati”.
Scomparso a 83 anni, nel gennaio 2012, don Santo è titolare del “diritto di proprietà per 2/24” di una masseria-stalla, registrata “orti irriguo”, per una “superficie 1.326 mq”. Altri 2/24 sono intestati a Palma Bertino, sua moglie, e al figlio Antonino, detto Nino, citato in diversi atti giudiziari come “prestanome del padre nella gestione di attività imprenditoriali”. Nell’elenco degli espropri spuntano anche i terreni della Le.Ni. Immobiliare Srl, costituita da Santo alla fine degli anni 80 e trasferita al figlio, che a Saponara (Messina) possiede 9.289 metri quadri di “seminativo arborato”. Società confiscata in via definitiva nel gennaio 2006 a don Santo, moglie e figlio.
Don Santo fu condannato a 8 anni e 6 mesi, dal tribunale di Reggio Calabria, per lesioni riportate da un docente universitario messinese gambizzato in un agguato. Venne anche arrestato, nel maggio 1994, “in località San Saba (Messina)”, dopo otto mesi di latitanza. Incastrato dalle indicazioni fornite da un celebre collaboratore di giustizia: Luigi Ilardo, cugino di Piddu Madonia, numero due della Cupola guidata da Tòtò Riina. Lo stesso Ilardo ucciso nel 1996 mentre, come una sorta di “infiltrato”, stava indicando agli investigatori la pista che portava a Bernardo Provenzano. Due anni prima li aveva portati sulle tracce di don Santo. Il “patriarca” aveva iniziato la sua carriera da infermiere per poi passare all’edilizia. Una “persona molto rispettata in tutto l’ambiente”, dicevano di lui i collaborato di giustizia, “legato a esponenti di spicco della mafia palermitana, a disposizione di tutti i gruppi messinesi”, “intermediario o anello di congiunzione tra i malavitosi ed alcuni magistrati spesso invitati nella masseria”.
Aveva “rapporti di amicizia con il comandante della locale stazione dei carabinieri, grazie ai quali si consentiva ai latitanti protetti di muoversi tranquillamente armati a Villafranca”.
Nel terreno che lo Stato dovrà rimborsargli, verosimilmente, passeggiò anche con il “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra”, Angelo Siino, e siamo davvero nell’aristocrazia mafiosa. Fu proprio Siino a raccontare di aver incontrato Stafeni “per discutere”, ma guarda un po’, “in merito a un appalto di opera pubblica nella zona di Villafranca”. Stafeni fu poi arrestato nel 1999 (inchiesta “Witness”) insieme all’imprenditore bagherese Michelangelo Alfano e al collaboratore di giustizia Luigi Sparacio: per la Dda di Messina erano i promotori di Cosa Nostra nel Messinese, in grado di indirizzare indagini e processi giudiziari grazie ai loro rapporti con forze armate, giudici e magistrati. A don Santo sequestrano beni per 15 milioni.
Fino al 2006 è stato sorvegliato speciale. La commissione antimafia nella sua relazione scrive che “Francesco Paolo Bontade, padre di Stefano e Giovanni, trascorse gli ultimi sei mesi di vita come riverito degente presso il reparto di neurologia dell’ospedale Regina Margherita di Messina, dove morì il 25 febbraio 1974. Proprio dove, nello stesso periodo, lavorava come infermiere, nello stesso reparto, Santo Sfameni, che “subito dopo la morte di Bontade senior divenne un facoltosissimo imprenditore edile”. Il patriarca per la commissione è “uomo d’onore di antichi legami con Cosa Nostra palermitana e con la ’ndrangheta, in particolare con il famoso Mimmo Piromalli, anch’egli nel 1978 protagonista di una lunga e riverita degenza ospedaliera a Messina”.
Ma soprattutto, il nome di don Santo è legato alla morte della 17enne Graziella Campagna. Fu uccisa a Villafranca Tirrena il 12 dicembre 1985. La ragazza lavorava in una lavanderia. E aveva scoperto la vera identità dei due latitanti palermitani Gerlando Alberti jr, nipote di Gerlando Alberti “U Paccarè”, e Giovanni Sutera, entrambi protetti da don Santo. Nel 1990 il giudice Marcello Mondello proscioglie dall’accusa i due indagati. Molti anni dopo si scoprirà il suo stretto legame con Sfameni, che lo porterà alla condanna in secondo grado per concorso esterno a 7 anni, poi prescritta nell’appello bis, mentre Alberti e Sutera saranno condannati a distanza di 23 anni all’ergastolo.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
NELLE LISTE DI FDI DEL NORD-EST, IL CONSIGLIERE COMUNALE DI BOLOGNA SI E’ ESPRESSO CONTRO LE SANZIONI ALLA RUSSIA, HA CRITICATO LA NATO ELOGIANDO IL CREMLINO (“BALUARDO DELLA TRADIZIONE”)… LA RESISTIBILE ASCESA ALL’INTERNO DEL PARTITO, CAVEDAGNA LA DEVE A GALEAZZO BIGNAMI, QUELLO CHE SI E’ VESTITO DA NAZISTA A UNA FESTA
Giorgia Meloni ha un problema in lista, anche se forse ancora non lo sa. Per le Europee, Fratelli d’Italia punta forte su Stefano Cavedagna, consigliere comunale a Bologna e candidato nel Nord-Est, molto in ascesa nel partito anche grazie all’ottimo rapporto con Galeazzo Bignami. Peccato che Cavedagna abbia un passato recente poco conciliabile con le posizioni ultra-atlantiste di Meloni: contrarietà alle sanzioni alla Russia, critiche alla Nato, elogi al Cremlino come “baluardo della tradizione”.
Il 14 dicembre 2018, Cavedagna scriveva: “L’Italia ha prorogato le sanzioni alla Russia assieme a tutti i paesi dell’Unione europea. Alla faccia del cambiamento e del ‘sovranismo’. Siete sempre più simili a Renzi e Gentiloni”. Un riferimento al governo Lega-5 Stelle, evidentemente troppo duro col Cremlino. Per diversi mesi, nello stesso anno, Cavedagna aveva firmato analisi sulla rivista Eurasia.
Ad aprile, presentava così il proprio lavoro: “Un onore essere sul cinquantesimo numero di Eurasia con un pezzo sulle origini dell’avversione degli Stati Uniti alla Russia”. D’altra parte le critiche alla politica estera degli Usa erano frequenti. In un post oggi rimosso, ma di cui circolano screenshot online, Cavedagna attaccava la Nato: “L’egemonia a stelle e strisce si sta esaurendo, verso un mondo multipolare. La Russia rappresenta sempre di più il baluardo della Tradizione”.
Nel 2017, denunciava “l’illecito internazionale” compiuto dagli Usa con “l’attacco missilistico ai danni della base siriana di Al-Shayrat”: “Purtroppo, nonostante i fiumi di pronunce giurisprudenziali internazionali, gli Usa non non hanno dimostrato negli ultimi anni nessuna particolare intenzione di voler seguire le consuetudini e le convenzioni in materia di intervento militare”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
NELL’ULTIMO MESE HA RECUPERATO IL SOSTEGNO DEI SUOI VECCHI ELETTORI, TRUMP LI STA PERDENDO
Le presidenziali americane di novembre si preannunciano una sfida all’ultimo voto.
A confermarlo è l’ultimo sondaggio del New York Times e del Siena College, che mostra Donald Trump e Joe Biden in sostanziale pareggio. L’ex tycoon può contare ad oggi sul 46% delle preferenze degli elettori americani, contro il 45% dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
Il restante 8-9% è ancora indeciso se e chi votare. Il sondaggio pubblicato oggi, spiega il New York Times, è in realtà un’ottima notizia per la campagna elettorale di Biden.
Nella rilevazione di fine febbraio, Trump era dato in vantaggio di circa 5 punti percentuali. Un distacco che oggi, in poco più di due mesi, sembra essersi annullato quasi del tutto. Il sondaggio del quotidiano americano e del Siena College, ritenuto tra i più affidabili, è stato condotto tra il 7 e l’11 aprile su un campione di 1.059 elettori registrati.
Il recupero di Biden
Il recupero di Biden, spiega il New York Times, si deve soprattutto al suo successo nel riconquistare alcuni degli elettori che lo hanno sostenuto nel 2020. Nella rilevazione di fine febbraio, solo l’83% dei cittadini che avevano votato Biden si erano detti pronti a sostenerlo anche questa volta, contro il 97% di Trump. A poco più di un mese e mezzo di distanza, Biden può contare ora sull’89% dei suoi sostenitori del 2020, mentre il supporto dei fedelissimi di Trump passa dal 97% al 94%.
Entrambi i candidati, precisa il quotidiano statunitense, rimangono molto impopolari. Nel caso di Biden è soprattutto la questione anagrafica a pesare sui sondaggi, mentre l’immagine di Trump è stata scalfita dai numerosi processi penali a suo carico.
Ci sono alcune questioni su cui l’attuale inquilino della Casa Bianca riesce a strappare un giudizio più positivo del suo predecessore. È il caso della gestione della pandemia, delle questioni razziali e della «capacità di unire la nazione».
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
CONSIDERATO UN PASTICCIONE AI TEMPI IN CUI ANDAVA A FAR VISITA ALL’AMANTE JULIE GAYET, OGGI IL 69ENNE DINOSAURO SOCIALISTA VIENE ACCLAMATO DAI GIOVANI CHE CORRONO A COMPRARE IL SUO LIBRO SULL’EUROPA… POTREBBE ESSERE LUI, NEL 2027, A CANDIDARSI PER RIPORTARE ALL’ELISEO LA SINISTRA?
François Hollande scrive un libro per spiegare l’Europa ai giovani e loro lo ricambiano con un nuovo, insospettato affetto, affollando le librerie per chiedere una dedica mentre i sondaggi indicano che l’ex presidente sta raggiungendo Edouard Philippe (ex premier e sindaco di Le Havre) in testa alla classifica dei politici preferiti dai francesi.
Quanto è mutevole l’opinione pubblica, quando sono effimeri i sondaggi. Nel 2017 erano talmente disastrosi che Hollande, allora capo di Stato in carica, non ci provò neppure a candidarsi per restare all’Eliseo. Preferì lasciare l’onere della disfatta socialista al poi dimenticato Benoît Hamon, che non andò oltre un imbarazzante 6,4% e lasciò la strada aperta per il trionfo di Emmanuel Macron.
Erano i tempi di Hollande flanby (una specie di budino, ndr), del presidente che voleva essere «normale» e proprio per questo veniva detestato dai francesi tuttora un po’ nostalgici del re cui pure tagliarono la testa. Tutti i presidenti francesi hanno coltivato con gusto la loro reputazione di dongiovanni, sapendo che non questo non avrebbe nuociuto loro, anzi.
Solo Hollande è riuscito a farsi deridere anche per questo, per lo scooter con cui andava a far visita all’amante Julie Gayet a due passi dall’Eliseo, per la foto con il casco indossato persino su per le scale per non farsi riconoscere, dettaglio che volendo avrebbe potuto anche intenerire e invece diventava la prova che all’Eliseo non c’era un presidente ma un pasticcione.
Lui conserva l’eterna (falsa) modestia, e commenta sul Parisien che «è un giusto bilanciamento. Se facciamo la media tra l’impopolarità di ieri e la popolarità di oggi, siamo a un livello… normale», appunto.
Gli eventi per promuovere Leur Europe (Glénat Jeunesse) sono l’occasione per nuovi bagni di folla, e anche per ricordare sommessamente qualche cosa buona che il presidente emerito sente di aver fatto durante i suoi cinque anni all’Eliseo.
Al di là dell’immagine e dell’effetto nostalgia, Hollande rivendica un bilancio importante, soprattutto in politica estera, e ha ragione: la missione in Mali, e in Siria e Iraq per fermare lo Stato islamico, il no alle navi da guerra Mistral vendute alla Russia da Sarkozy, il sostegno lungimirante all’Ucraina contro il neo-imperialismo di Vladimir Putin. E, in politica interna, il mariage pour tous che ha posto su una posizione di rispetto e parità tutti gli omosessuali, anche quelli che preferiscono non sposarsi.
Oggi Hollande si prende la sua rivincita: «C’è stata un po’ di confusione tra il mio desiderio di essere il più semplice, il più umano possibile, e la capacità di prendere decisioni. Quel che cerco di far capire, è che un presidente può essere vicino ai cittadini e anche capace di scelte pesanti».
I socialisti della vecchia guardia a lui vicini dicono che non può non fare un pensiero a tornare alla politica da protagonista, se le cose continuano così. Intanto il 69enne Hollande oggi firma libri e sostiene a fondo la campagna del 44enne Raphaël Glucksmann per le europee del 9 giugno. Potrebbe essere lui, nel 2027, a candidarsi per la sinistra riportando all’Eliseo, stavolta con la cravatta dritta, un po’ di hollandismo.
(da Il Coorriere della Sera)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
“GIORGETTI POTREBBE SOSTITUIRLO? È UNO BRAVO, MA NON DICO NIENTE, ALTRIMENTI LO MASSACRANO. SERVE UN NUOVO LEADER CHE VADA NELLA DIREZIONE DELL’AUTONOMIA. DOMANI AI FESTEGGIAMENTI A VARESE CON SALVINI NON CI SARÒ”
“Alla Lega serve un nuovo leader. Serve un nuovo leader che vada nella direzione dell’autonomia, che rimetta al centro la questione settentrionale. Se Giorgetti potrebbe sostituire Salvini? Giorgetti è uno bravo, ma non dico niente se no lo massacrano. Se la base non approva i programmi, non vai da nessuna parte. Diventa una bolla di sapone”: così Umberto Bossi a Gemonio (Varese) per i 40 anni della Lega.
“Oggi sono molto contento, ho visto tanta gente che non vedevo da anni, è la Lega di 40 anni fa”, ha detto Bossi, incontrando i militanti che si sono dati appuntamento a Gemonio per celebrare i 40 anni della Lega.
“Salvini ha preso la sua strada – ha proseguito – ciascuno prende la sua strada, ci vuole un po’ di testa. La Lega di allora era radicata nella base popolare, in consiglio a Varese si parlava in dialetto.
Se le radici sono forti, è difficile che si fermino. Sicuramente abbiamo fatto un grande sforzo, era un mondo diverso, c’era necessità di nuovo e chiunque avesse intuito politico l’avrebbe capito. Lì siamo nati noi”. “Oggi serve un’altra spallata per cambiare le cose, la Lega deve essere uno sprone”, ha concluso Bossi.
“La Lega all’inizio era un movimento più vicino al popolo, la Lega di 40 anni fa aveva una base popolare. Noi abbiamo cominciato dal Comune di Varese ma io domani a Varese per i festeggiamenti con Salvini non ci sarò”, così Umberto Bossi a Gemonio (Varese) per i 40 anni della Lega.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL M5S DISPOSTO A FARE UN PASSO INDIETRO SE SI CANDIDA COLAIANNI… IL GRAN LAVORO DI VENDOLA PER RICOMPATTARE IL CAMPO LARGO
Il campo largo potrebbe, inaspettatamente, ricompattarsi in occasione delle elezioni amministrative di Bari.
Dopo lo strappo di Giuseppe Conte che ha deciso di tirarsi indietro dalle primarie, sarebbero infatti in corso trattative per trovare un nome che possa unire tutto il centrosinistra, attualmente spaccato tra i sostenitori di Michele Laforgia (Movimento 5 stelle, Sinistra italiana, Socialisti e associazioni cittadine) e quelli di Vito Leccese (Partito democratico – Europa Verde, Azione, Socialdemocratici e varie liste civiche.
Secondo Repubblica, che ha riportato il retroscena, la figura scelta come candidato sindaco del capoluogo pugliese è Nicola Colaianni, ex magistrato e parlamentare del Pds.
La soluzione sarebbe stata ideata da Nichi Vendola, ex presidente della Regione Puglia, recatosi a Bari per riunire tutti sotto lo stesso candidato incontrando anche il primo cittadino uscente Antonio Decaro. Laforgia sarebbe pronto al passo indietro qualora la candidatura di Colaianni diventasse effettiva.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
LA SCHLEIN PRETENDE CHE EMILIANO FACCIA PIAZZA PULITA, IL GOVERNATORE SPERAVA DI CAVARSELA CAMBIANDO SOLO DUE ASSESSORATI, MA ELLY LO METTE SPALLE AL MURO E LUI ALLA FINE CEDE: “VA BENE FARO’ QUELLO CHE DECIDE LA SEGRETARIA DEL MIO PARTITO”
«Michele, ma tu da che parte stai?». Sottinteso: da quella di Conte o da quella del Pd? Comincia così una lunga telefonata tra Elly Schlein e Michele Emiliano. Toni ruvidi, stavolta, perché la leader del Pd è davvero imbestialita. Dopo le inchieste, le retate, le primarie saltate a Bari, l’addio dei 5 Stelle dalla giunta regionale, il governatore della Puglia, di mattina, ha provato a minimizzare: niente commissariamento del Pd locale.
E soprattutto niente azzeramento della giunta, ma solo il cambio di un paio di assessori. Cioè quelli che proprio non possono restare al loro posto, una perché indagata e col marito ai domiciliari, la dem (dimissionata) Anita Maurodinoia, e l’altra, la contiana Rosa Barone, perché il Movimento è uscito dal governo pugliese. Un’intenzione rivendicata da Emiliano in un’intervista all’HuffPost, che ha fatto perdere la pazienza a Schlein.
Anche perché è arrivata dopo un’altra intervista, sul Fatto, in cui il governatore diceva: «Farò quello che chiedono i 5 Stelle».
Una doppietta decisamente sgradita al Nazareno. E qui si arriva alla telefonata, molto poco cordiale: «Michele, devi decidere da che parte stai. Io sono venuta a Bari, ho difeso la nostra comunità, ci ho messo la faccia, e tu dici che farai quello che chiede Conte? E che cambi solo 2 assessori?». Schlein pretende di più: parla di «azzeramento», che per la leader significa avvicendare almeno la metà dei 10 assessori pugliesi.
Nel colloquio Schlein lascia intuire un sospetto, che tra i fedelissimi è più che radicato. Cioè che il presidente pugliese stia giocando di sponda col capo dei 5S, che infatti ha strappato sì, ma poi in conferenza stampa se l’è presa col Pd nazionale, più che col governatore, per cui anzi ha speso parole al velluto.
E dal quale poco dopo si è accomodato per un caffè, con tanto di «abbracci», raccontati da Emiliano. Altro dettaglio: il coordinatore regionale dei 5S, il deputato Leonardo Donno, ha fatto capire che il Movimento potrebbe rientrare in giunta: «L’assessorato alla legalità è un’opportunità per ripartire».
Schlein quindi vuole evitare di finire in una trappola, che forse si è già innescata. E cerca una mossa che oltre a ripulire il partito, le consenta anche mediaticamente di rispondere alle picconate del Movimento. Un rimpastino non basta. Ecco perché la segretaria, dopo la telefonata, ha fatto diffondere una nota dal Nazareno. Per rimarcare la richiesta a Emiliano di «tenere lontani trasformisti e transfughi», che nel Pd «devono trovare porte sigillate».
E per chiedere, senza equivoci, «un netto cambio di fase che non può tradursi in una mera sostituzione di chi è uscito».
Il governatore, dopo essersela presa in privato (grande classico) con la stampa che avrebbe malinterpretato le sue parole, si è allineato: «Darò seguito alle indicazioni della leader». E nella chiamata ha aggiunto: «Sono del Pd, faccio quello che decide la segretaria».
(da La Repubblica)
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Aprile 13th, 2024 Riccardo Fucile
RONCONE: “I SUOI PASSAGGI TV SUSCITANO AMAREZZA, MICHELE S’È MESSO A FARE PROPAGANDA POLITICA, IMPREGNATA DI PACIFISMO DEMAGOGICO”… “SANTORO NON SI RASSEGNA AL FATTO CHE UN PROGRAMMA NON GLIELO DANNO PIÙ”
Michele Santoro, più che un giornalista o un conduttore, è stato un grande condottiero del piccolo schermo. Talento pazzesco, fazioso e appassionato, furbo e spregiudicato. Molto popolare, molto amato, molto odiato
Per questo, adesso, i passaggi di Michele, le sue ospitate nei talk scatenano una certa dose di amarezza. Un po’ per il tempo che passa, con le rughe e i capelli non più di quel bel rosso mogano. Ma molto di più perché Michele sembra la parodia di sé stesso. Un Buffalo Bill che si esibisce per spettatori nostalgici o solo incuriositi, che si fermano a guardare uno che urla, paonazzo: «Il giornalismo s’è ridotto a descrive Putin come un mostro e un mentitore! Invece non è un mostro e non sempre racconta balle!»
Michele, davvero? Michele, ma perché? Perché s’è messo a fare propaganda politica, impregnata di pacifismo demagogico, alla sua lista per le Europee (candidati Vauro e Odifreddi, più il sostegno di Jo Squillo), una lista chiamata “Pace Terra Dignità”, che significa tutto e non significa niente, o forse significa solo che Michele non s’arrende, non si rassegna al fatto che un programma non glielo danno più, perché c’è un tempo per ogni cosa, perché è la vita, e pure Totti che era Totti, con le buone o con le cattive, alla fine ha capito che non poteva più giocare a pallone.
Michele cerca invece ostinatamente di risalire a cavallo e prova a ripartire in un tragico galoppo. Anche Buffalo Bill, dopo una stagione da formidabile esploratore e cacciatore di bisonti, finì a esibirsi nelle arene dei circhi.
Portò il suo spettacolo Wild West Show – persino a Roma. Dove, l’8 marzo del 1890, perse la celebre sfida nella doma dei puledri contro i butteri arrivati da Cisterna di Latina, guidati da un certo Augusto Imperiali. Caro Michele, pensaci.
Fabrizio Roncone
(da il Corriere della Sera)
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