Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
“PER MELONI È STATO PIÙ FACILE EMANCIPARSI DA TRUMP E DA PUTIN CHE DA IGNAZIO LA RUSSA. LA STORIA È TUTTA QUI, NEL POTERE DI CONDIZIONAMENTO DELLA TRIBÙ (LA RUSSA-SANTANCHÉ), CONSOLIDATOSI NELL’INTRECCIO DI POLITICA, SALOTTI, MILANO FESTAIOLA E PARLAMENTO, VISIBILIA”
Paolo Cirino Pomicino, che per un periodo ne fu mentore, la fotografò così: «Daniela non è appassionata di politica, ma di potere». Se il metro è la sua capacità di incassare, resistere con furbizia, sfoggiarlo (il potere) come un cappello da cow boy a dispetto della sobrietà e financo della coerenza – per molto meno lei chiese le dimissioni di una trentina di avversari politici – meriterebbe la lode. Gli altri, costretti a difenderla cincischiando di garantismo, una clamorosa insufficienza. Proprio così: per Giorgia Meloni è stato più facile emanciparsi da Trump e da Putin che da Ignazio La Russa.
La storia è tutta qui, nel potere di condizionamento della tribù (La Russa-Santanché), consolidatosi nell’intreccio di politica, salotti, Milano festaiola e Parlamento, Visibilia e partito lombardo, cogestito o meglio gestito dall’una per conto dell’altro. Mica male, come rottura narrativa: l’underdog del «non sono ricattabile» tentenna sul lusso che non vuole essere processato. In fondo, era prevedibile già prima delle inchieste che in quella vita fatta di eccessi ci fossero pasticci su cassa integrazione e ristori, fornitori e dipendenti malpagati.
E forse era anche prevedibile che fosse quantomeno sospetto l’acquisto e la rivendita in un’ora con guadagno da un milione di euro della villa del sociologo Francesco Alberoni.
L’atto l’hanno firmato, a proposito di sodalizi, da una parte la moglie del presidente del Senato, Laura De Cicco, dall’altra il compagno e socio in affari di Santanché, Dimitri Kunz.
C’è da chiedersi che c’azzecchi con gli stilemi pauperisti della destra italiana, e col racconto che essa fa di sé e della sua mitologia delle origini, questo personaggio modaiolo che ha gestito se stesso col talento di un influencer quando gli attuali influencer bevevano ancora il latte. Occhialoni e foto sulle battigie, Cortina e Twiga, il regno della Pitonessa dove uomini e donne sono tutti pitonizzati.
Le spiagge sono la sua fissazione. Quelle organizzate, ovviamente: tendaggi e financo televisori sotto l’ombrellone. Non quelle libere, sinonimo di disordine e degrado. Peccato che da ministro se ne sia occupata assai poco e non per una questione di conflitto di interessi.
Le azioni del Twiga le ha cedute, ma al compagno Dimitri Kunz, che assomiglia al Ridge di Beautiful e al grande amico e socio Flavio Briatore, ma la delega l’ha mantenuta. Spetterebbe al governo […] stabilire i criteri per la messa a bando delle concessioni. E invece si continua a prendere tempo.
L’Enit poi (l’Ente nazionale per il turismo), trasformato in spa, è rimasto il carrozzone di sempre. Dovevano andarci Alberto Tomba o Briatore, è stato riempito di Carneadi. Agli annali, si fa per dire, non resta che Open to meraviglia, la campagna, tanto costosa quanto kitsch, con la Venere del Botticelli che pare un incrocio tra Barbie e Chiara Ferragni. Non proprio un successo
Giorgio Gaber diceva di temere più che «il Berlusconi in sé, il Berlusconi in me». La Santanché «in me», parimenti, è un po’questo per la destra che fu missina: frustrazione e vizio.
È il ristorante costoso dove se vai, a prescindere dal come si mangia, significa che hai dimenticato i sapori della miseria, senza bisogno di imparare il Galateo. È il tacco 12 sui marmi del Transatlantico, il dito alzato ai manifestanti e via col Suv verso il Billionaire.
Perfetta per il «me ne frego» dei barbari che stappano lo champagne a sciabolate come i russi in Costa Smeralda.
Disse una volta, e davvero disse tutto: «Mi criticano, ma quei sepolcri imbiancati nei miei locali ci sono venuti tutti, a Milano, Forte dei Marmi e anche Montecarlo». Forse si spiega così anche la frequentazione con Giorgia Meloni, con cui condivide la passione del burraco. Ci andava pure lei al Twiga, immortalata dai paparazzi con l’ex first gentleman Andrea Giambruno, un vero habitué del posto. Secondo solo a La Russa, che ci è tornato a farsi immortalare anche Pasqua (messaggio neanche tanto velato in direzione Parlamento).
Ci sa fare lei con i capi, avvolti e poi abbandonati: Fini mollato per Storace, poi a sua volta mollato per Fini, a sua volta mollato per Berlusconi, un «genio», che prima però era prima stato mollato anche lui («vede le donne solo orizzontali»).
Memorabili le immagini con Francesca Pascale mentre fanno jogging in Costa Smeralda. Se va in tv è una tigre, difende l’indifendibile con energia anche urticante. Ha costretto la maggioranza a difenderla. La Pitonessa non viene mai abbandonata, semmai abbandona.
Alessandro De Angelis
per “La Stampa”
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
QUASI UN ELETTORE DI FRATELLI D’ITALIA SU DUE È CONVINTO CHE IN ITALIA MANCHI UN PARTITO CHE “SOSTENGA I VALORI CRISTIANI E CATTOLICI”
Ci vorrebbe un partito dei cattolici, o forse a pensarci bene: ci rivorrebbe la Democrazia Cristiana.
Lo pensa il 37 per cento degli italiani, perlomeno secondo il rapporto curato da Quorum per Demos, soggetto politico che orbita nel centrosinistra. Ma alla fine è una richiesta che proviene soprattutto fra chi vota a destra, visto che quasi un elettore di Fratelli d’Italia su due è convinto che in Italia manchi un partito che «sostenga i valori cristiani e cattolici ».
Di questo 37 per cento di italiani attirati dall’idea, il 60 per cento oggi vota la coalizione di governo e solo il 18 per cento una ipotetica coalizione formata da Pd, M5S, rossoverdi e +Europa.
Mentre i centristi di Matteo Renzi e Carlo Calenda, messi assieme, fanno solo il 4,8 per cento. La domanda cattolica-cristiana riguarda soprattutto le fasce di età più anziane: fra coloro che hanno 18-34 anni lo chiede il 19 per cento degli elettori, quasi la metà rispetto alla fascia 35-54 (36 per cento), mentre tra gli over 55 la domanda arriva fino al 45 per cento. Sarà l’effetto nostalgia della Prima Repubblica?
Chissà. E poi, in parte prevedibile: desidera un’offerta politica del genere chi si dichiara credente, con picchi del 70 per cento tra i praticanti.
Il segretario di Demos Paolo Ciani, promosso da Elly Schlein vicecapogruppo pd alla Camera, è molto vicino alla Comunità di Sant’Egidio.
L’obiettivo, dice Ciani, è «costruire un altro pezzo di coalizione: un partito di ispirazione cristiana, ma non centrista o post-democristiano», nel senso correntizio. Un partito «che supera vecchi schemi perché è “di sinistra” sulla pace, sul no alle armi, ma anche sulla difesa di migranti e detenuti». E che invece ha posizioni più conservatrici «sul fine vita o sulla famiglia». Sarebbe un errore, sostiene Ciani, «regalare il voto cattolico a destra o astensione.
Un dc di vecchia data come Gianfranco Rotondi, alle ultime elezioni eletto con FdI, sostiene come oggi ci sia «un’onda di ritorno, la nostalgia di un grande partito popolare di massa è tanta. Alcuni come noi in questi anni hanno tenuto la fiammella accesa. Nella gara d’appalto per una “nuova Dc” Meloni è favorita, però deve studiare bene l’offerta ». L’argomento è dunque attuale.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL 21 ENNE DI PADOVA PROTAGONISTA DI UNO SCONTRO SU RETE 4 LASCIA LO STUDIO
Si era conclusa con la sua uscita dallo studio la lite con Paolo Del Debbio durante la trasmissione di Rete4 Dritto e rovescio. Baby Touché, nome d’arte del 21enne Mohamed Amine Amagour, padovano di origini marocchine, si era beccato con il pubblico in studio e con gli altri ospiti, era stato sgridato e invitato alla calma dagli assistenti di regia e dal conduttore stesso, che chiedeva rispetto per sé e per gli spettatori. Dopo minuti di tensione, applausi di scherno, mezze frasi e toni minacciosi, il trapper si era alzato nuovamente in piedi con fare aggressivo. A quel punto Del Debbio gli si era avvicinato per farlo sedere. «Non toccarmi zio, non toccarmi, non passiamo a queste cose. Torna al tuo posto e io torno al mio», gli aveva risposto il 21enne. «Il mio posto è ovunque», la replica spazientita del conduttore. «E allora anche il mio, altrimenti me ne vado». Del Debbio non se l’è fatto ripetere due volte, lo ha invitato a lasciare lo studio e alle resistenze del giovane ha chiesto l’intervento della sicurezza.
Poi le scuse al pubblico a casa: «Chiedo veramente scusa ai telespettatori, oggi abbiamo raggiunto un livello di una bassezza totale. Mi scuso di aver invitato personaggi di questo tipo. Con questa arroganza, con questo modo di fare così becero».
Nel frattempo Baby Touché, indagato per detenzione abusiva di armi ed esplosivi e con due fogli di via da Vicenza e Venezia, lasciava lo studio minacciando un altro ospite: «Vuoi fare a botte con me?».
A distanza di qualche ora, è stato di nuovo il trapper a tornare sulla vicenda, con una storia su Instagram. «Siete tutti uguali, avevate la possibilità di capire il motivo per il quale la nostra generazione è arrabbiata ma no, cercate sempre il modo di fare uscire il male che c’è in me per strumentalizzarmi», scrive rivolto a chi lo ha invitato in trasmissione, nel segmento dedicato alla musica di artisti giovanissimi e degli episodi di microcriminalità, «sono la prima persona che è stata pagata in quello studio, ho preso più soldi di quanti ne prende il conduttore in un mese, non mi ha invitato lui ma la direttrice di Mediaset. Non vedo l’ora di venire ripagato per ascoltare dei frustrati parlare di me».
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO I 616 DI IERI, ARRIVATI NELLA NOTTE ALTRI 333
Sono 333 i migranti giunti in nottata a Lampedusa. Sei i barchini soccorsi al largo dell’isola, e un settimo è arrivato autonomamente sulla spiaggia della Guitgia.
Ieri ci sono stati 16 approdi, per un totale di 670 migranti. A bordo del barcone di 12 metri giunto sull’arenile della Guitgia, durante la notte, c’erano 58 bengalesi, egiziani e pakistani partiti da Zuara, in Libia e intercettati al loro arrivo dai carabinieri.
Sui 6 natanti salpati da Sfax, El Amra, Soussa e Mahdia, in Tunisia e bloccati dalle motovedette di guardia costiera e e guardia di finanza, viaggiavano da un minimo di 33 a a un massimo di 57 persone: gambiani, nigeriani, senegalesi, guineani, malesi e ivoriani, fra cui donne e minori. Tutti sono stati trasbordati e le barche lasciate alla deriva in mare aperto. I migranti, dopo un primo triage sanitario al molo Favarolo, sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola.
Secondo gli ultimi dati, sono 1.263 gli ospiti presenti all’interno del Centro gestito dalla Croce Rossa Italiana e presente sull’isola. Fra loro anche 157 minori non accompagnati. Per oggi, cercando di alleggerire le presenze nella struttura di prima accoglienza, l’ufficio territoriale del governo ha disposto tre spostamenti: 261 lasceranno l’isola in mattinata con il traghetto di linea per Porto Empedocle; 180 con un volo Oim per Bergamo nel pomeriggio e un altro trasferimento con numeri ancora da definire con la motonave della sera, la Veronese, è in corso di pianificazione.
Ieri erano stati 15 gli arrivi a Lampedusa, per un totale di 616 persone. Un barchino in ferro con a bordo 43 migranti era stato intercettato dalla Guardia costiera. Tra loro anche 4 donne e 5 minori. Arrivano da Burkina Faso, Mali, Guinea e Costa d’Avorio. Anche loro, come la maggior parte delle persone approdate sulla più grande delle isole Pelagie, hanno riferito ai soccorritori di essere partiti da Sfax, in Tunisia. Complici le condizioni meteomarine favorevoli da ieri, sono ripresi a pieno ritmo gli approdi con le motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza impegnate senza sosta in soccorsi e intercetti.
(da Fanpage)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
“QUI CUCINIAMO GRAZIE AI PACCHI DI CIBO CHE ARRIVANO DALLE ASSOCIAZIONI ITALIANE”
La vita inizia dopo le 18 nel campo profughi di Dheisheh, a Betlemme, c’è chi vende semenza in mezzo alla strada, i bambini giocano fuori dall’uscio di casa, le luci, la musica, tutto ricomincia dopo l’Iftar.
Nella via principale, una cucina popolare prepara pasti caldi per le famiglie più povere del campo. “Qui cuciniamo grazie ai pacchi di cibo che ci riforniscono dall’Italia, questi sono quelli che restano degli ultimi 75 arrivati, in totale dall’inizio della guerra ne sono arrivati 225”, spiega Mohammed, volontario del campo, indicando gli scatoloni con su scritto “From people to the people – italian friends” e lo stemma di ACS (Associazione di Cooperazione e Solidarietà).
Dall’inizio della guerra la maggior parte delle famiglie del campo ha perso il lavoro. “Qui a Deisha il 70% dei palestinesi lavorava in Israele, la nostra è un’economia basata sui rapporti con gli israeliani. Non ci hanno lasciato altra scelta”, racconta Luay Al Haj, coordinatore dell’associazione Karama, che da anni coopera con l’estero.
Nel campo ben 1000 operai lavoravano ogni giorno in Israele, ovvero 1000 famiglie su 5000 vivevano grazie a quel lavoro. In tutta la Cisgiordania erano 150.000 i lavoratori palestinesi che prima di ottobre lavoravano in Israele. A questo si somma il fatto che l’autorità palestinese da mesi paga solo il 60% dello stipendio ai dipendenti pubblici e che, da quando Stati Uniti, Canada, Australia, Italia, Regno Unito, Finlandia, Paesi Bassi, Germania, Giappone e Austria hanno sospeso i fondi all’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi (UNRWA), anche chi lavorava lì non ha più uno stipendio e gran parte delle strutture UNRWA sono state chiuse.
Questo significa che anche l’accesso alle scuole, agli ospedali è diventato molto dispendioso, le cliniche private qui costano tantissimo. Tutto questo ha causato un effetto domino: ad aver perso il lavoro non sono solo i palestinesi che lavoravano in Israele ma anche i tassisti che ogni giorno li accompagnavano al di là del check point e gli operai palestinesi che lavoravano per altri palestinesi che a loro volta lavoravano in Israele.
“Il problema è che qui prima del 7 ottobre ricevevamo migliaia di fondi da tutto il mondo, solo dall’Inghilterra ci arrivavano 55 milioni l’anno, ora poco meno del 20%. Adesso cooperiamo principalmente e quasi esclusivamente con l’Italia e ACS, oltre che con le organizzazioni locali”, continua Luay Al Haj. “Io non ho mai visto una situazione del genere, la situazione economica del campo è disastrosa, noi aiutiamo circa 400 famiglie, 17mila persone in totale, servendo pasti caldi tutti i giorni. Ma i fondi non bastano. In più spesso dall’Italia bloccano il cash assistent, quindi diventa ancora più difficile per noi ricevere il denaro con cui comprare il cibo per le persone”.
Oltre ciò, a causa dei sempre più numerosi e nuovi checkpoint israeliani sorti dopo il 7 ottobre, è più difficile far arrivare rifornimenti di cibo da città come Ramallah o Nablus a Betlemme, e spesso restano bloccati per ore sotto il sole rovinandosi. Questo non ha fatto altro che far aumentare vertiginosamente i prezzi dei beni primari. Con le stessa somma di denaro adesso si compra la metà della verdura che si poteva comprare prima della guerra.
Con i fondi della cooperazione i volontari del campo profughi di Dheisheh non comprano solo cibo, stanno anche ricostruendo case distrutte dall’esercito israeliano. “Un anno fa l’esercito ha fatto scoppiare la nostra porta di casa, è entrato e ha distrutto tutto per semplice divertimento”, racconta Raafat di fronte a ciò che resta della porta d’ingresso di casa sua. Vive lì con la moglie e tre bambini, nessuno in famiglia lavora e se non fosse per i volontari del campo e i soldi della cooperazione non avrebbero di come e dove vivere. Accanto c’è la casa del fratello Mohammed, ha 45 anni e anche casa sua è stata distrutta dall’esplosione.
Per strada Haled cammina stanco, “avevo sei figlie, l’esercito israeliano un anno e mezzo fa me ne ha uccise due, Issa di 12 anni e Ahmad di 15, ora siamo solo io mia moglie e le altre quattro figlie. Non ho lavoro, non abbiamo niente”. Anche lui è supportato dai soldi della cooperazione.
Intanto nel campo cala la notte, qualcuno è ancora in giro, altri si rintanano in casa. Qui la notte è pericoloso stare fuori, l’esercito di Tel Aviv fa incursione quasi ogni notte e anche stanotte è una di quelle. Due esplosioni verso le 5 del mattino, poi gli spari. All’alba è di nuovo tutto normale, qualcuno è stato arrestato, qualcun altro ferito, ma la vita deve ricominciare.
“La Palestina è come una malattia, non puoi viverci ma non puoi vivere neanche lontano”, conclude Luay Al Haj sorseggiando un caffè. Nella Cisgiordania occupata inizia come sempre un altro giorno di lotta per la vita.
(da Fanpage)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
UNA MEGA TRUFFA CHE CI FA FARE LA SOLITA FIGURA DI MERDA DA ITALIANI… LE INTERCETTAZIONI: “ABBIAMO ACCESSO AI CANALI PIÙ SENSIBILI DELLO STATO”
A Palazzo Chigi hanno masticato amaro. Giorgia Meloni, che tiene tantissimo alla sua immagine all’estero, dedica sempre molta attenzione allo sfoglio dei quotidiani stranieri, specie quelli più autorevoli come il “Financial Times”.
Grande è stata l’incazzatura quando, questa mattina, la Ducetta e il suo staff hanno visto l’apertura della Bibbia della City: “Police seize €600mln of assets in Eu fraud swoop”.
Un articolone sulla maxi-truffa legata ai fondi del Pnrr (condita di dettagli kitsch come Rolex, ville e Lamborghini) che non dà certo lustro all’Italia, primo beneficiario del Recovery Fund, e anzi dà credito a tutti quei falchi che, al momento di decidere la spartizione dei fondi, instillavano dubbi sull’opportunità di dare tutti quei miliardi a un Paese di santi, poeti e furbetti come il nostro. Insomma, la solita figura di merda da italiani, che non potrà certo giovare all’immagine da leader risoluta e cazzuta che vuole dare all’estero Giorgia Meloni
l momento della lettura dei giornali, il caffè è andato di traverso a Giorgia Meloni e il braccio destro (e teso), Giovanbattista Fazzolari.
(da Dagoreport)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
ENTRAMBI SONO PROPRIETA’ DEL GRUPPO MAJESTAS, HOLDING LUSSEMBURGHESE CHE NE HA PRESO LA GESTIONE E CHE È STATA FONDATA DA BRIATORE, DI CUI NE CONTROLLA IL 50% – L’ALTRA METÀ È POSSEDUTA DALLA FAR EAST LEISURE, UNA SOCIETÀ LUSSEMBURGHESE CHE FA CAPO PER IL 66,75% ALL’IMPRENDITORE ROMANO FRANCESCO COSTA
Flavio Briatore sarebbe vicino alla firma per la vendita del Billionaire e di Twiga a un fondo americano: secondo i rumors raccolti da Il Giornale d’Italia, la divisione luxury – incorporata da Majestas – verrà venduta per un prezzo che si aggira intorno alla cifra di 180 milioni di euro. Le proiezioni di bilancio 2023 non ancora pubblicate vedrebbero i ricavi a circa 100 milioni di euro e un EBITDA di circa 25 milioni di euro, includendo Crazy Pizza.
Considerando il deconsolidamento di Crazy Pizza e l’indebitamento netto, il multiplo della vendita si attesterebbe a circa 20, trattandosi del settore “Luxury”. Alle porte di Majestas si erano affacciate altre realtà tra cui un operatore turco, un operatore francese e un operatore degli Emirati Arabi Uniti (Dubai e Abu Dhabi).
Attualmente non sono note le motivazioni che potrebbero aver spinto l’imprenditore piemontese a cedere tutte le sue quote dei due marchi. Da escludere tra queste il suo recente problema di salute che lo ha portato a subire un intervento al cuore – Il giornale d’Italia ne aveva negli scorsi giorni – in quanto le trattative per la vendita sarebbero iniziate già prima della scoperta della malattia.
D’altro canto, bisogna tener conto che le sue attuali condizioni di salute potrebbero suscitare un’accelerazione del processo di vendita. Certo è che non rientra nelle sue attuali intenzioni, invece, la vendita del terzo brand del Gruppo Majestas: Crazy Pizza.
Billionaire e Twiga fanno parte del Gruppo Majestas – holding lussemburghese leader internazionale nel settore della ristorazione e hospitality di lusso – che ne ha preso la gestione e che è stato fondato proprio da Briatore. Il Gruppo Majestas è proprietario oltre che dei marchi Billionaire e Twiga, anche di Crazy Pizza e ha le licenze per Montecarlo di due iconici brand, Cova Monte Carlo e Cipriani. Briatore controlla il 50% di Majestas, l’altra metà è posseduta dalla Far East Leisure, una società lussemburghese che fa capo per il 66,75% all’imprenditore romano Francesco Costa.
Billionaire è un marchio di proprietà degli imprenditori Philipp Plein e Flavio Briatore, fondato nel 1998 da Briatore e dall’ex portiere della Juve Giancarlo Alessandrelli. Già nel 2012 Briatore ne aveva annunciato la chiusura, salvo poi riaprire l’anno seguente quando il marchio Billionaire è stato venduto alla società Bay Capital che fa capo alla Far East Leisure, con sede a Singapore. Il marchio Billionaire è nato da un’idea di Flavio Briatore, che aveva l’obiettivo di creare un nightclub che potesse riportare il glamour in Costa Smeralda, in Sardegna. Il club creato da Briatore a Porto Cervo, meta prediletta del jet set internazionale, è diventato famoso in tutto il mondo.
Successivamente, il marchio è stato esteso anche a linea di abbigliamento da uomo e alla gestione di eventi di lusso. Oltre alla sede di Porto Cervo, Flavio Briatore ha anche inaugurato i “Billionaire” di Cortina d’Ampezzo (2005, per la stagione invernale), Monte Carlo (2008-2015, all’interno dell’Hotel Fairmont in occasione del Gran Premio di maggio), Istanbul (2011, ormai chiuso), Marbella (2012), Bodrum (2012), Baku (2016), Dubai (2016), Riyadh (2021), Doha (2022).
Il Twiga è uno stabilimento balneare di proprietà dell’imprenditore Flavio Briatore diventato negli anni ritrovo di politici e celebrità del mondo dello sport e dello spettacolo, che ne hanno fatto lo scenario di molte storie; gli stabilimenti italiani si trovano a Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca e sulla costa toscana della Versilia, a pochi chilometri da Forte dei Marmi. Altri sono presenti all’estero, tra cui: Montecarlo, Londra e Doha, capitale del Qatar
I prezzi del Twiga sono noti per essere molto al di sopra della media. Una “tenda” con un divano, due letti, due lettini, un tavolino e una sedia può arrivare a costare 600 euro al giorno nel mese di agosto (lo stabilimento ha in totale 45 tende disponibili). Anche i prezzi del menù non sono economici, e in generale è uno stabilimento considerato di lusso. La società che lo gestisce, la Twiga Srl, è stata fondata nel 2001.
Majestas possiede il 56,9% di Twiga Srl e alla fine del 2022 Briatore ha acquistato per 1,4 milioni di euro dal ministro del Turismo Daniela Santanché – dopo non poche polemiche di cui Il Giornale d’Italia aveva parlato durante un’intervista a Briatore dopo la nomina della ministra – una quota dell’11,025% di Twiga (lei possedeva una quota del 22,05%, una metà è andata a Flavio Briatore, l’altra metà, sempre l’11,025%, è stata acquistata dal compagno della stessa ministra del governo Meloni, Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena) diventando così l’azionista di maggioranza della società.
(da Il Giornale d’Italia)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA LISTA DA RECORD (17 SIMBOLI) DEL LEADER DI “SUD CHIAMA NORD”: TRA LORO LA PALADINA NO VAX SARA CUNIAL, L’EX VICEMINISTRA M5S LAURA CASTELLI E IL PESO MASSIMO ADINOLFI
«Nell’ottobre di due anni fa sono finito in ospedale per un sospetto ictus, il medico mi ha detto: “Cateno, lei si deve fermare, vive sette vite in contemporanea”. E in effetti sono sindaco di Taormina, deputato regionale, seguo ancora la mia azienda, mi sto diplomando al conservatorio, sono marito e genitore, certo — sospira — la notte non dormo ». Direttamente dal teatro dell’assurdo Cateno De Luca, il capo del movimento Sud chiama Nord, ha riunito diciassette simboli nel listone chiamato Libertà.
A tanti marginali ha offerto una zattera per le prossime elezioni europee: euroscettici, putiniani, no vax, cattolici integralisti, animalisti, ex bossiani delusi, perfino il capitano Ultimo che catturò Totò Riina e Sergio Pirozzi, l’ex sindaco di Amatrice, in prima fila nei giorni tragici del terremoto.
«Quindi lei è contro i vaccini?», chiediamo a Cateno. «Io? Scherza! Durante il Covid ero chiamato lo sceriffo ». Ma allora perché ha imbarcato la paladina no vax Sara Cunial?
«Vabbè, che c’entra, qua stiamo parlando di Europa». Come ha conosciuto il filo-russo Vito Comencini, il leader di Popolo Veneto? «Si è presentato al convegno di Alemanno a novembre, un omone di due metri, e ci siamo fatti simpatia». Ma lei sta con Putin o con Zelensky? «Io sono siciliano. Noi siciliani siamo contro le invasioni…». E quindi che c’azzecca con i filo Mosca? «Vabbé, ma qui siamo impegnati in una battaglia diversa. Meno Europa, più sovranità».
Ecco, lei, è l’ennesimo uomo di destra travestito da populista. «Adesso lei mi offende, io ho amministrato cinque Comuni». Ma politicamente come si definirebbe? «Sturziano!».
Un po’ Achille Lauro, un po’ Uomo qualunque, nel solco del meridionalismo ribelle, De Luca non crede nelle idee, è sospettoso e vanitoso, ma a suo modo simpatico perché umanissimo
Dice frasi tipo: «Metterò in vendita la mia adrenalina». «Il 5 maggio da Fiumedinisi, il mio paese, partirà la nuova spedizione dei Mille, gli apostoli della libertà». In Sicilia ha un suo seguito. Infatti dice «sono il primo partito e mi alleno per diventare il prossimo governatore. Ho sempre lottato contro la mafia, il capitano Ultimo l’ho conosciuto a un convegno a Rosolini, nel Siracusano, mi ha chiesto il numero di telefono ». La sua forza nell’isola è reale, altrimenti non avrebbe eletto due parlamentari alle ultime politiche, poi si è voluto candidare alle supplettive di Monza (contro Adriano Galliani), una smargiassata, e lì si è fermato all’un e otto per cento.
Ieri era a Roma. Dove all’Hotel Nazionale ha presentato l’ultimo acquisto della lista Libertà: Mario Adinolfi, l’ex pd ora a capo di Popolo della famiglia. Adinolfi lo ha preso in braccio, hanno cantato insieme libertà.
Cabaret. «Avete presente i gemelli De Vito e Schwarzenegger? Uno è alto e colto, ma ingenuo, l’altro è basso, scaltro, e vive ai confini dell’illegalità », racconta Adinolfi. E De Luca: «Decidete chi è l’uno e chi l’altro ».
Con lui ci sono anche i fuoriusciti dell’Italexit di Gianluigi Paragone, all’ultimo li ha mollati l’ex ministro Roberto Castelli, «ma sono rimasti quattro valdostani», dice Cateno, e con loro pure quelli dei trattori, i pensionati. Ha presentato gli ultimi quattro loghi, tra cui quello del movimento Sovranità di Marco Mori, transfuga del gruppo di Alemanno e Progresso sostenibile di Giulia Moi, ex europarlamentare del M5S, un altro ex grillino è Marcello De Vito. E già viceministra M5S all’economia è Laura Castelli, riciclatasi come presidente di Nord chiama Sud: «Puntiamo a fare crescere una nuova classe dirigente», ha detto Castelli di recente in un’intervista. Il loro simbolo è una macedonia di contrassegni.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
PERMETTERE L’INGRESSO DEL SERVIZIO DI “STARLINK” (PIÙ EFFICIENTE E VELOCE PER I PRIVATI, MENO PER LE AZIENDE) È UNA FREGATURA ANCHE PER TIM, PERCHÉ METTE A RISCHIO IL PIANO DI RETE UNICA…LE RIPERCUSSIONI SULLA SICUREZZA: MUSK CHIEDE LE COORDINATE DEI PONTI RADIO, MA TELECOM SI RIFIUTA PER RAGIONI DI SICUREZZA
«Da ministro delle Infrastrutture mi farebbe molto comodo avere Starlink nelle aree attualmente disconnesse. Avere uno come Musk che investe in Italia è importante » dice Matteo Salvini a Libero. Musk ringrazia via X. Una stretta di mano virtuale che può costare miliardi di soldi pubblici.
Quando a fine gennaio Elon Musk fece visita al governo italiano e incontrò Alessio Butti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’innovazione, non tutti avevano capito la portata del fenomeno Starlink. Musk con i suoi satelliti si era già offerto di coprire parte delle aree bianche e grigie del paese, quelle a fallimento di mercato o quasi, per le quali Open Fiber ha vinto i bandi su cui insistono i soldi del Pnrr predisponendo il piano 1Giga.
Pur sapendo che il piano di Open Fiber prosegue a rilento, […] si è deciso di blindare i fondi del Pnrr, anche se non è sicuro che verranno spesi tutti. Ma Musk ha deciso di partire comunque con il suo servizio via satellite in Italia chiedendo di poter accedere alle frequenze di trasmissione.
La sua Starlink è infatti in grado di offrire un servizio in download a 600 mega e in upload a 100 mega a un prezzo di 29,90 euro al mese con un kit parabola dal costo di 250 euro. Un servizio che diventerebbe molto competitivo nelle aree bianche dove Open Fiber sta cercando di portare la fibra fin nelle case con costi molto elevati. Andando ad attecchire anche in quelle zone dove Tim offre un servizio Adsl attraverso il cavo in rame.
Ecco perché la società guidata da Pietro Labriola sta ponendo degli ostacoli che hanno generato un esposto di Starlink all’AgCom. L’iniziativa di Musk […] può essere devastante sia per Tim ServCo, sia per Open Fiber che per la Netco. Può provocare una perdita immediata di clienti, e quindi di ricavi, che poi sarà difficile andare a riprendere una volta che i collegamenti in fibra saranno completati.
I problemi di latenza associati alla banda larga via satellite sono quasi impercettibili per gli utenti privati, mentre potrebbero essere determinanti per le imprese o la pubblica amministrazione. Tra l’altro il governo attraverso la Cassa Depositi e Prestiti è azionista con il 60% di Open Fiber insieme al fondo australiano Macquarie che ha il 40%. E sta predisponendo altri soldi pubblici a supporto del piano di cablaggio in fibra.
Ma con l’eventuale ingresso di Starlink tutto si farebbe più difficile, come per esempio l’auspicata fusione tra Open Fiber e Netco che secondo il contratto firmato da Kkr potrebbe portare a un “earn out”, cioé un incasso aggiuntivo versato dal compratore nelle casse della Tim oltre ai 18,8 miliardi già pattuiti e decisivo per dare stabilità all’ex monopolista. La partita Tim, dunque, già complicata di suo con i francesi di Vivendi schierati contro il governo […], con Musk si arricchisce di un ulteriore elemento di incertezza. Tra 20 giorni l’assemblea dovrà decidere se votare la lista del cda uscente confermando Labriola alla guida oppure se cambiare cavallo.
(da “la Repubblica”)
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