Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
L’OFFERTA C’E’ STATA, PROBABILE CHE IL PADRE DELLA SALIS VOGLIA SEGUIRE UNA VIA LEGALE DIVERSA… ERA LA STRADA PIU’ SICURA, POI OGNUNO E’ LIBERO DI ILLUDERSI CHE ESISTANO ALTRI MODI PER OTTENERE LA LIBERAZIONE DI ILARIA
Elly Schlein alla fine smentisce l’ipotesi di una candidatura di Ilaria Salis tra le fila del Pd alle prossime elezioni europee. La segretaria del partito è intervenuta a Cinque minuti, su Rai1, dopo le indiscrezioni circolate nelle scorse ore riguardo la presunta presentazione in lista della donna attualmente in carcere a Budapest. «Questa ipotesi non è in campo. Non c’è in corso nessuna trattativa», ha spiegato Schlein. Che nelle scorse ore aveva incontrato il padre di Ilaria Salis: colloquio che aveva alimentato le voci ora smentite.
«Ho voluto incontrare il padre di Salis per discutere come possiamo aiutare a toglierla dalla condizione in cui si trova – ha precisato Schlein -. Nel dibattito sul totonomi terrei fuori una situazione delicata come questa».
Su questa candidatura e sulle possibili conseguenze Open ha sondato l’ipotesi con Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico italiano e comparato all’Università La Sapienza di Roma e direttore del master in Scienze elettorali e del governo nel medesimo ateneo. «Se divenisse parlamentare europea – ha spiegato – questo non soltanto le consentirebbe di godere delle immunità che l’ordinamento italiano riconosce ai parlamentari italiani, ma anche evidentemente di essere esente, ai sensi dell’art. 9 del medesimo Protocollo che le ho citato, da ogni provvedimento di detenzione o sottoposizione a procedimento giudiziario in un altro Stato membro differente dall’Italia».
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DELLA CGIL, MAURIZIO LANDINI: “BISOGNA ABROGARE LE LEGGI SBAGLIATE CHE SONO ALL’ORIGINE DEL LAVORO POVERO E PRECARIO. L’ANNO SCORSO SU 7 MILIONI DI CONTRATTI ATTIVATI SOLO IL 16% ERA STABILE, L’84% A TERMINE, INTERMITTENTE, STAGIONALE, SOMMINISTRATO. IN ITALIA QUASI 6 MILIONI DI PERSONE NON ARRIVANO A 11 MILA EURO LORDI ANNUI DI REDDITO DA LAVORO”
«Abrogare le leggi sbagliate che sono all’origine del lavoro povero e precario». Lo dice Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, mentre annuncia il referendum per abolire il Jobs Act e ripristinare l’articolo 18. «Ridiamo voce e dignità ai cittadini, rimettiamo nelle loro mani uno strumento per decidere. L’Italia ha gli extraprofitti ai massimi e gli stipendi ai minimi. È ora di fare rumore e dire basta».
«Basta con la propaganda e le promesse da eterna campagna elettorale. Metà degli italiani non vota più, il Paese invecchia, fa muro ai migranti e lascia scappare i giovani all’estero. Anziché lottare contro l’evasione, il governo procede a colpi di sanatorie, concordati, condoni. Diciamo no al lavoro precario, sì al lavoro dignitoso in cui non si muore lavorando».
La battaglia sull’articolo 18 non è di retroguardia? I giovani non sanno neanche cos’è.
«Non lo sanno perché non hanno più tutele e perché sono totalmente precari. Mai sentito un giovane dire che da grande vuole fare il precario». [«L’anno scorso su 7 milioni di contratti attivati solo il 16% era stabile, l’84% precario. E cioè a termine, intermittente, stagionale, somministrato. In Italia quasi 6 milioni di persone non arrivano a 11 mila euro lordi annui di reddito da lavoro. E il governo non ha preso un euro da profitti ed extraprofitti».
Il governo, al contrario, rivendica il record di occupazione e la povertà “stabile”.
«I numeri parlano chiaro. La povertà aumenta. E se anche l’occupazione cresce, significa una cosa sola: si è poveri pur lavorando. È arrivato il momento di cambiare. E di fare un bilancio onesto su 25 anni di politiche di flessibilità del mercato del lavoro, avallate da tutti i governi, dal Libro Bianco di Maroni al Jobs Act di Renzi».
E qual è la sua lettura?
“Sanità e istruzione tagliati, politiche industriali inesistenti, lavoro insicuro. Il governo Meloni non ha invertito queste tendenze, anzi ha liberalizzato il lavoro a termine e reintrodotto i voucher. A pagare sono soprattutto giovani, donne e Sud. Ecco perché abbiamo deciso di usare anche l’arma del referendum». «Chiediamo di abolire il subappalto a cascata, sia nei lavori pubblici che privati. La responsabilità del committente per ciò che succede lungo tutta la catena. Il ripristino della parità economica e normativa in tutti gli appalti.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LEI È STATA COSTRETTA ALLE DIMISSIONI PER AVER PROTETTO UN PEDOFILO. LUI, DOPO AVER PUBBLICATO UNA REGISTRAZIONE IMBARAZZANTE DELL’EX COMPAGNA (“È UN GOVERNO MAFIOSO”), È SCESO IN CAMPO CONTRO IL “VIKTATOR”
Il primo ministro ungherese Viktor Orban si sta trovando di fronte grosse difficoltà in vista delle elezioni europee di giugno, con il suo partito che è stato travolto da due scandali politici nel giro di sei settimane.
Orban è un alleato di lunga data dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ed è considerato il più stretto sostenitore del presidente russo Vladimir Putin all’interno dell’Unione Europea. Il leader di destra guida il Paese dell’Europa centrale dal 2010: è il capo di governo più longevo dell’UE.
Tuttavia, due gravi scandali hanno recentemente scosso il suo dominio sul panorama politico di Budapest, in un momento delicato in cui l’Ungheria si prepara alla tornata di elezioni locali ed europee all’inizio di giugno.
L’ultima controversia “probabilmente si rivelerà più problematica” per Orban, secondo gli analisti dell’Eurasia Group, che notano come il primo ministro ungherese sia riuscito in precedenza a superare uno scandalo relativo a una grazia senza una significativa perdita di sostegno pubblico.
Peter Magyar, un avvocato poco conosciuto e in passato vicino al governo di Orban, ha pubblicato la scorsa settimana una registrazione audio che, a suo dire, prova che i funzionari di alto livello hanno cospirato per coprire la corruzione diffusa all’interno del Governo. Da allora ha annunciato l’intenzione di formare un nuovo partito politico per sfidare il partito Fidesz di Orban.
“Da figura praticamente sconosciuta fino a pochi mesi fa, [Magyar] sta ora organizzando con successo manifestazioni su larga scala a Budapest e sta dominando l’agenda politica e il discorso pubblico”, ha dichiarato Zsuzsanna Vegh, visiting fellow presso il German Marshall Fund degli Stati Uniti, un think tank transatlantico.
Vegh ha dichiarato alla CNBC che la brusca svolta politica di Magyar indica una grande richiesta di una nuova leadership politica nel Paese.
“Ha annunciato il lancio di un movimento politico e potrebbe cercare di attingere a un mix di elettori disillusi di Fidesz e dell’opposizione e, soprattutto, indecisi, forse persino apolitici”, ha detto Vegh. Non è chiaro se Magyar possa mantenere il suo slancio”.
Magyar ha pubblicato su Facebook e YouTube una registrazione di una conversazione con Judit Varga – sua moglie e all’epoca ministro della Giustizia ungherese – in cui la donna afferma di essere a conoscenza del fatto che funzionari del governo avevano falsificato le prove di un caso di corruzione durante il suo mandato.
Secondo la Reuters, le rivelazioni hanno spinto diverse migliaia di cittadini a protestare vicino al Parlamento di Budapest il 26 marzo. La manifestazione ha fatto seguito alla più grande protesta degli ultimi anni che ha avuto luogo all’inizio di febbraio, quando è emerso che l’ex presidente ungherese Katalin Novak aveva concesso la grazia a un uomo incarcerato per aver coperto una serie di abusi sessuali su minori.
Gli alleati di Orban, tra cui Novak e Varga, sono stati costretti a dimettersi in seguito allo scandalo della grazia.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
BOLSONARO, INDAGATO NELL’INCHIESTA SUL TENTATO COLPO DI STATO DEL 2023, STA CERCANDO L’APPOGGIO DELL’AMICO ORBAN PER SFUGGIRE ALLA GIUSTIZIA BRASILIANA IN CASO DI CONDANNA… A BOLSONARO E’ STATO RITIRATO IL PASSAPORTO
L’ambasciata dell’Ungheria a Brasilia ha licenziato due dipendenti a seguito della diffusione non autorizzata dei video del circuito di video-sorveglianza che hanno rivelato la misteriosa visita di due giorni dell’ex presidente Jair Bolsonaro nella sede diplomatica lo scorso febbraio. Lo riferisce Cnn Brasil.
Nonostante non sia stata dimostrata la partecipazione dei dipendenti brasiliani alla diffusione dei video l’ambasciata ha scelto ugualmente di licenziare chi aveva accesso ai monitor.
Un’indagine interna era stata aperta immediatamente dopo la diffusione delle immagini da parte del quotidiano statunitense New York Times per scoprire come le informazioni e i video fossero arrivati alla stampa.
In occasione della pubblicazione il quotidiano suggeriva che “l’ex capo dello Stato stesse cercando di sfruttare la sua amicizia il primo ministro ungherese Viktor Orban, nel tentativo di eludere il sistema giudiziario brasiliano” dove affronta numerosi procedimenti penali. La visita è avvenuta infatti due giorni dopo il sequestro del passaporto di Bolsonaro nell’ambito delle indagini per il tentato colpo di stato dell’8 gennaio 2023.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
I RESIDENTI SI SCAGLIANO CONTRO SALVINI: “MILLE PERSONE RESTERANNO SENZA CASA”… IN PIÙ C’È LA RABBIA DI CHI SARA’ COSTRETTO A VIVERE TRA I CANTIERI PER LA COSTRUZIONE DEL PONTE
Il momento più temuto, per tanti messinesi, è arrivato. E cresce la paura che il tanto discusso ponte sullo Stretto possa diventare realtà. Sono oltre 400, infatti, tra abitazioni private e locali commerciali, gli edifici che dovranno essere abbattuti. Quasi tutti, tra i laghi di Ganzirri e la riserva naturale di Capo Peloro, dove sorgerà una torre di quattrocento metri, che fungerà da pilone. Il resto, negli altri quartieri, interessati dalle opere collaterali, come strade e ferrovie, tra l’Annunziata e Contesse. E in Calabria, ovviamente.
La confusione, però, regna ancora sovrana. E proprio per questo motivo, a Messina, un anno fa, da un’iniziativa di un gruppo di cittadini, è nato il comitato “No Ponte – Capo Peloro”.
A guidarlo, tra gli altri, i coniugi Daniele Ialacqua e Mariella Valbruzzi, storici ambientalisti e “nopontisti”, assieme ai figli, Giuseppe e Nicola: «Stiamo lottando – afferma Mariella – affinché non si arrivi all’apertura dei cantieri. I giochi, ancora, non sono fatti. E abbiamo tante carte da giocare».
Secondo l’amministratore delegato della società “Stretto di Messina”, Pietro Ciucci, gli immobili da espropriare, a Messina, saranno trecento. E centocinquanta, invece, in Calabria.
«Ciucci parla di molte seconde e terze case, ma questo non vuol dire niente. – prosegue Ialacqua – Abbiamo organizzato un’assemblea, lo scorso 16 marzo, dal titolo emblematico: “Siamo tutti espropriandi”.
E ci teniamo a ribadire un concetto: gli “espropriandi”, per noi, non sono solo coloro che perderanno la loro casa, ma anche quelli che si troveranno a vivere tra oltre quaranta cantieri, di cui, a quanto pare, trentadue nel Messinese e undici in Calabria. C’è chi ci chiede informazioni, chi vuole intraprendere azioni legali e chi vuole sapere se subirà i danni dei cantieri, anche indirettamente. Gli “espropriandi”, forse, solo adesso, hanno percepito il reale pericolo del ponte sullo Stretto».
(da La Repubblica)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
AL PRESIDIO ANCHE GIUSEPPE CONTE: “SE L’ENI HA INTERESSE A VENDERE QUESTA AGENZIA LO FACCIA IN MODO TRASPARENTE, TRAMITE UNA GARA. L’OPERAZIONE DEVE ESSERE A VANTAGGIO DELL’INTERA COMUNITÀ, NON DI UN SINGOLO PARLAMENTARE CHE FRA L’ALTRO STA GIÀ COSTRUENDO UN MONOPOLIO”
Una manifestazione in piazza della Rotonda, di fronte al Pantheon a Roma, e poi un’intera giornata di sciopero, giovedì, per ribadire la contrarietà alla possibile cessione dell’Agi al gruppo Angelucci da parte di Eni.
I giornalisti dell’agenzia di stampa, supportati anche da Fnsi e Stampa Romana, così come dalle opposizioni Pd, M5s, Alleanza Verdi Sinistra, Azione e Più Europa, sono scesi in piazza contro la decisione della società partecipata dal ministero dell’Economia, che è in trattativa avanzata con gli Angelucci – editori anche di Libero, Il Giornale, Il Tempo e il Corriere dell’Umbria – per il passaggio di proprietà.
Antonio Angelucci è anche deputato della Lega, un aspetto che allarma anche gli eurodeputati del Pd impegnati a sottoporre il caso alla Commissione Europea. Ma non solo. “Questa è una operazione che travalica il comune senso del pudore, in grande spregio di ogni logica di conflitto d’interessi“, ha accusato pure l’ex segretario dem Pier Luigi Bersani, intervenendo al presidio
“Siete i minatori dell’informazione che vanno in cerca di materie prime, siamo con voi”, ha rivendicato, rivolgendosi ai giornalisti e alle giornaliste in presidio. Con lui in piazza anche una delegazione dem, con la capogruppo Chiara Braga e, tra gli altri, i parlamentari Andrea Orlando, Peppe Provenzano, Filippo Sensi, Walter Verini, il responsabile Informazione Sandro Ruotolo.
“Siamo un Paese del G7? Una democrazia? In democrazia non dovrebbe accadere che un’azienda di Stato offra tramite trattativa privata un’agenzia di stampa a un parlamentare di maggioranza, la seconda del Paese. Una vergogna che contrasteremo in ogni modo“, ha attaccato il presidente M5s Giuseppe Conte.
“Se l’Eni ha interesse a vendere questa agenzia lo faccia in modo trasparente, tramite una gara. L’operazione deve essere a vantaggio dell’intera comunità, non di un singolo parlamentare che fra l’altro sta già costruendo un monopolio nel campo dell’informazione, dato che controlla già tre testate giornalistiche. Questa concentrazione è assolutamente contraria all’interesse pubblico e una partecipata di Stato non può mettersi ad accrescere questa concentrazione”, ha continuato.
Per poi intrattenersi con i cronisti in presidio: “Mi dicono, secondo indiscrezioni, che potrebbe essere Mario Sechi regista dell’operazione? Se così fosse ci metta la faccia. Ci piace la democrazia e la trasparenza, che ne parli pubblicamente se così fosse”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
SOLDI CHE VENGONO SOTTRATTI ALLA MANUTENZIONE STRADALE O AI SERVIZI SOCIALI… LE AMMINISTRAZIONI DENUNCIANO I PROBLEMI NEL RECUPERO DELLE IMPOSTE EVASE: “ABBIAMO POCO PERSONALE DA DEDICARE ALLE VERIFICHE”
Tasse non riscosse, per un valore di almeno 7,5 miliardi all’anno, che per i cittadini si traducono in meno interventi per riparare le buche, per pulire i marciapiedi oppure per migliorare i servizi per gli anziani.
Ogni anno sui Comuni italiani grava un buco da sette miliardi e mezzo, pari a un terzo dell’ultima manovra finanziaria nazionale, legato ai minori incassi dei due principali tributi – Imu e Tari – che con l’addizionale Irpef compongono il monte delle risorse per la spesa corrente. Quella destinata ai servizi appunto.
L’economista Massimo Bordignon, vicepresidente Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (Ocpi) dell’università Cattolica, ha stimato che gli enti locali in media non riescono a incassare il 40 per cento della Tari, la tassa sui rifiuti, e il 22 per cento dell’Imu, la patrimoniale sulla casa.
Nel primo caso, la responsabilità della riscossione è totalmente in capo ai Comuni, che anche quanto affidano a realtà esterne il pagamento dei tributi scontano la mancanza di personale e di competenze nell’attività di accertamento, se non lassismo nei controlli.
Nel secondo caso, i sindaci devono scontrarsi contro il Moloch dell’evasione, che soltanto per l’Imu sfiora i cinque miliardi all’anno, con i loro uffici responsabili nell’aggiornamento delle informazioni catastali. Attività che storicamente va a rilento.
Scrive Bordignon in uno studio redatto con i colleghi Davide Cipullo, Isotta Valpreda e Leoluca Virgadamo: «I principali tributi comunali, come l’Imu e la Tari, dovrebbero essere facilmente accertabili e riscuotibili, data l’immediata definizione della loro base imponibile, l’informazione disponibile sul patrimonio immobiliare e la semplicità di calcolo delle imposte dovute.
Virtuoso il Nord, meno il resto del Paese. Questo il quadro generale, con gli economisti che suggeriscono la soluzione: «Occorre intervenire sia in termini di efficientamento amministrativo degli uffici comunali sia di condivisione di banche dati e di rapporti con l’Agenzia delle Entrate, che dovrebbe in prima battuta perseguire i renitenti al pagamento delle imposte»
Dal mondo dell’Anci le stime sulla mancata riscossione della Tari sono più basse: mancherebbe all’appello il 30 e non il 40 per cento degli oltre 6,5 miliardi totali da incassare. Soprattutto si fa notare che il problema è legato a doppio filo con il deficit di personale nelle amministrazioni comunali (negli ultimi 15 anni c’è stato un calo del 30 per cento), che a cascata si ripercuote nelle attività di accertamento, controlli e aggiornamenti dati.
Molto virtuose le amministrazioni del Nord, meno quelle delle città più popolose e quelle del Sud. Lo dimostra anche quanto accantonato dai sindaci nei Fondo crediti di dubbia esigibilità, dove vengono inserite le somme difficili, se non impossibili, da riscuotere come quelle legate alle morosità su Tari o multe stradali: su quasi 6 miliardi di euro totali, 2,7 miliardi riguardano le amministrazioni del Sud e quelle insulari, mentre al Nord – la parte più popolosa del Paese – la cifra sfiora gli 1,7 miliardi e al Centro il miliardo e mezzo di euro.
Il Comune di Roma, negli ultimi anni preda di un’emergenza rifiuti legata alla mancanza di impianti, ha visto negli ultimi anni dimezzare la morosità sulla Tari – ora intorno ai 50 milioni ai quali se ne aggiungono una settantina legati al pregresso – e proprio grazie al recupero del sommerso è riuscito a congelare la tariffa dell’imposta.
Milano e Bologna, grazie all’automazione nei servizi di verifica, hanno ridotto al lumicino l’evasione, mentre Napoli e Palermo, dove la situazione è opposta, si sono affidate a enti terzi di riscossione.
(da Il Il Messaggero)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
I DUE, DEL RESTO, HANNO CONCLUSO INSIEME L’AFFARE DELLA VITA: UNA PLUSVALENZA DA UN MILIONE DI EURO PER LA VENDITA DI UNA CASA PROPRIO A FORTE DEI MARMI
Con l’eccezione dell’amico e sponsor Ignazio La Russa, la ministra del Turismo trova pochi sostenitori perfino in Fratelli d’Italia, il suo partito. Gli amici, però, si vedono nel momento del bisogno. E allora, la foto, pubblicata da Dagospia, della Pasqua al Twiga di La Russa e Santanchè va letta come un segnale chiaro che il presidente del Senato non ha nessuna intenzione di sganciarsi dalla sua protetta.
Del resto, proprio a poche centinaia di metri dallo stabilimento balneare più famoso della Versilia, si trova la villa attorno al quale ruota l’affare immobiliare da un milione di euro gestito dalla moglie di La Russa, Laura De Cicco, con il compagno della titolare del Turismo, Dimitri Kunz. Un affare su cui la procura di Milano ha aperto un’indagine per un sospetto riciclaggio.
Vicino al parco della Versiliana si trova la villa, un’altra, comprata nel 2014 e intestata a Lorenzo Mazzaro, nato dall’unione tra Santanché e il finanziere Giovanni Canio Mazzaro. Dagli atti risulta che il figlio della ministra ha acquistato l’immobile per 800 mila euro due giorni dopo aver compiuto 18 anni. L’acquisto venne finanziato grazie a un mutuo di 750 mila euro di Banca Mediolanum.
Santanchè, all’epoca deputata di Forza Italia, si fece garante del figlio per il prestito erogato dall’istituto di credito di cui Silvio Berlusconi, tramite Fininvest, era azionista di rilievo. Mazzaro junior, classe 1996, partecipa attivamente agli affari di famiglia. A dicembre del 2022, ha preso il posto della madre come amministratore unico di Immobiliare Dani, una holding a cui faceva capo anche il gruppo Visibilia finito nei guai di lì a poco.
Più recente invece è l’ingresso del giovane Mazzaro nel giro dei Crazy Pizza, le pizzerie di lusso. Il marchio lanciato da Flavio Briatore è già sbarcato a Roma, a Milano e a Porto Cervo. A breve, però, è prevista anche un’apertura a Forte dei Marmi, anche se l’inaugurazione viene rimandata di mese in mese.
In questo caso, però, Briatore si è fatto affiancare nell’iniziativa anche dai due stretti congiunti della sua amica Santanchè. E così, carte alla mano, si scopre che la società Crazy Forte vede tra i suoi azionisti Lorenzo Mazzaro insieme a Kunz, con una quota del 25 per cento ciascuno. L’altra metà del capitale fa invece capo alla capogruppo Crazy Pizza di Lussemburgo, controllata da Briatore.
Un copione simile è andato in scena l’anno scorso anche a Cortina d’Ampezzo, dove una società lussemburghese di Briatore ha comprato “El Camineto”, storico locale della Perla delle Dolomiti. Per finanziare l’operazione era sceso in campo Kunz, che direttamente e indirettamente possiede quasi il 40 per cento della neonata società cortinese di cui mister Twiga controlla 25,5 per cento, affiancati all’uomo d’affari kazako Andrei Toporov.
Proprio al Twiga è legata l’unica attività che con ogni probabilità sta dando ancora qualche soddisfazione alla ministra, almeno dal punto di vista finanziario. È noto, infatti, che nell’autunno del 2022 la ministra ha venduto la sua partecipazione dell’11 per cento nel capitale dello stabilimento balneare di Forte dei Marmi controllato da Briatore.
Un affare in famiglia, in pratica, visto che le azioni sono state rilevate da società di Kunz. Di lì a poco però, nell’aprile dell’anno scorso, lo stesso Kunz si è messo in società con Santanchè per creare l’accomandita LDD sas, che ha per oggetto sociale “la consulenza in materia di strategia gestionale” nella ristorazione e altre attività turistiche.
Per trovare un cliente, Kunz e Santanchè non sono andati lontano.Laa La Ldd ha firmato un contratto per la gestione del Twiga e i proventi, siamo sui 300 mila euro l’anno, andranno per il 90 per cento alla ministra, cioè la socia accomandante. La gestione invece spetta a Kunz, che però avrà solo una quota minima degli utili, anche se dovrà rispondere in modo illimitato col patrimonio personale in caso di perdite e debiti. Morale: gli oneri a lui e gli oneri, e i profitti a lei, la ministra.
(da Editoriale Domani)
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Aprile 3rd, 2024 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL LAZIO HA COMBATTUTO PER RINVIARE LA RIFORMA DEI “LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA” E HA VINTO… IL MOTIVO DI TANTA OPPOSIZIONE AL PUNTO DA RIMANDARE LA RIFORMA? I TITOLARI DEI LABORATORI PRIVATI AVEVANO PROTESTATO PER I TAGLI AI COSTI DEGLI ESAMI
È una triste storia, comune a tante riforme, promesse per anni e poi regolarmente rinviate. Con l’aggravante che questa volta lo slittamento riguarda la sanità, cioè il sistema pubblico di cura dei cittadini.
A causa delle pressioni delle lobby delle strutture private, i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza, non partono. Almeno fino a gennaio dell’anno prossimo, non crescerà il numero delle prestazioni che le Regioni sono tenute ad offrire gratuitamente.
Niente procreazione medicalmente assistita in tutto il Paese, quindi, niente cure per un maggior numero di malattie rare e croniche, niente protesi più moderne, niente stabilizzazione dei fondi per l’anoressia, niente nuovi protocolli per seguire chi ha l’autismo e così via. Sono decine le prestazioni bloccate.
Una beffa, prima di tutto per il ministro alla Salute Orazio Schillaci. Un anno fa aveva annunciato che finalmente i nuovi Lea stavano per diventare realtà e non mancava mai, nei frequenti incontri pubblici, di citarli come uno dei successi (peraltro piuttosto rari) della sua gestione.
Si doveva partire il primo gennaio 2024, poi il primo aprile e infine, ha deciso pochi giorni fa la conferenza Stato-Regioni, l’anno prossimo. Anche molte amministrazioni locali sono rimaste sorprese dallo slittamento. In particolare quelle del Centro-Nord che già offrono prestazioni extra Lea e speravano in un sistema sanitario nazionale più omogeneo.
Il decreto per i Lea ha due filoni principali. Il primo è appunto quello delle prestazioni offerte gratuitamente ai pazienti. Per garantirle ci vogliono fondi che tra l’altro sono già riconosciuti alle Regioni da tempo, come ha fatto notare il Mef, che ha espresso parere contrario al rinvio. Malgrado questo si è deciso lo slittamento e ora andrà capito se hanno qualcosa da ridire Consiglio di Stato e Corte dei Conti. Il secondo punto riguarda il cosiddetto nomenclatore tariffario.
Ci si basa su quello per riconoscere alla sanità privata convenzionata il compenso per i suoi servizi. Ebbene, nel nuovo nomenclatore ci sono delle riduzioni dei prezzi (ad esempio risonanze e tac vengono pagate circa il 30% in meno).
Si parte dal presupposto che con il miglioramento tecnologico i costi di certi accertamenti siano scesi. Il nodo sono i laboratori. Sulle tariffe dei singoli esami del sangue ci sono stati tagli, peraltro previsti ormai da tempo, visto che già nella precedente legislatura si era lavorato alla riforma.
I titolari dei laboratori di analisi privati, per la gran parte convenzionati al Centro-Sud, hanno protestato. La loro linea è stata sposata dal presidente del Lazio Francesco Rocca, che l’altro giorno nella conferenza Stato-Regioni ha battagliato per il rinvio. In questi mesi si lavorerà a delle nuove tariffe. Intanto l’offerta sanitaria resta ferma. Le esigenze di una parte dei privati hanno prevalso su quelle dei pazienti.
(da La Repubblica)
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