Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA SEGRETARIA “IRRITATA DALLE VICENDE GIUDIZIARIE”
“Forte irritazione della segretaria per le vicende giudiziarie emerse in questi giorni. Schlein ha chiesto massimo rigore e atti concreti al Pd pugliese che ci sta già lavorando e al presidente Michele Emiliano di aprire un netto cambio di fase in Puglia”.
In mattinata Giuseppe Conte a Bari aveva annunciato l’uscita dalla maggioranza dei consiglieri cinque stelle e proposto al governatore un patto per la legalità.
Schlein a Bari per Leccese dà la linea al Pd: “Di fronte alle inchieste andare fino in fondo per diventare immuni alle infiltrazioni”
La nota diffusa in serata dalla segreteria dem prosegue: “Già nei giorni scorsi a Bari aveva detto che bisogna tenere lontani trasformisti e interessi sbagliati e che serve rispetto per la comunità democratica fatta da tanti amministratori e militanti che hanno gli anticorpi per scardinare la cattiva politica”.
Intanto, poche ore prima, il segretario del Pd pugliese, Domenico De Santis aveva annunciato: “Nelle prossime ore convocheremo tutti gli organismi: segreteria regionale, gruppo consiliare, direzione regionale così come abbiamo chiesto al presidente Emiliano di convocare una riunione di maggioranza per avviare una verifica di governo e valutare il rilancio dell’azione amministrativa per un nuovo patto di fine legislatura”.
Aggiungendo: “Per quanto attiene alla composizione del gruppo in Consiglio regionale Filippo Caracciolo si è dimesso da capogruppo, mentre Michele Mazzarano, che si è già autosospeso, e Anita Maurodinoia non ne faranno più parte così come previsto dal nostro codice etico”. Si tratta di tre consiglieri implicati in vicende giudiziarie vecchie e nuove: Caracciolo rinviato a giudizio per corruzione e turbativa d’asta, Mazzarano già condannato a 9 mesi per corruzione, e Maurodinoia indagata per corruzione elettorale.
Lo stesso Emiliano in una nota aveva puntualizzato: “Non era indispensabile l’uscita del M5S dalla giunta per ribadire i nostri comuni convincimenti. Sono schierati per la legalità anche gli altri partiti e componenti della nostra coalizione. Questo è il segno che la linea da seguire è chiara a tutti, dentro e fuori le istituzioni, perché ciò che emerge dalle inchieste di questi giorni, è che bisogna ulteriormente rafforzare e dare nuovo impulso a quanto già realizzato in questi anni in tema di anticorruzione, vigilanza, antimafia e prevenzione. E che questo non deve essere un tema divisivo della politica ma un obiettivo comune”.
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
PER QUESTO MERCOLEDÌ INCONTRERÀ DI NUOVO IL DITTATORELLO TUNISINO, KAIS SAIED … L’ULTIMA ROTTA È QUELLA ASIATICA: I MIGRANTI PARTONO DAL BANGLADESH IN AEREO E ATTERRANO NEGLI EMIRATI, POI ARRIVANO SULLE COSTE LIBICHE E DA LÌ SI IMBARCANO VERSO IL NOSTRO PAESE
Martedì, Palazzo Chigi. Giorgia Meloni raduna nel primo pomeriggio un cenacolo ristretto di ministri. Il titolare del Viminale Matteo Piantedosi, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il sottosegretario Alfredo Mantovano. Con loro anche i vertici dell’intelligence, al suo posto Elisabetta Belloni, direttore del Dis.
C’è un file-rouge che unisce queste riunioni convocate ogni due settimane dalla premier, lontano dai riflettori: i migranti. Il titolo in burocratese, “stato di avanzamento lavori”, nasconde una missione politica: monitorare passo passo l’andamento degli sbarchi in vista di un’estate che promette bufera. Un’altra volta.
Ora però sul tavolo c’è un allarme specifico. Alle rotte africane, la carovana di migranti in mano ai trafficanti che dalla Tunisia e la Libia sfida il Mediterraneo per raggiungere le coste italiane, se ne è aggiunta un’altra, imprevista. Arriva dall’Asia e inizia a preoccupare i nostri apparati di sicurezza.
Dal Bangladesh, la piccola e popolosissima autocrazia asiatica al confine con l’India, da mesi va avanti un insolito pellegrinaggio di migranti illegali che riescono ad arrivare in Italia dopo lunghe peripezie. Il cruscotto giornaliero del Viminale fotografa la nuova rotta.
Da gennaio al 10 aprile, 2927 bangladesi sono sbarcati in Italia. Sono la prima nazionalità dichiarata all’arrivo. Sopra la Siria (2230), perfino la Tunisia (1745) e la Guinea (1437). È un nuovo carico che sta aggravando le procedure di accoglienza e il trend promette di crescere notevolmente con i primi mesi dell’estate. Dietro l’impennata di arrivi asiatici c’è uno schema che ora il governo vuole rompere. I migranti bangladesi arrivano via mare, su barche di fortuna dalle coste nordafricane. Ma prima fanno un lungo, lunghissimo giro.
§Partono da Dacca, la capitale, prendono un volo aereo in direzione degli Emirati Arabi Uniti, atterrano a Dubai o Abu Dhabi. Possono entrare con facilità nel Paese del Golfo grazie a un sistema di visti “soft” che permette di soggiornarvi senza avere un permesso di lavoro.
Di qui risalgono su un aereo e partono alla volta del Cairo, in Egitto, o direttamente di Tripoli e Bengasi, in Libia. Ed è con questa triangolazione che arrivano alle coste libiche, in quella terra di nessuno dove i trafficanti di esseri umani hanno gioco facile, dietro salati compensi, a metterli sui barconi insieme ai tunisini e i siriani.
Preoccupa la Tunisia, dove Meloni sarà in visita con Piantedosi mercoledì prossimo, questa volta senza Ursula von der Leyen, nonostante la stretta sui controlli ai confini e i programmi economici accordati con l’Ue dal presidente Kais Saied. Il colabrodo libico è un altro cruccio.
La premier teme un nuovo anno di passione sul fronte migratorio. Con contraccolpi politici, già prima delle elezioni europee di giugno. Ha scommesso tutto sul Piano Mattei, sugli investimenti e la cooperazione di lungo periodo che però nel breve termine non danno risultati da rivendere alle urne. Ha confessato lei, a inizio anno, il rimpianto per il boom di arrivi nel 2023: 157mila. Un replay sarebbe difficile da spiegare agli elettori.
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
I PROBLEMI DI SALVINI ALLE PRESE CON LA GRANA VANNACCI: NELLA CIRCOSCRIZIONE ISOLE LA LEGA POTREBBE NON AVERE ELETTI
Uno, nessuno e centomila. Nomi e cognomi del centrodestra per le europee. Liste scarabocchiate, cancellate, corrette. Un romanzo pirandelliano, a due mesi dal voto.
E una grande casella ancora vuota: quella riservata a Giorgia Meloni, che potrebbe sciogliere le riserve alla conferenza programmatica del suo partito, il prossimo 28 aprile a Pescara. Ai piani alti di Fratelli d’Italia c’è chi ha pensato che a questo punto, una volta aperto il recinto di Palazzo Chigi, sarebbe una buona idea candidare anche i ministri di FdI. Un’operazione per trainare il partito nelle urne, salvo poi fare in modo che i big rinuncino per lasciare posto ai “veri” aspiranti europarlamentari. Questa idea, però, a Meloni proprio non piace.
Anche a via della Scrofa, nelle ultime ore, reagiscono scuotendo la testa: «È escluso. Si toglierebbero troppe energie al governo, daremmo l’impressione di voler costruire una campagna elettorale finta e si creerebbero attriti con gli altri candidati».
La porta resta invece aperta a uno o due ministri che volessero correre e a Bruxelles, poi, nel caso andrebbero davvero
Ma è un’eventualità ancora lontana. I nomi circolatinegli ultimi mesi, del ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso e della Cultura Gennaro Sangiuliano, in questo momento sembrano essere più che altro una suggestione.
Meloni non vuole nemmeno candidature civiche. Preferisce gente di partito, fedele, che può controllare. Tutto il contrario di Forza Italia e Lega, dove i civici quest’anno sono di gran moda.
Qualche problema in più lo ha la Lega. E non solo con il generale Roberto Vannacci, che pretende un posto da capolista. Raccontano che Matteo Salvini abbia difficoltà a completare le liste. Per ora il Carroccio ha incassato il sì di alcuni ex di peso. Raffaele Stancanelli, già sindaco di Catania ed europarlamentare uscente, ha lasciato Meloni e correrà per la Lega. Così come Aldo Patriciello, mister preferenze in Molise che probabilmente sarà capolista al Sud, e Mario Abbruzzese: entrambi con un passato in Forza Italia. Nelle liste del Carroccio ci sarà anche il nome di Alessandro Fermi, assessore all’Università della regione Lombardia e gli uscenti Angelo Ciocca (inviso all’inner circle salviniano, ma capace di raccogliere un buon pacchetto di voti) e la toscana Susanna Ceccardi. Pensano poi a una candidatura la deputata Simonetta Matone e il sottosegretario Claudio Durigon.
Più pop l’potesi di Massimo Casanova, patron del Papeete, con tutto quello che evocano le immagini di Salvini a torso nudo e mojito in mano. Al Sud, invece, perso Raffaele Lombardo, la Lega rischia di non far scattare nemmeno un seggio nella circoscrizione Isole. Prova quindi a recuperare in Calabria con Orlandino Greco, leader di Italia del Meridione, e con un noto imprenditore del settore florovivaistico. Dalla Toscana danno per certa la candidatura dell’ex portiere della nazionale di calcio Giovanni Galli, attuale consigliere regionale della Lega.
Fratelli d’Italia è in attesa che Meloni ufficializzi la sua candidatura. In attesa che salti il tappo, Carlo Fidanza, capodelegazione a Strasburgo, ha iniziato ad attaccare manifesti e fa concorrenza al faccione di Matteo Renzi sugli autobus. Si rivede anche l’ex deputato Carlo Ciccioli, medico marchigiano. E potrebbe traslocare da Roma a Strasburgo la giovane Grazia Di Maggio, alla prima legislatura a Montecitorio: è uno dei nuovi volti che piacciono al team Fazzolari, dove si sceglie chi mandare o meno in tv. La sorella d’Italia, Arianna Meloni, invece si è tirata fuori. Almeno per ora: «Io sono un soldato, quindi non si può mai sapere nella vita se sei chiamato a fare altro».
(da la Stampa” )
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
DAL DEF “IN BIANCO” AI CLAMOROSI RITARDI SU PNRR, FINO ALLE CONTINUE PROROGHE PER GLI AMICI BALNEARI E LA RIFORMA DELLE PENSIONI CHE RIMANE AL PALO: L’ESECUTIVO “DUCIONI” HA FATTO DEL RINVIO L’UNICA BASE PROGRAMMATICA CHE METTE INSIEME FDI, LEGA E FORZA ITALIA
Dal Def al Pnrr, dalle concessioni balneari alla riforma delle pensioni. Più che un governo del fare, come ama recitare lo storytelling di Giorgia Meloni, è sempre più un governo del rinviare, stando ai fatti.
Il gran ballo del Def, diventato una sorta di “non Def”, è una fotografia cristallina dell’indecisionismo firmato Meloni-Giorgetti-Salvini. Il Documento di economia e finanza non delinea alcunché. Rimanda tutto a dati da destinarsi. Nel testo diffuso ieri c’è la concezione di fondo: l’Italia vuole chiedere un rientro in sette anni per l’aggiustamento della finanza pubblica. Venire? Ancora non è dato sapere.
Il ministro dell’Economia ha fatto sapere, anche un po’ infastidito, che la pratica di un documento interlocutorio non è così anomala né ascrivibile solo a governi dimissionari. Così fan tutti, in sintesi. Con l’ammissione implicita che la destra meloniana non ha portato alcuna rivoluzione: segue la scia degli altri.
Intanto l’antipasto dell’arte dilatoria, esplicato dal Def, era già stato servito con la prima manovra del governo Meloni, che conservava l’impianto della legge di Bilancio predisposto dall’esecutivo di Mario Draghi prima di salutare palazzo Chigi. In quel caso il fattore-tempo rappresentava una valida giustificazione: era difficile fare qualcosa di diverso. Ecco, perciò, che l’attesa si è concentrata sulla manovra più recente, varata a dicembre. La prima vera finanziaria firmata dalla leader di Fratelli d’Italia con la regia di Giorgetti, tramutatasi in una sorta di Bignami di sospensione temporale. Il provvedimento contenuto slittamenti e rinvii.
Un esempio è la proroga del taglio del cuneno fiscale, misura introdotta già nell’anno precedente. Prevista appunto da Draghi, ereditata da Meloni e rinnovata a tempo. Tanto che adesso si ripropone la necessità di rinnovare l’intervento, secondo quanto prescritto dal Def. Soldi? Si vedrà.
Nell’apoteosi dei posticipi, si scaldano i motori per la madre di tutte le dilazioni, quella sui tempi di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Fin dal primo momento il Pnrr aveva una certezza: la scadenza nel 2026. Nessuna deroga. «Serve una proroga ragionevole», ha detto Giorgetti, motivando il discorso con la necessità di «fare bene e non in fretta».
Il governo fa capire di essere in affanno sul rispetto delle scadenze indicate per la realizzazione dei lavori. E dire che la riscrittura del Pnrr, operata dal ministro Raffaele Fitto, è stata dettata proprio dalla necessità di non andare fuori tempo massimo. Pena l’impossibilità di impiegare tutte le risorse economiche europee. Centinaia di progetti sono stati stralciati perché non potevano rientrare in quella tempistica.
Certo, la commissione, con Paolo Gentiloni, ha escluso la deroga sui tempi del Pnrr. Aprendo un nuovo fronte di tensione con il governo. Intanto, c’è chi in parlamento solleva sospetti.
Altro totem simbolico sull’indecisionismo meloniano è il tema delle concessioni balneari. La promessa della propaganda di destra, ben prima della campagna elettorale, si è infranta contro la realtà.
Ieri il governo ha incontrato gli imprenditori del settore, sul piede di guerra con tanto di sciopero pronto. Ma non c’è una soluzione definitiva alla portata di mano. Il governo si può limitare a proporre un aggiornamento, che si legge slittamento. Lo aveva del resto fatto già con Bruxelles, spiegando che era necessario operare una ricognizione sulle coste italiane.
L’eterna condizione di provvisorietà si manifesta in tutta la sua dirompenza su un altro tema-bandiera della destra, da Meloni a Salvini: la riforma delle pensioni. L’annuncio di rivoluzioni copernicane, per superare la legge Fornero, si è rivelato in un pannicello caldo con l’estensione di un anno di Quota 103, peraltro con l’aggiunta di ulteriori paletti.
Così, alla fine dell’anno, ci sarà bisogno di un altro intervento, probabilmente l’ennesima proroga. Perché i numeri del Def, seppure travicello, non lasciare spazio a voli pindarici sulla spesa previdenziale.
(da Domani)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
DA NOI CHI PRODUCE SI TRASCINA DIETRO DUE O TRE CONNAZIONALI CHE CAMPANO SULLE SUE SPALLE. IL DEBITO PUBBLICO CRESCE, I NEONATI DIMINUISCONO, LA QUOTA DI DEBITO PROCAPITE SI IMPENNA… LA MANIERA ITALIANA DI REAGIRE A TUTTO QUESTO È ESALTARE GLI ELUSORI FISCALI E FLEXIMAN CHE SEGA GLI AUTOVELOX. È DAVVERO QUESTA LA LIBERTÀ?
La rivoluzione liberale in Italia non c’è mai stata e mai ci sarà, perché in una democrazia il presupposto della libertà non è fare quello che ci pare raggirando lo Stato e il prossimo. In una democrazia il presupposto della libertà è la responsabilità. I liberali hanno fatto l’Italia al tempo in cui votava una piccola parte della popolazione.
Quando il liberale Giolitti introdusse il suffragio universale, i liberali persero il controllo della situazione ed emersero due forze alternative tra loro, popolari e socialisti, a loro volta divisi tra riformisti come Turati e Matteotti e massimalisti come Mussolini. Mussolini mise i suoi manganelli al servizio dell’ordine borghese, finendo per bastonare a morte pure liberali come Giovanni Amendola (poi spirato in esilio) e cattolici come don Minzoni. La Dc era un partito statalista, anche perché lo Stato era lei.
Certo non erano e non potevano essere liberali i comunisti. La Seconda Repubblica si è trovata un sistema fiscale scandinavo e una burocrazia borbonica, e se li è tenuti.
Berlusconi promette di ridurre l’aliquota massima al 33 per cento, e non mantenne. Prodi nel 2006 la aumentò. Le tasse non vengono diminuite, ma aggirate (da chi può). Si vive sperando di non avere mai bisogno di un Pronto soccorso o di un tribunale.
Chi lavora molto e fa il suo dovere di cittadino non viene premiato, chi danneggia lo Stato e il prossimo non viene sanzionato. Fare impresa richiede un certo grado di eroismo; non a caso le nuove generazioni tendono a liberarsi dell’azienda, magari vendendola a un fondo estero.
Ogni produttore si deve trascinare dietro due o tre connazionali che di fatto campano sulle sue spalle. Il debito pubblico cresce, i neonati diminuiscono, quindi la quota di debito procapite si impenna, limitando i margini di azione di qualsiasi governo. La maniera italiana di reagire a tutto questo è esaltare gli elusori fiscali — a cominciare dai padroni della Rete — e Fleximan che sega gli autovelox. È davvero questa la libertà?
(da Corriere della Sera”)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
PIER SILVIO VUOLE EVITARE CHE UN GAFFEUR COSI’, CHE SAREBBE NUOVAMENTE “ATTENZIONATO” OGNI GIORNO DAI MEDIA, FINISCA PER ATTIRARE SU DI SE’ L’ATTENZIONE
Andrea Giambruno avrebbe voluto tornare in video a breve. Magari già dalla prossima stagione televisiva, alla conduzione di un telegiornale di peso a Mediaset. Sperava nel Tg4, ma anche Studio Aperto su Italia 1 poteva essere una valida opzione. E invece sembra che così non sarà. Secondo due fonti interne all’azienda, l’ex compagno del premier non dovrebbe rientrare nei prossimi palinsesti televisivi del Biscione che saranno presentati a inizio estate.
Insomma, per il momento è tutto fermo e Giambruno non tornerà presto a condurre un telegiornale. Il suo compito sarà quello di restare dietro le telecamere, anche se non è ancora detto che lo farà a Diario del Giorno, la striscia quotidiana su Rete 4 da lui condotta fino a ottobre prima di essere sostituito da Giuseppe Brindisi.
Giambruno era stato costretto da Mediaset a lasciare la conduzione dopo i fuorionda imbarazzanti trasmessi da Striscia La Notizia in cui faceva riferimenti sessisti nei confronti di alcuni colleghi in redazione.
Ora il conduttore si sarebbe rassegnato a questa soluzione, nonostante in questi mesi abbia spinto per la conduzione di un telegiornale. Non lo farà per l’opposizione di Mediaset che non sembra intenzionata ad accendere nuovamente i riflettori sull’ex compagno del premier che, se dovesse tornare davanti alle telecamere, sarebbe “attenzionato” ogni giorno dai media
Inoltre Cologno Monzese avrebbe dovuto sacrificare uno dei suoi conduttori di punta per lontano posto a Giambruno. Così, con ogni probabilità, per il momento non se ne farà di niente. Questo non significa che i rapporti tra il conduttore televisivo e la premier non siano buoni. I due, come certificato ieri dalle foto del settimanale Chi, hanno pranzato insieme a Pasqua accolto nella casa della sorella Arianna Meloni e dal compagno Francesco Lollobrigida
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
L’OPPOSITORE DI “MAD VLAD” HA INIZIATO A SCRIVERE LE SUE MEMORIE NEL 2020, POCO DOPO ESSERE STATO AVVELENATO: RIPERCORRE LA SUA VITA DALLA GIOVENTÙ AL MOMENTO IN CUI SI E’ DEDICATO ALL’ATTIVISMO, SARANNO INCLUSE ANCHE LETTERE INEDITE DALLA PRIGIONE
La casa editrice Knopf ha appena annunciato la pubblicazione del memoir di Alexei Navalny, Patriot. Il libro uscirà il 22 ottobre e in Italia sarà edito da Mondadori.
L’oppositore di Putin ha iniziato a scrivere Patriot nel 2020, poco dopo essere stato avvelenato. Il libro racconta tutta la storia della sua vita: la gioventù, il momento in cui ha sentito l’esigenza di dedicarsi all’attivismo, il matrimonio e la famiglia, l’impegno per la causa della democrazia e della libertà in Russia
Con dovizia di dettagli avvincenti, che includono anche lettere inedite dalla prigione, Navalny racconta, tra le altre cose, la sua carriera politica, i diversi attentati alla sua vita e a quella delle persone a lui più vicine, e l’incessante campagna che, con il suo team, ha condotto contro un regime sempre più dittatoriale.
«Questo libro è una testimonianza non solo della vita di Alexei – ha commentato la vedova di Navalny, Julija Navalnaya –, ma anche del suo incrollabile impegno nella lotta contro la dittatura, una lotta alla quale ha sacrificato tutto, compresa la sua vita. Grazie a queste pagine, i lettori impareranno a conoscere l’uomo che amavo profondamente, un uomo di integrità e coraggio assoluti.
Raccontare la sua vita è un modo per onorare la sua memoria e ispirare altri a combattere per ciò che è giusto e a non perdere mai di vista i valori che contano davvero».
La data di uscita in contemporanea globale è il 22 ottobre 2024. Negli Stati Uniti la prima tiratura annunciata è di 500.000 copie.
(da La Stampa)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
LE INTERCETTAZIONI DELL’OPERAZIONE TRITONE
Scambio di voti politico-mafioso: nuovo terremoto a Anzio dove la Direzione Distrettuale Antimafia ha indagato sulle elezioni che portarono Candido De Angelis a diventare sindaco nel 2018.
Secondo l’accusa alcuni politici avrebbero beneficiato dei favori elettorali dei boss mafiosi finiti in carcere con l’operazione Tritone.
De Angelis, poi decaduto col commissariamento del Comune, insieme agli ex assessori Giuseppe Ranucci e Walter Di Carlo e gli ex consiglieri comunali Lucia Pascucci, Cinzia Galasso venerdì 12 aprile sosterranno gli interrogatori di garanzia nel tribunale romano di piazzale Clodio, accompagnati dai loro legali. L’accusa è di scambio elettorale politico mafioso, reato previsto dall’articolo 416 ter del codice penale, che prevede la reclusione da quattro a dieci anni.
Gli effetti dell’operazione Tritone
Il provvedimento è una conseguenza dell’indagine Tritone, che fino a questo momento non aveva ancora portato al centro nessun personaggio politico locale, mentre a Velletri prosegue il relativo processo nei confronti dei tanti indagati facenti parte della locale di ‘Ndrangheta creata ad Anzio e Nettuno
A piazzale Clodio l’interrogatorio di garanzia
Al termine, poi, il giudice deciderà se disporre delle misure cautelari nei confronti degli indagati. Negli atti dell’indagine c’è nero su bianco il condizionamento delle elezioni, nonché le intercettazioni tra esponenti dei clan che avrebbero preso accordi su come far confluire i voti. Le intercettazioni avrebbero portato all’iscrizione nel registro degli indagati di De Angelis, già 3 anni fa.
Come noto sin da ottobre 2022, infatti, i sostituti procuratori della Procura di Roma hanno indagato anche l’ex primo cittadino di Anzio che, insieme al comune di Nettuno, è ancora sotto commissariamento per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Secondo le ipotesi degli inquirenti, gli esponenti politici avrebbero intrattenuto rapporti con alcuni dei coinvolti nella maxi operazione di Direzione Distrettuale Antimafia e Carabinieri di Roma denominata “Tritone”. Tra di loro, per l’appunto, l’ex sindaco di centrodestra e anche l’ex Assessore ai lavori pubblici Giuseppe Ranucci (Forza Italia).
Già in passato erano emerse intercettazioni indirette che menzionavano il sindaco. L’indagine per voto di scambio politico-mafioso avrebbe visto iscritto De Angelis già tre anni fa
Confermata, quindi, l’associazione mafiosa: tra Anzio e Nettuno era stata impiantata una locale di ‘ndrangheta autonoma e riconosciuta dalla “mamma” calabra. Una sentenza certificata ora anche dai giudice della Corte d’Appello. Una vera e propria cellula autonoma, gestita dai Gallace, Perronace, Tedesco e Madaffari, che si muoveva nel litorale sud capitolino a pochi passi dalla provincia di Latina.
Diversi i reati contestati a vario titolo: associazione mafiosa, associazione finalizzata at traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.
“Le indagini per scambio elettorale politico mafioso sull’ex sindaco di Anzio e quattro esponenti della sua maggioranza di centrodestra aprono a scenari preoccupanti. Il quadro accusatorio rafforza l’immagine di una commistione tra politica e organizzazioni criminali dopo lo scioglimento per mafia del comune del litorale romano deciso nel novembre del 2022”. Lo afferma in una nota la senatrice Enza Rando, responsabile Legalità e lotta alle mafie del Partito Democratico e componente della commissione Antimafia.
“In particolare – sottolinea Rando – dalle indagini emerge il potere coercitivo di alcune famiglie delle ‘ndrine locali sulle amministrazioni di Anzio e della vicina Nettuno, guidate da esponenti di Fratelli d’Italia e Lega”.
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile
TRE NEL CENTRODESTRA E DUE DI CENTROSINISTRA
Sono cinque i candidati “impresentabili” – tre nel centrodestra e due nel centrosinistra – per le Regionali in programma in Basilicata il 21 e il 22 aprile.
E’ il risultato delle verifiche fatte dalla Commissione parlamentare Antimafia sulla violazione del codice di autoregolamentazione.
Gli impresentabili sono Angelo Antenori (Orgoglio lucano), Vincenzo Clemente (Udc-Dc con Rotondi-Popolari Uniti), Francesco Piro (Forza Italia) nel centrodestra; Lucio Libonati e Livio Valvano, entrambi candidati con la lista Avs-Si-Psi. Tra gli impresentabili, Piro è un consigliere regionale uscente.
Per Antenori “risulta disposto il giudizio con decreto del gip presso il tribunale di Potenza (dibattimento in corso di svolgimento) per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio”. Per Clemente, “con decreto del gip presso il tribunale di Potenza è stato disposto il giudizio (dibattimento in corso di svolgimento) per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio”. Per Piro, “con decreto del gip presso il tribunale di Lagonegro (Potenza) è stato disposto il giudizio (dibattimento in corso di svolgimento) per autoriciclaggio”.
Per Libonati, “con decreto del gip presso il tribunale di Potenza è stato disposto il giudizio (dibattimento in corso di svolgimento) per concorso in accesso abusivo a un sistema informatico o telematico”. Per Valvano, “con decreto del gip presso il tribunale di Potenza è stato disposto il giudizio (dibattimento in corso di svolgimento) per concorso in induzione indebita a dare o promettere utilità e con decreto del gip presso il tribunale di Potenza è stato disposto altresì il giudizio (dibattimento in corso di svolgimento) per concorso in turbata libertà degli incanti”.
(da agenzie)
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