Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
L’ARTISTA RIFILA UN CAZZIATONE A BRUGNARO: “SERVE MAGGIORE RISPETTO, METTE IN RIDICOLO L’OPERA”… NON CONTENTO, IL PRIMO CITTADINO SALE SUL PALCO E DICE: “A ME IL ‘PADIGLIONE ITALIA’ NON È PIACIUTO” E IL PUBBLICO LO RICOPRE DI FISCHI
Un momento di tensione tra il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e l’autore dell’installazione al Padiglione Italia è avvenuto questo pomeriggio, nel corso della visita inaugurale, alla presenza del ministro Gennaro Sangiuliano.
Il sindaco, seduto vicino al ministro e aI curatore, ha spruzzato a mo’ di scherzo un po’ d’acqua contenuta nel bacino centrale dell’opera, suscitando la reazione di Massimo Bartolini, l’autore della struttura, che lo ha invitato ad avere “maggiore rispetto” per l’opera d’arte.
Fischi al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, questo pomeriggio, all’inaugurazione del Padiglione Italia alla Biennale d’arte. “A me non è piaciuto”, ha detto il primo cittadino lagunare, suscitando le proteste del pubblico. “Spero – ha aggiunto, guadagnandosi altri fischi – che in futuro non ci sia solo un artista. Sono stato rimproverato per avere messo le mani in acqua, ma penso che lo farebbe un bambino. Dico quel che penso, l’arte deve essere discussione”.
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
OVVERO UNA DONNA NON BEVE UN BICCHIERE DI VINO PERCHE’ NE HA VOGLIA, PERCHE’ E’ BUONO, PER ACCOMPAGNARE UN PIATTO O PER UN MOMENTO DI RELAX, MA SOLO PER “DARSI UN TONO”… QUESTI HANNO BISOGNO DI UNO PSICHIATRA, MA DI QUELLI BRAVI
Su GamberoRosso.it lo hanno giustamente definito sessismo enologico. Siamo al Tg2 Post e la puntata si chiama “Made in Italy in bottiglia”. Conduce Luciano Ghelfi e in studio con lui ci sono Giorgio Calabrese, nutrizionista, Alessandro Scorsone, sommelier e Antonella Boralevi, scrittrice. Collegato Maurizio Danese amministratore delegato di Veronafiere dove si tiene Vinitaly.
Parebbe una ‘classica’ puntata dedicata al vino ma no, arriva il sessismo e arriva per bocca di Boralevi. “Antonella, il vino una volta era una cosa da uomini ma adesso le donne sono più interessate anzi, sono anche protagoniste del mondo del vino come produttrici”, introduce Ghelfi. “Sì, bravissime le donne del vino – risponde Boralevi – che sono poi riunite in varie associazioni. È interessante questa osservazione perché il vino era considerato un alimento sia per dimostrare il proprio potere quindi si beveva nei castelli, sia nelle osterie quando c’erano i fiaschi. Io vorrei ricordarvi che fino agli anni ’50 il vino italiano stava nel fiasco, quindi pensate il miracolo che è stato fatto adesso che i nostri vini competono con gli chateaux più esclusivi”.
E qua siamo al “miracolo”, non al progresso. Ma ecco che la situazione diventa surreale: “Sul tema delle donne, io penso che convenga guardare le cose un po’ in faccia. Allora, noi donne abbiamo fatto tante cose, abbiamo conquistato tanto, ci mancano ancora da raggiungere però c’è dentro di noi una specie di sentimento che io temo sia genetico, noi non ci sentiamo quasi mai all’altezza. E quando si dice una donna soffre di solitudine, sì, anche gli uomini, però una donna deve sempre combattere con quella parte di sé per cui non si sente all’altezza. Ecco qual è il tema? Che le donne spesso bevono come prima si fumava una sigaretta, cioè bevono per darsi un tono. Va benissimo, però torno a dire prima di tutto non abbiamo bisogno del bicchiere di vino per sapere che siamo persone di valore come voi uomini e soprattutto direi un bicchiere, una piccola dose, mai bere da sole, mai bere da sole in casa mai”.
“Mi sembra una meravigliosa osservazione su cui possiamo essere tutti d’accordo”, dice quindi Ghelfi.
Dunque, in poche parole e se abbiamo capito bene, le donne non bevono un bicchiere di vino perché ne hanno voglia, perché lo trovano buono, per sollazzarsi in uno stato di relax che il vino agevola, per accompagnare un buon piatto, una serata di chiacchiere, di sesso o per qualsiasi altro motivo. Bevono per “darsi un tono”. Poi, guai, donne, a rientrare a casa e aprire una bottiglia di vino per godersi un bicchiere in solitudine sul divano perché voi, fragili creature, potreste trovarvi in un attimo a fare i conti con l’alcolismo.
E d’altra parte, la tendenza delle donne a sentirsi non all’altezza, è “genetica”. Oltre a precisare che bere con moderazione è fondamentale, noi di FQMagazine ci sentiamo di dire che questa grottesca pagina di Telemeloni si aggiunge alle altre, troppe, collezionate negli ultimi mesi. Cin, cin.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
NEGA L’EVIDENZA: IL 37% DI SHARE SULLE 24 ORE (CONTRO IL 37,7 DEL BISCIONE) È QUELLO INSERITO NEL BILANCIO 2023 APPROVATO DAL CDA RAI
Non l’ha presa bene, l’amministratore delegato della Rai. Quando Fiorello, di buon mattino a VivaRai2, inizia a commentare la notizia del sorpasso di Mediaset sulla Tv di Stato nell’audience dell’intera giornata, Roberto Sergio fa un salto sulla sedia e invia un vibrante messaggio di protesta: «È una fake news, è il nostro miglior bilancio degli ultimi anni e siamo sempre leader negli ascolti».
Nega l’evidenza, il capo di Viale Mazzini. Ma non potrebbe fare altrimenti. A Palazzo Chigi sono furibondi. L’occupazione militare dell’emittente pubblica non sta dando i frutti sperati. Va dunque smentita con forza.
Quando, intorno alle 8, Fiorello legge il titolo di Repubblica sulla crisi nera della Tv pubblica, Sergio interviene in diretta facendo «non un cazziatone ma quasi» al conduttore. Non gli è andato giù il servizio sulla sconfitta negli ascolti, mai registrata prima. E decide perciò di diramare una velina per sostenere non solo che «il primato è certificato dai numeri», dimenticando che il 37% di share sulle 24 ore, riportato da Repubblica (contro il 37,7 del Biscione), è quello inserito nel Bilancio 2023 approvato dal suo consiglio di amministrazione.
(da La Repubblica)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
“ABBIAMO AVUTO CONTATTI ANCHE CON IL PD MA QUESTA STRADA E’ LA PIU’ COERENTE COL SUO TRASCORSO POLITICO” – IL NODO DELL’IMMUNITA’: SE VERRÀ ELETTA, DOVRÀ ESSERE SCARCERATA. POI L’UNGHERIA POTRÀ CHIEDERE AL PARLAMENTO EUROPEO UN NUOVO ARRESTO. CHE PERÒ SI DOVRÀ VOTARE IN ASSEMBLEA
“Ilaria assume questa decisione non come via di fuga dal processo ma per poterlo affrontare nella piena tutela dei suoi diritti. La strada politica decisa è la più coerente con il suo trascorso politico”: così Roberto Salis ha commentato in una nota la decisione di sua figlia di candidarsi alle prossime europee con Alleanza Verdi Sinistra
“Ilaria ringrazia quindi sentitamente la Direzione di Alleanza Verdi e Sinistra ed in particolare Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni per la fiducia accordatagli”, ha aggiunto.
“Confermo oggi che mia figlia Ilaria Salis, nel carcere di Budapest Fovárosi Bv. Intézet,Gyorskocsi utca 25/27, ha posto firma autenticata, alla presenza del console italiano in Ungheria, ai moduli per la candidatura alle elezioni europee 2024 nelle file del partito Alleanza Verdi e Sinistra – si legge nella nota di Roberto Salis- In questi mesi abbiamo avuto contatti anche con il Pd, per volontà della sua segretaria Elly Schlein, che ringrazio personalmente per la sensibilità e la solidarietà mostrata in tutto questo tempo con me e con la mia famiglia”.
“Ilaria – prosegue la nota – assume questa decisione non come via di fuga dal processo ma per poterlo affrontare nella piena tutela dei suoi diritti. La strada politica decisa è la più coerente con il suo trascorso politico. Ilaria ringrazia quindi sentitamente la Direzione di Alleanza Verdi e Sinistra ed in particolare Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni per la fiducia accordatagli”.
No, nel Pd non era possibile una candidatura di Ilaria Salis. Perché il suo antagonismo non risulta compatibile con la cultura dem. Invece, con i rosso-verdi, la sinistra più di sinistra, la corsa di Salis – detenuta da 13 mesi in Ungheria con l’accusa di avere aggredito insieme ad altri compagni alcuni neo-nazisti – sta diventando un fatto reale pur in un susseguirsi di conferme e smentite.
Che poi si condensano nella dichiarazione congiunta del padre dell’attivista milanese (di Monza in realtà) che di professione fa l’insegnante anche se adesso è rinchiusa nel carcere di Budapest e viene portata nell’aula del processo con le manette e i piedi bloccati e l’immagine clamorosa provoca choc
E così, i rosso-verdi si presentano al voto di giungo con un attacco a quattro: dopo Ignazio Marino (al Centro Italia), Leolouca Orlando (nelle Isole) e Mimmo Lucano (al Sud), ecco Ilaria Salis nel Nord-ovest.
La scommessa è quella di superare il quorum del 4 per cento e di andare oltre il 6, come i sondaggisti ritengono possibile, e come simbolo della persecuzione del totalitarismo di Orban amico della Meloni, per la sinistra-sinistra lanciare Salis è la mossa perfetta.
L’avvocata Aurora D’Agostino dell’associazione dei Giuristi democratici : «Se sarà eletta al Parlamento Europeo, Ilaria Salis lascerà il carcere, credo che su questo non ci siano alternative, come eurodeputata dovrebbe essere scarcerata godendo dell’immunità, in base alle stesse regole del nostro Parlamento.
Ovviamente, il Parlamento Europeo potrebbe dare lo stesso l’autorizzazione al proseguimento del processo in corso a Budapest, ma intanto Salis vedrebbe la fine delle orribili condizioni di detenzione e contenimento che sta subendo nelle carceri ungheresi».
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO EUROPEO SI MUOVE PER FARSI RESTITUIRE DA FIDANZA I SOLDI EROGATI A JACOPO ACRI QUALE SUO ASSISTENTE PARLAMENTARE: UNA SENTENZA DI PATTEGGIAMENTO DELL’EUROPARLAMENTARE MELONIANO PER IL REATO DI “CORRUZIONE PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE” HA STABILITO CHE QUEL DENARO È STATO UNA TANGENTE AL PADRE DI ACRI, GIOVANNI FRANCESCO, PER OTTENERE CHE IL FIGLIO ENTRASSE COME ASSISTENTE PARLAMENTARE
È l’europarlamentare in carica che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sta per ricandidare in cima alle liste di Fratelli d’Italia per le elezioni dell’8-9 giugno, ma intanto proprio il Parlamento europeo si muove per farsi restituire dall’onorevole Carlo Fidanza i soldi erogati al giovane Jacopo Acri quale suo assistente parlamentare, ma che una definitiva sentenza milanese di patteggiamento di Fidanza per il reato di «corruzione per l’esercizio della funzione» ha stabilito siano stati in realtà una tangente al padre di Acri, Giovanni Francesco: cioè il prezzo per ottenere che questo politico di Fratelli d’Italia accettasse nel 2021 di dimettersi da consigliere del Comune di Brescia per lasciare il seggio al subentrante primo dei non eletti nel 2018 Giangiacomo Calovini, nel quadro di aspre dinamiche di partito tra la corrente territorialmente arrembante di Fidanza e quella calante di Daniela Santanchè.
Lo scambio tra dimissioni e assunzione
«Abbiamo capito cosa vuole Acri? — sbuffava Fidanza in una chat sequestrata dai pm —. Se serve per levarlo dai cogl… per agevolare la fuoriuscita sono disponibile a dargli un vitalizio di mille euro al mese sino a fine legislatura, magari mettendo sotto contratto non lui ma uno/una che lui ci dice». Ed è quello che era poi accaduto nel contratto con cui Fidanza assumeva l’allora ancora 17enne figlio di Acri (studente tecnico agrario) come proprio assistente «locale» a Milano, remunerato dal Parlamento europeo con complessivi 16.000 euro.
Un anno fa Fidanza (pur dicendo di farlo «a malincuore» e «senza che ciò comporti responsabilità») al pari di Calovini (oggi deputato) aveva chiesto e ottenuto dalla giudice Stefania Donadeo, con il consenso dei pm Cristiana Roveda e Giovanni Polizzi, di patteggiare 1 anni e 4 mesi (pena sospesa), dopo aver risarcito 30.000 euro di danni morali al Comune di Brescia per evitarne la costituzione di parte civile.
(da corriere.it)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
GLI ALTRI LEADER EUROPEI, DA MACRON A SCHOLZ, ORGANIZZANO REGOLARMENTE CONFERENZE STAMPA… A BRUXELLES LA SALA DEDICATA AGLI ITALIANI CONTINUA A RESTARE CHIUSA: “SE NON LA USANO, LA DIAMO A QUALCUN ALTRO”
Quella grande stanza all’undicesimo piano del Palazzo Justus Lipsius, l’edificio che ospita la sala stampa del Consiglio europeo, è sempre più desolata. Di certo chiusa. È lo spazio che gli uffici della presidenza del Consiglio europeo avevano riservato all’Italia per le Conferenze stampa. Uno spazio di un certo prestigio, prima era stata assegnata alla Gran Bretagna. Dopo la Brexit è stata trasferita all’Italia.
Allo stesso piano di Francia e Germania. Prima invece la delegazione di Roma doveva accontentarsi di un stanzetta al piano terra. Ma da quando alla presidenza del consiglio è arrivata Giorgia Meloni la nuova sala è stata utilizzata una sola volta: il 10 febbraio 2023. Quindi un solo precedente in un anno e mezzo.
Si potrebbe pensare che magari la premier del nostro Paese ha convocato altre conferenze stampa in altri luoghi di Bruxelles. Ma no, purtroppo non è così. Tutto è stato ridotto in ogni occasione alla parola magica della burocrazia brussellese: “doorstep”. Cioè il passaggio veloce e in piedi davanti alle telecamere durante il quale è sostanzialmente impossibile rivolgere domande. A Roma lo chiamano in maniera folcloristica “mucchione”.
Si potrebbe allora pensare: ma anche gli altri leader europei si comportano allo stesso modo. No, il presidente francese Macron e il Cancelliere tedesco Scholz, il premier spagnolo Sanchez e quello polacco Tusk organizzano regolarmente alla fine di ogni Consiglio europeo una vera e formale Conferenza stampa. Esattamente come fanno il presidente del consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Non potrebbe essere altrimenti e non verrebbe accettato altrimenti.
Anche in occasione del Consiglio europeo straordinario ancora in corso nel programma di Meloni l’incontro con i giornalisti non è previsto. Eppure da quando è stata nominata presidente del consiglio, la leader di FdI ha partecipato ad almeno nove riunioni del Consiglio europeo. E, appunto, solo alla fine di una si è concessa ad un “normale” incontro con la stampa. Ma le domande dei giornalisti, almeno in Europa e in tutto l’Occidente democratico, non sono una concessione ma uno svolgimento regolare
(da repubblica.it )
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
BEN 29 CAMBI DI CASACCA, CASO UNICO IN UE: HA CAMBIATO PARTITO IL 40% DEGLI ELETTI NEL 2019…. IN FRANCIA SOLO 7… IL M5S IL PARTITO PIU’ FALCIDIATO
Dei 76 eletti italiani al Parlamento europeo nel 2019, solo 37 stanno per completare il proprio mandato nello stesso partito con il quale erano stati eletti.
Tutti gli altri – lasciando stare il povero David Sassoli, che nulla c’entra con queste statistiche – nel frattempo si sono candidati altrove e hanno mollato Bruxelles, oppure sono rimasti ma cambiando casacca, perpetuando una pessima tradizione italiana di trasformismo che è un unicuum in Europa.
Considerando anche i subentri, questa legislatura ha visto ben 29 europarlamentari italiani migrare verso un altro partito.
Tarati su 76 seggi (anche se poi gli onorevoli sono stati di più), fanno circa il 40 per cento, un’enormità in confronto alla Francia (7 cambi), alla Germania (5) o alla Spagna (3), per limitarci ai Paesi più grandi (in percentuale la Grecia ci “copia” con 8 su 20, ma in numeri assoluti siamo inarrivabili).
Il valore politico di questi numeri è presto detto, visto che ci avviciniamo alle elezioni e si parla tanto di liste e candidature: bastano pochi anni perché si perda quasi del tutto la corrispondenza tra il voto dato dagli italiani e la composizione della nostra delegazione al Parlamento Ue. Il fenomeno è discusso da tempo quando riguarda i cambi di casacca alla Camera e al Senato, dove però è più facile aspettarsi che le dinamiche di una Repubblica parlamentare – con governi che cambiano di continuo – agevolino il lavorio di voltagabbana e “responsabili” vari. In Ue la governance è completamente diversa, eppure gli italiani esportano le stesse abitudini dei Palazzi romani.
M5S stillicidio di addii
La forza politica più martoriata dalle fughe è il Movimento 5 Stelle, partito con 14 eletti e arrivato a fine legislatura con soli 5 eurodeputati (sarebbero stati 4, ma a Eleonora Evi, eletta al Parlamento italiano dopo essere passata ai Verdi, è succeduta Mariangela Danzì, tuttora nel Movimento). Oltre alla Evi, dai 5Stelle se ne sono andati Dino Giarrusso, avvicinatosi al Pd ma ancora senza dimora politica, Fabio Massimo Castaldo, ormai calendiano convinto in Azione, Ignazio Corrao (entrato nel gruppo dei Verdi), Piernicola Pedicini (che oggi sostiene la lista di Michele Santoro), Daniela Rondinelli (prima con Luigi Di Maio in Insieme per il futuro e ora nel Pd), Chiara Gemma (anche lei dimaiana, ma finita poi in Fratelli d’Italia), Rosa D’Amato, altra onorevole attratta dai Verdi, Marco Zullo, passato coi centristi di Renew e infine Isabella Adinolfi, sedotta da Forza Italia. Uno stillicidio.
Lega il crollo dal 34%
Non è andata benissimo neanche alla Lega, che negli anni ha buttato via quel 34 per cento preso alle Europee 2019 e ha visto andarsene una folta pattuglia di eletti. Tra gli addii più rumorosi c’è stato quello di Vincenzo Sofo: milanese con origini calabresi, animatore del think tank “Il Talebano”, fu tra gli artefici della trasformazione della Lega in un partito nazionale e aiutò Matteo Salvini nella crescita al Sud. Da tre anni è volato in FdI. Nel partito di Giorgia Meloni, Sofo ha ritrovato una vecchia conoscenza del Carroccio come Elisabetta De Blasis, vera acrobata del centrodestra: nel 2019 era nella Lega, nel 2020 è passata in FdI, nel 2022 è transitata in Forza Italia per qualche mese, poi è tornata nella Lega e infine, nel 2023, di nuovo in FdI.
Parecchi leghisti hanno invece preferito FI: Stefania Zambelli, di nuovo in corsa a giugno, Lucia Vuolo, anche lei in cerca della riconferma, Andrea Caroppo, nel frattempo eletto alla Camera, Luisa Regimenti, poi scelta da Francesco Rocca come assessora in Regione Lazio, e i due “subentrati” Matteo Gazzini e Francesca Peppucci.
Diverso il caso di Toni Da Re, storico militante veneto della Lega che non ha cambiato partito, ma è stato accompagnato alla porta quando il mese scorso il Carroccio lo ha espulso per le sue ripetute critiche a Salvini (a cui, tra l’altro, ha dato anche del “cretino”). Non meno avventurosa è la recente carriera di Francesca Donato, altra ex salviniana in cerca d’autore passata negli ultimi anni da Italia Sovrana Popolare (mosaico di movimenti e partiti da Antonio Ingroia a Marco Rizzo) fino alla Dc di Totò Cuffaro.
Fdi e Fi porte girevoli
Se la Lega ha dato il sangue, Forza Italia e FdI hanno invece rimpolpato la propria delegazione rispetto al 2019. In FdI il saldo è largamente positivo (da 5 a 10), nonostante l’addio di Raffaele Stancanelli, oggi in Lega. In FI porte girevoli a grandi ritmi e delegazione che sale da 7 a 12.. Detto dei numerosi arrivi dalla Lega, hanno salutato il partito Giuseppe Milazzo, passato in FdI, e soprattutto Aldo Patriciello, recordman di preferenze e coccolatissimo uomo-macchina tra Molise e Campania, già pronto a una nuova candidatura con la Lega.
Pd scissione al centro
Il via-vai in Forza Italia si intreccia poi con quello, altrettanto frenetico nel Pd. Ha sorpreso infatti il passaggio dai dem ai berlusconiani di Caterina Chinnici, figlia del magistrato antimafia Rocco Chinnici. In questa legislatura, il Pd ha visto quasi subito separarsi una sua costola centrista. Sembra una vita fa, eppure nel 2019 Carlo Calenda veniva eletto con i dem, salvo poi fare le valigie tre mesi dopo le Europee e iniziare il percorso verso Azione. Nel 2022 lo ha seguito Giosi Ferrandino, alla seconda legislatura coi dem, mentre Nicola Danti ha preferito l’altro versante centrista, ovvero Italia Viva.
In direzione sinistra se n’è andato Massimiliano Smeriglio, stufo delle politiche Pd sulla guerra in Ucraina: dopo aver votato più volte in dissenso dal gruppo, lo ha lasciato e ora sarà ricandidato con Verdi Sinistra. A questi nomi si aggiunge Andrea Cozzolino, travolto dall’inchiesta Qatargate, sospeso dal Pd ed esiliato dal gruppo. È il ventinovesimo dei cambi di casacca citati, ma alle elezioni manca ancora un mese e mezzo: con queste premesse, non è improbabile che da qui a giugno si aggiunga qualcun altro.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
COSI’ IL GOVERNO FA LA GUERRA AI RAGAZZI… I PROBLEMI NON SI RISOLVONO PRENDENDO I GIOVANI A RANDELLATE
Da novembre la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza sta conducendo un’indagine conoscitiva «sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori». L’indagine si propone di esplorare la diffusione di alcol, droghe, aggressività, violenza, fragilità emotiva e piscologica, con focus su depressione, autolesionismo, disordine alimentare, suicidio, e poi la disabilità fisica e psichica, l’impatto di internet e delle nuove tecnologie. Sarà senz’altro una lodevole iniziativa, verranno convocati i ministri competenti, esperti di ogni ramo e disciplina, non mancherà l’illustre società civile, si produrranno numeri (spero) e si proporranno soluzioni, da cui sboccerà una voluminosa relazione finale, testo base per una risoluta azione di governo intenta a salvare il domani dei nostri ragazzi. Temo di no. Non so come stiano andando i lavori, non so chi sia stato audito, dunque nemmeno che sia stato detto, ma sospetto che l’indagine conoscitiva porterà a nulla di buono, o più semplicemente al nulla senza aggettivi. Parlo per pregiudizio, fondato però sul presupposto degli onorevoli parlamentari: il degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori. E se io anche niente conoscessi di questo Paese, niente della sua classe politica, delle classi dirigenti in generale, mi sarebbe comunque sufficiente quella frase – il degrado materiale, morale e culturale dei minori – per diagnosticare un conclamato degrado materiale, morale e culturale in chi l’ha pensata, concepita, messa nero su bianco.
È pure difficile comprendere se l’uso di termini così violenti e irrimediabili sia consapevole.
Davvero il Parlamento ritiene la condizione giovanile italiana di degrado materiale, morale e culturale? Parrebbe di sì, altrimenti non si industrierebbe in un’indagine lunga mesi. E dunque o non conosce la condizione giovanile italiana o non conosce il significato delle parole, e nell’uno e nell’altro caso si dovrebbe cominciare a nutrire sospetti sulla tenuta materiale, morale e culturale dei nostri eletti. Nel programma dei lavori, per esempio, si quantificano in 460 mila i ragazzi che nel 2021 hanno assunto «almeno una sostanza psicoattiva illegale, soprattutto la cannabis”, e nel cinque per cento in più, rispetto all’anno prima, i ragazzi denunciati per “reati droga-correlati». Fumare cannabis fa male, lo sa chiunque. Ma quale visione del mondo si conserva per ritenere che basti fumare cannabis, regolarmente o occasionalmente o persino una volta sola, per essere giudicati in condizione di degrado materiale, morale e culturale?
Tra l’altro non c’è nemmeno la certezza che l’uso di droghe si moltiplichi. Le analisi si compilano su stime e basi demoscopiche, ed è evidente che oggi c’è meno imbarazzo di dieci o venti o trent’anni fa ad ammettere d’aver fumato o sniffato. Quelle più serie sono prodotte dall’Emcdda, agenzia dell’Unione europea. I suoi documenti sono lunghi e complessi, non di facile lettura, perché pieni di dati all’apparenza contraddittori. Per esempio spiegano che, fra i giovani europei, si abbassa l’età in cui si prova per la prima volta l’eroina, ma allo stesso tempo si alza il numero di chi, entro la maggiore età, smette di prenderne. Bisogna poi distinguere fra cannabis, oppiacei, droghe sintetiche. Il viluppo è notevole. Se avete pazienza, andatevi a spulciare i report dell’Emcdda e certamente non trarrete l’impressione di uno sprofondo morale e culturale.
Torniamo alla nostra Commissione. Lo stesso ragionamento (vabbè) viene proposto per il consumo di acolici. Sentite qui: «Preoccupante l’andamento del consumo di alcol» perché il 21 per cento si è ubriacato almeno una volta mentre il 4.4 per cento afferma di consumare alcolici venti o più volte al mese. Detta così è terribile. Oppure non vuole dire niente. Premessa: il consumo di alcolici fra i minorenni è in crescita, anche in Italia. Degrado morale eccetera? Non ho trovato statistiche di confronto con i minorenni degli altri Paesi europei, però ho trovato un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2021. Dice che, nei paesi dell’Unione europea, i giovani compresi fra i 15 e i 24 anni rappresentano l’1 per cento di chi beve ogni giorno. Il 99 per cento sono tutti gli altri, compresi probabilmente i componenti dell’allarmatissima Commissione parlamentare. Il rapporto dell’Oms fa poi la classifica del consumo di alcol in Europa. Sapete come è messa l’Italia? Ultima. Ventisettesima su ventisette: in ognuno degli altri ventisei paesi si beve più alcol pro capite di quanto se ne beva da noi.
Allarme? Sì, allarme, naturalmente. Viviamo di allarme.
«Allarmante» è l’incremento della violenza usata sui coetanei e sugli animali. Allarmante rispetto a che cosa? Non si sa. Allarmante e basta. Non c’è una cifra su cui ci si appoggi e quindi nemmeno da valutare. Ma tanto basta per fondare il convincimento sul degrado materiale, morale e culturale dei giovani italiani. E le sento già le obiezioni, le proteste. Provo a prevenirle: fumare fa male, bere male, la violenza non va bene. Se i nostri figli fumano, bevono o si prendono a ceffoni coi compagni, c’è un problema da affrontare. Ma non c’è un’emergenza. Non c’è degrado. E sento già l’invocazione delle buonissime intenzioni, sento il biasimo a un articolo che ne fa una questione lessicale, cioè fumisteria filosofica o qualcosa del genere. Ma se non si sanno usare le parole significa che si sta usando male il cervello. E la frase martellante di questo pezzo – degrado materiale, morale e culturale – ne è la perfetta dimostrazione, che finisce col ribaltare la diagnosi su chi l’ha pronunciata.
Su equivoci o inganni simili si è costruito il racconto dell’allarme delle baby gang, della delinquenza giovanile, e nonostante – lo abbiamo segnalato allo sfinimento – i report di Antigone e le analisi Izi su dati Istat rilevano che i reati fra minorenni un anno crescono un po’, l’altro diminuiscono un po’ di più, e la tendenza generale è al calo. Non importa. Il governo ha trovato il modo di incrementare il numero dei reati per i quali è possibile ricorrere alla carcerazione preventiva dei minorenni, così i ragazzi in riformatorio sono immediatamente aumentati, e sapete come andrà a finire? Che presto si porteranno le statistiche e si dirà: avete visto? I ragazzi in riformatorio aumentano. Allarme! Degrado materiale! Morale! Culturale! Servono leggi nuove! Pene più severe! E leggi nuove e pene severe saranno.
Ignoro per quale motivo la maggioranza di governo, con una diffusa e volenterosa collaborazione delle opposizioni, abbia deciso di muovere guerra ai ragazzi. Anzi ai ragazzini. E non avrei nulla da dire, né in favore né contro, a proposito dei voti in condotta reintrodotti dal ministro Giuseppe Valditara, mentre trovo pessima la scelta di introdurre multe fino a diecimila euro, in caso di aggressioni ai professori, in aggiunta alla ovvia condanna penale che ne deriverebbe. Non c’è lo spazio e nemmeno la voglia di riproporre l’esorbitante elenco di reati nuovi o pene aggravate decretate dal governo di Giorgia Meloni, nella disastrosa convinzione che i problemi si risolvano prendendoli a randellate. Se poi i problemi – talvolta veri, più spesso presunti, molto spesso esasperati con il contributo noncurante ed entusiasta della stampa – riguardano i ragazzi, persino i minorenni, la bancarotta politica non soltanto è conclamata ma anche fraudolenta.
Stiamo parlando dei nostri figli. Li stiamo dipingendo come canaglie, taglieggiatori da vicolo, tossici e ubriaconi, ne mettiamo in dubbio la tenuta morale e culturale, quando tutte queste pratiche appartengono soprattutto al mondo adulto. I ragazzi hanno dei problemi, e bisogna aiutarli a risolverli. Sono i nostri ragazzi e il nostro futuro. Ma la mitologia sconcia sulla gioventù bruciata da punire e ammanettare appartiene a un degrado materiale, morale e culturale che più oscuro non si può, ed è tutto nostro.
(da lastampa.it)
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Aprile 19th, 2024 Riccardo Fucile
UNA VOLTA C’ERA UNA IDEOLOGIA CHE SELEZIONAVA LA POLITICA, OGGI ENTRA CHIUNQUE PORTI VOTI
Il curriculum del neoinquisito siciliano Luca Sammartino (Udc, Pd, Lega, in successione) è politicamente illeggibile. Destra, sinistra, centro diventano vaghe approssimazioni che non consentono di inquadrare né la persona né la sua storia.
Un po’ come certi influencer, che sono famosi perché sono famosi, certi politici fanno politica perché fanno politica: non è rintracciabile una mezza idea del mondo che aiuti a definirli, se non la loro capacità di stringere mani e promettere protezione.
Non è solo colpa loro. È anche colpa della politica, e nello specifico dei partiti, che hanno una così bassa considerazione di se stessi da non richiedere, all’ingresso, alcuna garanzia: come un club che apre le porte a chiunque, basta che paghi.
Basta che porti voti, i famosi “pacchetti di voti” che soprattutto al Sud capi e capetti sbandierano come la mercanzia della quale fare commercio, “venghino signori”.
Dai tempi dell’ideologia, coi suoi rituali inamidati e le sue professioni di fede, a questa sbracatura che non conosce altra forma se non il comparaggio, la politica non ha certo guadagnato prestigio.
E soprattutto non ha ceduto il passo a qualcosa di più dinamico e “nuovo” che la rimpiazzasse; semmai ha restituito la società italiana, quella meridionale ma non solo, a vecchie regole di vassallaggio personale e sottomissione interessata. Qualcosa di così decrepito che precede, e di molto, l’epoca dei partiti politici come luoghi delle ideologie. C’è qualcosa di pre-moderno, nel trasformismo e nel traffico dei voti. La società liquida che si riaccorpa stancamente in piccoli clan, e i movimenti di massa rimpiazzati dai capannelli che patteggiano davanti a un caffè.
(da repubblica.it)
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