Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
CALANO FDI E LEGA, CROLLA IL M5S, STABILE IL PD, SALGONO FORZA ITALIA, VERDI-SINISTRA, AZIONE E RENZIANI
Con l’80% delle schede scrutinate, le elezioni regionali in
Basilicata, hanno visto la conferma scontata del governatore uscente Bardi, espressione del centrodestra allargato ad Azione e renziani di “Orgoglio lucano”.
Le due coalizioni sono distaccate da circa il 12% di voti (55% contro 43%). Con una sottolineatura: il 15% di voti della somma tra Calenda e renziani ha fatto la differenza.
Veniamo ai singoli partiti: Fdi scende dal 18,2% delle Politiche del 2022 al 16,5%, Forza Italia sale dal 9,4% al 12,6%, la Lega scende dal 9% al 7,5%
Azione passa dal 9,8% (era insieme ad Italia Viva) del 2022 al 7,6%, mentre i Renziani di Orgoglio lucano prendono il 7,4%.
Coalizione centrosinistra
Il Pd scende dal 15,2% delle Politiche 2022 al 14,7%, il M5S crolla dal 25% al 7,6%, superato da “Basilicata casa comune” con l’11,5% dei voti. Ricordiamo che Basilicata Casa comune è un movimento di cattolici democratici con esponenti di varia provenienza del centrosinistra.
Verdi-Sinistra sale dal 3,4% al 5,6%
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
GIÀ IN PASSATO LA SUA JAGUAR È STATA AVVISTATA SULLE STRISCE GIALLE PER I DISABILI A BELLEGRA, COMUNE ALLA PORTE DELLA CAPITALE… MA NON ERANO I RADICAL-CHIC AD AVERE AUTO DI LUSSO MENTRE I SOVRANISTI PRENDEVANO IL BUS?
In prima linea a difesa della legalità, ma con il suv in sosta nei parcheggi riservati ai disabili. Il consigliere regionale Flavio Cera, di Fratelli d’Italia, presidente della commissione Affari costituzionali e statutari, affari istituzionali, partecipazione, risorse umane, enti locali, sicurezza, lotta alla criminalità e antimafia, alla Pisana ha lasciato la sua Jaguar F-pace 2.0 d negli spazi riservati ai portatori di handicap.
Il bolide, in grado di passare da 0 a 100 km/h in appena 9 secondi e di toccare i 208 km/h, in passato è stato infatti lasciato sulle strisce gialle anche a Bellegra, piccolo centro della provincia di Roma di cui l’esponente di Fratelli d’Italia è stato consigliere comunale e per due volte sindaco.
Approdato alla Pisana, il consigliere di FdI si è impegnato sul fronte della legalità, andando anche a « scandagliare » le strade e i palazzi di Tor Bella Monaca insieme a don Antonio Coluccia, il sacerdote che lotta contro il traffico di droga nel quartiere. «Vogliamo portare avanti un progetto di lungo termine, e siamo solo all’inizio » , ha assicurato.
Sui parcheggi il consigliere e consulente, da tempo attivo nel settore della sicurezza sul lavoro, sembra però avere qualche problema. Alla domanda sul perché del fiammante suv lasciato negli spazi riservati ai disabili, l’esponente di Fratelli d’Italia ha preferito non rispondere.
(da La Repubblica)
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
PRIMA DELLE EUROPEE ANNUNCIA UN UN REGALINO DA 80 EURO NELLE TREDICESIME DEI LAVORATORI DIPENDENTI CON REDDITI INFERIORI A 15 MILA EURO… A DIFFERENZA DEGLI 80 EURO DI RENZI, QUESTI SARANNO SOLO PER UNA VOLTA
A poco più di un mese e mezzo dalle elezioni europee, il governo di
Giorgia Meloni si gioca il bonus 80 euro nelle tredicesime dei lavoratori dipendenti con redditi bassi. Il cadeau verrà incartato prima di Natale, ma sarà annunciato domani nel corso del Consiglio dei ministri.
Nella bozza del decreto legislativo della delega fiscale in tema di Irpef e Ires, l’articolo 4 riconosce ai contribuenti con reddito inferiore a 15 mila euro «un importo non superiore a 80 euro» da erogare con la tredicesima mensilità del 2024.
L’ammontare esatto del bonus, si legge ancora nel provvedimento, sarà definito con un decreto del Mef entro il 15 novembre sulla base delle maggiori entrate garantite dal concordato preventivo biennale. Quindi, la maggiorazione della tredicesima, annunciata dall’esecutivo quasi otto mesi prima, potrebbe alla fine essere inferiore agli 80 euro.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
DATI ILLEGGIBILI SUI FLUSSI DI TRAFFICO, CHE SONO INVECE FONDAMENTALI PER CAPIRE L’IMPATTO AMBIENTALE
Caratteri astrusi, simboli e segni grafici al posto di dati e cifre. Righe sovrapposte. Dati incomprensibili. Tra i faldoni che la Stretto di Messina ha inviato al ministero dell’Ambiente per una valutazione sull’opera non ci sono solo documenti vecchi, non aggiornati, parziali o non sostenuti da alcuno studio scientifico. Alcuni sono materialmente illeggibili.
Lo fanno notare non senza imbarazzo i tecnici all’osservazione numero 15 delle 239 messe in fila dal ministero dell’Ambiente (Mase) in quelle quarantadue pagine di relazione che hanno irritato non poco non solo la Stretto, ma il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che dell’opera ha fatto il suo personale cavallo di battaglia. Nella migliore delle ipotesi una sciatteria che non riguarda certo un aspetto di poco conto.
«Molte tabelle dell’elaborato GER0330 relativo all’aggiornamento dello studio del traffico risultano materialmente non leggibili per problemi di caratteri». Si dovesse credere ai dati presentati dalla Stretto di Messina, di fatto sarebbe impossibile calcolare quanti veicoli passeranno sulla maxi-opera, presentata come un’epocale svolta nei collegamenti fra la penisola e la Sicilia. E con conseguenze non di poco conto.
Non a caso dal ministero chiedono di chiarire “con riferimento allo studio di Analisi Costi Benefici, si richiede di chiarire se il rapporto conclusivo consegnato (GER0332) ha tenuto conto del documento GER0333 (aggiornamento degli studi sui flussi di traffico previsti in relazione alla messa in esercizio del ponte) nella stima del traffico passeggeri e merci”.
Ma quelli sui flussi di traffico sono dati fondamentali non solo per comprendere se e in che misura il Ponte possa essere davvero utile, ma anche l’impatto ambientale. Ecco perché, a cascata, dal Mase chiedono “sulla base delle valutazioni di traffico aggiornate” di fornire “una stima attualizzata e congruente dei fattori di emissione in fase di esercizio” che – non si comprende bene sulla base di cosa, alla luce dei dati incomprensibili forniti – la Stretto promette di ridurre.
Senza uno studio su quei flussi, sia in fase di cantiere, sia a opera completata, è impossibile stimare l’impatto acustico. Ecco perché si chiede anche di “aggiornare le valutazioni previsionali dell’impatto acustico sulla base del nuovo studio di traffico presentato, da integrare con l’analisi delle tipologie di traffico e dei relativi fattori di emissione”.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
BERSANI: “SCELTA SAGGIA, LE LISTE SONO FATTE BENE”
«È stato proposto di inserire il mio nome nel logo, si è aperta una
bella discussione, ringrazio chi ha fatto questa proposta, ma penso che il contributo lo possa dare correndo accanto a loro, in questa lista. Una proposta più divisiva che rafforzativa e non ne abbiamo bisogno» ha detto nel primo pomeriggio di oggi, lunedì 22 aprile, la segretaria Pd, Elly Schlein, in diretta su Instagram.
Sulla questione è intervento anche l’ex segretario Pd Luigi Bersani che parla di «scelta saggia». Spiegando: «Adesso ci manca solo che ci perdiamo in discussioni di marketing elettorale con tutti i problemi che abbiamo davanti. Adesso si tratta solo di tirare. Le liste sono fatte bene, sono equilibrate, perché hai dentro esperienze di partito, delle diverse sensibilità presenti nel partito, hai delle conferme e delle novità che segnalano anche una possibilità di allargamento dell’influenza del Pd: Cecilia Strada, Lucia Annunziata, Marco Tarquinio. Quindi, nell’insieme mi sembra una buona squadra. Adesso bisogna darci dentro».
Chiude così il dibattito sull’opportunità di inserire anche il nome della segretaria nel simbolo di partito, proposta avanzata da Igor Taruffi durante la riunione della segreteria che ha incontrato subito diverse voci di dissenso, da Romano Prodi a altri componenti della segreteria.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
IL GIUDIZIO È UNIVOCO. “L’ITALIA SI STA ORBANIZZANDO”
La notizia della censura del monologo dello scrittore Antonio Scurati da parte della Rai è andato ben oltre i confini italiani. Sono decine i quotidiani, riviste e settimanali che si sono occupati del caso, dal Guardian a Variety, da Le Monde a El Pais.
Proprio il quotidiano di Madrid sottolinea che «non è la prima volta che l’indipendenza della televisione pubblica durante il mandato di Giorgia Meloni viene messa in discussione, e crescono le critiche per le pressioni politiche che il governo starebbe esercitando».
Il Guardian cavalca la linea del giornale spagnolo e sottolinea come «l’amministrazione Meloni è stata anche accusata di cercare di influenzare altri settori della stampa e di colpire con azioni legali i giornalisti che criticano il governo».
Le Monde intervista Scurati e l’autore racconta al corrispondente del quotidiano francese Allan Kaval che «questo governo continua a voler riscrivere la storia e a imporre la sua egemonia sul Paese con la forza e la leva politica. Questa vicenda rivela che la sua concezione del potere non è esattamente dittatoriale, ma è effettivamente autoritaria, mirando a stabilire una democrazia illiberale alla Orban, che è la negazione della vera democrazia».
La Vanguardia di Barcellona non si discosta dall’idea che gli altri quotidiani si sono fatti riguardo al caso Scurati e il ruolo della politica nel controllo della Rai.
(da La Stampa)
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
“LE MONDE” RANDELLA LA DUCETTA: “HA VOGLIA DI RIVALSA CONTRO LA CULTURA DELLE RESISTENZA”
Un autore italiano ha accusato la Rai di censura dopo che la messa
in onda del suo monologo antifascista è stata interrotta, in quella che ha definito la “dimostrazione definitiva” dei presunti tentativi del governo di Giorgia Meloni di esercitare il proprio potere sull’emittente di Stato.
Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere il monologo in occasione della festa nazionale del 25 aprile, che celebra la liberazione dell’Italia dal fascismo, nel talk show di Rai 3 Chesarà sabato sera. Ma mentre si preparava a partire per Roma, ha ricevuto una nota dalla Rai che gli comunicava che la sua apparizione era stata annullata “per motivi editoriali”.
Scurati è noto in Italia per i suoi libri sul dittatore, Benito Mussolini, e sul periodo fascista. La cancellazione del suo monologo ha provocato una dura reazione da parte dei giornalisti Rai, dei colleghi autori e dei leader dell’opposizione.
Il suo discorso faceva riferimento a Giacomo Matteotti, oppositore politico di Mussolini assassinato da sicari fascisti nel 1924, e ad altri massacri del regime. Conteneva anche un paragrafo in cui criticava i leader italiani “post-fascisti” per non aver “ripudiato il loro passato”.
“Senza dubbio è questo che li ha fatti infuriare”, ha dichiarato Scurati al Guardian. “E anche per quello che rappresento e sostengo nei miei libri… [che] c’è una continuità tra il fascismo di Mussolini e i nazionalisti populisti in Europa”.
Il direttore della Rai, Paolo Corsini, ha negato che il monologo fosse stato censurato, dichiarando che era in corso un’indagine “di natura economica e contrattuale”, lasciando intendere che il discorso era stato cancellato a causa del compenso “più alto del previsto” richiesto da Scurati.
Lo scrittore ha dichiarato che il suo compenso era stato concordato e il contratto firmato prima della messa in onda del monologo. “Il compenso era perfettamente in linea con quelli corrisposti agli autori… Era lo stesso del passato, quando non c’erano problemi”.
Per solidarietà, Serena Bortone, che presenta Chesarà, ha letto il monologo in trasmissione. È stato anche pubblicato integralmente da diversi giornali e siti web italiani.
La Meloni, il cui partito Fratelli d’Italia ha origini neofasciste, è salita al potere nell’ottobre 2022 con una coalizione che comprendeva la Lega di estrema destra e Forza Italia del defunto Silvio Berlusconi.
Durante la campagna elettorale, Meloni ha affermato che i partiti di destra hanno “consegnato il fascismo alla storia da decenni”. Tuttavia, Scurati ha sostenuto nel suo monologo che quando è stata costretta a parlare di fascismo in occasione di anniversari storici, la Meloni si è “ostinatamente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista d’origine”, ad esempio attribuendo la responsabilità della persecuzione degli ebrei da parte del regime di Mussolini e di altri massacri alla sola Germania nazista.
Da quando è salito al potere, il governo Meloni è stato accusato di aver esercitato sempre più il suo potere sulla Rai, escludendo dirigenti o conduttori televisivi con posizioni di sinistra. La settimana scorsa la Commissione europea è stata sollecitata a indagare sui presunti tentativi del governo di trasformare l’emittente in un “megafono” per i partiti al governo prima delle elezioni europee.
Meloni è stata accusata di cercare di influenzare altri settori della stampa e di colpire con azioni legali i giornalisti che criticano il governo. Un politico di Fratelli d’Italia ha recentemente proposto di inasprire le pene per la diffamazione, prevedendo pene detentive da due a tre anni.
Elly Schlein, leader del partito democratico di centro-sinistra, ha dichiarato: “Il caso Scurati è grave; la Rai è il megafono del governo”. Carlo Calenda, leader del partito centrista Azione, ha dichiarato: “Mettere a tacere uno scrittore per aver detto cose sgradevoli sul governo è semplicemente inaccettabile”.
Scurati ha detto di aver ricevuto la solidarietà di molti autori e giornalisti che altrimenti avrebbero avuto paura di parlare contro il governo.
“Questo episodio è la dimostrazione definitiva, perché ha finalmente suscitato la rivolta di altri scrittori, intellettuali e giornalisti che finora erano rimasti in silenzio”, ha detto. “Questo governo lancia violenti attacchi personali contro di voi per aver parlato, nel mio caso [che] ho chiesto troppi soldi”.
(da The Guardian)
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
IL 39.5% DEGLI ELETTORI ITALIANI GIUDICA NEGATIVAMENTE LA PRESENZA, COME CANDIDATI, DI NOMI CELEBRI, COME GIORNALISTI, SCRITTORI, UOMINI DELLO SPETTACOLO E DELLO SPORT: VENGONO CONSIDERATI SOLO UN RICHIAMO PER PORTARE VOTI AL PARTITO… PER IL 56.5%, I CANDIDATI PIÙ GIOVANI NON RAPPRESENTANO UNA DISCRIMINANTE IMPORTANTE
Il timore che gli eventi dei diversi conflitti nel mondo si stiano indirizzando verso una guerra globale-mondiale sono molto alti. Il 60.3% dei cittadini italiani si orienta sulle affermazioni di Papa Francesco: «La terza guerra mondiale a pezzi è un conflitto globale». […] I cittadini sono convinti che dialogo, diplomazia e mediazione possono essere i pincipali strumenti che l’Unione Europea potrebbe usare in maniera più efficace per spingere verso una risoluzione di pace.
Per l’opinione pubblica, anche se ci sono momenti di tensione e crisi, è fondamentale mantenere la speranza nella capacità dell’umanità di evitare una guerra mondiale. In questo contesto la posizione di pace può sicuramente essere un fattore determinante nella scelta di una forza politica rispetto a un’altra, soprattutto nell’ambito di elezioni europee.
Gli individui infatti tendono a votare per i partiti o i candidati che promuovono politiche mirate al mantenimento della pace, alla risoluzione dei conflitti e alla prevenzione della guerra. Questo può includere posizioni su questioni come la diplomazia internazionale, la gestione dei conflitti regionali e globali, il disarmo nucleare e la sua protezione, il sostegno alle organizzazioni internazionali che lavorano per la pace e la sicurezza. Le persone quindi possono essere più propense a sostenere partiti o politici che propongono politiche volte a migliorare le condizioni di vita attraverso la promozione della pace
E’ importante notare che le opinioni sulle questioni della pace possono variare tra gli elettori e che ci sono molte altre questioni politiche che influenzano realmente le decisioni di voto, come l’economia-soprattutto quella familiare-, l’istruzione, la sanità, il lavoro, la crisi climatica e così via. E infatti se la pace rappresenta una valida spinta per andare a votare per scegliere un determinato partito rispetto ad un altro, solo il 31.9% ha condiviso la tesi, mentre un cittadino su 2 (48.6%) dichiara di avere altre motivazioni che muovono il suo voto.
Per molti elettori le questioni legate alla politica estera e alla pace internazionale sono situazioni che vengono lette come molto lontane, complesse e sfaccettate tanto da rendere difficile, da parte dei cittadini, la valutazione dei partiti su tali questioni e il poter discriminare quale partito o candidato offra le migliori soluzioni. In tutto questo ci sono i candidati che risultano fondamentali, soprattutto in un’elezione per il Parlamento Europeo dove è previsto il voto con la possibilità di indicare la preferenza.
Anche se il 39.5% degli elettori italiani giudica negativamente la presenza di nomi celebri e famosi, come giornalisti, scrittori uomini dello spettacolo e dello sport, … quasi un cittadino su 2 (46.0%) non esprime un giudizio a favore o contro essendo più o meno consapevoli che i nomi illustri sono utilizzati più come richiamo per portare voti al partito che per rappresentanza e preparazione. Di sicuro per il 56.5% dei cittadini i candidati più giovani non rappresentano una discriminante importante.
Alessandra Ghisleri
per “la Stampa”
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Aprile 22nd, 2024 Riccardo Fucile
“MOLTI ANNI DOPO ROMITI MI RACCONTÒ CHE DURANTE QUEI 35 GIORNI SI FACEVA PORTARE CON UN’AUTO AI CANCELLI, SOPRATTUTTO DI NOTTE. MI DISSE: ‘SPESSO HO PENSATO CHE AVREMMO POTUTO PERDERE’”
D’un tratto la sua voce si incrina e le parole si fanno confuse.
Prova a tenere il filo del racconto ma è costretto a fermarsi. «Chiedo scusa», dice Fausto Bertinotti mentre trattiene le lacrime e tenta di riprendersi. Non sono stati i trascorsi politici da leader di Rifondazione e da presidente della Camera ad averlo emozionato, «non c’era più pathos allora».
Sono stati i ricordi della sua vita sindacale ad averlo sopraffatto: le stagioni da segretario regionale della Cgil in Piemonte e la durissima vertenza sindacale con la Fiat del 1980: «Lì sì che ci fu pathos. Lì terminò la storia della sinistra italiana del dopoguerra, il 14 ottobre del 1980».
Anche se 18 anni più tardi la sinistra sarebbe arrivata a Palazzo Chigi con Massimo D’Alema?
«Ma quella è tutta un’altra storia. Ricordo che pochi mesi dopo la nomina di D’Alema a presidente del Consiglio, quando iniziò l’attacco della Nato contro Belgrado, Francesco Cossiga mi confidò che “serviva un postcomunista per fare la guerra…”».
Cosa vuol dire?
«Voglio dire che a seguito della sconfitta del movimento operaio negli anni Ottanta, il capitalismo non solo si liberò del suo avversario storico ma inglobò anche coloro i quali sarebbero dovuti diventare i suoi nuovi avversari, portandoli al governo. E infatti in Germania, in Francia, in Gran Bretagna e ovviamente in Italia, si affermarono i leader del centrosinistra, cioè quelli che avevano accettato la sconfitta del 1980 come una liberazione»
Sta dipingendo un centrosinistra succube di un sistema di potere che si muoveva come una Spectre.
«Nel 1980 il capitalismo si convinse che era l’ora dell’aut-aut in tutto l’Occidente. E decise di mettere fine al ciclo storico che negli anni Settanta aveva prodotto un forte avanzamento dei diritti sociali e civili. Nel 1980 in Inghilterra il sindacato dei minatori fu posto di fronte a licenziamenti di massa. E perse.
Rammento ancora la scena terribile dei lavoratori che rientrano nei fori delle miniere con le bandiere rosse ripiegate. Negli Stati Uniti i controllori di volo che facevano una rivendicazione salariale vennero piegati duramente. E in Italia la Fiat annunciò quattordicimila licenziamenti. La Fiat, che era stata madre e matrigna, luogo di repressione anti-operaia e di sicurezza del posto di lavoro, aveva pronunciato la parola indicibile».
Era l’11 settembre.
«E fu un trauma. Utilizzando un’improvvisa crisi di governo, l’azienda aveva tramutato i 14 mila licenziamenti in 24 mila casse integrazioni a zero ore per 18 mesi. E mentre il sindacato si interrogava sulla risposta da adottare, come reazione immediata i lavoratori decisero di presidiare la fabbrica. Nacque quel giorno il popolo dei cancelli.
Gli operai furono invitati a bloccare l’entrata e l’uscita di uomini e mezzi per bloccare la produzione. Questa scelta durò trentacinque giorni, caso senza precedenti nella storia europea. Allora maturò la convinzione che ci stavamo giocando tutto. O passavamo noi, salvando le riforme degli anni Settanta, o passavano loro che puntavano alla rivincita di classe».
E «loro» erano rappresentati da Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat e capofila della linea dura con il sindacato.
«La Fiat aveva deciso di rompere con la tradizione del negoziato. Non trattava. Fu una contesa di una drammaticità senza pari, uno scontro di classe allo stato puro. Molti anni dopo Romiti mi raccontò che durante quei trentacinque giorni si faceva portare con un’auto nei pressi dei cancelli. Ci andava soprattutto di notte. “Spesso — mi disse — ho pensato che avremmo potuto perdere. Ho avuto paura di perdere”. Mentre i padroni lottavano contro i lavoratori, il popolo dei cancelli issava all’ingresso di Mirafiori una grandissima tela con l’effigie di Marx».
Quel «popolo» poteva davvero contare sulla solidarietà esterna?
«La solidarietà manifesta era totale ma all’interno del sindacato e ai vertici del Partito comunista c’era chi pensava che, in fondo, la Fiat stesse operando una necessaria ristrutturazione aziendale».
Eppure Enrico Berlinguer venne ai cancelli.
«Ma Berlinguer era un’eccezione».
Un’eccezione?
«Berlinguer non era il Pci, era Berlinguer. Lui era in minoranza. E quando venne a Torino a parlare al Lingotto, Tonino Tatò, il suo più prezioso collaboratore, mi chiamò da parte: “Fausto, visto il contesto così drammatico, chiamate qualche volta. Tu lo sai che Enrico è su una posizione isolata rispetto alla vertenza Fiat. Ed è qui contro il parere prevalente della direzione. Perciò fatevi vivi”».
E lei chiamò Berlinguer?
«Qualche giorno dopo. Perché nel partito sotto un certo aspetto c’era grande libertà. Una volta ricordo di averlo contattato ripetutamente per un suo intervento alla Camera contro un provvedimento sulla mobilità. Chiedevo che tenesse una posizione intransigente. Ma in una di queste telefonate accadde un incidente.
Credendo di parlare con Tatò fui, come dire, piuttosto esplicito: “Tonino — esordii — puoi dire per favore ad Enrico di non fare come fa sempre lui? Stavolta deve essere netto. Lo so che non è nelle sue corde, ma per favore…”. Dall’altro capo del telefono una voce con chiara inflessione sarda rispose: “Ho capito benissimo. Se vuoi ti leggo il testo che ho preparato”».
Era Berlinguer?
«Sì. E mentre io provavo a scusarmi, a dirgli che non pensavo di parlargli in quel modo, lui imperterrito mi leggeva il discorso. Confesso di non aver compreso il contenuto tanto ero in imbarazzo. Non ero più in condizione di ascoltare».
E con Luciano Lama? Com’era il suo rapporto con il segretario della Cgil?
«Ammetto di aver apprezzato Lama con il passare del tempo. Ma la sua autorevolezza non era in discussione. Lo si intuiva anche dal modo in cui gestiva le assemblee».
Perché, come le gestiva?
«A Torino era stata organizzata una conferenza operaia del Pci. Allora c’era un contrasto tra il sindacato piemontese e il sindacato nazionale sul ruolo nelle industrie dei capi fabbrica, che avevano un peso significativo alle catene di montaggio. Ecco, per noi piemontesi i quadri intermedi erano “la frusta dei padroni”. Per il vertice nazionale erano invece “lavoratori come gli altri”. Il confronto era già iniziato a pranzo, dove c’era anche Berlinguer. A tavola la discussione si era un po’ scaldata quando Berlinguer alzò la testa dal piatto e chiese: “Ma quanti sono questi quadri?”. Risposi: “Quindicimila”. E lui: “Troppi”. E tornò a mangiare».
Dalla chiosa non sembrava sulle posizioni di Lama.
«Più tardi all’assemblea il segretario della Cgil affrontò quel tema con un breve inciso del suo discorso: “E siccome i quadri, che sono naturalmente lavoratori come voi…”. La sala esplose con i fischi. Lui fece un passo indietro dal leggio, guardò la platea, tornò davanti al microfono e stavolta scandì: “I quadri, che sono lavoratori come voi…”. La sala a quel punto si divise, tra fischi e applausi. Lui ripetè i suoi movimenti. Andò indietro, tornò al leggio. E mentre si avvicinava al microfono sferrò un pugno sulla tavoletta e urlò: “I quadri sono lavoratori come voi, dico io”. Scattò l’applauso generale. Era il segno del carisma del ruolo».
Ma quel carisma venne meno il 14 ottobre del 1980, quando veniste sconfitti dalla manifestazione dei dipendenti Fiat che volevano tornare a lavorare.
«La marcia dei Quarantamila non fu la nostra sconfitta, registrò la nostra sconfitta. La lotta si era fatta molto difficile e intanto si era incrinata l’unità del gruppo dirigente. Il segretario della Cgil però, durante quei 35 giorni, non espresse mai una critica alla lotta. E non contestò mai, né allora né dopo, la conduzione della vertenza. Al contrario di altri dirigenti autorevoli, come Bruno Trentin e Sergio Garavini, da Lama non sentii mai dire: “Non potete continuare con il blocco dei cancelli”. La sua fu una grande figura, drammatica, senza alcuna traccia di banalità. Lo dimostrò subito dopo la fine del presidio davanti alla Fiat, quando andammo a Roma al dicastero del Lavoro».
Dove incontraste Romiti.
«Romiti era il capo della delegazione Fiat. A guidare la delegazione del sindacato c’erano i segretari di Cgil, Cisl e Uil. C’era un’atmosfera funerea. Entrando nella sala ci accolse il ministro del Lavoro, che dopo un breve confronto disse: “Mi sembra che si siano determinate le condizioni per un comunicato conclusivo. Propongo che a redigerlo siano il dottor Romiti e il dottor Lama”. Lama compì un gesto semplice quanto solenne, che ho custodito per anni. Si alzò e disse: “Chiedo scusa. Io, noi, abbiamo perso. Che sia il dottor Romiti a scrivere il comunicato. Io lo firmerò”. Silenzio glaciale e fine. La nostra storia finisce così… Non potevamo non batterci… Accettare la resa… Tradire i nostri ideali…». ( Bertinotti si commuove ).
Se vuole riprendiamo dopo.
«Chiedo scusa. No, finiamo pure. Perdemmo e da allora c’è stata una progressiva dissintonia tra la sinistra e il suo popolo. Ma, come spiegò anni dopo con cinismo e lucidità il finanziere Warren Buffet, “Non è vero che la lotta di classe non c’è più. È vero che abbiamo vinto noi”. Cioè hanno vinto i padroni»
(da Corriere della Sera”)
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