Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI POZZALLO: “ATTO DI GUERRIGLIA CONTRO NAVE ITALIANA CON UNA MOTOVEDETTA REGALATA DALL’ITALIA AI LIBICI”… LE TESTIMONIANZE E LO SCONCIO SILENZIO DEL GOVERNO
Ancora scossi, terrorizzati, alcuni con addosso ferite, contusioni e segni delle torture ricevute nei lager libici, altri quelle dovute ai colpi di calcio di fucile dei libici. I 58 naufraghi soccorsi dalla Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans mentre la Guardia costiera libica sparava sui rhib sono diretti a Pozzallo.
Le immagini registrate dalle videocamere go-pro che l’equipaggio aveva addosso sono impressionanti.
Si vede un tender della guardia costiera libica arrivare a tutta velocità contro il rhib impegnato nel soccorso, gli spari si sentono distintamente, come le urla dei naufraghi e quelle del team che urla inutilmente: “questa è un’operazione di soccorso, allontanatevi per favore”. Ad un certo punto una raffica sembra raggiungere la lancia direttamente dalla motovedetta.
È incontrovertibilmente una di quelle donate dall’Italia, anzi una delle prime. Si tratta della Fezzan, pattugliatore un tempo patrimonio della Guardia di finanza, oggi fra le più attive nelle intercettazioni in mare, regalata a Tripoli nel 2019.
Castiglione: “A soccorso concluso abbiamo capito di aver rischiato la morte”
“Ho sentito i proiettili arrivare a venti centimetri, forse meno, in mare è niente”, spiega il capomissione Danny Castiglione. Perché la lancia di soccorso non sta ferma, si muove, il motore viene tenuto al minimo, le onde la spostano. “Solo a soccorso concluso abbiamo capito di aver rischiato veramente di morire”, racconta. In mare, spiega, non è stato facile capire cosa sia giusto fare in una situazione di rischio.
“Mentre ci stavano sparando addosso, con gli altri soccorritori ci siamo guardati, e abbiamo capito che non saremmo riusciti a lasciare nessuno indietro. C’era troppa gente in acqua, altri che venivano picchiati sulla prua. Non potevamo lasciarli indietro”.
Dalla prua della motovedetta, i naufraghi approfittavano di ogni momento di distrazione dei carcerieri per lanciarsi in mare. “Nessuno di loro aveva giubbotti di salvataggio – spiega chi era sui rhib – non potevamo andare via e lasciarli lì”.
Vite a rischio grazie a fondi italiani ed europei
A soccorso concluso, neanche tornare verso la Mare Jonio è stato facile. “Più volte ci hanno tagliato la strada, cercando di impedirci di raggiungerla, a un certo punto c’è stato anche un tentativo di abbordaggio”. A mente fredda è arrivata la cognizione di cosa sia successo, il rischio affrontato, la rabbia.
“Sparare sui soccorritori in mare è come sparare su un’ambulanza che interviene quando c’è un incidente e questa è la prima assurdità – dice Castiglione – se poi si pensa che questo succede grazie a mezzi regalati dai governi di Italia e Unione Europea, che finiscono per mettere a rischio la vita di italiani ed europei stessi, tutto diventa surreale”.
Il medico di bordo: “Mi hanno puntato le armi contro”
Dal ponte il resto dell’equipaggio monitorava cosa stesse succedendo, mentre tentava invano di comunicare con la motovedetta libica. “Ero a prua cercando di documentare cosa stesse succedendo. La motovedetta è passata vicinissimo, mi hanno guardata e quando hanno visto la macchina fotografica mi hanno puntato le armi contro – racconta Vanessa, il medico di bordo – mi sono subito buttata a terra. Avevano sparato, non potevo escludere che lo facessero di nuovo”.
L’intera operazione è durata ore. Improvvisamente, raccontano dalla nave, il pattugliatore è andato via, i rhib sono riusciti ad accompagnare i naufraghi a bordo. Infreddoliti, terrorizzati.
Tutti si sono lanciati in acqua, era zuppi, molti avevano bevuto. “Fortunatamente, salvo diverse ustioni da carburante molto serie che dovranno essere trattate in ospedale, non abbiamo avuto emergenze. Tutti hanno addosso segni di tortura”, spiega la dottoressa. Di certo, tutti avranno bisogno di supporto psicologico.
Il sindaco di Pozzallo: “Operazione di guerriglia, il governo intervenga”
“Sono straordinariamente provati – spiega Luca Casarini, fra i fondatori di Mediterranea Saving Humans che ha seguito da terra l’operazione – come spesso accade, nonostante tutte le rassicurazioni, alcuni temono ancora di essere riportati in Libia o in un altro Paese che riservi lo stesso trattamento inumano. Per questo abbiamo chiesto che lo sbarco avvenga nel rispetto delle loro precarie condizioni”.
Il sindaco Roberto Ammatuna si è mosso subito. Sul molo – annuncia – ci sarà un team di psicologi e mediatori che possa assistere i naufraghi, indignato per l’aggressione subita da Mare Jonio, “una vera e propria operazione di guerriglia a danno di persone inermi, oltreché contro un’imbarcazione italiana”.
E tuona “occorre che il Governo Italiano intervenga urgentemente per salvaguardare i nostri connazionali impegnati in operazioni umanitarie e tuteli anche esseri umani indifesi”. Medesimo appello è arrivato ieri dal leader di Sinistra Italiana e deputato di Avs, Nicola Fratoianni, e dall’eurodeputato Pietro Bartolo, ma il governo non ha proferito verbo.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
L’ATTACCO CRIMINALE DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA CONTRO NAUFRAGHI E SOCCORRITORI
Sono immagini drammatiche, quelle diffuse dalla Ong Mediterranea Saving Humas, che mostrano come durante un soccorso effettuato ieri in acque internazionali i gommoni della Mare Jonio siano stati avvicinati da una motovedetta della Guardia costiera libica: si vedono i militari sparare in acqua e per aria per allontanare l’equipaggio e riportare i profughi in Libia.
“Le immagini del soccorso di ieri della nave di Mediterranea in acque internazionali e l’attacco criminale della cosiddetta guardia costiera libica che ha sparato contro naufraghə e soccorritorə”, ha scritto la Ong sui suoi canali social, diffondendo il video. Filmato in cui si vede la motovedetta libica avvicinarsi al gommone che sta effettuando il soccorso: “Non sparate, smettetela di spararci. Questa è un’operazione di soccorso”, grida l’equipaggio della Mare Jonio, inseguito dai militari.
I libici sono riusciti a prendere e portare a bordo della motovedetta alcuni dei naufraghi. Nel video si vedono diverse persone gettarsi in acqua, per sfuggire alla Guardia costiera che tenta di riportarli indietro, presumibilmente nei lager di detenzione per migranti, in cui le persone sono sottoposte ad abusi e violenze. Una volta in mare, nuotano verso i gommoni della Mare Jonio.
“Guardia costiera libica, questa è una violazione della legge internazionale. Questa è una zona Sar (Search and Rescue – Ricerca e Soccorso, ndr) europea. Fateci compiere il soccorso, state mettendo in pericolo le persone. Andate via”, si sente ancora gridare l’equipaggio.
“Quando ci hanno visto tantissime persone in forte agitazione si sono lanciate in acqua, altre sulla motovedetta venivano frustate. Mentre stavamo soccorrendo le persone in acqua, più di 50, la motovedetta ha iniziato a sparare, prima in aria e poi addosso ai nostri gommoni di salvataggio. Non abbiamo idea in questo momento se ci siano dei dispersi”, ha commentato in un video il capomissione di Mediterranea, Denny Castiglione.
La Mare Jonio è riuscita a salvare 58 persone. Ora sono in viaggio verso il porto di Pozzallo: “Nonostante gli spari della motovedetta libica le 58 persone sono state da noi soccorse e sono al sicuro. Sono tutte sotto choc e portano i segni delle violenze subite in Libia”, ha fatto sapere la Ong.
La cosiddetta Guardia costiera libica viene finanziata dall’Italia e dall’Unione europea. L’estate scorsa l’Italia ha donato altre motovedette a Tripoli: “La consegna della prima di cinque motovedette alla Guardia costiera libica fa parte della strategia a lungo termine del governo per contrastare i traffici illegali di esseri umani”, aveva commentato il ministro Antonio Tajani alla cerimonia di consegna.
(da Fanpage)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
FINE DELLA SCENEGGIATA, UNA DOMANDA SORGE SPONTANEA: POZZOLO NON AVREBBE FATTO MEGLIO AD AMMETTERE SUBITO DI AVER SPARATO PER ERRORE, EVITANDOCI LA TELENOVELA?… ORA DOVRA’ RISPONDERE DI LESIONI COLPOSE, PORTO ILLEGALE DI ARMA IN LUOGO PUBBLICO, OMESSA CUSTODIA DI ARMI
La Procura della Repubblica di Biella ha notificato oggi al deputato Emanuele Pozzolo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari per i fatti dello scorso capodanno a Rosazza, dove un colpo partito dal revolver di proprietà del parlamentare ha ferito un uomo di 31 anni, Luca Campana.
Nell’atto, la Procura contesta a Pozzolo i reati di lesioni colpose, porto illegale di arma da fuoco e di munizionamento in luogo pubblico o aperto al pubblico, omessa custodia di armi e accensioni/esplosioni pericolose.
“Le indagini preliminari hanno avuto ad oggetto sia l’assunzione a sommarie informazioni di tutte le persone presenti la notte del 31 dicembre 2023 nei locali della pro loco di Rosazza, sia rilievi e accertamenti di carattere tecnico eseguiti nei locali ove si sono svolti i fatti e sull’arma in sequestro detenuta da Pozzolo”, sottolinea. “Sin dall’acquisizione delle sommarie informazioni testimoniali da parte della procura della Repubblica di Biella e dalla stazione dei carabinieri di Andorno Micca, emergeva la riconducibilità dei reati provvisoriamente contestati (lesioni personali colpose, omessa custodia di armi e accensioni/esplosioni pericolose) a Pozzolo, con relativa iscrizione dello stesso nel registro degli indagati”, precisa.
La procura osserva che “i rilievi eseguiti dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Biella su Pozzolo (il cosiddetto stub) e nei locali della pro loco di Rosazza, ed i successivi accertamenti tecnici eseguiti (in contraddittorio con la difesa) dal laboratorio Ris di Parma (stub, accertamenti dattiloscopici e biologici sull’arma in sequestro), hanno confermato l’ipotesi iniziale e hanno escluso l’eventuale coinvolgimento di terze persone”.
(da La Repubblica)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA MISURA DELLE REGIONE LIGURIA CONTESTATA DAL COMITATO DEI RESIDENTI, COMMERCIANTI E SINDACI CON 13 RICORSI AL TAR… LE TARIFFE ASSURDE FINIRANNO PER FAR SCAPPARE I TURISTI
Quarantotto euro di treno per andare al pronto soccorso. È accaduto anche questo, nel primo banco di prova delle nuove tariffe turistiche del Cinque Terre Express.
L’episodio risale a martedì 2 aprile, giorno da ’fascia gialla’ con ticket a 8 euro a tratta, e ha visto protagonista una famiglia tedesca che da anni sceglie la riviera spezzina per le vacanze.
Un soggiorno caratterizzato questa volta anche da una necessità, quella di recarsi al più vicino pronto soccorso per far visitare la figlia a causa di un problema sanitario.
La famiglia non ci ha pensato due volte a prendere il treno, considerato il mezzo più veloce per raggiungere il presidio di primo soccorso del San Nicolò di Levanto.
Una situazione di necessità che ha visto padre, madre e figlia pagare 48 euro – ventiquattro all’andata, altrettanti al ritorno – necessari per raggiungere Levanto e poi, terminata la visità al San Nicolò, ritornare nell’agriturismo di Monterosso nel quale hanno trascorso il ponte pasquale.
Una situazione non piacevole, che i visitatori al termine del proprio soggiorno non hanno mancato di rimarcare nel questionario proposto ai turisti dal comitato Cinque Terre Unite, che da tempo si batte contro le tariffe turistiche introdotte da Regione Liguria. Intanto, sul fronte politico si registra l’iniziativa del consigliere regionale Davide Natale, che ha scritto l’Autorità regolamentazione trasporti “per capire se le nuove tariffe applicate rispettano la copertura di un servizio pubblico o, diversamente, rappresentano un business, in un territorio, però, dove il treno è il mezzo utilizzato dal 90 per cento delle persone che devono raggiungere o spostarsi tra i borghi”.
La difesa di Toti non sta in piedi: in pratica sostiene che la Regione utilizza gli utili del caroprezzi per far viaggiare gratis gli studenti under 19 e con lo sconto del 50% quelli under 26.
Ma dove sta scritto che se vuoi far viaggiare gratis gli studenti devi taglieggiare i turisti? Esistono altri capitoli di spesa che puoi tagliare, comprese le spese di rappresentanza e i viaggi della Regione e i mega Capodanni a spese dei liguri organizzati solo per acquisire consensi.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
DAI SOLDI PER LE LISTA D’ATTESA AI FONDI MAI SPESI: I DATI REALI SMENTISCONO LE BALLE DEL GOVERNO
Abbiamo puntato la lente d’ingrandimento su una serie di temi legati alla sanità. E alle promesse (tradite) dalla politica.
Soltanto 500 milioni per ridurre le attese. Il resto ai contratti
Partiamo dai 3 miliardi citati dalla premier: larga parte di quella somma, ben 2,5 miliardi, sono andati al rinnovo dei contratti del personale sanitario. I soldi investiti per abbattere le liste di attesa sono 500 milioni, destinati alle maggiori prestazioni erogate soprattutto dalle strutture private convenzionate.
Gli effetti di questa cura sono di fronte agli occhi di tutti. La nostra inchiesta di qualche giorno fa sui tempi comunicati dai Cup regionali dice che tra visite e accertamenti diagnostici solo in 5 casi su 66 si sta entro i tempi massimi previsti per legge.
Ora Schillaci annuncia un nuovo Piano da 600 milioni, destinati alle aziende sanitarie in difficoltà, che potranno farsi dare una mano dai privati o pagare medici e tecnici affinché visite e accertamenti si facciano a orario quasi continuato. Vedremo se questa volta dalle parole si passerà ai fatti.
I soldi mai spesi e molte strutture senza personale
Il riferimento del ministro per gli Affari europei e il Pnrr è al finanziamento di 312 case di comunità sulle 1.350 inizialmente previste dal Pnrr e di 74 ospedali di comunità su 381. Strutture fondamentali per rilanciare la sanità territoriale, le prime come maxi ambulatori aperti 7 giorni su 7, 24h, i secondi luogo di assistenza per chi può essere dimesso ma non è in grado di tornare a casa.
A finanziare le strutture stralciate dal Pnrr sarà l’ex articolo 20 della finanziaria datata 1988. Ma non sarà un caso se in 36 anni le regioni non siano riuscite ancora a spendere 10 di quegli originari 30 miliardi. Soldi rimasti impigliati nella rete della burocrazia. Ma al di là dei soldi manca ancora un provvedimento che vincoli in qualche modo medici di famiglia e specialisti ambulatoriali a lavorare nelle nuove strutture. Così le oltre 300 già realizzate risultano essere nella maggioranza dei casi delle scatole vuote.
Ospedali in difficoltà dove sono state escluse le coop
L’appello del ministro della Salute è stato raccolto solo dalla Lombardia, che ha subito bloccato i contratti con le coop dei gettonisti. Risultato: gli ospedali lombardi sono andati in tilt per carenza di personale, prima che intervenisse il Tar regionale a sospendere tutto. Nelle altre regioni si sta andando avanti più o meno come prima, perché il decreto bollette è andato con i piedi di piombo sul taglio dei gettonisti, prevedendo comunque una proroga dei contratti in essere con le coop.
Il problema è che, ha ammesso dallo stesso Schillaci negli organici di Asl e ospedali mancano 4.500 medici e 10mila infermieri. Al di là del superamento del tetto di spesa per il personale, promesso dallo stesso ministro, per assumerli servono soldi. Quelli che il governo non ha programmato di investire nei prossimi anni che vedono un nuovo calo della spesa sanitaria dal 6,4 al 6,2% del Pil nel 2026.
I progetti al palo. Molti enti hanno già finito i fondi
A dicembre, dopo l’incendio all’ospedale di Tivoli, il coro da destra a sinistra fu unanime: i nostri ospedali sono troppo vecchi, vanno messi in sicurezza. Per tutta risposta il governo ha tolto dal Pnrr 1,2 miliardi destinati a 200 interventi sui nostri malandati nosocomi, facendoli planare nel fatidico fondo per l’edilizia sanitaria, per attingere al quale occorre vedersela con procedure borboniche.
Ma il problema è che i 2,2 miliardi di cui parla Fitto saranno pure disponibili al Sud ma non al Centro Nord, dove ad esempio Piemonte, Lombardia e Lazio hanno già impegnato tutte le risorse.
Contro quello che le regioni continuano a definire un taglio i governatori minacciano ora di ricorrere alla Corte costituzionale. Intanto, in attesa che spuntino 500 milioni che Schillaci vuole mettere allo scopo in manovra, i lavori restano al palo con buona pace della sicurezza di ospedali e pazienti.
Lavori e formazione: perché i governatori chiedono più tempo
Se le liste di attesa si allungano la colpa è anche di un parco macchine dei nostri ospedali dell’era giurassica. In Italia ci sono quasi 37mila apparecchiature obsolete. Il 92% dei mammografi convenzionali ha più di dieci anni e lo stesso dicasi per il 96% delle Tac e il 91% dei sistemi radiografici fissi. E questo tipo di macchinari quando diventano obsoleti finiscono per andare fuori uso frequentemente, allungando così i tempi di attesa per chi deve fare un accertamento. Lo slittamento a giugno del 2024 degli acquisti è stato in effetti richiesto dalle Regioni. Quel che sembrano incredibili sono però le motivazioni: la necessità di svolgere dei lavori per ospitare apparecchiature più grandi, prendere tempo per smaltire quelle vecchie, formare il personale all’utilizzo delle nuove. Coma se la parola “programmazione” fosse esclusa dal vocabolario della nostra sanità.
Tumori e anoressia, le cure innovative rimandate al 2025
Per i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza arriva invece la beffa del rinvio delle cure innovative al 2025. Parliamo di procreazione assistita, malattie rare, la diagnosi e il monitoraggio della celiachia, il riconoscimento dell’endometriosi come malattia invalidante, esami e visite per tenere sotto controllo bulimia e anoressia, l’adroterapia per alcuni tipi di tumori e ausili al passo con i tempi per i disabili.
Ma governo e regioni non hanno resistito al pressing dei privati che chiedono una riduzione delle tariffe, del 30% e in alcuni casi persino dell’80% rispetto alle attuali. La Ragioneria generale dello Stato ha osservato che si sarebbe potuto applicare il nuovo tariffario se solo le regioni avessero fatto piazza pulita dei piccoli laboratori che lavorano a costi più elevati. Inoltre i 3,4 miliardi erogati dal 2017 per i nuovi Lea sono finiti a tappare i buchi di bilancio
(da lastampa.it)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
PAGAMENTO SOTTO LA SOGLIA, ORARIO DI LAVORO NON CONFORME, OMESSA SORVEGLIANZA SANITARIA
Anche i capi di pregio dei marchi della maison Giorgio Armani sarebbero realizzati da lavoratori sfruttati. Dopo l’Alviero Martini spa il Tribunale di Milano mette in amministrazione giudiziaria anche la Giorgio Armani operations, società del gruppo Giorgio Armani che produce e commercializza abbigliamento e accessori dei principali brand dello stilista.
Il provvedimento è stato emesso nell’ambito di un’inchiesta per sfruttamento del manodopera dei pm milanesi Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e del nucleo ispettorato del lavoro dei Carabinieri.
Né l’azienda né il patron 89enne risultano indagati. L’accusa alla società, controllata al 100% dalla capogruppo Giorgio Armani spa, è quella di non aver vigliato nel «prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo» nella catena produttiva a livello delle aziende subappaltatrici.
Dagli accertamenti dei militari dell’Arma è stato ricostruito che GA Operations «dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento».
Per i pm Storari-Baima Bollone all’interno della GA Operations «vi e una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale». In particolare, dallo scorso dicembre il Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno controllato nelle province del capoluogo lombardo e di Bergamo quattro opifici tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e anche 9 immigrati irregolari.
Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri ecc.), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione ecc.) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.
Dai controlli sono stati denunciati per caporalato i quattro titolari degli opifici e anche 9 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. «La vicenda fotogratata dalle indagini relativa alle quattro ditte cinesi – sottolineano i giudici nel provvedimento di amministrazione giudiziaria – è in verità un campanello di allarme sintomatico di una più estesa e diffusa organizzazione della produzione. Non si tratta difatti episodici o limitati a singole partite di prodotti, – evidenziano le giudici Pendino-Rispoli-Cucciniello – ma di un sistema di produzione generalizzato e consolidato, tenuto conto che tale modus operandi e stato riscontrato non solo in relazione a differenti categorie di beni (borse, cinture ecc), ma si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio».
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE: “DANIELA SANTANCHÈ LO PRETENDEVA MA NE ERANO A CONOSCENZA TUTTI, COMPRESO IL DIRETTORE EDITORIALE DIMITRI KUNZ”…I CONTRIBUTI NON VERSATI ALL’INPGI, IL FU ISTITUTO DI PREVIDENZA PER GIORNALISTI POI FALLITO E CONFLUITO NELL’INPS
Non solo truffa ai danni dell’Inps ma anche dell’allora Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani. La ministra del Turismo Daniela Santanchè, il compagno Dimitri Kunz e il direttore del personale di Visibilia Editore Spa, Paolo Concordia, sono indagati anche per truffa ai danni dell’ente poi confluito nell’Inps, perché anche redattori e grafici di alcune riviste del gruppo risultavano in Cassa Covid, ma venivano fatti lavorare lo stesso, con un danno per l’ente che viene calcolato in 36.655 euro.
Una ipotesi di reato sempre commessa con artifici e raggiri che, nel caso dei giornalisti, consistevano nell ’aver fatto risultare nel Libro unico del lavoro la retribuzione decurtata delle giornate indicate dall’azienda come sospese (sei giorni mensili) mentre i dipendenti erano occupati a tempo pieno.
È un dettaglio dell’avviso di conclusione indagini che i pm di Milano hanno recapitato ai tre indagati il 22 marzo scorso e che emerge proprio nel giorno in cui a Montecitorio il centrodestra decide compatto che va tutto bene, madama la marchesa, respingendo con sdegno la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni
I dipendenti in questione sarebbero almeno tre, tutti impiegati nella realizzazione della rivista Pc Professionale. Quelli di Ciak, Novella 2000 e di altre testate del gruppo erano stati già licenziati o sostituiti con service esterni prima che scoppiasse la pandemia. Non senza che si trascinassero per anni situazioni in realtà analoghe, con giornalisti in regime di solidarietà che venivano fatti lavorare lo stesso, salvo contabilizzare le ore lavorate come “recupero ferie”.
Insieme a contributi previdenziali obbligatori che non venivano versati all’Inpgi anche a distanza di due anni. Nel frattempo, la legge di Bilancio 2021 ha stabilito che dal 1º luglio 2022 la gestione principale dell’Inpgi, che quando l’ente era autonomo sostituiva l’Inps per le pensioni dei giornalisti professionisti assunti, è stata assorbita nell’Inps dopo il dissesto dei conti.
La storia non è del tutto inedita per il Fatto, che a luglio 2023 aveva raccontato quel che già accadeva nelle riviste che la Santanchè comprò a prezzi stracciati da Mondadori nel 2014 facendole rientrare sotto l’insegna di Visibilia […] La loro testimonianza documentava il calvario per vedersi riconosciutele proprie ragioni .
“Noi non eravamo in cassa Covid ma in contratto di solidarietà, […] ci facevano lavorare anche nei giorni coperti dal sussidio pubblico erogato per non farlo”, raccontava uno di loro. La prassi era che a fine mese quei giorni venivano segnati “su un foglio interno e non ufficiale” come ferie da recuperare e la contabilità dei giorni residui veniva confermata dall ’ufficio del personale.
“Daniela Santanchè lo pretendeva ma ne erano a conoscenza tutti, compreso il direttore editoriale Dimitri Kunz”. […] Il 18 febbraio 2016 il Fondo pensione complementare avvisò i giornalisti di Ciak che l’azienda non versava le quote. Nello stesso periodo analoga comunicazione ricevettero i giornalisti della testata storica Novella 2000, con indicazione che l’azienda non versava nulla da due anni per loro conto.
(da il Fatto quotidiano)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
L’AFFARE DELL’IMPRENDITORE, EDITORE E DEPUTATO DELLA LEGA
L’imprenditore, editore e deputato della Lega Antonio Angelucci potrebbe comprarsi l’Agi a cifre molto diverse rispetto a quelle ventilate nelle scorse settimane. Non è un caso che l’operazione inizialmente venisse raccontata come un affare da 40 milioni di euro che poi sono diventati 30, poi 20 per poi abbassarsi ancora. L’offerta reale sarebbe avanzata da Angelucci all’Eni si aggira sui 7 milioni ma quei soldi – anzi qualcosa in più – sono già guadagnati.
Come? Nella trattativa rientrerebbero 4,5 milioni di pubblicità che l’Eni spalmerebbe nei prossimi tre anni su tutti i giornali di Angelucci (Libero, Il Tempo e Il Giornale) mentre 3.041.152 euro sono garantiti dal bando del governo per il 2024.
La somma è fin troppo semplice, balla addirittura mezzo milioni di euro in più. Ma i bonus che Eni riconoscerebbe all’editore laziale non finiscono qui.
Per avere i tre milioni e spicci del bando sull’editoria le agenzia devono avere almeno 50+1 giornalisti. Oggi Agi ne conta 72 oltre ai 19 poligrafici che in caso di successo dell’operazione rimarrebbero in carico a Eni. Quattordici giornalisti a oggi hanno aderito alla procedura di isopensione che il governo Meloni ha prorogato con possibilità di pensionamento anticipato fino a 7 anni nelle aziende interessate da eccedenze di personale, fino al 2026.
Se tutti e quattordici i giornalisti usciranno L’Eni non solo regalerà Agi a Angelucci e si farà carico dei poligrafici ma pagherà anche le pensioni di alcuni suoi dipendenti.
Per il Gruppo Angelucci sarebbe un ulteriore passo verso la costruzione del polo editoriale che il patron ha in mente. Dopo i quotidiani e l’agenzia di stampa sarebbe pronto a sferrare per Radio Capital per chiudere il cerchio. Sarebbero invece false le voci che indicano un suo interessamento per il gruppo Quotidiano Nazionale.
A Palazzo Chigi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe da tempo dato il via libera all’operazione ripetendo l’errore che da premier fece Matteo Renzi. Meloni sa bene che in tempi di referendum avere un’agenzia di stampa “amica” significa indirettamente avere la possibilità di mettere le mani su quella miriade di quotidiani locali che molto spesso affidano alle agenzie la cronaca politica. Dalle parti di Fratelli d’Italia sono convinti che un lancio di agenzia ben confezionato possa finire senza troppo sforzo su migliaia di piccoli giornali praticamente copincollato. Nel 2016 Renzi pensò di compiere l’operazione con Riccardo Luna direttore proprio all’Agi. Il risultato però non fu quello previsto.
A coordinare l’operazione in veste di facilitatore c’è ovviamente il direttore di Libero, nonché ex direttore dell’Agi, nonché ex portavoce di Giorgia Meloni. Mario Sechi avrebbe oliato i rapporti tra Giampaolo Angelucci (figlio del deputato Antonio) e quel Claudio Granata che all’Eni è uomo ombra di De Scalzi per le operazioni più difficili.
Nonostante le smentite i ben informati confermano che alla cena prima di Pasqua Giampaolo Angelucci con il padre Antonio, la direttrice di Agi Rita Lofano e e Granata per l’Eni avrebbero stretto l’accordo di firmare il compromesso dopo la due diligence che è prevista per oggi. Rimangono sul tavolo due problemi: l’opinione pubblica con i partiti che all’Eni hanno più peso di quello che sembra e una società pubblica al 35% partecipata dal Mef che vende un importante ramo d’azienda con un trattativa privata.
Nei corridoi dell’Agi Mario Sechi quando era direttore ripeteva ai giornalisti “l’Eni deve vendere, vi deve vendere”. Mai come ora ci sono vicini.
(da lanotiziagiornale.it)
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Aprile 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL FUMETTISTA HA PARTECIPATO ALLA SECONDA UDIENZA DEL PROCESSO: “MI HA COLPITO LA SOLIDARIETA’ DI PERSONE CHE VENGONO ANCHE DA ESPERIENZE POLITICHE OPPOSTE A QUELLE DI ILARIA”
Nuovo capitolo del Diario a fumetti di un’udienza del processo contro Ilaria Salis e gli altri antifascisti/e.
Sul numero del settimanale Internazionale, in edicola oggi, venerdì 5 aprile, Zerocalcare racconta la sua «Giornata a Budapest». Il 28 marzo scorso, il fumettista Michele Reich ha infatti partecipato alla seconda udienza del processo a carico della 39enne da 13 mesi in carcere in Ungheria con l’accusa di aver aggredito tre militanti di estrema destra.
La sera precedente l’udienza, il 26 marzo, il gruppo presente a Budapest per seguire il processo di Salis – racconta Zero nel nuovo fumetto – è stato pedinato da alcuni uomini. «È tutta la sera che ci seguono, un paio di volte si sono dati il cambio», si legge.
«Oh, non è inusuale essere attenzionati in una situazione così, ci sta, – continua -, pure se questa è un’attenzione molto pressante».
«Che processo giusto si può avere in queste condizioni?»
Arriva il giorno dell’udienza. Ore 8: il gruppo si ritrova davanti al Tribunale di Budapest, dove Zerocalcare – scrive – viene ripreso, con un cellulare, da alcuni uomini presenti all’esterno della struttura.
«A quel punto mi accorgo di qualcosa», racconta. Un di loro «ha la felpa della Thor Steinar: trattasi di una marca vietata in molto zone della Germania, che usa simboli propri del Terzo Reich, ed è vestita dai neonazisti di mezza Europa», precisa.
Tradotto: «Ci siamo solo noi (il gruppo italiano a Budapest, ndr) e i nazi qua», dai quali ha ricevuto minacce. E siccome «i giornali hanno riportato l’accaduto con toni piagnoni, vorrei specificare – spiega il fumettista romano – qual è l’aspetto per me significativo».
Il punto per Zero non sono, infatti, le minacce. Però, questa, «è la rappresentazione plastica di quando diciamo che lì non ci sono le condizioni per un processo democratico», specifica.
«I nazisti filmano, minacciano, decidono chi si può coprire e chi no. Davanti a un tribunale e senza mezza guardia e nella città in cui a noi la polizia ci pedinava metro per metro». Per questo, «che processo giusto si può avere in queste condizioni?», afferma Zerocalcare.
Fuori dal Tribunale gli amici di Ilaria e gente arrivata da tutta Italia
Il gruppo entra in aula, Ilaria Salis pure. E, ancora una volta, con il guinzaglio e le catene. «Mi colpiscono due cose: i passetti piccoli e lenti perché le catene ai piedi sono corte e quel tintinnio quando cammina», racconta il fumettista, che confessa come «dal vivo fa un’impressione diversa».
Per Zero ci «sta qualcosa di molto antico in questa scena», ovvero «qualcosa che riguarda l’esposizione del corpo del nemico, condotto in ceppi davanti a tutti come un trofeo di caccia».
Inizia l’udienza e, dopo l’intervento dei legali della 39enne, i giudici emettono il verdetto: niente domiciliari a Salis. «Nello sconforto generale mi pare che la reazione più salda è quella di Ilaria stessa. Asciutta e dignitosa almeno da fuori», dice Zerocalcare.
Il gruppo esce dal Tribunale e per il fumettista romano «il colpo d’occhio è strano». Non ci sono solo i parlamentari, ma «qualcosa di molto più forte – dice -: c’è qualche amico di Ilaria, qualche suo compagno, qualcuno del comitato, gente arrivata fino a qui da tutta Italia, di esperienze politiche diverse tra loro. A volte anche in contrasto».
E tutti hanno, per Zero, qualcosa in comune: «La cosa di chi – almeno una volta nella vita – si è assunto un rischio e una responsabilità. Anche di fronte alla paura. E magari – continua – ha fatto scelte diverse, ma riconosce chi ha sfidato quella paura e quella indifferenza e non ha bisogno di sapere se è colpevole o innocente», conclude. La prossima udienza si terrà il prossimo 24 maggio.
(da agenzie)
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