Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
L’UNIONE NAZIONALE DEI CONSUMATORI: “MANCA LA VERA CONCORRENZA NEL SETTORE PRIVATO. È UN BAGNO DI SANGUE” – E SI RESTRINGE LA PLATEA DEI PERCETTORI DEL BONUS SOCIALI PER LUCE E GAS
Di qui a tre mesi anche per le forniture elettriche delle famiglie termina il meccanismo del mercato tutelato. Chi vorrà evitare il mercato libero per tre anni, a partire dal prossimo luglio, potrà beneficiare del nuovo Sistema a tutele graduali (Stg) ma per 4,5 milioni di famiglie – denunciano le associazioni consumatori – si prospetta un vero e proprio «bagno di sangue», perché «il mercato libero non funziona: non c’è concorrenza».
Da ieri, intanto, si è ristretta la platea dei percettori del bonus sociali relativi che garantiscono forniture scontate di luce e gas: si ritorna infatti al regime ordinario con le soglie Isee che scendono a 9.530 (e 20.000 euro per le famiglie con più di tre figli) rispetto ai 15/30 mila in vigore dal 2023.
«Secondo le stime dei prezzi al kilowattora resi noti giovedì dall’Autorità per l’energia, nel 2024 chi è nel libero pagherà mediamente 135 euro in più rispetto a chi è rimasto nel tutelato. Una voragine!», afferma Marco Vignola, vicepresidente dell’Unione nazionale dei consumatori.
Secondo una ricerca effettuata alla fine della scorsa settimana dall’Unione consumatori sul «Portale offerte» di Arera, per una famiglia tipo che consuma 2.700 Kw/h all’anno con 3 Kw di potenza impegnata, ipotizzando prezzi variabili, per fasce, a Roma, su ben 636 offerte, nessuna è più conveniente del Servizio di maggior tutela e la più economica costa ben 55,29 euro in più.
Stesso risultato per la mono-oraria: tutte le 287 offerte del libero sono peggiori. «Pure ipotizzando il prezzo fisso, sia su Roma che su Milano il libero non batte mai il tutelato, né con il prezzo per fasce né mono-orario», denuncia l’Unc.
Oltre a questo, «con l’arrivo del Servizio a tutele graduali (Stg) e degli sconti garantiti dalle aste dello scorso gennaio – segnala invece il presidente onorario e responsabile energia di Assoutenti, Furio Truzzi – si configurerà l’assurdo paradosso che gli utenti vulnerabili (over 75, disabili e percettori di bonus sociali) che rimarranno nel mercato tutelato pagheranno una bolletta media più elevata rispetto al Stg.
Chi invece è passato al mercato libero e dal 1 luglio vorrà godere dei vantaggi delle tutele graduali, dovrà necessariamente rientrare nella Maggior tutela entro il 30 giugno, non essendo previsto il passaggio diretto dal libero al Stg. Anomalie che Governo e Arera devono risolvere al più presto».
Nei prossimi tre mesi, gli ultimi tre mesi del mercato tutelato, i prezzi dell’energia scenderanno come è noto del 19,8% a 83 euro per megawattora. Rispetto ad aprile 2022 i prezzi sono scesi del 51% e del 2,8% rispetto ai tempi pre-crisi (aprile 2021).
Il prezzo resta però più alto del 25,9% nel confronto con il prezzo bassissimo dell’aprile 2020, per cui rispetto alla spesa complessiva pari a 485 euro di 4 anni fa ora se ne pagano 61 in più. Non a caso il presidente del Codacons Carlo Renzi parla di «risparmi ipotetici» visto che «sul mercato libero delle tariffe risultano ancora elevate e non si assiste ad una reale concorrenza tra operatori».
Su un altro fronte, quello del gas, Consumerismo No Profit denuncia un altro problema: con la fine del mercato tutelato, cessato in questo caso lo scorso 10 gennaio, c’è stata una impennata delle pratiche scorrette da parte degli operatori a danno degli utenti. In cima alla lista delle proteste le modifiche unilaterali dei contratti non adeguatamente comunicate e l’attivazione non richiesta di contratti di fornitura.
(da La Stampa)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
SALVINI E LE PEN HANNO GIOCO FACILE NELL’ATTACCARE L’AMBIGUITÀ DELLA PREMIER ITALIANA. CHE MEDITA SUL DA FARSI…. L’IDEA SAREBBE ADDIRITTURA DI PROPORRE RAFFAELE FITTO) PER TOGLIERE UN ALIBI AL “CAPITONE”. L’ALTRA OPZIONE, PIÙ PROBABILE, È QUELLA DI SOSTENERE DRAGHI PER I VERTICI UE
L’allarme è scattato poche settimane fa. Colpa degli ultimi sondaggi di Fratelli d’Italia. Registrano un arretramento preoccupante, che va di pari passo con l’avvicinarsi delle Europee. Colpa […] delle recenti spaccature nella maggioranza e della campagna sempre più aggressiva portata avanti da Matteo Salvini
A questo punto, neanche la percentuale al ribasso indicata dalla presidente del Consiglio come soglia per “pesare” un successo elettorale, il 26%, può dirsi scontata. Per tutte queste ragioni, Giorgia Meloni ha deciso di reagire. Di provare a sfilarsi dall’angolo nel quale è stata cacciata, soprattutto a causa del rapporto strettissimo con Ursula von der Leyen.
L’idea, quella almeno che trapela in queste ore direttamente dallo staff presidenziale e da esponenti di peso del governo, è lanciare presto un candidato alla Presidenza della Commissione dei Conservatori.
Di peso. Credibile. Italiano, se possibile, in modo da zittire il ministro leghista. O comunque, espressione della premier. In modo da poter condurre una campagna per le Europee senza dover subire il bombardamento dell’alleato, che le rimprovera sempre e soltanto una cosa: vuoi il bis di von der Leyen, lavori a un patto con socialisti e liberali, stai tradendo la causa della destra europea.
Da tempo, il punto debole di Meloni è proprio il sodalizio con Ursula. Nelle ultime settimane – e in particolare dopo il viaggio in Egitto – i costi dell’operazione sembrano però aver superato i benefici. La tedesca è sempre meno amata, dentro e fuori dal Ppe. La scommessa potrebbe risultare perdente.
Salvini ha deciso di sfidare Meloni proprio su questo terreno. Le chiede pubblicamente di rinnegare von der Leyen, la obbliga a schierarsi. Ha addirittura “arruolato” Marine Le Pen, che tra gli applausi dei militanti del Carroccio ha criticato la presidente del Consiglio, etichettandola come architrave dell’euroburocrazia che lavora al bis di Ursula, assieme a socialisti e liberali
Meloni soffre questo scenario. E però sembra sconveniente, vista l’importanza della Commissione sul futuro del Pnrr e di altri dossier sensibili, rinnegare questa amicizia.
Ma sconveniente sarebbe anche esagerare con il sostegno a un bis. Da qui, la necessità di sparigliare. Come fare? L’opzione migliore sarebbe quella di imporre come spitzenkandidat dei Conservatori un italiano. Un profilo come quello di Raffaele Fitto – il migliore, anche per esperienza e contiguità alle istituzioni continentali – o di un altro big di Fratelli d’Italia, in modo da tagliare gli artigli di Salvini.
Non è un’operazione facile. Certo, Fratelli d’Italia sembra destinato a diventare il principale “contribuente” di Ecr in termini di seggi, superando i polacchi del Pis, dunque presenta carte in regola per poter esprimere un proprio nome. È però altrettanto vero che proprio il partito di Morawiecki ambisce a rilanciarsi esprimendo il candidato presidente.
L’altra opzione, quella che dopo le elezioni davvero salverebbe Meloni dalla competizione fatale con Salvini e che avrebbe il vantaggio di prosciugare gli argomenti più ostili del leghista, sarebbe quella di sostenere Mario Draghi alla guida delle istituzioni europee. Difficile per il ministro dei Trasporti opporsi, dopo aver votato la fiducia al governo dell’ex banchiere centrale. È un’idea che diventa sempre più forte, dalle parti di Palazzo Chigi.
Che prende quota con l’aumentare del coefficiente di difficoltà di queste elezioni, da cui davvero dipende la stabilità dell’esecutivo. È però uno scenario che difficilmente Meloni riuscirà a sostenere pubblicamente prima del voto, proprio a causa della competizione spietata di Identità e democrazia. Ecco perché l’unica strada, adesso, è trovare un nome di livello, italiano o comunque espressione della presidente del Consiglio. Capace di respingere l’attacco di Salvini, sottraendogli l’argomento polemico con cui più sta danneggiando la leader.
(da la Repubblica)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
ACCOLTE ANCE LE LISTE DEI TESTIMONI: IN AULA SARANNO SENTITI ANCHE NORDIO E DONZELLI
Silvio Lai, Debora Serracchiani, Walter Verini e Andrea Orlando hanno ottenuto il via libera a costituirsi come parte civile nel processo a carico di Andrea Delmastro.
Lo hanno deciso i giudici dell’ottava sezione collegiale del tribunale di Roma, dove è in corso il procedimento a carico del sottosegretario alla Giustizia del governo Meloni.
Su di lui pende l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio per il caso dell’anarchico Alfredo Cospito. I magistrati hanno ammesso anche le liste dei testimoni: saranno ascoltati in aula, tra gli altri, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli. Nell’elenco dei testimoni depositato dai legali di Delmastro figura anche il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo.
I quattro parlamentari del Partito democratico hanno chiesto di essere ammessi come parte civile del processo poiché hanno ritenuto di essere stati danneggiati dal passaggio di informazioni – coperte da segreto d’ufficio – avvenuto tra Delmastro e Donzelli e che quest’ultimo ha utilizzato a Montecitorio per attaccare i deputati dell’opposizione. Nello specifico, Donzelli parlò di una visita dei Dem nel carcere di Sassari, dove era detenuto l’anarchico in regime di 41bis, e di alcuni incontri avvenuti tra Cospito ed esponenti della criminalità organizzata. L’istanza dei politici del Pd era stata respinta, in un primo momento, dal gup di Roma, per poi essere depositata una seconda volta dai legali. Adesso è stata accolta e il processo è stato aggiornato al prossimo 12 giugno.
Quella della rivelazione di fatti coperti da segreto d’ufficio non è l’unica vicenda giudiziaria che coinvolge Delmastro. Il sottosegretario era presente alla festa di Capodanno in cui è partito un colpo dalla pistola del suo collega di partito, Emanuele Pozzolo, e che ha ferito il genero del capo scorta del sottosegretario. Sul caso è ritornato Matteo Renzi, nella sua newsletter di oggi, 2 aprile: «È incredibile che l’uomo da cui dipende la Polizia penitenziaria non faccia chiarezza in Parlamento su quello che è accaduto. Siamo gli unici a chiedere la verità per una vicenda scandalosa. Un rappresentante del popolo spara a una festa in cui ci sono bambini. E un membro del governo che rifiuta di venire in Aula a dare spiegazioni. Non farà notizia ma sotto il profilo del rispetto istituzionale è una cosa pazzesca. Faremo un’altra interrogazione parlamentare».
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
IL CAPO DELLO STATO FA SENTIRE LA SUA PRESENZA ALLA MELONI IN OGNI CIRCOSTANZA POSSIBILE: I FRATELLI D’ITALIA E I LEGHISTI INSOFFERENTI
È un’insofferenza che viaggia silenziosa. Giorgia Meloni non fa trapelare posizioni ufficiali e l’indicazione ai suoi parlamentari, nei giorni caldi del caso Salis culminati con la telefonata di Mattarella al padre dell’attivista detenuta in Ungheria, è stata quella di non commentare in alcun modo.
Ma gli ultimi interventi del Capo dello Stato hanno segnato una distanza sensibile fra il Colle e la maggioranza. Finendo per allargare un solco che si era già aperto lentamente in questi mesi, con il richiamo del Presidente a Piantedosi per i manganelli contro gli studenti di Pisa e poi con l’allarme sull’emergenza carceri. Meloni, nel primo caso, non aveva nascosto pubblicamente l’irritazione, e non era mancato un chiarimento istituzionale.
Le perplessità sono riaffiorate con la solidarietà di Mattarella alla preside della scuola di Pioltello. Nelle stesse ore la notizia che il capo dello Stato aveva chiamato al telefono Roberto Salis, una mossa fatta mentre il governo auspicava il massimo riserbo per non “politicizzare” il caso e non inasprire lo scontro con Orban.
Dietro c’è una maggioranza spiazzata e poco entusiasta di queste prese di posizione del Colle vissute come bacchettate. Nel gruppo di Fratelli d’Italia alla Camera è stato notato il «cambio di passo» nell’atteggiamento di Mattarella, passato da un silenzio operoso a pubbliche uscite più frequenti.
Più esplicite le considerazioni che giungono da Forza Italia e Lega. «Ho il massimo rispetto per i richiami del Presidente ma non credo in una sacralità del ruolo che non possa consentire i commenti – premette il capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri – Io penso che l’invito alla prudenza, in alcune situazioni come quella di Salis, valga per tutti.
Anche perché il Capo dello Stato deve tenere conto dell’interpretazione che può essere data alle sue parole. Nel caso della scuola di Pioltello, ad esempio, non credo che sfugga che alcune decisioni come quella di una sospensione delle lezioni per il Ramadan vengono prese sulla base di intese fra confessioni religiose diverse. Questo La Russa ha voluto dire ed ha assolutamente ragione».
E la Lega fa quadrato intorno al suo ministro Giuseppe Valditara. L’economista Claudio Borghi, uno dei deputati più vicini a Salvini, non si nasconde: «Un eccesso di interventismo di Mattarella? Io – attacca Borghi – non lo definirei neppure così: il suo attivismo è noto dai tempi in cui poneva veti su un ministro come Savona per nominarne uno decisamente meno capace come Gualtieri. La verità è che se non c’è il Pd al governo il suo scrutinio diventa più attento. Ma avrà tempo per redimersi».
Dichiarazioni piuttosto nette che tradiscono nervosismo e, appunto, insofferenza. Ma che per l’opposizione sono la dimostrazione che il Capo dello Stato sta toccando nervi scoperti.
(da agenzie)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LA CLASSIFICA MONDIALE DEI PRODUTTORI
Per quanto riguarda il vino negli ultimi 20 anni sono cambiate molte cose, quelli che erano considerati dei punti fermi non lo sono più e c’è stata una evoluzione per quanto riguarda i consumi. Lo certifica l’analisi realizzata da Wine Monitor. Ecco quali sono – riporta Gamberorosso – i principali cambiamenti nel panorama vitivinicolo mondiale negli ultimi 20 anni. Il dato più clamoroso riguarda l’Italia (ma vale anche per il resto del mondo) è decisamente cambiata la produzione per tipologia e colore. Se nel 2004 erano i rossi a rappresentare oltre la metà della produzione (dei 53,1 milioni di ettolitri totali del 2004, i rossi rappresentavano 28,7 milioni di ettolitri Vs i bianchi a 24,4 milioni di ettolitri) oggi quel rapporto appare capovolto: su una produzione di 38,3 milioni di ettolitri, i rossi registrano appena 14,5 milioni e i bianchi 23,7 milioni.
Ma in primis, in questo arco temporale, sono cambiati i Paesi consumatori. Se nel 2004 – prosegue Gamberorosso – era la Francia a guidare la classica (33,2 milioni di ettolitri consumati), con l’Italia in seconda posizione (28,3 milioni), seguita dagli Stati Uniti (24,8 milioni), oggi sono questi ultimi ad essersi assicurati il gradino più alto del podio, arrivando a 34,3 milioni di ettolitri consumati. Di conseguenza sono diventati anche il primo Paese per importazioni, raddoppiando i valori (da 2,7 miliardi di euro a 6,2) e superando il Regno Unito (oggi a 4,6 miliardi). Nella classifica degli esportatori, invece, resistono Francia (per un valore oggi di quasi 12 miliardi di euro) e Italia (7,7 miliardi), mentre l’Australia (terzo posto nel 2004) si è fatta superare da Spagna e Cile.
(da affaritaliani.it)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
NON SI FIDANO L’UNO DELL’ALTRO E ALLORA LE VOTANO INSIEME
La zia “Santa” e il cugino italiano di Le Pen. I destini dellaministra del Turismo e del capo della Lega sono pronti a intrecciarsi ancora una volta domani per via delle due mozioni di sfiducia che li attendono alla Camera. L’esito è scontato, come da grammatica della politica parlamentare. Tuttavia in maggioranza il clima di sospetti è sempre più denso. Tanto che, attraverso un gioco di incastri del calendario, tutto è stato costruito affinché Fratelli d’Italia sia sicuro che l’alleato non faccia scherzi su Santanchè e, di converso, la Lega porti a casa la pelle intonsa di Salvini. In entrambi casi, davanti ai reciproci sgambetti, cadrebbe il governo, ma la prudenza pare non essere mai troppa. Ecco perché domani mattina a Montecitorio si inizierà prima con la discussione generale sulla mozione contro la ministra del Turismo, indagata per truffa allo stato per aver usufruito da imprenditrice, con la sua società Visibilia, della Cassa Covid. E poi in serata si procederà con il voto su Salvini, il “russo” come l’accusano le opposizioni. Subito dopo, con una logica a pacchetto, si passerà alla Santa. Sono loro due i sassolini nella scarpa di Meloni, ormai si sa.
Sulla permanenza nel governo della ministra di Fratelli d’Italia sarà la premier a decidere, non l’Aula, magari spingendola a un passo indietro quando arriverà il rinvio a giudizio del gup. Per il capo della Lega, invece, non si può fare questo discorso. Le opposizioni lo accusano di non aver ancora rescisso il cordone con Mosca – e di non aver formalmente disdetto la collaborazione con Russia unita, il partito di Putin – dopo le dichiarazioni che hanno salutato la rielezione del dittatore del Cremlino all’insegna “del popolo ha sempre ragione”. Parole che hanno lasciato di stucco, più che le minoranze parlamentari, proprio Palazzo Chigi. Il cortocircuito è questo: il vorrei, ma non posso della presidente del Consiglio. E non è nemmeno l’unico.
Perché i rapporti altalenanti fra Meloni e Salvini hanno di nuovo registrato forti oscillazioni dopo le dichiarazioni di Marine Le Pen all’iniziativa della Lega contro la premier e leader dei Conservatori in vista delle europee. Dopo quell’appuntamento, sono passati ormai dieci giorni, gli attacchi del Rassemblement national (Rn) a Meloni hanno preso ad aumentare e a rimbalzare da Parigi a Roma. Dritti verso Ecr e dunque al cuore della leader dei Conservatori.
Prima di Pasqua, nel corso di un incontro organizzato da Politico e dal think tank Europa Nova a Parigi, il capolista del Rassemblement national alle elezioni europee, Jordan Bardella, ha detto di puntare a una “scissione” del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) guidato da Meloni (criticata per la vicinanza a Ursula von der Leyen) in favore di Identità e democrazia (Id) di cui fa parte Rn con la Lega. “Possiamo ragionevolmente sperare di essere il terzo gruppo dell’Europarlamento”, ha dichiarato Bardella, in pole nei sondaggi in Francia in vista del voto del 9 giugno. E’ la strategia muta e concordata di Salvini, ragionano, con le mosche al naso, nelle stanze di Palazzo Chigi dove all’inizio avevano accolto di buon occhio la svolta di Le Pen in Parlamento a favore dell’Ucraina (si era astenuta sul piano Macron e non aveva votato contro) tanto da richiedere lo sbobinato integrale tradotto del suo discorso. Nei piani degli strateghi di Meloni, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari su tutti, la mano quasi tesa a Kyiv poteva essere un segnale di allontanamento tra Marine Le Pen e Salvini. E però così non è stato.
In mezzo, a cambiare le carte in tavola, ci ha pensato la convention di Id a Roma. Matteo e Marine, di nuovo insieme seppur in collegamento video, scommettono sul no del PiS polacco all’ingresso di Viktor Orbán in Ecr, ma anche sul no di Vox a qualsiasi accordo che porti al nome di Ursula von der Leyen. Una strategia che Salvini ripete in Italia e Marine Le Pen in Francia anche per arginare l’ascesa della nipote Marion Maréchal, a candidata con Reconquête di Zemmour, da poco nella famiglia dei Conservatori. Salvini alla lunga potrebbe così preferire paralizzare, dall’opposizione, le mosse della futura commissione, visto quanto appare complicato, al di là dei numeri, unire tutte le forze di destra, quelle di Id e quelle di Ecr. A meno che, certo, Meloni non offra un posto da commissario a un leghista (si fa il nome di Giancarlo Giorgetti): scenario complicato visto che per la prima volta Fratelli d’Italia potrebbe esprimerne uno.
Sono pensieri e sospetti reciproci che dalle parti della Lega si intrecciano con i ragionamenti di Palazzo Chigi per ricadere nella più classica delle prassi parlamentari: la mozione di sfiducia singola a un ministro. Che in questo caso sarà doppia: prima la “Santa”, poi Salvini, anche se con il medesimo risultato. Fino a giugno sarà così: con le due destre divise e sospettose in casa. Al punto che anche la chiusura della campagna elettorale in Basilicata, il prossimo 19 aprile, assumerà i contorni del quasi evento. Non tanto per la presenza del governatore uscente Vito Bardi, ma per la concomitanza su un palco di Salvini e Meloni (e Tajani). L’ultima volta che è accaduto, a Pescara, il capo della Lega se n’è andato a sorpresa al momento dell’Inno di Mameli.
(da agenzie
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LA LEGA SCENDEREBBE DA 28 A 7 EUROPARLAMENTARI, FDI SALIREBBE DA 5 A 23… I TANTI ADDIO E LA BATTAGLIA PER LE RICANDIDATURE
«Bruxelles addio, cantavi»… Parafrasando il grande Ivan Graziani, è lunga la lista degli eurodeputati che, volenti o nolenti, dovranno dire addio al Parlamento Ue. Il conto alla rovescia verso le elezioni europee dell’8 e 9 giugno è avviato: mancano 68 giorni. È la fine di un ciclo. Gli equilibri politici, rispetto a 5 anni fa, sono profondamente mutati. La Lega non è più la corrazzata che nel 2019 conquistò oltre il 34% e fece eleggere 28 eurodeputati. E FdI non è più il piccolo partito del 6,4%: stavolta, da 5 eletti, i meloniani dovrebbero salire a 23, secondo le stime di Ipsos (qui tutti i dati).
Stavolta per Salvini si prevedono appena 7 eletti, e il suo partito rischia un reset. Gianantonio Da Re, storico ultras della Lega veneta, è stato cacciato dopo le critiche al leader. E niente ricandidatura anche per Marco Zanni, bocconiano, euroscettico e presidente di Identità e democrazia, il primo ad annunciare che si ferma qui. Oltre alla flessione politica, tra i leghisti (e non solo), conta anche il fattore economico: per fare un campagna solida occorrono almeno 40-50 mila euro e in pochi vogliono rischiare tale cifra, specie a fronte a ridotte speranze di elezione. Così anche Alessandro Panza, amico di Salvini da sempre, rinuncerà alla sfida. Idem Marco Campomenosi, già assistente a Bruxelles del medesimo «Capitano».
Di segno opposto è invece il problema di Fratelli d’Italia, che punta a triplicare: gli eurodeputati uscenti dovrebbero essere tutti riconfermati. E in questo caso la lotta è per conquistare i molti seggi disponibili in più rispetto a 5 anni fa. Per uno di questi si è fatta avanti anche Rachele Mussolini, ma consultando il termometro del partito è una ipotesi altamente improbabile.
Nelle file di Forza Italia addio a Lara Comi, eterna grande promessa la cui carriera sembra essere ormai stroncata dalla condanna a 4 anni e 2 mesi per il caso «Mensa dei poveri». Bis molto difficile per Alessandra Mussolini, che dopo aver annunciato l’addio alla politica nel 2020 per dedicarsi a ballo e tv è rientrata a sorpresa a Bruxelles nel settembre 2022 al posto di Antonio Tajani, incoronato ministro. La nipote del Duce può darsi che si ricandidi, ma la sua elezione appare complicata visto l’alto numero di preferenze necessarie.
Dino Giarrusso, ex Iena eletta con il M5S grazie a un fuoco di fila contro il Pd, lasciati i grillini ha poi tentato di entrare proprio nel Partito democratico, venendo però vigorosamente respinto . Ora dovrà (ri)trovarsi un lavoro fuori dalla politica.
Un fine corsa obbligato, tra i dem, è quello di Andrea Cozzolino, travolto dal «Qatargate». E l’ex sindaco Giuliano Pisapia tornerà in pianta stabile nella sua Milano. Difficile è la rielezione in Europa di Elisabetta Gualmini, che pure vanta residue speranze di correre come governatrice dell’Emilia-Romagna: l’attuale presidente Stefano Bonaccini sarà quasi certamente in pista per Bruxelles, ma dovrebbe incoronare come candidato-successore Vincenzo Colla, oggi suo assessore regionale. Rischia anche Pina Picierno, già fedelissima di Dario Franceschini che poi ha virato su Bonaccini alle primarie contro Elly Schlein. La segretaria dem ha già piazzato Lucia Annunziata come capolista al Sud e Picierno teme di rimanere schiacciata nella sfida delle preferenze, visto che al Sud i dem potrebbero portare a casa solo 3 eletti. Non ci sarà il quarto mandato per Paolo De Castro, già ministro con D’Alema e Prodi.
Tutti «drammi» politici – con addii più o meno volontari – attutiti però da un paracadute economico mica da poco. Ogni uscente che non sarà rieletto riceverà una cifra chiamata «indennità di reinserimento»: un mese (7.500 euro netti) per ogni anno trascorso al Parlamento europeo. E chi ha passato 10 anni a Bruxelles avrà di che consolarsi.
(da corriere.it)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
MANCANO CAMERIERI E ORA C’E’ PURE L’EMERGENZA ALLOGGI
C’è chi ha alzato la voce, in questi giorni pasquali: l’economia va, ma manca il personale. “Mano d’opera non ce n’è, e questo costringerà gli operatori a fare turni massacranti per assicurare le produzioni di dolci della tradizione”, ha spiegato la Confartigianato Alimentare del Veneto, parlando di carenze oltre il 70% per pasticceri e gelatai.
“I ristoranti sono pieni, ma a causa della carenza di personale in molti dobbiamo rinunciare al doppio turno”: è il grido dei ristoratori, dalla Sardegna all’Emilia, per il lungo weekend di Pasqua. Solo gli ultimi allarmi dopo quelli che si susseguono da mesi su bagnini, camerieri, chef…
Anche un anno fa, di questi tempi, era tutto un fiorire di dichiarazioni sulla carenza di personale. Ma andava per la maggiore, quantomeno a livello mediatico, una spiegazione semplice: “Colpa del reddito di cittadinanza”. Tanto che solo due settimane fa la ministra del Turismo, Daniela Santanchè poteva ribadire: “Per i lavoratori stagionali c’è stato un incentivo gigantesco: abbiamo tolto il reddito di cittadinanza. Mi sembra il più grande incentivo che il governo potesse fare, tant’è che oggi la situazione sta un po’ migliorando rispetto agli anni scorsi”. Il governo ha fatto anche di più, ad esempio, reintroducendo i voucher per alcune categorie (in particolare i lavoratori di festival e eventi). Ma il problema, a giudicare dagli allarmi a mezzo stampa, è ancora lì.
Secondo un report di Unioncamere per Fipe-Confcommercio presentato un mese fa, le aziende del settore ristorazione che lamentano difficoltà nel reperire personale sono passate dal 52% del 2023 al 49,2% del 2024. Una differenza quasi impercettibile, per il vicepresidente di Fipe-Confcommercio Matteo Musacci, che conferma come in tanti colleghi siano in grave difficoltà: “Il problema non è mai stato il solo reddito di cittadinanza. Noi notiamo un cambiamento dalla pandemia in poi: il tempo libero, il benessere personale, è diventato più importante. Alcune persone hanno abbandonato il settore e non sono più tornate”. Non è un problema che colpisce allo stesso modo tutti. Restando nel turismo, il settore ricettivo, quantomeno quello rappresentato dalle associazioni datoriali, sembra dare una lettura diversa. “Dobbiamo ridare le motivazioni, soprattutto ai giovani, affinché tornino a lavorare nel settore. Occorre ripensare i contratti, rivedere e ridurre gli orari”, ha dichiarato Patrizia Rinaldis di Federalberghi Romagna. Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma, è drastico: “Vedo persone con ben poco titolo che parlano di carenza di personale nel turismo, ma qui il reclutamento sta andando bene. Nelle città, dove il lavoro c’è tutto l’anno, non registriamo veri problemi, i job day sono pieni”. Dentro l’associazione albergatori, si nota un ritorno del personale da due anni a questa parte. Merito anche dei modelli di reclutamento che stanno cambiando: sulla costa veneta ci si è mossi con portali online e appelli su TikTok.
In assenza di dati strutturati, una questione che sembra emergere è quindi quella, specifica, riguardo il lavoro stagionale, meno attrattivo per tanti motivi, a partire dagli orari. Il topos dei giovani che vogliono il weekend libero nella narrazione mainstream ha in parte sostituito il “divanismo” dato dal RdC, ma i riscontri sono limitati. “Noi facciamo vertenze per far ottenere ai lavoratori il giorno libero, altro che weekend libero, ci sono persone che vengono assunte per 3-4 mesi senza mai pause”, spiega Francesco Bugli, referente nazionale del sindacato Usb per gli stagionali del turismo.
In un settore in cui i report dell’Ispettorato del lavoro anno per anno parlano di una crescita del tasso di irregolarità nelle aziende controllate a campione (siamo al 78% al Centro Nord, al 90% al Sud), per Bugli scaricare i problemi sulle abitudini dei giovani, in un settore in cui il 50% della manodopera è under 40, è strumentale. “Il lavoro stagionale è poco appetibile per tanti motivi, i contratti si fanno sempre più corti, ormai quelli da maggio a settembre sono una rarità”, spiega Bugli, con conseguenze anche sull’assegno di disoccupazione, dopo la riforma della Naspi, e quindi sulla sostenibilità del lavoro stagionale. I sindacati puntano il dito poi sui contratti nazionali, scaduti da troppo tempo: in periodo di inflazione, una decurtazione del salario. Quello di Confesercenti è stato rinnovato da poco a 5 anni dalla scadenza, per altri, come i pubblici esercizi o gli alberghi, le trattative sono ancora in corso.
Ma c’è anche, in questa stagione, un emergente tema di alloggi, che in tempo di caro-affitti incidono quanto a volte più del salario. Lo ha appreso il titolare di un bistrot di Portofino che aveva dato l’allarme su Repubblica sulla sua incapacità di trovare personale: “I ragazzi oggi non sono attirati da questo lavoro, forse gli complica troppo la vita, vogliono esser liberi di sera, e durante il weekend”.
Forse, perché dopo quell’articolo, ha ricevuto una trentina di telefonate: “Arrivavano da tutta Italia, dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Basilicata, dalla Puglia, dal Trentino, dalla Lombardia, dal Veneto, senza distinzione tra nord e sud”, ha detto, ma “mi hanno subito chiesto se nello stipendio era incluso l’alloggio, e per noi non è possibile”. Un problema reale, soprattutto per le piccole località turistiche, dal Trentino alla Puglia. A Jesolo, il primo staff hotel d’Italia gestito da un’associazione albergatori, 35 stanze a disposizione delle aziende, è già pieno alla fine di marzo. Courmayeur ha calcolato di aver bisogno di 400 nuovi posti letto per i lavoratori. Le amministrazioni si affrettano a trovare soluzioni. Ma sui limiti agli affitti turistici e su un piano per la casa, per ora, restano solo parole.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 2nd, 2024 Riccardo Fucile
NOVE MILIONI DI ITALIANI IN DIFFICOLTA’ PER LE VISITE MEDICHE… MOLTO COSTRETTI A RIVOLGERSI AL PRIVATO (CHE POI E’ LO SCOPO DEL GOVERNO)
I tempi per ottenere una visita specialistica o un esame diagnostico aumentano. Così come gli incassi per visite in modalità solvente. Per questo la cura contro le liste d’attesa nella sanità non sta funzionando. Nonostante i 520 milioni stanziati dal governo. E nove milioni di persone sono in difficoltà per le visite, tanto da chiedere soldi in prestito. Il finanziamento per le spese sanitarie sta diventando una pratica diffusa. Tanto che la percentuale dei prestiti è in aumento del 6,6%. Intanto in Piemonte è garantita una visita cardiologica su due. E in Liguria si arriva appena al 19%. La metà dell’utenza tende a rivolgersi al privato. Gli altri aspettano.
L’attesa
La Stampa spiega che la maggior parte dei cittadini oggi è in coda per una prestazione sanitaria. «Il 51,6% di loro di fronte alla barriera delle liste di attesa è costretta per curarsi a intaccare il proprio patrimonio. E questo vale anche per le classi di reddito più basse», dice Barbara Cittadini, presidente dell’Aiop, l’Associazione delle cliniche private. L’11,9% finisce ai medici che lavorano sia nel pubblico che nel privato. «Mentre meno del 5% è coperto dalla mutualità integrativa che ette al riparo dal dover affrontare spese catastrofiche o dal trovarsi in difficoltà economiche. Come è stato per 9 milioni di italiani», sostiene Ivano Russo, presidente di Onws, l’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute. Secondo i dati del quotidiano, che sono arrivati soltanto per alcune regioni, i tempi per una visita cardiologica di priorità B sono rispettati appena nel 19,3% dei casi in Liguria, nel 29,4% in Puglia, mentre in Piemonte per la priorità D solo il 17,9% degli assistiti ottiene la visita in tempi ragionevoli.
Ginecologia e urologia
Va peggio per settori come ginecologia e urologia. Alla Asl 1 di Napoli i tempi sono rispettati nel 6,5% dei casi. Sotto il 50% per entrambe le priorità Liguria e Puglia, mentre il Piemonte è al 33% per le prestazioni differibili e al 51,6% per quelle indifferibili. Una risonanza magnetica in Liguria viene erogata entro un mese nel 29,4% dei casi. In Piemonte la stessa voce è al 38,3%, nel Lazio al 42,5%. Per una Tac toracica i tempi vengono rispettati nella metà dei casi in Piemonte. Con le gastroscopie invece la percentuale del 50% si raggiunge solo a Napoli. Per l’ecografia dell’addome i tempi sono ragionevoli nel Lazio e nel Piemonte. Solo in un caso su dieci i tempi vengono rispettati. Per una visita cardiologica a Torino si aspettano anche 9 mesi. Ne servono cinque per una risonanza magnetica al cranio. A Roma ci vogliono 8 mesi per una Rnm e 5 per una gastroscopia.
I prestiti
Poi ci sono i soldi presi in prestito. In questo caso secondo le stime di Facile.it la richiesta è aumentata del 6,6%. Mentre il 34,4% di chi ha un reddito inferiore a 15 mila euro l’anno si rivolge al privato per aggirare le liste d’attesa. La stessa cosa la fa per il 40,2% chi ha un reddito tra i 15 e i 30 mila euro annui. La ricerca consente anche di tracciare un profilo del richiedente.In media ha 46 anni, 4 anni di più di chi chede soldi per scopi diversi. Le percentuali più basse si riscontrano tra gli anziani, che pure hanno mediamente redditi più bassi e maggiori bisogni sanitarie. Segno, conclude il quotidiano, che proprio chi ha più bisogno è costretto a rinunciare con maggiore frequenza alle cure.
(da agenzie)
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