Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“IL FOGLIO”: “LA VICENDA SCURATI È L’ULTIMO ESEMPIO: SE QUEL MONOLOGO FOSSE ANDATO IN ONDA NON SE NE SAREBBE ACCORTO NESSUNO. E INVECE L’HANNO CENSURATO, PENSANDO DI FARE COSA GRADITA ALLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. SICCHÉ TRA DUE GIORNI IL MONOLOGO SARÀ LETTO PURE NELLE PIAZZE DEL 25 APRILE. L’IMBECILLE DI DESTRA TENDE A ESSERE ZELANTE NEI CONFRONTI DEL SUO CAPO. SOLTANTO CHE NON DI RADO LO METTE IN DIFFICOLTÀ
Giorgia Meloni dopo due anni circa di governo, si trova davanti a un guaio gigantesco che ipoteca il futuro e la possibile evoluzione di questo fenomeno politico a destra: è circondata da troppi imbecilli. le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. La vicenda Scurati è l’ultimo esempio: se quel monologo fosse andato in onda in quella trasmissione dai non ragguardevoli ascolti non se ne sarebbe accorto nessuno.
L’avrebbero potuto anzi mandare in loop, come sigla di apertura, come intermezzo danzante, al posto della réclame e infine anche, di nuovo, come sigla di chiusura, e ancora non se ne sarebbe accorto nessuno. E invece l’hanno censurato, pensando di fare cosa gradita alla presidente del Consiglio. Sicché tra due giorni un banalissimo monologo sarà letto pure nelle piazze del 25 aprile. Leonardo Sciascia sosteneva che il cretino di sinistra ha una spiccata tendenza verso tutto ciò che è difficile, ovvero crede che la difficoltà sia profondità.
Al contrario, l’imbecille di destra, come ben si vede, non ama scimmiottare la complessità ma tende piuttosto a essere zelante, specialmente nei confronti del suo capo. Soltanto che non di rado l’imbecille lo mette in difficoltà, il capo. L’imbecille compare improvvisamente a scatafasciare i piani del leader. [Accadde quasi due anni fa quando un prefetto utilizzò il decreto sui rave per fare proprio quello che il governo aveva detto che non sarebbe mai accaduto: vietare manifestazioni di piazza.
Ed è riaccaduto altre volte in questi mesi. Abbiamo ascoltato la deputata che va in tv a dire che le ragazze devono stare a casa e fare figli, quello che dice che la maternità surrogata è peggio della pedofilia, fino a quello che porta una pistola al cenone di Capodanno e gli parte un colpo. Meloni dovrebbe ricordarsi del monito di Almirante, il quale, quando bisognava compilare gli elenchi della direzione nazionale diceva così: “Bisogna distinguere nettamente la fase del è un cretino ma è mio amico dalla più delicata è un amico ma è un cretino” . […] La parola d’ordine è una sola e categorica, come diceva il protagonista del romanzo di Scurati: basta coglioni.
(da il Foglio)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LA FINTA INDIGNAZIONE DEI MANUTENGOLI DEL POTERE
Le spiritosaggini udite in tivù a proposito dei grandi vantaggi che la censura avrebbe procurato ad Antonio Scurati (“una pubblicità formidabile!”) sono tipiche di un popolo, prima ancora che cinico, frivolo.
Non è frivolezza, invece, è volgarità spiccia quella che la premier Meloni (dispiace per lei e per noi: presiede il governo del Paese), e in generale la vulgata di destra, hanno messo in campo imputando a “beghe economiche” la vicenda. Ah, l’avido scrittore di sinistra che voleva rapinare i soldi dei contribuenti!
La premier e i tre principali quotidiani di destra (spesso indistinguibili, come Qui Quo Qua) hanno finto indignazione, o sghignazzo, per il presunto compenso — fonte Rai, dunque fonte loro — di “1.800 euro per un minuto”.
Come se la prestazione di Scurati fosse quel minuto (volendo essere precisi: tre minuti) e non il lavoro che lo precede; nel caso di Scurati i tre libroni su Mussolini e sul fascismo, lunghi anni di studio e di scrittura.
Se lo chiamano a parlare del 25 Aprile non è per estrazione a sorte, o per raccomandazione: è perché gli autori della trasmissione presumono che ne abbia speciale competenza.
È come dire a un cantante: possibile che ti paghino così tanto, per tre minuti di canzone? Ma quei tre minuti non sono tre minuti. Sono centinaia di ore di lavoro, la composizione, gli arrangiamenti, il fare e rifare, gli errori e la correzione degli errori, la costruzione lenta di una capacità professionale e di una figura pubblica.
Niente è più demagogico di questi calcoletti, falsi nei presupposti. Volendo, suggeriamo a Meloni e ai suoi centurioni di calcolare quanti milioni ha perso la Rai trasformandosi, in meno di un minuto, da servizio pubblico in house-organ del governo.
(da La Repubblica)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“LA PADANIA E’ DI CHI CI VIVE E CI LAVORA” CONTRASTA CON IL RAZZISMO LEGHISTA
Una notte, tanti anni fa, mi trovavo, verso le 3, in una pizzeria affianco di Bossi. Si parlava non solo di politica, ma anche di donne, amori, motori, che sono i discorsi dei ragazzi (o perlomeno lo erano, perché adesso vedo che i giovani sono molto più preoccupati della situazione economica), quando gli feci improvvisamente una domanda a tradimento: “Umberto, tu sei più di destra o di sinistra?”. “Di sinistra, ma se lo scrivi ti faccio un culo così”. Va da sé che lo scrissi, anche se molti anni dopo, quando questa sua affermazione non aveva più un valore politico. Comunque – avvertenza per i lettori – non bisogna mai dire nulla a un giornalista, perché prima o poi te lo ritrovi sulla pagina.
Di recente, in concomitanza con una cerimonia per i quarant’anni della Lega tenuta a Varese, luogo simbolo del fu indipendentismo leghista, Umberto Bossi ha preso decisamente le distanze da Salvini e dalla Lega di quest’ultimo. Non gli va a sangue, all’Umberto, la posizione di estrema destra presa dalla Lega di Salvini in un governo già di destra, né tantomeno il razzismo antropologico espresso dall’attuale Lega.
La mitica Padania della prima Lega era di “chi ci vive e ci lavora”, senza fare esami del sangue a chicchessia (Bossi, lo ricordo, ha una moglie siciliana). Mentre Matteo Salvini tende a scaldare la sedia sua e dei suoi, Bossi, in concordanza col grande costituzionalista Gianfranco Miglio, aveva, come si dice oggi, una visione visionaria e totalmente in anticipo sui tempi. Pensava che in un’Europa politicamente unita i punti di riferimento periferici non sarebbero più stati gli Stati nazionali, ma macroregioni coese economicamente, socialmente, culturalmente e anche dal punto di vista climatico.
Non c’è nessuna ragione, per fare qualche esempio, che la Liguria di Ponente abbia un regime diverso dalla costa nizzarda o che Alto Adige e Tirolo siano divisi. Così come, e al contrario, non c’è nessuna ragione per cui poniamo un professore di scuola di Milano guadagni la stessa cifra di uno di Canicattì, dove il costo della vita è il 30 per cento più basso che a Milano. È il principio delle “gabbie salariali” che Bossi voleva introdurre e per cui fu accusato di razzismo antimeridionale.
Visione visionaria, dicevo. L’Europa politicamente unita non si è fatta, anzi è più che mai disunita avendo voluto allargarla a 27 Paesi, troppo lontani tra di loro per storia e cultura. Ma, poiché ognuno ha diritto di veto, l’Europa si trova di fatto paralizzata, come dimostra la sua totale inconsistenza nei grandi problemi globali. La prima Lega di Bossi, essendo sostanzialmente un movimento antipartitocratico, fu ovviamente osteggiata in tutti i modi dai partiti (“le tre repubblichette”, per dirla col socialista Ugo Intini), come avviene oggi per i 5 Stelle. L’ascesa della Lega, di quella Lega, si lega strettamente alle inchieste di Mani Pulite che stavano scoperchiando il vaso di Pandora della corruzione della classe dirigente politica ed economica. Più i magistrati di Mani Pulite facevano il proprio, doveroso, mestiere, più cresceva la Lega di Bossi, che spezzava finalmente il consociativismo (alleanza, di fatto, fra Dc e Pci/Pds) che garantiva l’impunità alla classe dirigente, politica e imprenditoriale.
Gli errori di Umberto Bossi furono sostanzialmente due. Il primo, e più grave, è stato unirsi all’avanzante Silvio Berlusconi, che pur Bossi aveva sprezzantemente chiamato Berluscaso, Berluschì, Berluscosa, Berluskaz. Il terrore di Bossi era la moltitudine di reati da cui era stato investito. La sua Lega non aveva i quattrini sufficienti per farvi fronte. Io cercavo di spiegare a Umberto che i suoi erano reati di opinione (vilipendio alla bandiera etc), molto diversi da quelli prettamente criminali di Berlusconi. Gli dicevo: “Fai una campagna contro i reati d’opinione, residuo del codice fascista di Rocco, e troverai molti alleati”. Ma non ci fu niente da fare.
Il secondo errore, forse meno perdonabile perché Bossi non vi era spinto da alcuna esigenza, è stato l’atavico familismo italiano, per cui diede al figlio Renzo, il delfino, il “trota” nel linguaggio di Bossi che non ha mai mancato di ironia, il ruolo di consigliere regionale della Lombardia, dove Renzo fu coinvolto proprio in quei reati di appropriazione indebita dei rimborsi elettorali che erano stati una delle basi delle critiche della Lega bossiana a quello che allora si chiamava il “sistema”.
Bossi è sempre stato accusato dai vari monsignor Ernesto Galli della Loggia e simili di rozzezza linguistica e personale (la “canotta bianca” che invece voleva simboleggiare, e simboleggiava, la vicinanza della Lega ai ceti popolari) e istituzionale. Ebbene, nel discorso in Parlamento del 22 dicembre 1994 in cui Bossi fece cadere il primo governo Berlusconi, non c’è rozzezza né linguistica né istituzionale. Quel discorso, se non ricordo male, terminava così: “Oggi finisce la Prima Repubblica”. Si illudeva, povero Umberto. E poveri noi.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
C’E’ L’URLATORE, IL GIANNIZZERO, IL POLIZIOTTO BUONO E QUELLO CATTIVO
Essere ipermeloniani e filogovernativi non è facile, perché significa quasi sempre difendere l’indifendibile. Ed è ancora più difficile esserlo in tivù, dove le bugie e le arrampicate sugli specchi si amplificano fino a raggiungere livelli mitologici. I talk show italiani, come per ogni governo, sono pieni di fedelissimi del capo (che in questo caso sarebbe “capa”, ma se usi il femminile Donna Giorgia si arrabbia e allora nulla). Ognuno di loro ha un ruolo ben delineato. C’è l’urlatore, c’è il giannizzero. C’è il falco, c’è la colomba. C’è il poliziotto cattivo e quello cattivissimo. Tutti sgomitano per avere più “crocchette” da Meloni e per ottenere quella visibilità mediatica che è poi forse l’unico fuoco (fatuo) con cui certa gente pare voler scaldarsi.
Scegliere in questa assai varia (ma mai avariata, beninteso) umanità non è facile, perché c’è l’imbarazzo della scelta (dunque tocca tenerne fuori troppi) e perché il livello intellettuale non è esattamente quello dei Pasolini e dei De Masi. Mi perdonerete quindi se la lista di adorabili casi (umani?) meloniani che vi apprestate a leggere vi risulterà incompleta e al contempo un po’ indigesta. Questo passa il convento, o se preferite la caserma meloniana, e ci tengo in ogni caso a dire che i nomi che sto per fare valgono per me Gramsci, Churchill e Marcuse. Autentici maestri di vita. Che Iddio ce li conservi, eia eia elalà!
Procaccini. New entry di pregio, correrà alle prossime Europee per Fratelli di Italia. Ultimamente spopola col suo bel capino lindo a Mediaset, dove si è fatto apprezzare per le tesi negazioniste sul cambiamento climatico, per gli attacchi al Fatto e per la difesa – sempre e comunque – delle forze dell’ordine. Non ha mai granché da dire, ma (non) lo dice urlando e sbraitando: è quindi perfetto come Donzelli in diesis minore.
Sardone. Un po’ Calderoli e un po’ Santanchè, ingentilita però (in apparenza) da una presenza scenica da Boschi leghista. Mix irresistibile.
Bolloli, Senaldi & friends. Lo so, vi sareste aspettati Bocchino, ma l’ardito Italo è fuori gara: con lui siamo oltre ogni leggenda di onestà intellettuale allegramente disattesa. È inesatto pure dire che tutti quelli di destra siano poco credibili: la lista di scribi scaltri e informati – dunque non così facilmente disinnescabili – è mediamente nutrita (qualche nome? Borgonovo, Belpietro, Specchia). Molto meglio virare su due professionisti del nonsense involontario e del mirror climbing sfrenato: Bolloli, che sta al governo come Fusani stava a Renzi (però Bolloli è meno antipatica), e Senaldi, uno che riesce con coerenza granitica a parlare di tutto senza saper mai quasi nulla (vantandosene pure). Che campioni!
The Giovanni Floris Camerata Band. Ovvero Storace, Magliaro & (bad) company. Floris ha da tempo creato un genere televisivo a se stante: lo sdoganamento (talora financo la riesumazione) dell’estremista a metà strada tra l’inquietante e il folclorico. Floris si diverte come un matto a (ri)prendere uno Storace o un Magliaro, per poi sguinzagliarli ogni settimana contro le Piccolotti e i Di Battista. Ne deriva una sorta di bar di Guerre stellari postmoderni, riletto però in salsa littoria fuori tempo massimo. Una meraviglia per palati fini.
Donzelli. La concorrenza è sempre più agguerrita, ma niente paura: nessuno potrà mai togliergli lo scettro di Gasparri meloniano. Voce da Donald Duck incarognito, faccette a raffica, urletti stizziti, elencazione di dati ad minchiam desunti dagli appunti cestinati di Delmastro, chiagnefottismo a iosa, capelli dadaisti e un’urticanza sempre più spiccata e conclamata. Sublime. Il giorno in cui distribuivano talento e simpatia, probabilmente Donzelli era in una cripta del Msi a compulsare avidamente la biografia di Farinacci. Che gigante! Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. (Ma forse staremmo bene anche senza). Buon melonismo a tutti!
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LE CONTRADDIZIONI DENTRO FDI SULLA LINEA DA TENERE E LO SCONTRO IN CORSO, COME DAGO DIXIT, TRA L’AD (IN USCITA) SERGIO E IL DG ROSSI
Augusta Montaruli, feldmarescialla di Giorgia Meloni nella commissione parlamentare di Vigilanza Rai ammette, di fatto, che il monologo di Antonio Scurati è stato cancellato da Raitre per motivi politici. Lo dice in un passaggio dell’intervista che ha rilasciato al Messaggero:
«La domanda che dobbiamo porci è: posto che la libertà di parola va garantita a chiunque, un monologo contro il presidente del Consiglio sulla tv pubblica sarebbe stato considerato normale in un altro Paese? La sinistra avrebbe accettato un monologo contro Schlein o Gentiloni?».
A quale Paese si riferisca Montaruli, non è dato sapere. Forse nell’Ungheria di Viktor Orban, alleato di ferro di Meloni, la televisione che riceve contributi pubblici si deve mettere sull’attenti con il governo. Fa nulla poi che il discorso partiva dall’omicidio di Giacomo Matteotti e, in vista del 25 aprile, ricordava che né Meloni né il gruppo dirigente di FdI hanno ancora pronunciato la parola «antifascismo», cuore della Costituzione sulla quale la premier ha giurato.
Per la deputata Montaruli, ex sottosegretaria, costretta un anno fa a un passo indietro dopo la condanna per peculato (per l’uso improprio dei fondi dei gruppi consiliari in Piemonte), ha ragione Meloni: «A Scurati era stato offerto un compenso abnorme per leggere un minuto di monologo».
Un’affermazione che però appare in contraddizione con la domanda stessa che si pone Montaruli. E allora delle due l’una: Fratelli d’Italia considera giusta l’epurazione perché il compenso era troppo alto o perché non è normale un monologo sulla Rai contro la premier in nome dell’antifascismo?
(da La Stampa)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
NEL CENTROSINISTRA GLI ELETTORI M5S RESTANO COME SEMPRE A CASA (DAL 25% CROLLA AL 7,7%)
Vito Bardi era il favorito, come spesso accade quando si ricandidano i governatori uscenti. Che migliorasse di circa 15 punti percentuali il risultato del 2019, però, era tutt’altro che scontato.
Un contributo decisivo è arrivato da Azione e Italia Viva, nel singolare campo largo di centrodestra che si è venuto a creare per le elezioni lucane.
Il partito di Giorgia Meloni è, senza sorprese, primo partito, ma perde qualche punto percentuale rispetto alle elezioni politiche del 2022, quando ottenne il 18,2% alla Camera e il 19,1% al Senato.
La Lega non si riprende rispetto alle ultime regionali in Sardegna e in Abruzzo: anche in Basilicata, resta dietro a Forza Italia. Tra le liste del centrosinistra a sostegno di Piero Marrese, invece, si segnala il crollo del Movimento 5 stelle rispetto alla precedente tornata del 2019: cinque anni fa era primo partito, con il 20,32% delle preferenze. Ancora più contratto il consenso del partito di Giuseppe Conte rispetto alle politiche del 2022, allora primo partito in Basilicata, al 25%.
Soffermandoci sul centrodestra, la coalizione a sostegno di Bardi si è presentata con due liste in più rispetto al 2019. Due liste che concorrono a spiegare l’incremento del consenso ottenuto dal presidente lucano. Una è Azione di Carlo Calenda, l’altra è Orgoglio lucano, sostenuta da Matteo Renzi: la somma algebrica dei voti delle due liste apporta alla coalizione circa il 15% dei consensi. Dopo aver fatto in passato fortuna nel Pd, i leader dell’ei fu Terzo polo hanno scelto di appoggiare Bardi nella corsa lucana.
Azione qui vanta la presenza in lista del campione di preferenze Maurizio Pittella: l’ex governatore ha dimostrato di poter convogliare decine di migliaia di voti. Dopo che il Partito democratico, nel 2022, decise di non candidarlo alle politiche, è passato con Calenda.
Fatto sta che Calenda lo scelse come capolista per il Senato nel collegio plurinominale Basilicata. Pittella ricambiò la fiducia coadiuvando Azione nella raccolta di 30 mila preferenze, ovvero il 12,3% dei voti.
Pittella ha una lunga storia politica in Basilicata: il «medico e politico» di Lauria – come si descrive sul suo sito – nel 2013 fu eletto presidente della Regione Basilicata sotto l’effigie del Pd: 59,60% di preferenze, 148.696 voti. A differenza di Calenda, in queste regionali Renzi ha scelto di non associare il simbolo del suo partito, Italia Viva, alla candidatura di Bardi.
Tuttavia, la lista Orgoglio lucano fa (anche) riferimento all’ex presidente del Consiglio. In questa civica è candidato Mario Polese, già segretario regionale del Pd lucano, prima di passare a Italia Viva nel 2019. Alle ultime politiche, nel ruolo di capolista alla Camera per il Terzo polo, Polese contribuì al successo dei centristi lucani, che ottennero 24 mila preferenze.
Luca Braia è l’altro nome forte schierato dai renziani per Bardi. Alle politiche del 2022, era il candidato del Terzo polo al collegio uninominale di Potenza. Consigliere comunale a Matera, consigliere regionale, assessore sempre in Regione, prima alle Infrastrutture e poi all’Agricoltura. Anche Braia, come Polese, lasciò il Pd nel 2019 – entrambi erano stati eletti da pochi mesi consiglieri regionali – per confluire in Italia Viva.
Comunque, la presenza in coalizione dei centristi – o liberaldemocratici che dir si voglia – non pare aver influito sul risultato degli altri moderati a sostegno di Bardi, i forzisti di Antonio Tajani. Anzi: gli azzurri superano il 13% delle preferenze, terzo partito della Regione dopo Fratelli d’Italia e Pd. Cinque anni fa Forza Italia chiuse la partita delle regionali al 9,14%, risultato pressoché uguale a quello delle politiche del 2022.
Non crolla la Lega, tantomeno migliora: oggi si attesta tra il 7,7%, alle politiche del 2022, alla Camera, prese il 9%
(da Open)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
E AMMONISCE: “LA PROROGA DEL TAGLIO DEL CUNEO ACCRESCEREBBE L’INCERTEZZA SUI CONTI PUBBLICI”… IL PESO DEL SUPERBONUS SUL TESORO È DI 77 MILIARDI, “DI OLTRE CINQUE VOLTE SUPERIORE A QUANTO IL DEF 2023 PREVEDEVA”
Le previsioni per l’economia italiana si discostano solo lievemente dal Def ma “i rischi per la crescita rimangono orientati al ribasso”. Lo ha detto Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia nell’audizione sul Def presso le commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato citando tra i fattori di rischio il commercio internazionale, gli effetti della politica monetaria restrittiva sulla domanda e gli effetti negavi sul comparto edilizio dalla riduzione superbonus.
Secondo Bankitalia il Pil crescerà dello 0,6% quest’anno (0,8% il dato corretto per giorni lavorativi) e poco al di sopra 1% nel prossimo biennio (0,9% nel 2025 e 1,3% nel 2026 i dati corretti).
Il costo del Superbonus contabilizzato per competenza nel 2023 è pari a 3,7 punti di Pil ovvero 77 miliardi, “5 volte superiore” a quanto il Def 2023 calcolava sarebbe maturato entro l’anno.
“Un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici
In questo caso il “disavanzo sarebbe superiore rispetto a quello tendenziale a legislazione vigente di circa un punto percentuale del Pil in media d’anno nel triennio 2025-27, rimanendo al di sopra del 3% in tutti gli anni dell’orizzonte previsivo”.
“Un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi – secondo Altimari – accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici; d’altra parte, rendere strutturali gli sgravi aprirebbe due questioni rilevanti”. In primo luogo, ha spiegato, “verrebbe meno a livello aggregato l’equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni che, nel medio periodo, caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza”.
In secondo luogo, ha aggiunto il responsabile di Bankitalia, “senza una modifica della struttura degli sgravi, i lavoratori con redditi prossimi alle soglie al di sotto delle quali si matura il beneficio continuerebbero a essere penalizzati da elevate aliquote marginali effettive, con effetti potenzialmente distorsivi dell’offerta di lavoro”.
Negli incentivi che il governo deciderà di mettere in campo per favorire la transizione digitale e ecologica bisognerà stare attenti a non rifare errori come quello del superbonus. Parola di Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia. “La politica di bilancio sarà chiamata, oltre a reperire risorse per le “politiche invariate” che si deciderà di perseguire, anche a finanziare le transizioni digitale e verde. Nell’introdurre nuovi schemi di incentivazione occorrerà evitare di ripetere gli errori che hanno caratterizzato alcune misure recenti, in particolare l’esperienza del Superbonus”.
Rispondendo alle domande di Luigi Marattin (Iv) che ha fatto notare come l’Istat abbia rivisto proprio oggi i dati sul deficit del 2023, Altimari ha quindi spiegato che per le stime sul Superbonus Bankitalia si basa sui dati contenuti nel Def e dell’Istat. “Su questo punto chiediamo una maggiora chiarezza da parte del governo su come poi questi maggiori oneri vengono allocati per cassa nel corso del triennio successivo, ma per quanto capisco le stime sul 2003 non sono ancora concluse, siamo in attesa di un dato finale”, ha precisato.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2024 Riccardo Fucile
CASE FATISCENTI, AFFITTI IN NERO: IL FENOMENO DEI PALAZZINARI
Case fatiscenti, affitti riscossi con metodi poco trasparenti, sfruttamento (abitativo). Il fenomeno dei “palazzinari” che affittano appartamenti precari agli stranieri nelle varie città italiane è cresciuto nel tempo.
A Torino, scrive la Repubblica, una brandina sistemata in cucina può costare anche 400 euro al mese, più le spese di luce e acqua. All’interno di questi appartamenti, nel centro del capoluogo piemontese, si vive quasi in venti dove normalmente c’è spazio per una sola famiglia. Chi accetta di vivere in queste condizioni «non ha alternative», spiega la lega Alice Pasquero dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) al quotidiano. «Parliamo di famiglie vulnerabili economicamente – continua l’avvocata -, spesso stranieri che fanno fatica ad avere i documenti e di conseguenza non trovano un contratto di lavoro e quindi nemmeno un affitto regolare». Anche perché nel mercato privato «non si affitta agli stranieri – sottolinea Pasquero -. Soprattutto agli africani, il colore della pelle è un ostacolo».
Nessuno denuncia
L’associazione Arteria di Torino, che cerca con ogni mezzo di prevenire il fenomeno, chiama questo sistema «caporalato abitativo». Nonostante l’assenza di una definizione giuridica, tale fenomeno «ha dinamiche simili al caporalato lavorativo. Si lucra sul fatto che ci sono persone vulnerabili», precisa un operatore sociale. Una situazione, questa, che peggiora di anno in anno poiché nessuno denuncia. Tutti hanno paura di perdere quell’unica soluzione che, con ogni probabilità, permette agli inquilini di avere un indirizzo da mettere sui documenti. E a guadagnarci sono i proprietari di immobili che difficilmente troverebbero spazio nel mercato tradizionale. «Il problema delle residenze è reale per molti, tanto che esiste un vero e proprio mercato nero delle residenze», spiegano al giornale. «C’è chi è disposto a pagare mille euro – continuano – per poter dichiarare la propria residenza in uno stabile». Anche perché senza residenza «non si ottiene la riduzione della retta dell’asilo nido, non si accede al servizio sanitario ed è sempre più difficile avere un contratto regolare di lavoro e un permesso di soggiorno», concludono gli operatori.
(da agenzie)
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