Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL TIMORE CHE L’ESERCITO DI ZELENSKY POSSA IMPLODERE E I RUSSI AVANZARE FINO A KIEV, SPINGE L’ALLEANZA ATLANTICA A FISSARE DUE LINEE ROSSE… LA PRIMA: NESSUN ALTRO PAESE DEVE ENTRARE NELLO SCONTRO (COSA CHE POTREBBE FARE LA BIELORUSSIA, PER DARE UNA MANO A PUTIN); LA SECONDA: UNA PROVOCAZIONE MILITARE CONTRO I BALTICI O LA POLONIA, OPPURE UN ATTACCO MIRATO CONTRO LA MOLDAVIA PER TESTARE LA REAZIONE OCCIDENTALE
È ala prima volta, dall’inizio della guerra. La Nato, in maniera molto riservata e senza comunicazioni ufficiali, ha fissato almeno due linee rosse, superate le quali ci potrebbe essere un intervento diretto nel conflitto in Ucraina. Al momento, va sottolineato, non esistono piani operativi che prevedano l’invio di uomini, ma soltanto valutazioni su possibili piani d’emergenza nel caso ci fosse il coinvolgimento di soggetti terzi nella guerra.
Ecco, la prima “linea rossa” è proprio questa: la partecipazione diretta o indiretta di una terza parte nel teatro ucraino. Un’eventualità accompagnata da paure e timori. Da remore e vincoli morali. E che ruota attorno alla possibilità che la Russia penetri le linee di difesa di Kiev. Il confine russo-ucraino, del resto, è lunghissimo e vulnerabile. Le truppe di Zelensky non sono più in grado di controllarlo per intero.
Ma il vero incubo riguarda il possibile sfondamento a Nord-ovest. Perché? Perché creerebbe un corridoio tra Kiev e la Bielorussia. Un’opzione tattica giudicata plausibile di recente da diversi analisti alleati. Minsk a quel punto verrebbe inglobata direttamente nella contesa militare. Le sue truppe e il suo arsenale sarebbero determinanti per Mosca. E questa circostanza non potrebbe che attivare la difesa in favore dell’Ucraina.
La seconda opzione riguarda una provocazione militare contro i baltici o la Polonia, oppure un attacco mirato contro la Moldavia. Non si tratta necessariamente di un’invasione – che potrebbe seguire a un’offensiva su Odessa – ma anche solo di un affondo militare per testare la reazione occidentale. Un tentativo che potrebbe essere effettuato anche per saggiare la capacità di reazione del fronte alleato in una fase di possibile confusione: la stagione elettorale in Europa e in Usa può indurre il Cremlino a pensare che la Nato sia distratta.
L’Alleanza, però, non sarebbe disposta a tollerare un’aggressione del genere. Bisogna spostare l’attenzione sul fronte orientale del conflitto. Le Cancellerie europee seguono con profonda preoccupazione gli sviluppi dell’offensiva russa nel Donbass. L’ipotesi di un tracollo militare delle truppe di Zelensky non è più escluso.
Ecco perché per i leader occidentali diventa vitale lanciare un messaggio chiaro a Vladimir Putin: un conto è penetrare a fondo nei territori orientali, altro conquistare la capitale o coinvolgere Stati terzi nella guerra. In altri termini: l’Ucraina non può perdere e l’Alleanza atlantica è pronta a intervenire direttamente per evitare il collasso di Kiev.
Il terreno racconta di una strategia già pronta e di truppe schierate, in caso d’emergenza. Lungo il confine orientale dell’Europa – Paesi baltici, in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania – la Nato può già contare su oltre 100 mila soldati, tra quelli già schierati e quelli che verrebbero mobilitati in pochi giorni nell’ambito della “Response Force”. In un mese, ha spiegato di recente il capo di Stato maggiore polacco, potrebbero essere raddoppiati, entro sei mesi triplicati.
Sarebbero loro a essere chiamati a intervenire, partendo dalle basi dell’Alleanza che ospitano anche caccia e armamenti di ogni tipo. Tenendo presente che in realtà un migliaio di effettivi “occidentali” (quasi la meta polacchi) sono già attivi in incognito sul territorio ucraino. Un’eventuale reazione occidentale procederebbe però per gradi: il primo asset a essere mobilitato sarebbe l’aeronautica, mentre le truppe di terra rappresenterebbero soltanto l’extrema ratio di un’eventuale escalation.
E d’altra parte l’allarme, già alto per la carenza di scorte e uomini a disposizione degli ucraini, è diventato altissimo a causa di altre due condizioni sfavorevoli a Kiev. La prima riguarda il meteo, che ha già permesso l’avvio della controffensiva russa di primavera: la stagione estiva, con le nevi ormai sciolte e il fango asciutto, è favorevole all’avanzata dell’esercito di Putin.
Il secondo fattore come si diceva- è politico. Nei prossimi mesi, Europa e Stati Uniti saranno impegnati in due campagne elettorali incerte e capaci di rallentare ogni decisione operativa. È la condizione ideale per Putin, consapevole di poter approfittare della distrazione delle opinioni pubbliche occidentali – e della debolezza dei suoi leader – per conquistare terreno e avvicinarsi minacciosamente ai confini del continente. […] si tratta per ora di scenari pessimistici. Possibili, però. E valutati dai leader occidentali.
Macron. Si è esposto molto nelle ultime settimane, chiedendo ai partner europei di non escludere alcuna opzione. […] Lo fa a poche ore da un passaggio chiave: la visita di Xi Jinping a Parigi. La Francia, trapela dall’Eliseo, solleciterà Xi a usare la sua influenza su Putin. «Oggi non è nell’interesse della Cina avere una Russia che destabilizza l’ordine internazionale – è la linea del francese, che terrà anche un trilaterale con Ursula von der Leyen – Dobbiamo quindi lavorare con la Cina per costruire la pace».
(da la Repubblica)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
PREMIERATO, AUTONOMIA, DIFFERENZIATA E GIUSTIZIA: IL GOVERNO FA A PEZZI LA CARTA
Un pezzo di sopra (il premierato), uno di sotto (l’autonomia differenziata). E adesso un pezzo di lato: la giustizia. Sicché, un po’ per volta, fanno a pezzi la Costituzione. Dividendone le spoglie fra i tre commensali di governo, ciascuno con il proprio bottino. E senza una discussione pubblica, che coinvolga anche per sbaglio i cittadini. Anzi: senza nemmeno una discussione generale. La Grande Riforma, il nuovo abito che dovrà indossare la nostra vecchia Carta, è frutto d’interventi parziali, parcellizzati, e in conclusione lottizzati.
La prima obiezione è dunque nel metodo di questo processo. Senza scomodare la buonanima dell’Assemblea costituente, dovremmo quantomeno rammentarci che in passato abbiamo battezzato tre Bicamerali, con un profluvio di dibattiti dentro e fuori il Parlamento.
Adesso no: l’ultima creatura — la riforma della giustizia — è stata concepita durante una riunione di 40 minuti fra 8 persone. A Palazzo Chigi, e dove sennò? Giacché la riscrittura della Carta procede dall’alto (il governo) verso il basso (il Parlamento). E laggiù in basso è permesso soltanto l’applauso, il voto sotto dettatura.
«Quando l’assemblea discuterà la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti» diceva Piero Calamandrei. «E del pari il governo deve rimanere estraneo alla formulazione del progetto, se si vuole che quest’ultimo scaturisca dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana». Altri tempi, altre tempre. Eppure anche nel terzo millennio non mancano esperienze costituzionali di tutt’altro segno. Per esempio in Irlanda, nel 2012, quando venne istituita una Convention on the Constitution composta da parlamentari e da cittadini comuni, per riscrivere le regole del gioco.
Ma è una Costituzione a pezzi anche nel merito, non solo nel metodo. Nel senso che prende un pezzo di qua, un pezzo di là, copiando questo o quell’altro istituto dai sistemi costituzionali stranieri, senza però importarne l’impianto complessivo, senza affiancare al nuovo peso un adeguato contrappeso. Vale anzitutto per il premierato.
Qualcuno può affermare che l’elezione diretta del capo del governo costituisca una bestemmia? No di certo, dal momento che funziona nelle due democrazie più antiche, negli Stati Uniti e in Francia. Ma se in Italia il premier eletto ha un potere di vita o di morte sulle Camere, se prosciuga le funzioni di garanzia attribuite al presidente della Repubblica, se torreggia tal quale un gigante in un paese di nanetti, allora sì, c’è di che allarmarsi.
Vale in secondo luogo per l’autonomia differenziata. Non è il principio in sé a farci storcere la bocca: se una Regione rivendica ulteriori competenze che corrispondono alla specifica vocazione del proprio territorio, ai suoi tratti peculiari, nulla di male ad accendere il verde del semaforo. In via eccezionale, e con una richiesta motivata. Però se tutte e 15 le Regioni ordinarie possono ottenere tutte e 23 le materie in ballo, allora l’eccezione si converte in regola, e la nuova regola è lo sfascio, l’anarchia. Con buona pace dell’unità degli italiani, evocata nell’articolo 5 della Costituzione.
E vale in terzo luogo per la giustizia riformata. L’uso del sorteggio per formare il Csm, per dirne una: può essere un buon anticorpo contro le correnti giudiziarie, o meglio contro i loro abusi, che nuocciono al prestigio stesso della magistratura. Chi scrive sostiene da anni questa soluzione. Però un sorteggio temperato, e circoscritto inoltre ai magistrati meritevoli, onde evitare brutte sorprese.
Se invece al todos caballeros s’aggiunge la separazione delle carriere, col rischio di mettere i pm al guinzaglio del potere esecutivo, come paventa Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Se vi s’associa infine un’Alta corte per castigare i peccati dei giudici, sottraendola alla guida del capo dello Stato, e magari facendone designare dalla maggioranza di governo i componenti.
Se tutti questi pezzi si congiungono agli spezzoni precedenti, allora la morale è quella illustrata da un celebre libro di Foucault: Sorvegliare e punire.
Michele Ainis
costituzionalista
(da repubblica.it)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
“SIAMO LA FORZA RASSICURANTE£”… IN REALTA’ SOLO COMPLICE DEI SOVRANISTI
Volantini, santini, manifesti e soprattutto tre spot da mandare in tv, radio e social. Obiettivo: “Scrivere Tajani”. Quindi chiedere di votare per lui in ricordo del fondatore Silvio Berlusconi. Nelle ultime ore il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ha inviato ai dirigenti di partito il kit della comunicazione elettorale in vista delle elezioni europee. Un’operazione nostalgia con cui il ministro degli Esteri vuole provare a disegnare Forza Italia come la “forza rassicurante” e “al centro dell’Europa”.
L’operazione però è tutta incentrata sul ricordo di Berlusconi e sulla sua eredità raccolta dal vicepremier. Nei santini e manifesti che iniziano a circolare ovunque si vede l’ex leader di Forza Italia alzare la mano del ben più giovane Tajani durante un congresso di partito. Nel retro del volantino invece viene indicato il simbolo che – oltre ai riferimenti a Noi Moderati di Maurizio Lupi e al Partito Popolare Europeo – contiene addirittura la dicitura “Berlusconi presidente”. Una brochure standard che tutti i candidati dovranno utilizzare. Poi c’è il santino di Tajani che servirà in tutte le circoscrizioni, tranne le isole, dove non è candidato. E un’altra brochure con i dieci punti del programma di Forza Italia: dalla Difesa comune alla tutela della casa e della proprietà passando per il controllo dell’immigrazione.
Ma sono i tre spot del vicepremier a imprimere il segno dell’operazione nostalgia. Sono tre filmati di diversa durata, per i diversi mezzi. L’ambientazione è sempre la stessa: Tajani che, con il completo istituzionale, cammina in un parco di Roma. Nel filmato più breve il vicepremier chiede solo di “votare Forza Italia” e scrivere Tajani: “Siamo la forza rassicurante, con noi al centro dell’Europa”. Gli altri due, invece, sono più lunghi e qui è la figura di Berlusconi a essere protagonista. Due filmati da 20 e 30 secondi in cui Tajani legge da fuori campo il testamento politico di Berlusconi rivelato nel libro di Paolo Del Debbio In nome della libertà. “Forza Italia è un partito senza frontiere, della libertà, della democrazia, del cristianesimo, della dignità, del rispetto per tutte le persone – legge Tajani mentre scorre il documento – Forza Italia è partito per me, per te, per tutti noi”. Tutto questo alternato con le immagini di Berlusconi, tra cui la celebre scena del predellino da cui, nel 2007, nacque Il Popolo delle Libertà.
Una campagna in prima persona, quella di Tajani, dietro cui si cela anche un obiettivo personale. Messo da parte temporaneamente il grande sogno del Quirinale, il ministro degli Esteri potrebbe essere la carta di Giorgia Meloni per la presidenza della prossima commissione europea. Per Tajani, che ha già guidato il Parlamento europeo, sarebbe un obiettivo concreto, dicono fonti qualificate di Forza Italia.
L’impresa non è impossibile: Tajani è ai vertici del Partito Popolare Europeo (è stato vicepresidente), mentre la candidata Ursula von der Leyen è in caduta libera e rischia di non essere la figura adatta per il Ppe e per i Conservatori e Riformisti di Giorgia Meloni, che avevano puntato molto su di lei. Per questo, i capi di governo hanno due carte da giocare: una è quella della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Ma Metsola viene da un Paese (Malta) che conta relativamente nello scacchiere europeo e il cui partito si trova all’opposizione in patria. Poi c’è sempre l’opzione di Mario Draghi spinta da Macron. Ma non è escluso che l’outsider possa essere proprio Tajani. L’ostacolo principale però riguarda la sua vicinanza politica a Meloni: nelle cancellerie internazionali, il ministro degli Esteri rischia di essere assimilato alla premier, che non potrà esprimere il presidente della Commissione. Non è un caso che Tajani il 12-13 maggio accompagnerà Von der Leyen nel suo tour italiano: per mostrarsi come un uomo delle istituzioni europee, super partes.
Nel caso in cui per Tajani si aprissero le porte della Commissione Ue, Meloni dovrebbe fare un rimpasto di governo che prevederà anche modifiche tra i ministri di Forza Italia: già si scalda Letizia Moratti, che spera in un ministero di peso, magari proprio quello degli Esteri nel caso in cui Tajani dovesse lasciare la Farnesina.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL POTERE DI POCHI, ALTRO CHE GOVERNO DEL POPOLO
Nelle recenti elezioni regionali in Basilicata non è andato a votare il 50,2 per cento degli aventi diritto, più della metà.
Si conferma quindi la tendenza, ed è un dato generale, all’aumento di un forte astensionismo a cui andrebbero aggiunte le schede nulle e le schede bianche. E se l’astensione arrivasse al 75 per cento si potrebbe dire che siamo ancora in una democrazia? E se, paradossalmente, uno solo andasse a votare? Si scrive che si tratta di disaffezione per la politica. Non è così, il non voto è pur sempre un voto. Si tratta di disaffezione o per essere più precisi di disprezzo nei confronti delle oligarchie partitocratiche che finisce per coinvolgere la stessa democrazia.
Che cosa sia in effetti la democrazia nessuno lo sa dire con certezza. Giovanni Sartori e Norberto Bobbio, che hanno dedicato la loro vita a questo tema e che certamente non possono essere considerati degli illiberali, ne danno una definizione così incerta da diventare evanescente. Scrive per esempio Bobbio: “Per regime democratico s’intende primariamente un insieme di regole e di procedure per la formazione di decisioni collettive, in cui è prevista e facilitata la partecipazione più ampia possibile degli interessati”.
Il nocciolo della democrazia è quindi il consenso? Niente affatto. Il consenso può esistere anche nelle dittature, come insegnano nazismo e fascismo, spesso anzi è assai più ampio di quello che i governanti possono ottenere in un regime democratico. Sarà allora il fatto che in democrazia il consenso è spontaneo e nelle dittature coatto? Anche questo è dubbio. Nazismo e fascismo ebbero per un certo periodo un consenso sicuramente spontaneo e volontario. Sono quindi le elezioni? Ma anche in Unione Sovietica, e persino in Bulgaria, come è noto, si tenevano elezioni. È il pluripartitismo? Max Weber nota – e siamo già negli anni 20 del Novecento – che “l’esistenza dei partiti non è contemplata da nessuna Costituzione” democratica. Non possono quindi essere i partiti l’elemento caratterizzante della democrazia liberale, che esisteva anche prima della loro istituzionalizzazione. Sarà, come alcuni dicono, “il potere della legge”? Ma il potere della legge esiste anche negli Stati autoritari, anzi più uno Stato è autoritario più questo potere è forte. Si obietterà che negli Stati autoritari la legge è arbitraria e discrimina tra cittadino e cittadino. È perciò, allora, “l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge” il clou della democrazia? Ma anche nei regimi comunisti i cittadini sono uguali, almeno formalmente, davanti alla legge. È allora il principio della rappresentanza? Ma anche il Re rappresenta il popolo. Sarà dunque, come dice Popper, che la democrazia è quella forma di governo caratterizzata da un insieme di regole che permettono di cambiare i governanti senza far uso della violenza? Neppur questo. È storico che nelle aristocrazie il governo può passare da una fazione all’altra senza spargimento di sangue.
La democrazia quindi si riduce a una serie di regole e procedure che dovrebbero essere invalicabili. La nostra Costituzione dedica ai partiti una sola norma, l’art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma i partiti, presa la mano, hanno afferrato anche il braccio, occupando tutto il sistema nel settore pubblico e spesso anche in quello privato.
Si dirà, secondo il detto anglosassone, one man, one vote. Che ogni voto ha pari valore. Ma nemmeno questo è vero. Sulla questione ha detto cose definitive la scuola “elitista” dei primi del Novecento. Scrive Gaetano Mosca: “Cento che agiscano sempre di concerto e di intesa gli uni con gli altri trionferanno su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro”. Ciò ha portato Bobbio ad affermare: “Oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito, o credono di aver capito, che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza danni”.
In una democrazia le regole fondamentali, che sono poi quelle poste in Costituzione, dovrebbero essere invalicabili. Nella realtà si viene poi pian piano formando una “Costituzione materiale”, come ammette lo stesso Bobbio, il quale afferma che “altro è la costituzione formale, altro è la costituzione reale e materiale”. Un caso clamoroso è quello di Berlusconi che, dopo aver violato buona parte delle norme costituzionali e tutte le leggi penali, ha costruito un oligopolio attraverso il quale era il padrone del Paese, trasformando quindi la democrazia in un’aristocrazia, la sua.
C’è poi qualcosa da aggiungere sui nostri rappresentanti. Chi sono costoro? Quali sono le qualità di queste oligarchie, o, come dice pudicamente Sartori, poliarchie che ci governano? In altri tempi e in altri mondi, prima dell’avvento dell’Illuminismo, le aristocrazie per esser tali dovevano avere delle qualità specifiche. Nel feudalesimo, occidentale e orientale, i nobili sono coloro che sanno portare le armi, in certe epoche dell’antico Egitto la professione di scriba conduceva alle cariche pubbliche e al potere, in Cina la conoscenza dei numerosissimi e difficili caratteri della scrittura era la base della casta dei mandarini, nella Roma repubblicana il comando, attraverso la trafila delle magistrature (questore, edile, pretore, console), andava ai giurisperiti che, generalmente, erano anche uomini d’arme, in altre realtà la casta sacerdotale era creduta in possesso di doti particolari per mediare con la divinità. Qual è la qualità prepolitica dei nostri rappresentanti? È, tautologicamente, quella di fare politica, di essere, come scrive Max Weber, dei “professionisti della politica”. Insomma la vera qualità dell’uomo politico è di non averne alcuna. Questo spiega anche la facilità con cui costoro passano da un’oligarchia all’altra, cioè da un partito all’altro, con grande disinvoltura come dimostra il vorticoso cambio di candidature alle prossime elezioni europee.
Ma siamo poi veramente noi a scegliere coloro, sia pur mediocri, da cui vogliamo essere rappresentati? No, è la direzione del partito che, fregandosene di ogni eventuale merito, mette in pole position quelli più fedeli.
Le democrazie sono notoriamente i regimi più corrotti. Non che le dittature o le autocrazie non siano corrotte, tutt’altro, ma in una democrazia la cosa è peggiorata perché essendo basata sulla competizione, che negli Stati autoritari non c’è, diventa quasi necessario comprare pacchetti di voti o colludere con organizzazioni criminali. Le cronache italiane recenti ne sono una clamorosa, anche se amara, constatazione. Insomma, l’adesione a un partito da libera scelta diventa un obbligo per chi, per dirla con Ignazio Silone, “vuol vivere un po’ bene”.
Ce n’è abbastanza per disertare le prossime elezioni europee. Oltretutto sono a giugno e si può andare felicemente al mare. L’Italia ha 8.300 chilometri di coste una volta bellissime, ma che noi siamo riusciti a rovinare con la cementificazione a favore di quelle oligarchie, politiche ed economiche, di cui abbiamo parlato. Tout se tient.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
FINE DEI GIOCHI: PENSIONI D’ORO, GLI EX PARLAMENTARI HANNO VINTO LA BATTAGLIA SUGLI ARRETRATI, POI E’ ARRIVATA LA RIABILITAZIONE DEI CONDANNATI
L’assalto è ripartito ma, adesso, all’ottimismo della volontà si è sostituita l’acquolina che piglia a chi è sicuro di andare all’incasso. Udite udite! L’Associazione degli ex parlamentari attende graditissime novità dalla Camera: il 31 gennaio scorso e il 1º febbraio, di fronte al collegio di giustizia interna di Montecitorio, è ripartita l’infernale macchina attraverso la quale Lorsignori puntano a riprendersi il vitalizio tutto intero con annessi arretrati. E a seppellire così per sempre i tagli imposti in quella stagione effimera all’insegna dell’equità sociale targata M5S.
Secondo i bene informati bisognerà solo aspettare di scavallare le elezioni europee, tanto per non rischiare di indispettire gli elettori, o al peggio l’estate quando l’attenzione mediatica cala: l’agognata sentenza che vale oro è comunque in arrivo. E già si pregusta il lieto fine: l’aria è cambiata.
Del resto al Senato l’incubo dei tagli è ormai un lontano ricordo: la sforbiciata imposta nel 2018 ai ricchi emolumenti degli ex senatori è stata depennata senza colpo ferire già alla fine della scorsa legislatura. Di più: a Palazzo Madama, sempre regnante Maria Elisabetta Alberti Casellati, il vitalizio era stato restituito persino ai condannati come Roberto Formigoni e Ottaviano Del Turco, ma anche Denis Verdini o Antonio D’Alì che non hanno nei fatti mai smesso di percepirlo nemmeno ospiti delle patrie galere. E alla Camera? Sin qui il taglio imposto sei anni fa dall’allora presidente Roberto Fico ha retto, anche se a distanza di pochissimi anni se la passa malissimo: la delibera originaria del 2018 è stata ammorbidita dopo che una sentenza del collegio di giustizia interna di primo grado ha imposto la rivalutazione degli assegni nel caso in cui gli ex inquilini di Palazzo fossero riusciti a dimostrare di essere ridotti sul lastrico o comunque malconci. Ebbene. Questa procedura ha innescato una questua senza fine di ex: tutti asseritamente poveri, poverissimi, praticamente in mutande. Quello degli ex deputati è, a quanto pare, un esercito di morti di fame. Fatto sta che, tra una richiesta e l’altra, alla fine quelle accolte sono state una valanga con il risultato che i risparmi per il bilancio della Camera attesi dal taglio si sono dimezzati dai previsti 40 ad appena 23 milioni di euro. Se adesso la delibera del 2018 verrà proprio fatta secca, sempre per mano degli organi di giustizia interna come accaduto già a Palazzo Madama, i risparmi scenderanno a quota zero e anzi bisognerà rimetterci pure gli interessi.
Non si tratta di un’ipotesi peregrina visto che l’aria è cambiata. Tanto e lo si capisce pure dall’insistenza con cui bussano a soldi anche gli ex deputati a cui è stato tolto il vitalizio, causa condanne. A differenza del Senato, che ha ridato l’assegno a tutti persino a chi è in carcere, a Montecitorio ancora serve almeno aver ottenuto la riabilitazione. Questo non ha comunque scoraggiato per esempio Cesare Previti che lo scorso anno di questi tempi aveva provato a riottenere l’assegno di 4 mila euro al mese (più gli “interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al soddisfo”) vantando il positivo superamento dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Da ultimo, a dicembre, ci ha provato anche Gianstefano Frigerio, già segretario amministrativo della Dc lombarda finito nei guai per Mani Pulite ma anche Expo: non lo ha riavuto per un pelo, solo perché il vitalizio gli era stato tolto per una condanna diversa da quelle per cui ha dimostrato di poter vantare la riabilitazione: allo stato la Camera gli ha detto no, poi si vedrà.
Intanto la tendenza a riaprire i rubinetti, a dispetto dei guai con la giustizia e i persistenti debiti con l’Erario, dilaga in favore degli ex parlamentari ma anche per gli ex consiglieri regionali. Da ultimo ha fatto scalpore il caso dell’ex assessore veneto Renato Chisso condannato per lo scandalo delle mazzette per il Mose: riavrà buona parte del vitalizio – centinaia di migliaia di euro a quanto pare – dopo che il tribunale di Treviso ha stabilito che il vitalizio equivale a una pensione e dunque non poteva essergli integralmente pignorato nell’ambito della maxi confisca di 2 milioni di euro subita. Questione che adesso spalanca le porte anche ai ricorsi di molti altri, a partire da Giancarlo Galan.
Per tacere delle rivalutazioni d’oro che gli ex consiglieri incassano ogni anno dalle regioni. Dove per la verità, dopo una breve stagione all’insegna dei tagli si è tornati all’antico anche su un altro fronte, quello della privacy, che non fa rima con trasparenza: alcune regioni pubblicano sul sito i nominativi di chi ha diritto al vitalizio, ma omettendo l’importo. Altre mettono le cifre, ma coprono i nominativi dei beneficiari con le loro matricole, altre ancora sganciano i dati, ma se si fa domanda in carta bollata, altre ancora aggiornano i dati con grande ritardo o non hanno proprio intenzione di farlo.
Risultato: Formigoni chissà se comparirà nell’elenco dei beneficiati della Lombardia nel 2024 dopo esser passato già all’incasso di quello generoso del Senato. Dove la fortuna ha baciato pure Del Turco che lo somma a quello rielargito da ottobre 2023 dalla Regione Abruzzo. E la lista non finisce qui, tra ex di lusso beneficiati dal doppio vitalizio. Del resto pure chi ne ha solo uno non deve passarsela affatto male come Totò vasa vasa Cuffaro che ha riottenuto il vitalizio siciliano che non si sa a quanto ammonti, ma sicuramente non due spicci. Dove c’è gusto, non c’è perdenza: Casta la vittoria, siempre!
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA CASTA È PER SEMPRE: “CON MELONI SIAMO PASSATI AL COGNATISMO, NON PRENDONO IL TRENO NEANCHE PER ROMA/MILANO”
In diciassette anni siamo addirittura peggiorati. Nel 2007 Sergio Rizzo firmò La casta (insieme a Gian Antonio Stella), un libro che entrò nell’immaginario collettivo mettendo in fila i peggiori vizi della classe politica e gettando i semi di una stagione (effimera) di pulizia nei costumi del potere. E poi? “Tutto è tornato come prima”, sostiene Rizzo. “Anzi peggio: si vergognano ancora meno”.
Io so’ io (edizioni Solferino) è il seguito ideale della casta. Cosa è cambiato?
Oggi chi ottiene il potere ritiene che la cosa pubblica gli appartenga. Sprechi e assurdità sono le stesse, manca il senso di pudore.
Faccia un esempio.
Daniela Santanchè non può fare il ministro per ovvie ragioni di opportunità. Invece il centrodestra fa quadrato attorno a lei senza una voce di dissenso.
Il suo libro inizia con Giorgia Meloni e la dichiarazione sulla sorella Arianna: dice, in sostanza, “avrei potuto piazzarla in una società pubblica e non l’ho fatto”. Bisogna ringraziarla?
Evviva la sincerità. La destra si è presa tutto, mai vista un’invasione così. Con casi clamorosi come Difesa Servizi, spa del ministero della Difesa: a capo hanno messo un ex consigliere militare, braccio destro di Crosetto, e hanno occupato il resto del cda con politici trombati.
Il vitalizio, simbolo della casta, viene restituito persino a condannati come Giancarlo Galan.
Una burla. È tutto come prima. Vitalizi, auto blu, voli blu: non prendono il treno neanche per andare da Roma a Milano. Per loro è un’epoca chiusa, si considerano assolti.
Di chi è la responsabilità?
Oggi abbiamo due parlamentari condannati in via definitiva. Una per peculato, un reato contro la pubblica amministrazione (Augusta Montaruli, ndr). Sa perché è possibile? Hanno applicato la legge Severino. Nel 2012, dopo lo sfacelo di Berlusconi, hanno combinato un disastro venendo a patti con Forza Italia e col centrodestra. La Severino non era un segnale forte, ma una colossale presa in giro.
Meloni parla di “amichettismo” a sinistra, ma in casa ha un familismo sensazionale.
Ho contato una settantina di parenti in Parlamento, non solo a destra. Ma con la premier siamo arrivati a un livello superiore: dal nepotismo al cognatismo. Un altro esempio tragicomico: l’amministratore delegato di Ares è un autonoleggiatore di Frosinone nominato – dicono – perché amico di Arianna.
Nel 2018 Renzi sventolava in tv il conto corrente da 15mila euro. Oggi i suoi redditi superano i tre milioni.
Non c’è una legge che gli vieti di fare conferenze, così come non vieta a Delmastro di farsi una società di avvocati mentre è sottosegretario della Giustizia; non c’è una norma che impedisca a Crosetto di fare il ministro Difesa dopo i ruoli di potere nel settore delle armi, o a Santanché di andare al Turismo malgrado il Twiga. Dovrebbe ispirarli il senso d’opportunità, invece usano la politica per sistemare gli affari propri.
I Cinque Stelle nacquero sulle ali dell’indignazione anti-casta. E poi?
Gli elettori sono rimasti delusi da come hanno gestito il potere. Anche il taglio dei parlamentari poteva esser fatto meglio: sono diminuiti deputati e senatori, ma gli uffici di Camera e Senato spendono più di prima. I 5S hanno il avuto il record di cambi di casacca, avevano bisogno di una fase di crescita culturale e politica.
E negli elettori l’indignazione che fine ha fatto?
Non si è spenta, ma la gente non vota più. Il governo in carica rappresenta il 24,7% del corpo elettorale: 12,5 milioni di persone su 50,8 milioni di aventi diritto, è la cifra più bassa di tutti i paesi occidentali. E con il 24,7% vogliono smontare la Costituzione.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL LABOUR INCASSA LA VITTORIA E PUNTA AL GOVERNO DEL REGNO UNITO
Sadiq Khan è stato rieletto sindaco di Londra. Il 53enne politico britannico di origini pakistane, alla guida della capitale del Regno dal 2016, si appresta a inaugurare il suo terzo mandato.
Gli elettori gliel’hanno consegnato con il 43,8% dei voti. La candidata dei Conservatori Susan Hall è rimasta staccata al 32,7%. L’affluenza si è fermata al 40,5% degli aventi diritto.
Il risultato rafforza ulteriormente il successo complessivo del Labour nella tornata di elezioni amministrative svoltasi nei giorni scorsi. Keir Starmer, leader del partito di centrosinistra che nei sondaggi nazionali vola oltre 20 punti sopra i Tories (44,8% contro 24,8%) ora preme sull’acceleratore perché si vada a elezioni il più presto possibile. Il premier Rishi Sunak dovrà comunque sciogliere il Parlamento entro fine anno, alla scadenza della legislatura, e le politiche dovranno svolgersi entro gennaio 2025.
(da agenzie)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
“ANCORA ADESSO LA NOTTE SOGNA L’ARRIVO DELLA POLIZIA CHE LO TORTURA”
Ammanettato, incaprettato, steso a terra per 13 minuti in condizioni di grosse difficoltà respiratorie mentre implora «please, please please» agli agenti. Stanno facendo discutere le immagini, diffuse dal Quotidiano Nazionale, di Matteo Falcinelli il 25enne di Spoleto, arrestato il 25 febbraio a iscritto a North Miami Beach. Il giovane si trovava negli Stati Uniti per seguire un Master alla Florida International University ed è stato fermato dagli agenti in un locale di spogliarelliste. La madre del ragazzo, Valsta Studenikova, originaria della Slovacchia ma cittadina italiana, intervistata dal Quotidiano Nazionale racconta: «Quello che ha subito mio figlio non dovrà succedere mai più, tantomeno a un ragazzo di 25 anni, studente all’estero. A Matteo, solare e pieno di vita, hanno tolto il sorriso e distrutto i sogni portandolo addirittura a tentare di togliersi la vita. È stato torturato: basta vedere i video per capire».
I fatti
Il giorno dell’arresto Matteo entrò in un bar pensando fosse un locale comune, salvo scoprire che veniva «offerta» la compagnia una donna: 500 dollari per mezz’ora. Non è ben chiaro se se sia rifiutato di pagare o abbia chiesto indietro i soldi ma dopo due drink nota che non ha più i suoi due cellulari con sé. Chiede delucidazioni allo staff, un buttafuori aiuta a ritrovarli ma alla fine del caso il giovane, secondo il verbale redatto, trova la polizia ad aspettarlo fuori dal locale. Ed ecco che qui si arriva alle immagini riprese dalle bodycam degli agenti. Matteo si trova nella stazione di polizia, con quattro poliziotti. Legato, steso a terra e lasciato lì per 13 minuti con difficoltà a respirare mentre implora «please, please please». Il ragazzo, spiega la madre, per quel fermo non ha avuto alcun processo né condanna. «Il giudice – racconta al QN – ha fatto cadere tutti i capi d’accusa offrendo a mio figlio il programma Pti (Pre trial intervention). È la decisione dello Stato di non procedere a fronte del completamento di un programma educativo». Solo ore dopo quel fermo i suoi compagni di appartamento riescono a rintracciarlo e a racimolare 4000 dollari per rimetterlo in libertà.
Le condizioni di Matteo
La famiglia dello spoletino è determinata a voler chiarezza, temono che il giovane abbia accettato la proposta del giudice per timore di ritorsioni. Il 25enne è finito per cinque giorni in un ospedale psichiatrico, ferito e sotto choc, tentando anche di farla finita. Adesso i genitori si trovano con lui a Miami. Sta male.
«È seguito da psicologi e psichiatri – racconta la donna – inizialmente è stato ricoverato a causa delle gravi ferite, poi trasferito in un ospedale psichiatrico, perché a rischio suicidio. Ancora adesso la notte sogna l’arrivo della polizia che lo tortura e si sveglia urlando». «Ha danni ai nervi di entrambe le mani provocati dalle manette strette fino all’inverosimile non gli circolava più il sangue: all’inizio non riusciva a tenere una tazza in mano, e adesso non può aprire una bottiglia. Ha problemi anche al collo e alla schiena», ha aggiunto. La famiglia spiega che ha avuto un incontro con l’onorevole Andrea Di Giuseppe, deputato italiano eletto per gli USA, che li ha messi in contatto con il consolato, dove hanno avuto un incontro. La mamma di Matteo ha paura: «Sì tanta, ma non avrò pace finché non avremo giustizia, per questo ho bisogno dell’aiuto di tutti. Per portare avanti questa battaglia per i diritti umani e per condannare la tortura ad un essere umano».
(da Open)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL RAGAZZO E’ STATO “INCAPRETTATO” (PER 13 MINUTI) DOPO L’ARRESTO: GLI AGENTI HANNO LEGATO CON UNA CINGHIA I PIEDI ALLE MANETTE POSTE DIETRO LA SCHIENA, TRA LE URLA STRAZIANTI DEL 25ENNE
Prima l’hanno sbattuto a terra premendogli il volto contro l’asfalto con il ginocchio dell’agente premuto contro il collo, la stessa manovra che in Minnesota uccise l’afroamericano George Floyd, e l’hanno arrestato.Poi, una volta in una cella di transito alla stazione di polizia di North Miami Beach, in quattro lo hanno incaprettato sottoponendolo all’Hogtie restraint. Con una cinghia hanno legato i piedi alle manette dietro la schiena e tirato, tirato tra urla strazianti e sovrumane fino a quando Matteo Falcinelli, studente italiano di 25 anni, li ha supplicati di smettere perché si sentiva letteralmente spezzare.
“Please, please, please” parole pronunciate con un filo di voce tra lacrime e strazi indicibili. E cosi, con il rischio di morire, lo hanno lasciato per più di tredici minuti, quando qualcuno in quella posizione smette di respirare appena dopo 150 secondi.
È il calvario difficile da raccontare, impossibile da comprendere, a cui è stato sottoposto un ragazzo originario di Spoleto, negli Stati Uniti per frequentare il master alla Florida International University (al Biscayne Bay Campus), da parte della polizia americana.
Da sempre nell’occhio del ciclone per abusi ripetuti che spesso si sono rivelati vere e proprie tragedie e hanno incendiato l’opinione pubblica di tutto il mondo. Le scene di violenza che raccontiamo sono tutte riprese nella sua drammatica crudezza dalle bodycam indossate dagli agenti, anche quella all’interno della stazione di polizia, che il legale americano di Falcinelli è riuscito ad ottenere dalla procura solo il 12 aprile nell’ambito del processo, di fatto terminato con l’ammissione al PTI (Pre trail intervention), una sorta di programma rieducativo.
Una storia amara che inizia la notte tra il 24 e il 25 febbraio scorso ma che la famiglia di Matteo ha voluto denunciare solo ora che il giovane ha accettato il programma disposto dal giudice che farà decadere i quattro capi di imputazione per resistenza a pubblico ufficiale, opposizione all’arresto senza violenza e violazione di domicilio.
Cosa sia accaduto esattamente quella notte sarà materia di indagine: la famiglia vuole sporgere formale denuncia per gli abusi, le dichiarazioni non corrispondenti alla verità e rese sotto giuramento, l’arresto illegittimo e le torture subite dal giovane e appellarsi al Quarto emendamento.
Dalla prima ricostruzione della famiglia emerge che Matteo entra nel locale intorno alle 22:15: è solo, giù di corda dopo un brutto incidente del novembre precedente e non esce con gli amici per lo Spring break, l’inizio delle vacanze di primavera. Ordina un drink, rum e coca, ma ben presto si rende conto che è uno strip bar, racconterà poi.
Alcune ragazze gli offrono sesso: 500 euro mezz’ora, mille un’ora ma lui rifiuta. E in effetti a guardare il sito del locale a nord di Miami si pubblicizza un bar per intrattenimento di uomini con le più belle donne della Florida del sud.
Il ragazzo resta al bancone e prima di allontanarsi per andare in bagno ordina un altro drink per lui e per una ragazza conosciuta sul posto. In bagno si accorge che gli mancano i due cellulari.
Inizia a cercarli, chiede dove siano, e dopo una agitata ricerca la stessa ragazza gli riferisce che i suoi cellulari sono stati ritrovati all’ingresso del bar. Matteo li va a ritirare, e solamente dopo ritorna al bar per prendere i drink ordinati precedentemente. I drink erano già pronti sul bancone, li beve insieme alla ragazza e da qui in poi i ricordi si fanno offuscati.
Non ricorda come arriverà all’uscita ma lì c’è già una pattuglia della polizia con due agenti, come emerge dal rapporto ufficiale, altri quattro ne arriveranno solo dopo. I poliziotti scriveranno di essere intervenuti perché il ragazzo ha creato problemi nel locale tanto da essere sbattuto fuori e di essersi opposto all’arresto, facendo resistenza agli agenti perché rivoleva indietro i 500 dollari spesi ma Matteo sostiene di non aver mai pagato quella cifra
Quello che accade all’esterno è ripreso in parte dalle bodycam. Matteo è agitato, inveisce contro i poliziotti: ripete che non ha fatto niente, chiede di riavere i suoi telefoni. Chiede i nomi degli agenti perché li vuole denunciare ma quando punta il dito – questa la sua ricostruzione – contro la targhetta con il nominativo stampato sulla divisa, viene sbattuto a terra.
“Non ci toccare sennò sono guai” lo minacciano. È a quel punto che Falcinelli finisce a terra con le mani dietro la schiena e il ginocchio del poliziotto a premere sul collo. Poco dopo le stesse immagini rimandano l’arrivo di uno dei buttafuori che riporta i due cellulari agli agenti.
Verranno appoggiati accanto al ragazzo costretto a terra: proprio quelli che Matteo rivoleva indietro. Sono ormai le 3 e 38 del mattino. Falcinelli viene portato alla stazione di polizia. È lì che avviene la tortura. La body cam di un poliziotto mostra lo studente dentro una cella con le vetrate: urla chiedendo che vengano rispettati i suoi diritti. “Io non ho diritti?”, grida.
Subito dopo avviene l’irruzione prima di tre poliziotti, poi del quarto con indosso la telecamera che si infila un paio di guanti neri di lattice. Matteo viene buttato a terra, con una cinghia gli legano le caviglie, gli stringono le manette con le chiavi e collegano la cinghia strettamente alle mani.
Lo tirano con forza e poi lo lasciano su un fianco ma il ragazzo finisce nuovamente pancia a terra mentre gli agenti richiudono la cella. Nel corso della giornata viene portato in carcere, prima in ospedale.
Gli amici pagheranno 3-4 mila dollari e martedì 27 febbraio Matteo è libero ma sotto choc. Poche ore dopo viene ricoverato per due giorni in un ospedale a causa delle ferite riportate.
Successivamente, il 29 febbraio viene trasferito in un ospedale psichiatrico per cinque giorni dopo molteplici tentativi di suicidio avvenuti in seguito alla tortura.
(da Quotidiano.net)
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