Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
L’AVVERTIMENTO SULLE DEROGHE SUGLI APPALTI: “LE REGOLE ECCEZIONALI RICHIEDONO UN’ATTENZIONE ANCORA MAGGIORE PER EVITARE L’ESPLOSIONE DEI COSTI”
La diga foranea di Genova, con gli impicci dell’appalto e i costi che esorbitano, “entra” a Montecitorio. A portarcela è il presidente dell’Authority anticorruzione Giuseppe Busia che 24 ore prima ha portato la sua relazione a Mattarella. Lui è l’emblema dei poteri di controllo che resistono, nonostante le minacce di Salvini.
E su Genova e sulla diga lancia un allarme — «c’è il concreto rischio che i costi lievitino» — che risuona in tutto il palazzo dove, ironia della sorte, Enrico Costa di Azione prosegue la sua battaglia contro la microscopia Trojan.
«Non entro nel merito… vale la presunzione d’innocenza» dice Busia a chi insiste sull’inchiesta. Il giurista che s’è formato in Europa non alza mai la voce. Ma sulla diga la sua è una staffilata. Come sul Pnrr e gli appalti destinati a lievitare. Come per le morti sul lavoro, tragica conseguenza di opere mal fatte.
Eccolo su Genova con Repubblica: «Sono due i rischi principali legati all’aumento dei costi. Il primo è che si confermi l’illegittimità dell’assegnazione all’impresa che ha iniziato i lavori e si debba risarcire il gruppo che ha presentato il ricorso. Col rischio di pagare sia chi lavora, sia chi avrebbe dovuto lavorare».
E poi: «Quando si va in deroga occorre una maggiore attenzione perché i danni potenziali si amplificano». C’è inoltre la seconda minaccia, «ancora più grave della prima». «Nella costruzione potrebbero emergere ulteriori sorprese e poiché i rischi non sono stati trasferiti in capo al soggetto privato, i costi complessivi dell’opera potrebbero lievitare in modo molto elevato».
Busia ne trae una «lezione »: «Le regole eccezionali di fatto applicate in deroga richiedono un’attenzione ancora maggiore per evitare l’esplosione dei costi». Il suo leit motiv è «non dobbiamo abbassare la guardia». Nessuno sconto sul nuovo Codice degli appalti, né sui ritardi del Pnrr. Né sull’abuso d’ufficio, il reato che sarà cancellato dopo le europee, e sullo scontro che si aprirà con l’Europa che lo pretende contro la corruzione.
Di mezzo ci sono le vittime, quelle del Ponte Morandi, nonché i morti sul lavoro. Busia picchia duro: «Le donne e gli uomini sepolti vivi sotto le macerie di infrastrutture ed edifici costruiti con la sabbia al posto del cemento; i lavoratori schiacciati o soffocati nei cantieri perché chi avrebbe dovuto vigilare sulla loro sicurezza è stato indirizzato verso altri obiettivi».
In tempi di Pnrr l’Europa ci guarda. E siamo messi male. Sia la Corte dei conti Ue, sia la Procura europea vedono «l’Italia in una posizione ancora troppo arretrata». Eppoi siamo «il Paese con il valore più alto in termini di danni finanziari al bilancio Ue per frodi e malversazioni, riconducibili anche alle mafie». Ma il governo sopprime l’abuso d’ufficio. Un «errore». Come il Pnrr che rischia «insuccessi o battute d’arresto».
A fronte dell’impulso ai contratti pubblici per 40 mila euro, ci sono «i dati preoccupanti sulla spesa effettiva», che celano «una strada ancora lunga». Con «una salita sempre più ripida». Quel dato, «in forte aumento gli affidamenti diretti, il 49,6% nel 2023», aggiunti alle procedure senza bando, portano al 78,1% degli appalti, e cioè 208.954 su 267.403, «senza gara». Dunque «oltre il 90% del totale»
(da La Repubblica)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
E SE ARRIVASSE MELONI A SALVARE ZAIA?…. LEGHISTI IN VENETO PRONTI A NON VOTARE LEGA FINO A QUANDO CI SARA’ SALVINI
Tra i leghisti veneti l’ultima frase di Salvini, che molti ormai nelle loro chat hanno ribattezzato “il cretino”, è stata la goccia in più. Il vaso era colmo dopo il flop della Sardegna, il sorpasso di Forza Italia, l’autonomia che non arriva e la candidatura del “generale al contrario”. E ha traboccato.
Quando Salvini durante l’adunata degli alpini a Vicenza, quindi nel territorio di Zaia, lo Zaiastan, ha detto che ha già altri 10 nomi per il dopo Zaia è scoppiata la rivolta. Perché quella frase è risuonata come un affronto diretto, uno schiaffo in faccia: non che ci fossero ancora illusioni per il terzo mandato, ma dire che hai già altri nomi per il dopo Zaia significa liquidare il governatore proprio quando sei a casa sua, nel suo Veneto.
E comunque il dopo Zaia comincerà se va bene nel 2025, forse anche nel 2026. Quindi c’è tempo. E ci sono altre elezioni in mezzo, prime fra tutte quelle per l’Europa. E per ora si fa fatica a vedere, ma si vedrà molto bene nelle urne il prossimo 8 e 9 giugno l’effetto di quella frase.
Per dirla in gergo militaresco, che ora tanto piace a Salvini, quell’effetto si chiama rinculo. Perché i primi a non votare Lega saranno proprio i leghisti. “Solo un flop elettorale ci salverà”, dicono paradossalmente. Un flop elettorale alle Europee sembra oggi l’unico modo per liquidare il segretario nazionale. Parlando tra i militanti e gli amministratori pubblici, tre sono le opzioni di voto che i leghisti stanno decidendo con il passaparola.
E se arrivasse la Meloni a salvare Zaia? Prima opzione: una parte di leghisti non andrà a votare e basta. Seconda opzione: si va a votare ma non si mette la croce sulla lega bensì si sceglie un altro partito.Terza opzione: si vota Lega ma si dà la preferenza ai candidati non salviniani o addirittura in rotta con il segretario. I candidati cari a Salvini non si votano. Punto.
Questo è il clima che si respira nella “pancia” della balena leghista veneta. Perché l’uscita improvvida di Salvini ha reso evidente, plateale, non più smentibile, la ruggine tra i due: “finchè un governatore è operativo, sta lavorando, deve concludere il suo mandato, non può ricevere un’entrata a gamba tesa soprattutto da un suo compagno di squadra”, spiega un leghista di lungo corso.
Un malumore che è esploso dopo che già la candidatura Vannacci aveva sollevato critiche e polemiche: “Ci fa solo perdere voti, non lo possiamo accettare tra noi”, dice un altro esponente leghista di alto livello amministrativo. E conferma quanto già detto da Zaia: “Non lo voterò perché voto i candidati veneti”. E dopo queste parole il solco con Salvini si era ulteriormente allargato.
Bene, ma se la Lega alle Europee raccoglierà meno del previsto, non arriverà alla doppia cifra dopo che 5 anni fa aveva toccato il 34% e scivolerà dietro anche a Forza Italia cosa accadrà? “Ci sarà il fuggi fuggi”, prevedono i leghisti. La speranza dei leghisti veneti è che Zaia faccia una sua lista mettendo candidato presidente un fedelissimo per ripresentarsi: possibile?
Ci credono in pochi. “Zaia non ha nè la voglia nè gli attributi per spaccare il sistema”, dicono in molti leghisti. Del resto, avrebbe potuto prendere in mano il partito qualche anno fa quando aveva il vento in poppa e il plebiscito di (quasi) tutto il Veneto. Ma non è mai andato allo scontro. Non ha mai preso iniziative politiche per il partito.
Una sua lista in contrapposizione con la coalizione del centrodestra spaccherebbe tutti gli equilibri, fanno notare i suoi collaboratori. A livello locale la Lega non ha più struttura: su chi si appoggerebbe?
E c’è chi prevede. “Che cosa farà Zaia dopo il voto delle Europee? Proprio nulla”. Arriveranno i “bossiani” a rilanciare la vecchia Lega? Non ci crede nessuno: non si vedono proprio, non pervenuti.
E allora quali saranno le vie d’uscita per Zaia? Nessuno crede che farà il Cincinnato. Ma come e dove cercherà una ricollocazione? “Guardate che Zaia ha un rapporto migliore con la Meloni che con Salvini”. Quindi vuol dire che il governatore potrebbe ritrovarsi con un incarico di Governo? “Vedremo, ma sarà la Meloni a salvare Zaia”.
(da agenzie Verona)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
SE ALLE EUROPEE VANNACCI “SALVA” IL PARTITO, I MODERATI SONO PRONTI AD ABBANDONARE IL CARROCCIO… SE LA LEGA TRACOLLA NONOSTANTE IL GENERALE AL CONTRARIO, IL “CAPITONE” NON AVRÀ SCAMPO
Il Veneto leghista ribolle. Matteo Salvini sta provando a imporre ancora una volta la sua leadership nella Regione di Luca Zaia. Ha impostato una linea lontana dalle battaglie storiche della Lega e sfoggia un decisionismo difficile da digerire nei territori, dove i militanti assistono da anni all’avanzata minacciosa degli alleati di Fratelli d’Italia.
Se questa resterà la direzione di marcia del leader, in tanti potrebbero dire addio al partito in autunno, dopo il congresso.
Difficile pensare a una scissione. Piuttosto, si tratterebbe di una diaspora. C’è chi lo ammette con un sussurro e chi ormai sente non ci sia più nulla da nascondere. «Dopo le europee si dovrà fare una profonda riflessione, perché io non voglio militare in un partito di destra», dice a La Stampa Roberto Marcato, uno dei fondatori della Liga veneta, assessore allo Sviluppo economico della giunta Zaia e campione di preferenze tra i consiglieri regionali.
«E se al congresso si vota e si decide che la Lega resterà un partito di destra, in cui le idee sono quelle di gente come Vannacci, è chiaro: che ci sto a fare?».
Per Marcato «La Lega deve tornare ad essere il sindacato dei territori e il partito credo abbia la forza per farlo». Il problema «non si risolve addossando le colpe sul segretario», precisa. Ma sullo sfondo c’è anche una questione che investe le leadership, perché «Zaia e i veneti hanno un’idea precisa di partito e il rischio – ammette – è che sia diversa da quella di Salvini».
La spaccatura con Zaia è sempre più profonda. Il vicepremier dice di avere già pronta una lista di dieci nomi di leghisti veneti da spendere come possibili candidati alla Regione nel 2025, ma quei nomi non li ha condivisi con lui, il governatore uscente che oggi – secondo un sondaggio Swg – è risultato essere il presidente di Regione più amato d’Italia.
Chi è vicino a Salvini fa sapere che nella lista dei dieci ci sono i due sottosegretari Massimo Bitonci e Andrea Ostellari, la senatrice Erika Stefani e il commissario regionale Alberto Stefani: tanto fedeli a Salvini quanto osteggiati dai militanti fedeli a Zaia. Ma ci sarebbero anche nomi più vicini all’attuale governatore, dalla sua vice, Elisa De Berti, al consigliere Roberto Marcato, dal capogruppo in Regione Alberto Villanova al sindaco di Treviso Mario Conte, fino al presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti e un outsider, il veronese Luca Coletto, che però è impegnato come assessore alla Sanità in Umbria.
Mentre i leghisti veneti sembrano pensare a un’era post- Salvini, il leader prova a ragionare su un’era dopo-Zaia, sempre nel segno della Lega. Per il vicecapogruppo di Fratelli d’Italia in Senato, Raffaele Speranzon, quella del vicepremier è però fatica sprecata: «Non credo che il Veneto spetterà alla Lega.
Saranno i risultati delle Europee a decidere chi, nel centrodestra, indicherà il candidato. E noi abbiamo già doppiato alle ultime politiche la Lega».
FdI vuole il Veneto, così come l’Emilia Romagna. Se Stefano Bonaccini verrà eletto alle Europee, si voterebbe a ottobre insieme all’Umbria (dove sarà ricandidata la leghista Donatella Tesei) e, nel caso, alla Liguria. Meloni mostra un certo appetito, ma almeno su questo Salvini e i veneti sono perfettamente allineati: se FdI vuole un suo candidato in Veneto, la Lega correrà da sola.
(da La Stampa)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
LA PROGRESSIVA RIDUZIONE DEGLI SPAZI DI LIBERTA’ AD OPERA DEL GOVERNO SOVRANISTA ALL’ORIGINE DEL SUO ATTO
I media slovacchi hanno identificato in Juraj Cintula, un pensionato di 71 anni con la passione per la poesia, l’uomo che oggi ha sparato al primo ministro slovacco Robert Fico.
Cintula è il fondatore di un club letterario e autore di numerose raccolte. “Nel 2010 ha scritto tre raccolte di poesie e un romanzo. Dal 2015 è membro dell’Associazione degli scrittori slovacchi”, aggiunge il quotidiano slovacco Pravda.
L’uomo sarebbe noto anche per essere un sostenitore del partito d’opposizione “Slovacchia progressista”, precisa l’agenzia di stampa slovacca. In passato avrebbe lavorato anche come agente di sicurezza.
L’arma utilizzata era denunciata legalmente, scrive il quotidiano online Aktality.sk, secondo cui egli stesso sarebbe stato vittima di un’aggressione armata in un centro commerciale a Levice dove vive e proprio per questo avrebbe deciso di dotarsi di una pistola.
Prima di puntare l’arma e sparare contro Fico, secondo la ricostruzione fatta dai media slovacchi, l’uomo avrebbe urlato al primo ministro. Proprio in quel momento il premier si è avvicinato all’uomo per stringergli la mano. È a quel punto che Cintula ha sparato alcuni colpi, fino all’intervento della polizia che lo ha immobilizzato.
L’attentatore avrebbe sparato “perché sono in disaccordo con la politica del governo, perché silenzia i media?»
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
UN PASSATO COMUNISTA, POI SI TRASFORMA IN RAZZISTA, NO VAX E AMICO DI PUTIN, (IN)DEGNO AMICO DI ORBAN
Robert Fico è il politico più influente e controverso della storia moderna della Slovacchia: diventato parlamentare appena ventottenne nel 1992, tra le fila del partito di sinistra nato dalle ceneri del partito comunista, poi fondatore di SMER, partito socialdemocratico aderente alla gruppo S&D di Bruxelles (imbarazzando i socialisti l’Europa), è stato eletto tre volte premier nel 2006, nel 2012 e nel 2016.
L’ultimo mandato interrotto sotto le pressioni della piazza e dei giudici.
Le ragioni della sua rinascita si inseriscono nella sua audace parabola politica: da comunista dell’era sovietica al populista di oggi che cerca alleanze nell’estrema destra.
«In realtà Fico non è mai cambiato, è sempre stato uomo cinico, assetato di potere – ha raccontato al Corriere Peter Bárdy, direttore di Aktuality –. È un uomo dalle mille facce, una per ogni occasione. In passato si è mostrato filo europeo e il minuto dopo contro l’Europa».
All’indomani della vittoria elettorale, il nuovo governo ha interrotto le forniture di armi all’Ucraina. Migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Slovacchia per manifestare contro la linea filorussa di Fico e altre sue posizioni, tra cui il progetto di modificare il codice penale per eliminare un procuratore speciale anti-frode e assumere il controllo dei media pubblici.
Il ritorno al potere di Fico ha suscitato la preoccupazione delle opposizioni. Col suo partito Smer – da tempo macchiato da scandali – Fico avrebbero portato la Slovacchia lontana dal suo percorso filo-occidentale. Il leader ha giurato di perseguire una politica estera “sovrana” e ha promesso una posizione dura contro l’immigrazione e le organizzazioni non governative. Fico ha anche fatto campagna contro i diritti LGBTQ+.
Si è guadagnato una reputazione negativa per le sue invettive contro i giornalisti e nel 2022 ha dovuto affrontare accuse penali per presunta formazione di un gruppo criminale e per abuso di potere. Durante il suo secondo mandato, nel 2018, lui e alcuni politici sono dimessi e il governo è stato sciolto tra le polemiche dopo che il giornalista investigativo slovacco Ján Kuciak è stato assassinato insieme alla sua fidanzata. Kuciak aveva portato alla luce reati fiscali che coinvolgevano politici slovacchi di alto livello.
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
E’ STATO SENTITO PER OLTRE 4 ORE DAI GIUDICI GENOVESI: “L’ENNESIMA DECISIONE CHE FACEVA PARTE DI UN MECCANISMO PERVERSO”
“Quel rinnovo non mi convinceva da subito”. È uno dei passaggi della testimonianza di Rino Canavese, sentito per oltre quattro ore come persona informata dei fatti nell’ambito dell’inchiesta che ha terremotato la Regione Liguria e portato agli arresti domiciliari il presidente Giovanni Toti.
A Canavese sono stati chiesti chiarimenti sulla sua ferma contrarietà al rinnovo della concessione del Terminal Rinfuse per 30 anni.
Il membro del comitato portuale (l’unico che poi votò contro) ha risposto confermando in sostanza tutti i suoi dubbi e perplessità su quella operazione.
Da quanto emerge dalle intercettazioni, l’ex numero uno di Savona riteneva che quella concessione rappresentava “l’evidente esistenza di un ‘favoritismo continuo nei confronti del gruppo Spinelli'” e che l’operazione si inseriva in “un meccanismo perverso”.
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
SALVO POI CONGRATULARSI CON IL PRESIDENTE DEL PORTO QUALCHE MESE DOPO, QUANDO FU RAGGIUNTO L’ACCORDO CON SPINELLI
E Aponte? Che cosa dice Aponte? Che vuol fare Aponte? Nei documenti dell’inchiesta giudiziaria che ha squarciato la rete dei poteri genovesi rimbalza un’infinità di volte il nome di Gianluigi Aponte.
Gli involontari protagonisti di questa storia di presunto malaffare parlano di lui con ammirazione e a volte con timore. Aponte, 84 anni, controlla e gestisce il gruppo Msc, una multinazionale del mare, un colosso della logistica e delle crociere con basi ovunque nel mondo, dal Cile alla Corea, dall’Africa al Nord Europa.
Vista dal suo quartier generale di Ginevra, da dove gestisce un impero con 180 mila dipendenti e un giro d’affari da decine di miliardi, Genova può anche sembrare uno scalo tra i tanti, ma Aponte, il Comandante, com’è chiamato nell’ambiente, non vuole rinunciare nemmeno a un briciolo del potere accumulato nel porto più grande d’Italia.
Non per niente, solo un paio di mesi fa, il patron di Msc ha siglato un accordo preliminare per comprare il Secolo XIX, il quotidiano della città della Lanterna messo in vendita dal gruppo Gedi, l’editore di Repubblica.
Inevitabile, allora, lo scontro con Aldo Spinelli, il “scior Aldo”, classe 1940 come il suo rivale, è chiamato in causa dai pm per aver corrotto il presidente della Regione, Giovanni Toti e anche il capo dell’Autorità portuale, Paolo Emilio Signorini. Aponte invece non è indagato: nessuna accusa, nessun sospetto.
Le carte dell’inchiesta penale raccontano anche altro, però. Decine di intercettazioni raccolte dagli investigatori in oltre due anni alzano il velo su quello che appare come il rapporto malato tra la politica e alcuni grandi imprenditori. Da quel che emerge, le autorità prendono le loro decisioni sulla base degli accordi siglati nell’ombra dai capi dalle aziende. Le norme che, per esempio, servono a regolare il business portuale vengono disegnate su misura per soddisfare le richieste di quelli che si potrebbero etichettare come i poteri forti.
Difficile spiegare altrimenti la telefonata del 19 dicembre 2022 con cui Signorini pochi minuti dopo la riunione decisiva del comitato di gestione dell’Autorità portuale si precipita a comunicare ad Aponte una notizia che lo avrebbe reso felice e probabilmente ancora più ricco. «Volevo darle la buona notizia», esordisce il manager pubblico. E aggiunge: «Rubattino è passato». Rubattino è il molo dove il patron di Msc chiedeva da tempo di espandere la sua attività.
Aponte accoglie l’annuncio con molto entusiasmo : «È stata una cosa orchestrata molto bene e grazie alla sua disponibilità è andato tutto in porto». In sostanza, pochi giorni prima della telefonata appena descritta, Aponte aveva raggiunto un accordo con Spinelli che metteva fine allo scontro tra i due assegnando a ciascuno una propria zona d’influenza nel porto.
Il testo della spartizione era stato trasmesso al comitato di gestione presieduto da Signorini, che aveva deliberato di conseguenza, “ridisegnando lo scacchiere portuale genovese”, scrivono gli investigatori.
Un paio di settimane prima, parlando al telefono con la moglie, lo stesso Toti si era attribuito il ruolo del mediatore nella disputa tra i due imprenditori. «Gli abbiamo fatto fare pace con Aponte quindi erano tutti soddisfatti».
Pace fatta, quindi, al termine di uno scontro segnato da accuse pesantissime. A fine agosto del 2022, Aponte aveva aggredito verbalmente al telefono Signorini, lo stesso a cui quattro mesi dopo avrebbe rivolto parole di grande apprezzamento. «Ma che cazzo adesso basta è indecente quello che sta succedendo verso il nostro gruppo». E ancora: «guai se date questo spazio a Spinelli succede la fine del mondo».
Aponte arriva ad accusare apertamente di corruzione l’Autorità portuale. «E’ ladrocinio…è veramente mafia. Tutta la sua organizzazione sotto di lei – dice a Signorini – sono dei corrotti perché hanno sempre dato tutto a Spinelli». Signorini incassa senza reagire granché. «Non sono una persona a cui si può parlare in questo modo», fa presente “timidamente”, secondo quanto annotano gli investigatori.
Sta di fatto che dopo questa telefonata di fuoco si moltiplicano gli sforzi da parte dello stesso Signorini, ma anche di Toti per arrivare a un accordo tra i due litiganti. Aponte ne parla apertamente al telefono. «Adesso devo andare a vedere Toti, il sindaco, tutta sta gente che mi hanno convocato».
Infatti nelle carte d’indagine rimane traccia di un incontro dell’armatore con il primo cittadino Marco Bucci. E anche Toti parla con il Comandante, anche se in un colloquio intercettato il presidente ligure si lascia scappare che a suo parere i due litiganti si stanno comportando come «i ladri di Pisa», cioè fingano di litigare per farsi gli affari propri.
Ma è questione di poche settimane. A fine 2022, scoppia la pace e prima di congedarsi con gli auguri per le prossime festività, Aponte è così soddisfatto del lavoro di Signorini che gli augura di approdare prima o poi a Roma «dove potrà appoggiare tutti questi progetti italiani dei porti». È andata a finire diversamente, come sappiamo.
(da Domani)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
LA “PUPILLA” DEL GOVERNATORE, LA DEPUTATA ILARIA CAVO, AI PM HA DETTO DI “RISPONDERE DI QUELLO CHE HO FATTO E DETTO”, NON DELLE PROMESSE ELETTORALI DI TOTI CHE AVREBBE CHIESTO A UNO DEI FRATELLI TESTA “FAMMI DARE UN PO’ DI VOTI AD ILARIA” IN CAMBIO DI POSTI DI LAVORO
Se ne parlava. Lo sapeva il consigliere comunale Umberto Lo Grasso, quando avvertiva i fratelli Maurizio e Arturo Testa dell’indagine in corso: «Non parlate al telefono, non fate nomi…». Lo ripeteva anche Aldo Spinelli quando riceveva i suoi ospiti sullo yacht ormeggiato alla Fiera del Mare, e li obbligava a lasciare i cellulari fuori dalle cabine.
Per la Procura di Genova, l’esistenza di una talpa che avrebbe rivelato il segreto istruttorio nell’indagine sulla tangentopoli ligure è un altro fascicolo su cui indagare. Un’appendice inquietante alla maxi inchiesta sulla corruzione elettorale e il voto di scambio che ha travolto il presidente della Regione Giovanni Toti.
Il filone, al momento contro ignoti, coinvolge Lo Grasso (ex Pd passato alla Lista Toti), che invece è indagato per favoreggiamento nel fascicolo principale. Secondo la Guardia di Finanza, è lui l’uomo con il cappellino e la felpa scura che avvicina i fratelli Testa, capisaldi locali di Forza Italia in provincia di Bergamo, accusati di voto di scambio con l’aggravante mafiosa. I due gemelli, ora con l’obbligo di dimora, alla vigilia delle Regionali del 2020 arrivano a Genova per incontrare la comunità originaria di Riesi, presente nel quartiere genovese di Certosa con circa 7.000 abitanti.
Devono cercare di dirottare una fetta di voti sui candidati totiani Stefano Anzalone (indagato), Lilli Lauro e Ilaria Cavo, attuale parlamentare. Lo Grasso e i Testa sono ascoltati dagli investigatori, grazie ai trojan installati sui telefonini. E il consigliere comunale dice: «C’è un’indagine in corso, state attenti… non parlate al telefono».
Chi ha avvisato Lo Grasso? Fonti investigative ricordano il passato da poliziotto di Anzalone, che potrebbe ancora avere agganci con gli ambienti giudiziari. Tant’è che i pm Federico Manotti e Luca Monteverde sarebbero intenzionati a sentire sia lui che Lo Grasso. Anche se l’altra ipotesi che si fa strada è che il consigliere abbia solo millantato di sapere. Proprio per levarsi di torno i due gemelli con la scusa di un’inchiesta.
Toti: “Abbiamo pagato i riesini?”
Maurizio Testa, interrogato ieri dal gip, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Arturo ai cronisti ha risposto: «Noi facciamo campagne elettorali, io non ho promesso nulla o fatto favori ai riesini».
Parole che stonano con le intercettazioni agli atti. Soprattutto a proposito di una riunione elettorale in cui Toti invocava: «E i riesini?… i fratelli Testa!». Suscitando sconcerto nel suo capo di gabinetto Matteo Cozzani: «Quelli mi squartano». A “quelli”, però, si chiedeva Toti, «non gli abbiamo dato i soldi?».
L’interrogatorio di Ilaria Cavo
Intanto la pupilla del governatore, la deputata Ilaria Cavo (Noi Moderati) se non prende le distanze dal presidente, quantomeno lo fa nei confronti dell’operato di questo, che avrebbe chiesto a uno dei fratelli Testa «fammi dare un po’ di voti ad Ilaria». In cambio di posti di lavoro.
Ma lei di quelle promesse si limita a dire «che sono oggetto di un capo di imputazione e di un interrogatorio reso in Procura». Al pm avrebbe detto di «rispondere di quello che ho fatto e detto», non delle promesse elettorali di Toti. A palazzo di giustizia è arrivata da persona informata sui fatti. Così è uscita.
(da La Repubblica)
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Maggio 15th, 2024 Riccardo Fucile
L’EROGAZIONE DEL REDDITO DI CITTADINANZA “HA PERMESSO DI USCIRE DALLA POVERTÀ 876MILA PERSONE NEL 2020 E OLTRE UN MILIONE NEL 2021 E NEL 2022 … LO DICE L’ISTAT: “SENZA IL REDDITO L’INCIDENZA DI POVERTÀ ASSOLUTA FAMILIARE NEL 2022 SAREBBE STATA SUPERIORE DI 3,8 E 3,9 PUNTI PERCENTUALI RISPETTIVAMENTE NEL SUD E NELLE ISOLE”
L’erogazione del Reddito di cittadinanza “ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l’uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022.
Lo indica l’Istat nel suo rapporto annuale. Senza il RdC, spiega l’Istat, “l’incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali rispettivamente nel Sud e nelle Isole.
Tra le famiglie in affitto, l’incidenza di povertà sarebbe stata 5 punti percentuali superiore.
Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione, l’incidenza avrebbe raggiunto il 36,2% nel 2022, 13,8 punti percentuali in più.
(da agenzie)
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