Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
E NELL’EX AEROPORTO PESCOLANO LE PECORE
«Largohu. Mos bëni foto». L’uomo con la casacca gialla urla verso di noi appena mettiamo piede sul bordo del cantiere albanese del nuovo Cpr italiano, il Centro di permanenza per i rimpatri, in costruzione.
Nella sua lingua con fare minaccioso dice di andare via e di non fare foto, perché i lavori sono top secret e nessuno ha il permesso di entrare. Ma basta spostarsi qualche metro più in là dal cancello per osservare che nell’immensa ex base militare dei tempi di Enver Oxha non c’è ancora nemmeno un mattone in piedi.
A Gjader, piccolo villaggio a pochi km dalla città di Lezha, sembra che i lavori vadano a rilento e infatti nel cantiere ci sono solo due escavatori che spostano terriccio e un basamento di cemento che delinea un quadrato.
«Questo è quello che si scorge da questo ingresso – spiega Elidon, un giornalista locale – ma il resto della zona è lontana, perché l’area si estende verso l’ex pista di atterraggio per i velivoli militari». Seguendo la strada si arriva, effettivamente, all’ingresso principale di quello che fu un aeroporto e una coppia di militari sbarra la strada. Non si vede niente dell’interno ma Elidon prontamente mostra le immagini girate il giorno prima con il suo drone. «Non c’è niente, non si vede nessuna costruzione», spiega.
Secondo i piani di Giorgia Meloni, il centro avrebbe dovuto già essere aperto, giusto in tempo per le ultime battute di campagna elettorale per elezioni europee. Ma le cose stanno andando molto più a rilento di quello che si potesse immaginare e secondo le fonti albanesi i centri, sia quello di Gjader sia quello di Shengjin, non saranno pronti nemmeno per novembre, forse per i primi mesi del 2025.
Da Gjader riprendiamo la strada e torniamo verso Lezha per poi girare verso il mare. Al porto di Shengjin nessun giornalista ha il permesso di entrare e le foto sono vietate anche dalla strada. Bisogna salire in alto sulle colline per avere una visuale completa della banchina dove sorgeranno delle costruzioni provvisorie per la prima accoglienza dei migranti e la loro registrazione. Anche al porto, però, sembra che i lavori siano molto indietro. Ci sono dei container stipati su un lato ma al centro non c’è ancora nessun tipo di struttura. Eppure, sarà proprio lì che le motovedette della guardia costiera italiana e della Guardia di finanza dovranno attraccare per far scendere i naufraghi salvati nel Mediterraneo centrale. Dal porto, con navette e bus, i migranti saranno trasportati nel centro di Djader, attraversando 20 km di strade che normalmente sono trafficate e che d’estate diventano uno spaventoso lungo ingorgo. «Sarà un disastro», dice qualcuno. «Ma chi se ne importa», dice qualcun altro. Per ora nessuno sta prendendo sul serio la questione Cpr italiani su suolo albanese. Nessuno ha ancora visto una struttura in piedi e tra propaganda del governo e notizie confuse in pochi hanno davvero capito che cosa succederà. O almeno questo è quello che i media vicino al governo di Edi Rama vogliono far pensare.
«La gente di Gjader, di Lezha e di Shengjin è favorevole all’accordo con l’Italia – spiega ancora Elidon – perché pensa che in questo modo gli italiani sistemeranno la rete idrica, che in alcune zone non c’è affatto, e la rete elettrica, che è rovinata. Sono felici perché gli italiani aggiusteranno le strade e porteranno vita nei villaggi di Gjader e Kakariq dove non c’è più nessuno».
Alcuni, alla domanda sul centro di rimpatrio, che sarà un vero e proprio carcere, dicono che non importa, perché se anche i migranti dovessero scappare, è un problema degli italiani. «Tanto pagano tutto loro…». Chiacchierando al bar, qualcuno ascolta la conversazione e dice che Rama ha fatto bene a fare l’accordo con l’Italia, perché Giorgia Meloni ha promesso in cambio uno sponsor per far entrare l’Albania in Europa. Qui, in questa zona a poco meno di due ore da Tirana quasi al confine con il Montenegro, parlano tutti almeno un po’ di italiano e il 98% della popolazione ha un parente che vive e lavora tra Palermo e Trento. Tutti d’accordo, dunque, tutti favorevoli, nessun problema…anzi.
Basta poco, però, per capire che dietro queste dichiarazioni c’è qualcosa di più che una convinzione. «Non importa a nessuno dei diritti umani, questo accordo serve come disincentivo», dice una delle fonti. «È come il Ruanda per il Regno Unito. Se gli africani sanno che verranno portati in Albania, ci penseranno due volte prima di partire». La frase sembra già sentita, perché già qualcun altro l’ha ripetuta almeno un paio di volte durante il soggiorno in Albania. E l’intera narrazione comincia ad appare come uno slogan pro-Cpr e pro-Rama.
«È tutta una bugia». A cambiare la visione sul trattato Italia-Albania ci pensa Alberto, albanese di 52 anni che per 30 ha lavorato tra Italia e Gran Bretagna e che abita proprio a meno di 100 metri dal cantiere del Cpr di Gjader. In macchina ripercorriamo la stradina per arrivare all’ex base militare, perché Alberto ci porta a casa sua, lì dove ha appena finito di costruire un nuovo grande edificio. «Ci ho messo metà della mia vita di sacrificio per farla e adesso stanno rovinando l’intera zona». Se costruiranno davvero anche il muro perimetrale alto 7 metri, sarà a solo 50 metri dalla sua villa e gli oscurerà l’intera visuale.
«Qui sono tutte case nuove e vuote – spiega Alberto – perché i proprietari vivono all’estero e le hanno realizzate per poterci tornare con la famiglia in estate o per i figli che studiano ancora. Nessuno del governo ci ha chiesto un parere e forse hanno approfittato proprio del fatto che qui sono rimasti solo i vecchi. Chi vuoi che protesti? Li hanno riempiti di bugie e propaganda. Se in 50 anni il nostro governo non ci ha fatto arrivare l’acqua – dice ancora – dobbiamo aspettare un contratto così assurdo per farcela portare dagli italiani?». Alberto e sua moglie sono preoccupati, non tanto per la sicurezza, quanto per il fatto che saranno a pochi metri da un carcere. E che la zona da bucolica e tranquilla, si trasformerà in un inferno di traffico, caos e disperazione.
A non essere d’accordo con l’operazione del governo, in realtà, sono in tanti, anche se molti hanno paura di esprimere il proprio dissenso apertamente. Non ha nessun timore, invece, Ndre Molla, uno degli avvocati che lo scorso dicembre ha contribuito alla stesura della documentazione per la Corte costituzionale. I giudici, a sorpresa, avevano sospeso l’accordo siglato tra Albania e Italia proprio alla vigilia di un Consiglio europeo. «Il contratto è anticostituzionale e viola la sovranità del territorio albanese», spiega l’avvocato Molla. «Ma Edi Rama controlla tutti in questo Paese, anche i giudici. E così, dopo neanche un mese, si sono rimangiati il parere contrario. Questo centro è contro tutti gli interessi dell’Albania», dice ancora l’avvocato. Nel suo ufficio nel centro di Lezha, Nndre Molla spiega che nessuno è contro gli i migranti, ma l’Albania non può diventare un parcheggio per esseri umani, nemmeno se lo chiede l’Italia. «Il timore è che se questo progetto dovesse funzionare e se le elezioni europee andassero in un certo modo, anche altri Paesi potranno pensare di aprire i loro Cpr in Albania», ammette Molla. Il pensiero va a Ursula von der Leyen, che ha elogiato l’idea dei Cpr in Albania di Meloni definendola «un ottimo pensiero fuori dagli schemi».
E poi ci sarebbe anche un altro problema. L’Albania è uno dei Paesi che i migranti attraversano lungo la rotta balcanica e un centro pieno di uomini sarebbe sicuramente una calamita per i trafficanti. In auto, con i taxi, con i bus, a piedi. Basterebbe poco per attivare un business per portare i migranti dall’Albania verso Montenegro e poi Bosnia e poi Croazia. Non sarebbe la prima volta.
Contraria fin dal primo momento al progetto è anche Lindita Metaliaj, parlamentare del partito democratico d’Albania, che è a destra e all’opposizione rispetto al partito di Edi Rama. «Il protocollo non è compatibile con la nostra Costituzione – spiega Metaliaj – È indegno diventare un magazzino di rifugiati, non è giusto per noi albanesi e nemmeno per i diritti di questa povera gente». Non appena il Cpr prenderà forma, qualcuno inizierà a protestare davvero, dicono. Per ora nel cantiere continuano a pascolare placide solo le capre.
(da lespresso.it)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
I SETTORI PEGGIORI RESTANO TURISMO E RISTORAZIONE
Da settimane il governo festeggia il record del tasso di occupazione: 62,1%, mai così alta in Italia. Nonostante l’economia stagnante, i dati relativi alle nuove assunzioni sembrano andare in direzione opposta. Ma di che tipo di occupazione stiamo parlando? I dati mostrano un’altissima incidenza di irregolarità in quasi tutti i settori e la situazione si deteriora di anno in anno.
Viene in aiuto l’ultimo rapporto annuale di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Nota a margine: il documento è sul sito dell’Inl dallo scorso 26 aprile, ma per il secondo anno di fila non è stata diramata alcuna comunicazione sulla sua presentazione, a differenza che negli anni passati. Non solo: ilfattoquotidiano.it ha dovuto mettere a punto di suo pugno la classifica dei settori e delle Regioni con più irregolarità, visto che dall’Ispettorato sono arrivate risposte parziali ai chiarimenti su dati e tabelle mancanti. Quanto al merito, rispetto al 2022 il peggioramento è netto. Soprattutto nel settore del turismo e della ristorazione, proprio quello che da anni ormai si lamenta di più su giornali e in tv di non riuscire a trovare personale: dati alla mano, si rileva un’incidenza di irregolarità ampiamente oltre l’80% in svariati territori come Lazio, Campania, Puglia e Marche e addirittura oltre il 92% in Sicilia.
Nel 2023 gli accessi ispettivi del personale Inl, Inps e Inail sono stati pari a 111.281, +11% rispetto all’anno precedente (pari a 100.192) a fronte di un aumento di personale in forza per i controlli di circa il 19% (4.768 unità rispetto alle 3983 del 2022). Nell’ambito di queste ispezioni sono stati accertati illeciti in 59.445 aziende, con un tasso di irregolarità pari al 74%, in aumento di 2 punti percentuali rispetto all’incidenza del 2022 (72%). Il che, tradotto, significa che su 10 attività controllate, oltre 7 non risultavano in regola. In totale sono stati recuperati 1,2 miliardi di contributi e premi evasi, contro 1.153.000.000 del 2022.
Per quanto riguarda la sola vigilanza Lavoro, cioè ispezioni in materia di lavoro e legislazione sociale effettuate dall’Ispettorato, nel giro di un anno l’incidenza di irregolarità è salita al 70% dal 67% riscontrato nel 2022. Dell’84% invece l’incidenza di irregolarità per quanto riguarda la vigilanza previdenziale, 94% per quella relativa all’assicurativa mentre 85% è quella in materia di salute e sicurezza, in aumento rispetto all’82,5% del 2022, per un totale di 20.755 ispezioni di vigilanza tecnica effettuate nel 2023 rispetto alle 17.035 del 2022.
Aumenta anche il numero di lavoratori in nero: 16.744 di cui 970 sprovvisti di regolare permesso di soggiorno (+12% rispetto al 2022). Il conto delle vittime del reato di caporalato e sfruttamento del lavoro esplode poi del 205% rispetto all’anno precedente: 3.208 lavoratori contro i 1.051 del 2022.
Leggermente inferiore l’incidenza di irregolarità al Nord rispetto a Sud e Centro, ma i dati si attestano più o meno sullo stesso livello. Per quanto riguarda il turismo e la ristorazione, le percentuali di irregolarità altissime: 71,2% al Nord, 79,6% al Centro e 78,9% al Sud per un’incidenza media pari al 77,3%, che consente al settore di trattenere saldamente in mano il primato di settore più irregolare a livello nazionale (76,6% il dato del 2022).
Pessimi gli indici anche per quanto riguarda il commercio al dettaglio, le costruzioni, trasporto e magazzinaggio e sanità e assistenza sociale. Tutti al di sopra del 70%. Il settore dell’autotrasporto, stavolta rilevato separatamente rispetto alla vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, presenta invece un indice di irregolarità superiore all’80% (80,8%).
La Regione che presenta il tasso di irregolarità maggiore è la Sicilia con l’82,8% di incidenza di irregolarità. Seguono le Marche con l’81,5% e il Molise con l’80,8%. Prendendo a riferimento i dati del rapporto annuale 2021, che segnalava un totale di 117.608 ispezioni per un’incidenza di irregolarità complessiva (Inl, Inps e Inail) del 69% e del 62% per quanto riguarda la sola vigilanza lavoro, il peggioramento degli indici e delle condizioni è evidente. Ancora di più se si considerano i dati del 2019 quando, a fronte di una forza ispettiva di dimensioni inferiori (4.252 unità complessive contro le 4.768 del 2023), si fecero 159.805 ispezioni e accertamenti totali per un’incidenza di irregolarità totale del 72% e del 68% dal punto di vista della sola vigilanza lavoro accertata dall’INL. Insomma, indubbio il record di occupazione per il governo Meloni. Ma la domanda è: a quale prezzo?
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
MA DOPO IL VOTO L’UE STRINGERA’ IL CAPPIO ALL’ITALIA E GLI EURO-POTERI PREPARANO GIA’ UNA BELLA PROCEDURA D’INFRAZIONE PER L’ITALIA… LA PREOCCUPAZIONE DELL’UE PER LA DEBOLEZZA STRUTTURALE DELL’ECONOMIA ITALIANA: CON I 200 MILIARDI DEL PNRR IL PIL DOVREBBE VOLARE, INVECE LA CRESCITA ARRANCA SOTTO LA MEDIA EUROPEA
Giancarlo Giorgetti ha le mani nei capelli, non sa come e cosa inventarsi per improntare la prossima finanziaria, che va presentata a ottobre ma andava cucinata ieri. A causa di una estenuante campagna elettorale per le europee è tutto fermo. Anche se devi andare a fare pipì, la risposta tormentone a palazzo Chigi è sempre la stessa: “Dopo il 9 giugno…”.
Il governo Ducioni non sposta neanche un ago temendo di perdere voti e consenso, vedi il redditometro, presentato e cancellato nel giro di 24 ore nonostante sulla misura fosse d’accordo il Mef ma anche il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. In cassa, non c’è un euro.
Con i suoi otoliti in fibrillazione permanente, “Meloni, detta Giorgia” vuole aspettare il risultato delle europee perché la poverina è convinta, anzi, illusa, che dopo la formazione della nuova Commissione ci sia la possibilità di ridiscutere il Patto di Stabilità, considerato dagli ottimisti “punitivo” per le finanze italiane, con misure di rientro miliardarie che molti giudicano insostenibili, altri impossibili. Insomma: chiamatelo Cappio di Stabilità.
Il piano della camaleontica Ducetta potrebbe andare a buon fine solo se la sua formazione, i Conservatori di Ecr, fosse determinante il 10 giugno per la creazione di una nuova alleanza. Ma, da un lato per i sondaggi (non quelli italici, che fanno ridere), dall’altro per l’irriducibile resistenza di Macron e Scholz, si tratta di uno scenario non solo improbabile ma impossibile.
Quel che è certo è che l’Italia, il 19 giugno, incasserà una bella procedura di infrazione, che sarà meno indigesta per Meloni e Giorgetti solo perché tra i Paesi stangati ci sarà probabilmente anche la Francia. La misura però sancisce un nuovo status quo: l’Italia diventa ufficialmente un paese sorvegliato speciale da parte dell’Unione europea.
E poiché il Patto di stabilità potrebbe restare così com’è, imponendo ai governi presenti e futuri manovre lacrime e sangue per rientrare del pesantissimo debito pubblico (2.872 miliardi di euro), Giorgetti e le banche spingono per la ratifica del Mes da parte dell’Italia. Te credo: il Mes, grazie alla modifica del trattato, servirà come strumento di ultima istanza per il finanziamento del Fondo di risoluzione unico, istituito nel 2015, per la soluzione delle crisi bancarie europee.
Peccato che la nostra Coatta Premier voglia ancora barattare l’ok al Meccanismo europeo di stabilità, già approvato da 19 paesi, sui 20 dell’area Euro, con una revisione del Patto di stabilità. La famosa “logica di pacchetto” che è già stata spernacchiata durante i negoziati per le nuove regole fiscali.
Di riffa o di raffa, il povero Giorgetti, il più disperato tra i ministri del Governo, non sa dove trovare i soldi per la legge di bilancio.
Dopo la decisione di raccattare un po’ di miliardi dalle aziende partecipate dallo Stato (Eni, Ferrovie e Poste), ora è costretto a fare il giro delle sette chiese bancarie come “piazzista” per vendere le ultime quote di Mps, di cui il Governo deve disfarsi entro la fine del 2024.
E poiché dopo le elezioni del 9 giugno l’esecutivo sarà costretto, giocoforza, a deporre i proclama propagandistici e a stringere i cordoni della borsa, il semolino Giorgetti ha già messo in conto un bastimento carico di scazzi con il suo segretario Matteo Salvini.
Con la poltrona di segretario della Lega sempre più in bilico, destabilizzata dai tre governatori e tanti elettori del Carroccio infuriati per la candidatura del generale Vannacci, per il Genova-Gate dei vari Rxi, per i rapporti con la famiglia Verdini, eccetera, per tenersi in piedi il Capitone sogna politiche spendaccioni, vuole il Ponte sullo Stretto, l’abolizione della legge Fornero, condoni, sanatorie e chi più ne ha, più ne metta.
Quel che più preoccupa gli euro-burocrati di Bruxelles non è solo l’attuale situazione di penuria delle casse pubbliche italiane, ma la strutturale condizione di debolezza dell’economia italiana che da 30 anni, con qualsiasi partito a Palazzo Chigi, non mostra segni di vera ripresa.
In Europa borbottano: abbiamo dato all’Italia 194 miliardi di euro di fondi Pnrr, il Pil tricolore dovrebbe volare, eppure arranca pericolosamente vicino alla media europea (e gli altri Paesi non hanno certo ricevuto la stessa quantità di denaro che abbiamo intascato noi…).
(da Dagoreport)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
I SOCIALISTI PUNTANO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO EUROPEO, DOVE SANCHEZ FA PRESSIONE SU SCHOLZ PER IL PORTOGHESE COSTA. MA SE LA SCELTA RICADESSE SUI LIBERALI, MACRON PROPORREBBE MARIO DRAGHI… MORALE DELLA FAVA: ALLA FACCIA DEL CAMALEONTISMO, LA DUCETTA IN EUROPA SARA’ IRRILEVANTE
Aspettando il 10 giugno, l’accordo tra Macron e Scholz sull’Europa che verrà è sostanzialmente chiuso: i due non ci pensano proprio di allargare la storica maggioranza che governa l’UE (Popolari-Socialisti-Liberali) ai Conservatori capitanati dalla Ducetta e hanno entrambi messo nel mirino la riconferma di Ursula von Der Leyen.
Il cancelliere tedesco, una volta silurata la mal-destra Ursula, anche per sgonfiare definitivamente le euroambizioni sbagliate di Giorgia Meloni, lascerà al Partito Popolare Europeo, in quanto primo gruppo per voti e seggi, il potere di scegliere il candidato alla presidenza della Commissione.
Se l’ex cocca di Angela Merkel ha già il foglio di via, non è considerato migliore Manfred Weber, troppo vicino alle destre europee e al governo italiano, tramite l’amico Antonio Tajani.
Il nome in pole position in questa fase è il leader bavarese della Csu Markus Söder.
Anche perché lasciare ai popolari la Commissione permetterà ai socialisti di Scholz e ai liberali di Macron di ambire alla presidenza del Consiglio Europeo. Il premier spagnolo, Pedro Sanchez, fa pressione sul cancelliere tedesco per piazzare il portoghese Antonio Costa, costretto a dimettersi da premier per uno scandalo di corruzione che si è rivelato una patacca.
Se invece la poltrona del Consiglio europeo venisse lasciata ai liberali, Macron proporrebbe Mario Draghi.
Morale della fava: alla faccia di tutti i suoi camaleontismi, la Melona in Europa sarà irrilevante. E il suo sogno di allentare il Patto di Stabilità, che per l’Italia è economicamente insostenibile, si trasformerà in un incubo.
(da Dagoreport)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
QUESTO NON SUCCEDE PERCHÉ I GIOVANI ‘STANNO CON HAMAS E SONO ANTISEMITI. ACCADE PERCHÉ SUI SOCIAL HANNO VISTO IL MASSACRO QUOTIDIANO DI CIVILI INERMI CHE PER MESI L’INFORMAZIONE UFFICIALE HA INUTILMENTE COPERTO, NEGATO, MINIMIZZATO, GIUSTIFICATO DICENDO: ‘C’È STATO IL 7 OTTOBRE
Se bastasse mettere un like su una bella immagine su Instagram a far scoppiare la pace, ieri i carri armati israeliani non sarebbero entrati in quello che resta della Striscia di Gaza: Rafah.
E invece lo hanno fatto. Proprio mentre a milioni cliccavamo soddisfatti su una immagine molto evocativa, probabilmente creata con l’intelligenza artificiale non si sa bene da chi: una tendopoli senza fine in un deserto con alcune tende che formano la scritta a caratteri cubitali “All Eyes on Rafah”, tutti gli occhi sono su Rafah; come a dire, vi stiamo guardando, forze armate israeliane, il mondo vi sta guardando, questa volta non potete fare quello che volete.
E invece lo stanno facendo. Noi li guardiamo, attraverso i social network, e loro avanzano nell’ultima cittadella che dà rifugio a più di un milione di profughi palestinesi.
Del resto se i tweet fossero davvero stati potenti come le armi, nel 2009 i giovani iraniani avrebbero rovesciato il regime che li opprime da tempo; e se il successo su Tik Tok avesse comportato anche uno scudo anti missili, la resistenza ucraina avrebbe già respinto l’invasore russo. E, invece, lo sappiamo da tempo, i followers non sono soldati e le rivoluzioni non si fanno con uno smartphone, soprattutto se ti limiti a seguirle dal divano di casa e pensi di dare una mano con un like.
Eppure su Instagram finora una mobilitazione politica di queste dimensioni non si era mai vista: in meno di due giorni l’immagine “All Eyes on Rafah” è stata condivisa 50 milioni di volte e mentre scrivo sta accelerando. Non è un caso.
Sono mesi che sui social network l’atteggiamento verso quello che accade in Medio Oriente è completamente diverso da quello che c’è negli studi televisivi e sulle pagine dei grandi giornali.
E questo non succede perché i giovani che stanno sui social «stanno con Hamas e sono antisemiti», queste sono idiozie: accade perché su Instagram e su Tik Tok tutti hanno visto le immagini postate direttamente da Gaza di quello che succede dal giorno dell’invasione della Striscia, le foto e i video di un massacro quotidiano di civili inermi che per mesi l’informazione ufficiale ha inutilmente coperto, negato, minimizzato, giustificato: «C’è stato il 7 ottobre…».
Il risultato è che sono mesi che milioni di persone in tutto il mondo manifestano solidarietà per la causa palestinese con una intensità mai vista prima.
Queste cose sui giornali probabilmente non le avete viste. Perché questa è una guerra lacerante dove a fare la parte del cattivo non c’è «il macellaio Putin», ma un pezzo del mondo occidentale, siamo noi, esattamente come accadde con la guerra in Vietnam.
“All Eyes on Rafah” non nasce oggi, ma a febbraio: è la frase pronunciata da un dirigente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità quando era chiaro che Israele non si sarebbe fermata e avrebbe attaccato anche l’ultimo rifugio palestinese.
Allora “All Eyes on Rafah” è diventato un hashtag; poi è finito negli striscioni degli studenti che hanno occupato i campus americani e francesi e le nostre università. E ora diventa una calamita digitale per mettere assieme un sentimento dilagante. Non antisemita, non per Hamas: ecco, se un effetto tutto ciò può averlo non è fermare i carri armati e i bombardamenti, ma aprire gli occhi al popolo israeliano. È una speranza.
(da La Stampa)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
LA RICERCA DI SAVE THE CHILDREN: “L’11,6% NON E’ IN GRADO DI POTERSI COMPRARE UN PAIO DI SCARPE NUOVE QUANDO NE HA BISOGNO”… 20 CONDONI PER I DISONESTI, NESSUN AIUTO AI POVERI: QUESTO E’ IL SOVRANISMO
In Italia quasi un adolescente su dieci tra i 15 e i 16 anni (9,4%) vive in condizioni di grave povertà materiale. Il 17,9% dichiara che i genitori hanno difficoltà nel sostenere le spese per cibo, vestiti e bollette e l’11,6% ammette di non poter comprare un paio di scarpe nuove anche se ne ha bisogno.
Sono solo alcuni dei dati emersi dalla ricerca “Domani (Im)possibili” di Save the Children, presentata oggi, giovedì 30 maggio, nel corso dell’apertura di “IMPOSSIBILE 2024 – Costruire il futuro di bambine, bambini e adolescenti. Ora”, la biennale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Organizzazione a cui è stata conferita la Medaglia del Presidente della Repubblica.
L’evento, in corso a Roma presso l’Acquario Romano, intende coinvolgere il mondo della politica, dell’economia e dell’impresa, della cultura, del terzo settore, per chiedere maggiori investimenti nei bambini e i giovani, affinché siano un volano per lo sviluppo delle società.
Dalla ricerca emerge chiaramente anche la consapevolezza dei ragazzi che vivono in condizioni di disagio economico circa gli ostacoli che dovranno affrontare nel loro accesso al mondo del lavoro. Il gap tra aspirazioni e aspettative concrete di avere un lavoro ben retribuito è infatti molto maggiore per questi ragazzi rispetto ai coetanei che vivono in condizioni economiche migliori.
La condizione di povertà economica, infatti, grava pesantemente sulle aspettative degli adolescenti. Se le “aspirazioni” per il futuro risultano essere piuttosto uniformi tra tutti i ragazzi e le ragazze, per quanto riguarda le “aspettative” (gli obiettivi che si ritiene verosimilmente di poter raggiungere) il quadro cambia drasticamente. Più di un ragazzo su quattro afferma che non finirà la scuola e andrà a lavorare. Mentre il 67,4% teme che, se anche lavorerà, non riuscirà ad avere abbastanza risorse economiche.
Le ragazze più scoraggiate dei coetanei maschi, una su tre afferma che non riuscirà a fare ciò che desidera
Le più scoraggiate, secondo quanto emerso dalla ricerca, sono le ragazze: a prescindere dal contesto in cui crescono, infatti, hanno aspettative più alte dei coetanei sugli studi, ma bassissime sul futuro nel mondo del lavoro. Nonostante il 69,4% pensi che frequenterà sicuramente l’università (contro il 40,7% dei maschi), ben il 46,1% delle ragazze ha paura di non trovare un lavoro dignitoso (rispetto al 30,5% dei ragazzi) e una su tre (29,4%) afferma che non riuscirà a fare ciò che desidera, a fronte del 24,3% dei ragazzi.
Guardando al proprio futuro, nonostante quasi la metà degli adolescenti intervistati provi sentimenti positivi, più del 40% ne vive di negativi come ansia (24,8%), sfiducia (5,8%) o paura (12,1%) e il 10,5% non pensa al futuro. La maggior parte è ben cosciente del peso delle disuguaglianze: quasi due terzi (64,6%) pensano che oggi in Italia una ragazza o un ragazzo che vive in famiglie con difficoltà economiche dovrà affrontare molti più ostacoli rispetto ai coetanei più abbienti, dimostrando grande consapevolezza su un ascensore sociale ormai bloccato.
Più in generale, le sfide principali che vedono all’orizzonte sono le crisi climatiche (43,2%), l’intelligenza artificiale (37,1%), le discriminazioni e la violenza (34,8%). Prevale la sfiducia nelle capacità delle istituzioni di mettere in campo politiche per ridurre le disuguaglianze (59,7%).
Per aiutare i giovani a uscire dalla condizione di deprivazione, gli adolescenti chiedono alle istituzioni pubbliche di intervenire in primo luogo con il sostegno economico per le famiglie in povertà (50,9%) e, al secondo posto, con l’introduzione di un sostegno psicologico gratuito per tutte le ragazze e i ragazzi (49,4%), confermando come il diritto al benessere psicologico sia diventato per la prima volta, grazie a loro, una vera priorità.
Il Presidente di Save the Children: “Serve intervento strategico per contrasto alla povertà”
“A causa di una grave ingiustizia generazionale, in Italia sono proprio i giovani i più colpiti dalla povertà. Ascoltando la voce dei ragazzi e delle ragazze, abbiamo rilevato che questa condizione incide non solo sul loro presente, ma chiude le loro aspettative per il futuro”, ha osservato Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children.
“È inaccettabile vedere adolescenti in condizioni di grave deprivazione economica, già consapevoli di fronte agli ostacoli da superare per trasformare le loro aspirazioni in un concreto progetto di vita. Ragazze e ragazzi che pensano di dover lasciare la scuola per andare a lavorare, temono di non potersi permettere l’università e di non ottenere domani un lavoro dignitoso. È un allarme che non deve rimanere inascoltato”, ha aggiunto Tesauro.
Per affrontare queste gravi disuguaglianze serve, secondo il Presidente, un “intervento strategico di contrasto alla povertà minorile, che comprenda un sostegno adeguato alle famiglie e il potenziamento strutturale dell’offerta educativa, scolastica ed extrascolastica. Il tema del futuro dei più giovani va messo al centro delle scelte economiche del Paese. Con la consapevolezza che è l’investimento più importante per lo sviluppo. Siamo alla vigilia delle elezioni europee e ai candidati chiediamo che la lotta contro la povertà delle bambine, dei bambini e delle loro famiglie sia una priorità della politica”.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
“SENZA L’UNITÀ NON SI VINCE. ALLE EUROPEE OGNUNO DEVE TRASCINARE LA SUA PARTE POLITICA MA L’HO DETTO A GIUSEPPE CONTE E LO RIPETO AL PD: NON SUPERIAMO IL LIMITE, L’ELETTORATO NON È FATTO DA SOLDATINI”
“Il Pd già nel nome esige il pluralismo. Che non mette in discussione la sua identità. Vale a dire, l’essere la sintesi delle grandi culture democratiche italiane, che ci hanno liberato dal fascismo e che hanno formato la Repubblica”.
Così il dirigente del Pd Goffredo Bettini al QN, parlando del pluralismo nelle liste dem per le Europee. “La nostra identità – aggiunge – per certi aspetti è semplice: riattualizzare nei tempi che cambiano i principi fondamentali della Costituzione: la libertà, la lotta alle disuguaglianze, la pace”.
“Sulla pace – aggiunge – l’Europa è stata troppo silente. Ha prevalso una subordinazione ferrea all’atlantismo, con la rinuncia a svolgere il compito storico che il Continente si è assunto dopo la Seconda guerra. Il governo Meloni, inoltre, ha fatto giganteschi passi indietro rispetto alla tradizionale politica estera italiana”. “E’ difficile che Pd e FdI votino insieme per la prossima Commissione – prosegue – Un asse democratico e repubblicano è intenzionato a contrastare l’onda nera degli ultimi anni, ma che sembra in fase di ripiegamento. La differenza è netta. La destra vuole un’Europa appesantita dai nazionalismi. La sinistra intende incrementare l’azione comune, l’unità politica, il superamento dell’austerity”.
Bettini sostiene Matteo Ricci: si è incrinato il rapporto con Nicola Zingaretti? “Collaboro con Zingaretti da decenni – risponde – È difficile pensare a un’incrinatura. La scelta di Ricci è in positivo. È allo stesso tempo un figlio del popolo e colto. Sta tra la gente e scrive libri. È di una generazione molto più giovane della mia e ha già dato testimonianza di una formidabile capacità amministrativa”.
“Dobbiamo ripetere la parola unità, perche senza l’unità non si vince”, e “alle Europee ognuno deve trascinare la sua parte politica, ma l’ho detto a Conte e lo dico a noi stessi: non superiamo il limite, l’elettorato non è fatto da soldatini”. Lo ha detto Goffredo Bettini, ex parlamentare del Pd, presentando il suo libro ‘Attraversamenti’ a Firenze.
“Dopo che ti sei combattuto, e hai detto parole gravi che hanno offeso l’animo dei rispettivi elettorati, non li recuperi con una parola d’ordine improvvisa, non è così”, ha affermato, sottolineando che “il decadimento antropologico ci impone un doppio registro: ci impone oggi di combattere questo governo, combatterlo e prenderlo sul serio. Dobbiamo ripetere la parola unità, perché senza l’unità non si vince. Il governo non ha la maggioranza dei consensi degli italiani, è stato eletto perché siamo andati divisi: dobbiamo recuperare quel cammino”.
“Oltre all’oggi c’è il domani, che comporta un lavoro intellettuale e morale di lunga lena, di tipo gramsciano, pezzetto per pezzetto, dando valore alla battaglia intellettuale”, e “la lotta è di lunga lena perché non devi capovolgere un governo, devi capovolgere il terreno del senso comune che ormai ha invaso anche il tuo campo”. Anche così Goffredo Bettini, ex parlamentare del Pd, presentando il suo libro ‘Attraversamenti’ a Firenze.
“Ho sostenuto e sostengo Marco Tarquinio” per le elezioni Europee, “appoggio con tutto l’entusiasmo possibile lui, un bravo sindaco di Pesaro come Matteo Ricci, che è di una nuova generazione, e poi naturalmente la nostra capolista Elly Schlein”.
“La pace è un bel tema – ha affermato -, perché noi stiamo discutendo su questa guerra su un terreno tremendamente arretrato, ma stiamo discutendo anche del conflitto israelo-palestinese su un terreno tremendamente arretrato, difensivo. Pare sia persino difficile pronunciare con semplicità la parola pace, sembra possa farlo solo il Papa. Noi dobbiamo metterci sei ‘ma’, le condizioni per dire quella parola. Ma è la geopolitica che deve sottostare all’ispirazione della pace”.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
SCHOLZ E I SOCIALISTI HANNO GIA’ DETTO NO, I VERDI SONO IMBIZZARRITI (“SE I CONSERVATORI SARANNO INVITATI AL NEGOZIATO, CI ALZEREMO DAL TAVOLO”) E I LIBERALI DI MACRON NON VEDONO L’ORA DI SILURARE URSULA PER PIAZZARE AL SUO POSTO DRAGHI
Pian piano il cordone sanitario intorno a Giorgia Meloni si rafforza. E la poltrona di Ursula von der Leyen, che continua spudoratamente a proporre un’alleanza di moderati allargata a Fratelli d’Italia e pezzi dei Conservatori europei, balla sempre di più. Dopo il «nein» di Olaf Scholz ad alleanze europee con la premier italiana, la linea rossa dei Socialisti ha assunto la forza di un imperativo. Ma anche nei Liberali i dubbi si infittiscono. E dai Verdi sono arrivati segnali del tutto inequivocabili, in direzione von der Leyen. Un’eventuale coalizione tra Popolari, Socialisti e Liberali non potrà mai essere allargata agli ambientalisti europei, se ci sarà Meloni di mezzo.
Finora Emmanuel Macron si è rifiutato di dire se la Francia sosterrà un nuovo mandato per la presidente della Commissione europea. «Vedremo» è la sua laconica risposta ogni volta che viene interrogato. «Alla fine delle elezioni, alla luce dei risultati, avremo delle scelte istituzionali da fare» ha spiegato, ribadendo la sua opposizione al sistema degli spitzenkandidat.
Macron vuole essere il kingmaker, come cinque anni fa, quando fu proprio lui a proporre a sorpresa il nome dell’ex ministra della Difesa tedesca. Nonostante sia stato il principale sponsor di von der Leyen, con il sostegno decisivo di Renew, lo scetticismo del leader francese emerge dall’identikit che ha tracciato per la presidenza della Commissione nella prossima legislatura, in un periodo in cui l’Europa «può morire» come ha allertato nel suo discorso programmatico alla Sorbona del 25 aprile.
«Il ruolo della presidenza della Commissione è quello di difendere l’interesse generale – ha sottolineato Macron – deve essere al di sopra dei partiti e dei Paesi, quindi non deve essere eccessivamente politicizzato». Parole che sembrano una pietra tombale sulla candidata del Ppe. Altri nell’entourage di Macron dicono senza mezzi termini che la corsa per un bis della politica tedesca è «al capolinea».
In Francia von der Leyen non può neppure contare sul sostegno della sua famiglia politica. Il partito dei Républicains ha deciso infatti di scaricarla al congresso del Ppe, non votandola. Macron non ha ancora deciso di svelare il suo gioco per i top jobs, anche se il nome di Mario Draghi è una delle carte. I conti con il voto del 9 giugno dovrà farli anche il leader francese. La sua lista Besoin d’Europe rischia di mandare a Strasburgo meno deputati di cinque anni fa (14 contro 23, secondo gli ultimi sondaggi) e il suo gruppo Renew potrebbe perdere 17 rappresentanti, scendendo da 102 a 85 eurodeputati.
Nel frattempo, tra i Verdi più potenti in Europa, quelli tedeschi, l’umore è pessimo intorno a von der Leyen. La leader dei Gruenen Ricarda Lang ha detto nei giorni scorsi di aspettarsi dalla capa dell’esecutivo brussellese «che prenda posizione prima delle elezioni e dica che non farà alleanze con l’estrema destra in Parlamento». Un vero e proprio avvertimento che fa il paio con quello della spitzenkandidatin Terry Reintke: «una cosa è certa», ha detto all’austriaco Standard, «se i Conservatori saranno invitati al negoziato, io mi alzerò dal tavolo».
(da “La Repubblica”)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
A CAUSA DEGLI SCANDALI E ALLA ROTTURA CON AFD, ID POTREBBE DIVIDERSI ANCORA
Identità e Democrazia (ID), il partito e gruppo del Parlamento Europeo che riunisce diverse formazioni politiche nazionaliste, sovraniste ed euroscettiche, è la sintesi perfetta di tutto ciò che la destra radicale rappresenta in Europa, ma pure dei motivi (esterni o legati alle conflittualità interne) per cui nei momenti decisivi questo partito, che pure è candidato ad essere la terza forza presente a Strasburgo, non riesce ad incidere. Fondato nel 2019, quando rappresentò la vera novità del Parlamento europeo, Id si oppone all’integrazione europea centralizzata e promuove politiche di difesa delle identità nazionali e della sovranità statale. I suoi temi forti sono la sua critica alla globalizzazione, al multiculturalismo e all’immigrazione (“di massa” ma non solo), con un’idea di Europa basata su nazioni sovrane che cooperano su base volontaria e che affidano alla casa comune il meno possibile.
Com’è andata finora
L’origine del gruppo Identità e Democrazia è strettamente legata alle crescenti ondate di sentimenti euroscettici e nazionalisti in Europa. Se l’exploit è stato nel 2019, le sue radici risalgono ai gruppi politici che nel corso degli anni dal 2000 al 2010 hanno guadagnato popolarità in diversi paesi europei. Ed è proprio tra il 2000 e il 2010 che diversi partiti nazionalisti e euroscettici cominciano a emergere in Europa. In particolare il Front National (Francia), la Lega (Italia), e l’FPÖ (Austria). Questi partiti trovano terreno comune nel criticare la burocrazia di Bruxelles e nel promuovere una maggiore autonomia per i singoli stati membri dell’UE. Nel 2015, diversi di questi, a cominciare da Front National e Lega, si uniscono per formare il gruppo ENF al Parlamento Europeo. Con le elezioni europee del 2019, il gruppo ENF si evolve e si rinomina Identità e Democrazia, ampliando la propria coalizione e consolidando la sua presenza politica. Tra i fondatori e principali membri vi sono il Rassemblement National (ex Front National), la Lega, l’Alternative für Deutschland (AfD) dalla Germania, il Vlaams Belang (Belgio) e il Partito della Libertà (Austria). Un gruppo che, nonostante l’addio dei singoli, si era mantenuto coeso almeno fino a gennaio scorso, quando AfD è finita sotto accusa perché alcuni suoi esponenti sono risultati tra i partecipanti ad un meeting in cui si parlava esplicitamente di “remigrazione” di almeno 3 milioni di residenti in Germania. Uno scoop, realizzato da quotidiano indipendente Correctiv, che ha incrinato per sempre i rapporti col resto della coalizione, in particolare con i francesi, fino alla recente espulsione.
Chi conta di più
Il Partito Identità e Democrazia è particolarmente rappresentato in diversi paesi chiave dell’Unione Europea. Il Rassemblement National, guidato da Marine Le Pen, è una delle formazioni più influenti all’interno del gruppo ID, con un grande ruolo del capolista europeo Jordan Bardella. Attualmente i sondaggi danno il Rassemblement al 32,7% contro il partito di Macron, Renaissance, al 17% (e i socialisti guidati da Glucksmann in crescita al 14%). L’altra forza principale di ID, attualmente, è la Lega di Matteo Salvini, con 23 eletti, frutto del risultato storico del 2019 che la portò al 34,9%. Una delegazione storicamente importante, anche se composta da soli 3 eurodeputati, è quella del partito austriaco della Liberta (FPÖ) oltre, ovviamente, all’AfD che ora però lascia il gruppo portandosi via i prossimi eletti, 17 secondo i sondaggi europei.
Cosa succede ora
Per le elezioni del 2019 il gruppo ID è l’altro candidato, assieme ad Ecr e ai Liberali d Renew, per la terza posizione nel parlamento europeo. Una posizione che, però, sembra destinata a non fruttare granché in termini di impatto sulle decisioni del Parlamento e sulla nomina della Commissione. Soprattutto nei confronti di Id, infatti, i Popolari, Socialisti e Liberali hanno eretto un muro. E se per l’Ecr, soprattutto Ursula von der Leyen e in parte Manfred Weber hanno fatto delle aperture, (ma non così liberali, verdi e socialdemocratici) contro Id e i suoi partiti più estremisti sembrano irremovibili. Non è chiaro se la recente espulsione di Afd – in seguito ai diversi scandali riguardanti il candidato di punta Maximilian Krah – potrebbe cambiare le cose, certamente lo farà dal punto di vista elettorale. Prima che AfD fosse cacciata, il gruppo Id aveva 58 parlamentari europei. Secondo alcuni sondaggi, in particolare quello di Politico, doveva arrivare ad 85. L’AfD che oggi ha nove Mep ma è candidata ad averne 17 (il parlamento europeo avrà 720 membri, invece dei 705 attuali). Numeri che non consentono una coalizione di sola destra, se si escludono i popolari, ma che potrebbe pesare e farsi sentire, visto che l’attuale maggioranza arriverebbe a 402 parlamentari. Sempre che i veti incrociati, anche tra Ecr e ID, non finiscano per diventare il principale freno.
Il successo dell’estrema destra
Il successo di formazioni di destra radicale in tutta Europa, e non solo in alcuni paesi, sembra essere il segnale di una tendenza generalizzata. Secondo il ricercatore universitario Vicente Valentim, che ad Oxford ha implementato alcuni studi sull’avanzata dell’estrema destra basati sui dati, non è vero, come si afferma spesso nel dibattito pubblico, che l’aumento di voti dei partiti di estrema destra sia frutto di un “tradimento” della sinistra storica nei confronti della classe lavoratrice: «La maggior parte dei nuclei elettorali della destra radicale non sono persone che prima sostenevano la sinistra, è un elemento marginale. E allo stesso tempo, gli elettori che la sinistra sta perdendo non sono i tipici elettori che escono da questa narrazione».
Almeno in una parte dell’Europa, invece, sarebbe invece in atto un percorso di normalizzazione di simpatie di estrema destra già esistenti: «Con normalizzazione intendo proprio questo – ci dice Valentim – Gran parte dell’aumento del sostegno alla destra radicale in Europa negli ultimi anni non deriva dal fatto che i cittadini siano diventati più di destra. Ma da individui che erano già di destra radicale, ma che non hanno mostrato le loro opinioni per anni. Una volta che la destra radicale è in parlamento, gli individui che l’hanno sostenuta si sentono già più a loro agio nell’agire in base a tali opinioni».
I partiti di destra moderata, sostengono questi studi, hanno accelerato il processo con posizioni politiche sempre più vicine a quelle di destra radicale: «Quando il centrodestra si avvicina all’estrema destra, porta a questo processo di normalizzazione, in cui le opinioni xenofobe si sentono più accettabili, anche più di quando lo stesso tipo di dichiarazione viene fatta dalla destra. La conclusione che ne traiamo è che, in realtà, sembra che i partiti di centrodestra abbiano una grande responsabilità nel mantenere in piedi le posizioni democratiche». L’avvicinamento a posizioni di destra radicale non ha poi portato grandi consensi ai Popolari, almeno nei principali paesi europei, conclude Valentim: «Quando si avvicinano alla destra, non ottengono voti e non riducono nemmeno la quota di voti della destra radicale. Sia che si tratti di mantenere le norme democratiche, sia che si tratti di prevenire la perdita di voti, non sembra che questa strategia funzioni».
Il caso Afd
Sebbene i partiti con posizioni estremiste, molto più radicali di Lega o Front national, siano anche altri, ad esempio Lo Spd Ceco, con leader Tomio Okamura, o il Fpo Austriaco, oggi guidato da Herbert Kickl, è Afd ad aver sempre fatto più notizia, anche perché terzo gruppo con più eletti nell’alleanza e per il grande significato anche simbolico che posizioni di estrema destra possono avere in Germania. La scorsa settimana, in seguito agli scandali che avevano colpito uno degli esponenti di punta, il partito è stato espulso da Id (anche se annuncia una battaglia legale). A gennaio, un primo scandalo aveva fatto vacillare l’immagine dell’Afd: la rivelazione del giornale on line Correctiv, di una riunione a Postdam, in cui alcuni esponenti di Afd ed altre persone di estrema destra discutevano di come attuare la “remigrazione” di milioni di persone residenti in Germania ma “non assimilate”, fossero esse cittadine tedesche o no. Il direttore di Correctiv, Justus Von Daniels, spiega che l’impatto dello scoop – ottenuto anche usando giornalisti sotto copertura e telecamere all’esterno della riunione – è stato causato anche dall’estrema “franchezza” con cui i partecipanti parlavano di remigrazione: «È una cosa diversa, ad esempio, da qualsiasi documento che si ottiene e si pubblica, se ci si avvicina alle persone e si mostra chi sono e come si comportano. Si parlava anche di strategie, di come introdurre il piano nella sfera politica, ed è stato mostrato come gli esponenti di estrema destra premevano su quelli di Afd usando questo concetto, “assimilazione”, i cui confini sono molto labili e in ogni caso ben diversi da quando si parla di regole per l’asilo, ad esempio: chi definisce chi è assimilato e chi no? Tutto questo ha creato, credo, un momento in cui molte persone hanno detto: “Ok, ora è il momento di scendere in piazza”».
Lo scoop di Correctiv ha rappresentato un unicum anche per la tecnica con cui è stato realizzato. Il team di giornalisti, oltre a raccontare che il meeting si svolgeva, l’ha seguito con tecniche investigative: un giornalista nell’albergo sotto falso nome e foto di precisione attraverso le finestre, una tecnica, dice von Daniels, che probabilmente i grandi giornali non avrebbero accettato di seguire, ma che è stata poi determinante nell’impatto sociale dell’articolo.
Secondo il giornalista, ad aver allontanato l’Afd dagli altri gruppi europei è anche la traiettoria su cui si muove, di radicalizzazione, piuttosto che di ammorbidimento di alcuni punti in chiave governativa: «L’AfD è dalla parte dei partiti che sono molto allineati con la Russia, cosa che non è vera per tutti i partiti di destra radicale. L’AfD è molto legato alle voci russe».
La rottura con Le Pen
Tutt’altra traiettoria è quella che sta seguendo il front national di Marine Le Pen e Jordan Bardella, il giovane leader esponente dell’Europarlamento che è riuscito ad intercettare molte simpatie (peraltro è la star di Tiktok a livello di parlamento europeo, con 1,2 milioni di followers). Forte dei sondaggi che vedono il Rassemblement National al 34%. Dopo l’espulsione di Afd sui giornali internazionali si moltiplicano i retroscena che parlano di una possibile spaccatura di Id, con una parte – Lega e Rassemblement – pronta a rompere e accordarsi con il resto di Ecr per diventare il secondo gruppo del parlamento Ue, incidere sulla formazione della prossima commissione e sul suo presidente. Uno scenario che non è detto piacerebbe ai conservatori, a loro volta divisi al loro interno. Col rischio che Id resti così com’è ma, come è già accaduto nella legislatura uscente, con una costante e lenta emorragia di parlamentari.
(da Open)
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