Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
QUESTA E’ L’ITALIA, NON QUELLA DEL MULINO BIANCO SPACCIATA DAI SOVRANISTI CHE PERMETTONO A (IM)PRENDITORI DELINQUENTI DI NEGARE UN FUTURO AI GIOVANI
Giulia (nome di fantasia, ndr) ha 35 anni e viene dalla Puglia. Qualche tempo fa ha deciso di contattare Fanpage.it per raccontare la sua esperienza nel mondo del lavoro e la grande delusione arrivata quando, dopo aver subito anni di sfruttamento e lavoro ‘in nero’, è rimasta incinta ed è stata lasciata a casa.
“Sono entrata in quest’azienda anni fa, quasi per caso, tramite amicizie in comune. Cercavano una figura di supporto nel commerciale e, inizialmente, visto che si trattava di un progetto nuovo, non ricevevo nemmeno una retribuzione. Dopo un po’ di tempo il datore di lavoro mi disse che mi avrebbe dato 600 euro, senza però mai farmi un regolare contratto. E tutto questo per quasi 4 anni”, spiega Giulia.
“Nel lavoro ci mettevo l’anima, anche se spesso mi veniva detto che non ero capace, che non capivo nulla”, racconta la ragazza che, poco prima dell’avvento del Covid, viene assunta con un contratto di tirocinio: “Quattrocento euro venivano dati dalla Regione, l’azienda aggiungeva solo 250 euro per un totale di 650 al mese”.
Con l’arrivo della pandemia e la limitazione degli spostamenti, i fondi regionali vengono bloccati perché gli stagisti non erano essenziali. “Il lavoro era pochissimo, noi stavamo a casa e in quel periodo non siamo stati nemmeno pagati. – prosegue Giulia – Ma noi all’epoca, capendo la situazione, non avevamo avanzato richieste, speravamo solo che alla fine si sarebbe risolto tutto per il meglio”.
L’attività a poco a poco riprende e nel gennaio 2021 il datore di lavoro chiede ai suoi dipendenti di lavorare con partita iva. “Nel mio caso era stato stabilito un fisso mensile di 600 euro, più le provvigioni, che sottoponevo all’azienda sotto forma di fattura, la stessa azienda si impegnava a corrispondermi anche una somma relativa al calcolo delle tasse che avrei pagato in regime forfettario”.
“Il datore di lavoro mi disse che, visto che c’era stata la pandemia, non poteva assumere. – racconta ancora Giulia – Io fatturavo 1500 euro al mese, ma sapevo che 1200 erano miei e 300 di tasse, che mi pagavano loro. Nel mentre, mi ero iscritta di nuovo all’Università, che avevo interrotto. Mi mancavano pochi esami e a luglio 2022 ero anche riuscita a laurearmi”.
Pochi mesi dopo però la donna si accorge di essere rimasta incinta, ma per qualche tempo decide di non dirlo a nessuno e di continuare a lavorare: “Dopo alcune settimane, una mattina mi sono trovata in un lago di sangue: avevo avuto un’emorragia e al pronto soccorso mi avevano diagnosticato un distacco di placenta”.
Per settimane Giulia è costretta a rimanere a letto e a comunicare al lavoro la sua situazione: “Purtroppo, non era una cosa che dipendeva da me, pensavo che comunque avevo dimostrato quanto valevo e, tra l’altro, non pretendevo nulla a livello economico. L’unica garanzia che mi aspettavo è che, una volta passato il periodo, sarei rientrata”.
Dall’azienda la chiamano per sapere come sta e, in qualche modo, rassicurandola sul fatto che, al termine della gravidanza, Giulia sarebbe rientrata. “Ma quando sono andata a parlare con il datore di lavoro per capire in che modo sarei potuta tornare, mi è stato detto che l’azienda era andata avanti e che tutto stava funzionando anche senza di me”.
“Nell’anno in cui sono stata ferma, mentre ero incinta, ho perso un sacco di soldi perché, tenendo aperta la partita iva, nella speranza di tornare al lavoro, non ho potuto scaricare nulla. Ora ho il distacco giusto per capire che stavo perdendo il mio tempo, non c’erano margini di crescita e che mi sono state tarpate le ali in tanti modi. Ma a me tutto questo non ha fatto male solo da un punto di vista economico, ma anche umano”, racconta ancora la 36enne.
“Sto avendo anche difficoltà a trovare un nuovo impiego. Non sono vecchia, ma per il mercato del lavoro sì. E avendo un bambino di un anno diventa tutto ancora più complicato. Ho fatto diversi colloqui in cui mi è stato chiesto se avessi figli e quanti anni avessero”, precisa, parlando della sua situazione attuale.
“Non ho potuto denunciare perché mi sarei beccata una controdenuncia per aver accettato tutto questo. Non sono stata costretta, non è una cosa che potevo dimostrare. Ecco perché poi c’è la rabbia. Vorrei che un giorno possa cadere questo muro di omertà rispetto alla tecnica molto usata delle finte partite iva, di datori di lavoro che ti costringono ad andare contro la legge pur di mantenere il posto”.
(da Fanpage)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
IL MOTIVO? FARE UNO SGAMBETTO A VANNACCI: NELLE STESSE ORE IN CUI LE RAGAZZE SFILERANNO IN PROVINCIA DI PAVIA, SALVINI SARÀ SUL PALCO CON IL GENERALE
Miss Padania contro il generale Vannacci. Sembra un titolo trash, e invece è tutto vero. La rinascita del vecchio concorso di bellezza padano si deve ad Angelo Ciocca, recordman di preferenze per la Lega cinque anni fa e oggi di nuovo in corsa per lo scranno a Bruxelles.
Forse perché l’ingombrante presenza in lista del militare rende utile il «come eravamo» nei confronti di quella parte di elettorato che fa fatica a riconoscersi in un partito nazionale e in un candidato che nulla ha a che vedere con la storia del movimento:
«È un’occasione — ha spiegato Ciocca — per celebrare la nostra identità e le nostre tradizioni». Il concorso, che in realtà è un’intera giornata per famiglie, si svolgerà nel feudo di Ciocca, San Genesio, nel Pavese, proprio mentre nelle stesse ore Matteo Salvini sarà sul palco milanese con Vannacci.
Star della serata sarà Iva Zanicchi e con lei saliranno sul palco anche il giornalista Claudio Brachino, Luca Bergamaschi da Striscia la notizia , il cantante Roberto Di Nunno, la conduttrice Giorgia Colombo, la «velina mora» Giulia Pelagatti ed il gastronomo Edoardo Raspelli.
(da Corriere della Sera)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ANM: “CHIARO INTENTO PUNITIVO DEL GOVERNO NEI CONFRONTI DEI MAGISTRATI”
La riforma della Giustizia varata dal ministro Carlo Nordio era annunciata da tempo, così come nota era la netta contrarietà di praticamente tutta la magistratura italiana. L’approvazione da parte del Consiglio dei ministri ha però fatto salire lo scontro di un livello ulteriore, se è vero che già nel tardo pomeriggio di ieri l’Associazione nazionale dei magistrati ha prima convocato un confronto d’urgenza tra i suoi vertici, per poi annunciare una riunione plenaria per il prossimo 15 giugno e infine paventare uno sciopero contro la riforma. Tra il potere esecutivo e quello giudiziario si consuma quindi una frattura forse definitiva. Il segretario generale dell’Anm, Salvatore Casciaro, spiega a Fanpage.it i motivi di una protesta così vibrante: “Non è così che si realizza una giustizia più equa – denuncia – ma anzi è una riforma di cui si coglie l’intento punitivo nei confronti della magistratura ordinaria”.
Il “chiaro intento punitivo” della riforma della giustizia
Il ddl Nordio contiene tante misure che rivoluzionano l’assetto della giustizia italiana. L’iter per una definitiva approvazione della legge è però ancora molto lungo in quanto si tratta di una riforma che tocca la Costituzione e quindi – esattamente come il premierato – necessita di un percorso di legge rafforzato e potrebbe passare per referendum. Anche per questo il segretario generale di Anm Casciaro auspica ancora che il testo venga modificato. Ma è proprio l’impianto della riforma a essere considerato “sbagliato e per certi versi irrazionale”. L’Anm non salva nessuna delle modifiche proposte. A cominciare dalla scelta dell’estrazione per eleggere i membri del Csm (che il governo giustifica con l’obiettivo di eliminare le correnti) perché “così si toglie il diritto fondamentale dell’elettorato attivo e passivo ai magistrati per il loro organo di autogoverno”, spiega Casciaro. E poi “lo si fa per i soli magistrati ordinari (non anche per i giudici amministrativi o contabili): per questo parliamo di chiaro intento punitivo nei nostri confronti”.
Cosa c’è nella riforma e il nodo della separazione delle carriere
Casciaro insiste con l’introduzione del sorteggio per stabilire i membri del Csm (oggi eletti in parte dalla magistratura e in parte dal Parlamento in seduta comune) perché in questo modo “si deprime il ruolo del Consiglio come organo di rappresentanza elettiva dei magistrati ordinari, immiserendone il diritto costituzionale di associazione”. Ma la questione sostanziale del disegno di legge – e della frattura tra politica e giustizia – è la separazione delle carriere. Se passasse la riforma, ciascun magistrato dovrebbe fare una scelta definitiva all’inizio della sua carriera: o scegli di fare il pubblico ministero (l’accusa) o scegli di fare il giudice – e non saranno più ammessi i passaggi da un ruolo all’altro.
Casciaro spiega così la contrarietà dell’Anm alla separazione delle carriere: “La parità tra accusa e difesa nel processo, dinanzi al giudice terzo e imparziale, è già in Costituzione ed è nella realtà dei fatti. Non occorre aggiungere nulla”. Poi prosegue: “La riforma piuttosto mira a mettere in ombra il ruolo del pm come ‘parte imparziale’ e disinteressata all’esito del processo, impegnata nell’accertamento della verità processuale. Questo è l’elemento che il ddl mortifica, senza comprendere che nell’imparzialità del pm risiede la prima garanzia per i cittadini”.
Ma qual è il senso – si chiede Casciaro – di separare le carriere e creare un doppio Csm, se poi “quelle stesse carriere si riunificano in seno all’Alta corte, che si occuperà in futuro del disciplinare tanto dei magistrati giudicanti che requirenti?”. Il segretario generale dell’Anm ha anche la risposta: “Il senso è quello di privare il Csm di una sua fondamentale prerogativa, quella di autodisciplinarsi”. L’Alta corte, nuovo organismo che questa riforma istituirebbe, sarebbe composta da 15 giudici: tre nominati dal presidente della Repubblica, tre estratti a sorte da un elenco redatto dal Parlamento in seduta comune, sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte nelle rispettive categorie
Le prossime tappe della mobilitazione: sciopero e referendum
Detto del possibile sciopero della magistratura, l’Anm promette una forte mobilitazione qualora si arrivasse al referendum. Per evitarlo, il governo dovrebbe riuscire ad approvare la riforma con la maggioranza dei due terzi: potrà probabilmente contare sull’apporto di Azione e Italia Viva, ma non è detto che basti. Per questo Casciaro auspica che “arrivando al referendum, il dibattito pubblico che ne seguirà possa persuadere l’opinione pubblica che la giurisdizione serve soprattutto a tutelare le libertà dei cittadini, se occorre anche nei confronti dei pubblici poteri. E questo compito – prosegue – richiede proprio quelle garanzie di indipendenza che la politica ora intende grandemente menomare”. Una vera riforma della giustizia, conclude il segretario generale dell’Anm, dovrebbe concentrarsi “sull’efficienza e sulla qualità della giurisdizione, come ripetiamo da tempo, ma sono aspetti che, al di là di vuoti proclami, non sembrano in cima ai pensieri della politica”.
(da Fanpage)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
PER QUESTO I TECNICI HANNO MODIFICATO IN TUTTA FRETTA I PUNTI CRITICI DEL DISEGNO DI LEGGE, INSERENDO IL SORTEGGIO ANCHE PER I MEMBRI LAICI DEL CSM… IL PASTICCIACCIO DI MANTOVANO CHE HA PROVATO AD ARRUOLARE IL COLLE ALLA CAUSA
Primo punto fermo: durante l’incontro di martedì sera al Colle con Carlo Nordio e Alfredo Mantovano, Sergio Mattarella non ha dato alcun avallo formale o informale alla separazione delle carriere. Secondo punto fermo: la valutazione finale complessiva del Capo dello Stato sul disegno di legge arriverà dopo un vaglio “approfondito”, come richiede una materia di rango costituzionale.
Un provvedimento che è stato comunque trasformato, cestinando almeno due punti precedentemente contenuti nel testo. Una decisione assunta dopo un teso vertice di maggioranza, durante il quale – secondo fonti dell’esecutivo – sarebbero state recepite alcune stringenti indicazioni del Quirinale.
Il governo, si diceva: ha gestito tutto nel modo peggiore. Nel merito, nel metodo. Con scarso garbo istituzionale, provando ad arruolare il Colle alla causa, generando un palpabile fastidio dell’interlocutore.
La prima forzatura è stata quella di rendere noto un incontro che era e doveva rimanere ufficioso, almeno secondo la Presidenza della Repubblica: capita infatti di frequente che i ministri salgano al Quirinale per informare o aggiornare il Capo dello Stato sui dossier, ma accade assai più raramente che tutto questo venga propagandato, violando l’informalità istituzionale gradita e richiesta. Per segnalare il fastidio, il Colle l’altro ieri sera ha comunque evitato di diffondere ufficialmente la notizia della riunione.
Ma c’è di più. Mattarella non ha gradito – eufemismo – la scelta comunicativa di Palazzo Chigi e di via Arenula di spacciare per un via libera quello che un via libera non era. Una narrazione per di più amplificata ieri mattina dai giornali della destra, che hanno titolato a caratteri cubitali sul semaforo verde.
Il giudizio del Capo dello Stato arriverà a tempo debito, dunque: non significa che il testo sia già stato bocciato, si fa presente, ma è intollerabile che si provi a sostenere il contrario. E, aggiungono le stesse fonti, non sarebbe corretto neanche avvalorare un pre-vertice con il segretario generale Ugo Zampetti utile a sdoganare la riforma.
E qui, però, bisogna concentrarsi sulle ultime mosse del governo. Fonti dell’esecutivo raccontano che il risultato della salita al Colle di Mantovano e Nordio ha comunque determinato importanti scossoni. Tra la sera di martedì e il mattino di mercoledì, i due emissari governativi hanno riunito gli esperti di giustizia della maggioranza e avrebbero decretato lo stralcio di due passaggi del ddl; l’avvocato come figura inserita nella Costituzione. Il sorteggio per i soli membri togati del Csm.
Sulla tempistica della riforma, però, il governo tira dritto: nessuna pausa di riflessione o approfondimento, ma un via libera a dieci giorni dal voto, come fosse uno spot elettorale.
(da “la Repubblica”)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
LE INDAGINI SU CHI AMMINISTRA POTERE E SOLDI NON SI FARANNO PIU’
In Senato c’è una rissa al giorno. Anche ieri la seduta – si discute del disegno di legge per l’elezione diretta del premier – è stata sospesa per intemperanze dei senatori, tra contumelie e precipitose discese dai banchi (sul genere “ti aspetto sotto”).
Intanto, com’è noto all’intero orbe terracqueo, la presidente del Consiglio si è presentata a Caivano dicendo al presidente della Regione “sono quella stronza della Meloni”, facendo il verso a un poco gentile apprezzamento che il medesimo De Luca le aveva rivolto in una conversazione privata, registrata e divulgata.
Anche la performance elettorale di Meloni è stata registrata e divulgata, ma dal suo ufficio stampa. Cosa che ha prodotto paginate sui giornali – storia dell’insulto in politica – allo scopo di informarci che tutto sommato nulla di nuovo sotto il sole. Siamo maleducati noi, sono maleducati loro.
Mentre si cazzeggia (parolaccia d’obbligo) sui giornali e in Parlamento, il Consiglio dei ministri ha varato ieri mattina la riforma della giustizia, otto articoli che riscrivono la Costituzione (il titolo IV): carriere separate per pm e giudici, separati anche i Csm, istituzione di un’Alta corte disciplinare incaricata di esprimersi sugli illeciti dei magistrati, “sottraendo questa attività al Csm in modo da superare la criticità registrata finora di un sistema condizionato dal correntismo, e che quindi tende a non sanzionare mai neppure le violazioni più grosse”, come spiega senza alcun pudore la premier. Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti entrambi dal Presidente della Repubblica (finché non gli levano pure questo incarico); ne fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione. Per gli alti componenti ci pensa la lotteria: sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori universitari in materie giuridiche e avvocati e per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti.
Il ministro competente, Carlo Nordio, non si tiene e in conferenza stampa annuncia la “riforma epocale”, facendo notare quanto sono stati carini a non toccare l’obbligatorietà dell’azione penale: “L’abbiamo mantenuta, mentre in alcuni ordinamenti anglosassoni è discrezionale, proprio perché abbiamo accolto le osservazioni fatte dall’Anm. Anche se sappiamo che questa obbligatorietà molto spesso si trasforma in discrezionalità o addirittura in arbitrio”.
Infatti proveranno ad addomesticare le inchieste mettendo una gerarchia dei reati da perseguire: abigeato e scippi in testa a tutto. Sappiamo che l’abuso d’ufficio non esisterà più, il traffico di influenze pure e che le intercettazioni si potranno autorizzare sì, probabilmente solo nelle notti di luna piena, per al massimo un quarto d’ora e con il consenso dell’intercettato.
Le indagini, quelle su chi amministra potere e denaro, semplicemente non si faranno più: e se si faranno ci penserà l’Alta corte disciplinare. Magistrati avvisati…
Galliani e Tajani (con mezza maggioranza) esultano commossi in memoria di Silvio. “Coronato il sogno di Berlusconi”, non per nulla uno che è stato condannato per frode fiscale e pure cacciato dal Parlamento.
Cosa che spiega meglio di una lezione universitaria quale porcheria sia questa ennesima manomissione della Costituzione. Esulta anche detta Giorgia: “Una riforma giusta, necessaria, storica. E si aggiunge alle altre riforme che questo governo ha già varato, come la riforma del fisco e la riforma istituzionale. Continueremo così, perché in questa Nazione le cose che non funzionano bene vanno cambiate. E più cercheremo di cambiarle più le forze della conservazione si muoveranno contro di noi. Non abbiamo paura”. Purtroppo noi sì.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
TRAVAGLIO SULLE SEPARAZIONI DELLE CARRIERE: “E’ UNA RIFORMA PUNITIVA PER I CITTADINI: LA MAGGIORANZA DI GOVERNO DECIDERA’ QUALI REATI DOVRA’ PERSEGUIRE IL PM E QUALI NO”… “PER APRIRE UN’INCHIESTA DOVRAI CHIEDERE IL PERMESSO AL MINISTRO”
“Oggi è una giornata storica. Dispiace che non ci siano qui con noi Licio Gelli, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi a festeggiare, perché ha ragione Tajani: si avvera un sogno di Berlusconi e di tutti i piduisti come lui“. Così a Otto e mezzo (La7) il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, commenta il via libera del Consiglio dei ministri alla riforma Nordio della giustizia che prevede la separazione delle carriere di giudici e pm.
“Sbaglia l’Anm a dire che questa è una riforma punitiva della magistratura – aggiunge Travaglio – perché ai magistrati non toglierà assolutamente niente, siamo noi cittadini che saremo danneggiati da questa schifezza. Il pm, finché rimane nella carriera giudiziaria e nella cultura della giurisdizione, avrà esattamente come il giudice la finalità di accertare la verità – continua – non di ottenere più condanne possibili. Se esce dalla cultura della giurisdizione per entrare nella cultura poliziesca, che è inevitabile perché diventerà l’avvocato della Polizia, dovrà portare più condanne possibili e quindi non sarà quell’organismo terzo che fa le indagini sia a difesa, sia ad accusa. Falcone e Borsellino furono giudici e pm“.
Il direttore del Fatto ricorda che l’inchiesta di Mani Pulite nacque a seguito di una querela per diffamazione che il primo arrestato di Tangentopoli, Mario Chiesa, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, fece contro il cronista giudiziario del Giorno Nino Leoni, il quale nel 1990 denunciò con un articolo “il racket del caro estinto” nell’ospizio milanese. Il pm di turno, Antonio Di Pietro, decise di archiviare la querela di Chiesa e di indagare sulla denuncia del giornalista aprendo un fascicolo alternativo e scoprendo, attraverso mesi e mesi di intercettazioni, che il manager nascondeva miliardi di lire in Svizzera, su conti che recavano il nome di marche di acque minerali.
Travaglio aggiunge: “Questo ha fatto fino a oggi il pm, che è collega e nella stessa cultura del giudice: accertare la verità. Il consiglio d’Europa raccomanda uno scambio tra le funzioni, perché il giudice deve sapere quali sono i problemi del pm, così come il pm deve conoscere i problemi del giudice, quindi è bene che nelle loro carriere facciano entrambe le esperienze”.
“Ma allora perché i magistrati temono di finire sotto il controllo del governo di turno?”, chiede la conduttrice Lilli Gruber
“Perché sarà inevitabile – spiega Travaglio – Quella della separazione delle carriere è il primo passo. Poi si comincerà a dire che il giudice dovrà rispondere soltanto alla legge. E il pm? Dato che è già in progetto la facoltatività dell’azione penale, chi è che decide quali reati dovranno perseguire le procure e quali dovranno ignorare?
Il Parlamento, mica lo può decidere a capocchia il pm. E quindi – conclude – la maggioranza deciderà quali reati il pm deve perseguire. A quel punto, succederà quello che succede nella gran parte dei paesi dove le carriere sono separate: le procure dipenderanno dal ministero di Giustizia, cioè per aprire una inchiesta devi chiedere il permesso al Guardiasigilli”.
Marco Travaglio
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
A PRESIDENTE, DUE VICE E 64 CONSIGLIERI I COMPENSI ABOLITI 10 ANNI FA
Dopo i vitalizi per gli ex parlamentari, tornano pure gli stipendi d’oro ai vertici del Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Scampato alla rottamazione, con Renato Brunetta riecco le maxi-indennità, più rimborsi per pasti, spese di trasporto e alberghi anche se di classe “non superiore alle 4 stelle”.
Compresa una suggestione “scala mobile”, con il possibile adeguamento annuo degli stipendi al tasso di inflazione. Tutto come ai vecchi tempi, insomma. Ieri infatti il plenum di Villa Lubin, “l’organismo più inutile della Costituzione italiana” (il copyright è di Matteo Renzi), ha votato uno schema di regolamento che ripristina le indennità per il presidente, i due vicepresidenti e i 64 consiglieri, soppresse quasi 10 anni fa con l’approvazione della legge di bilancio per il 2015. Ora manca solo la bollinatura, ma si tratta di formalità: il “carrozzone” della Repubblica, con ricchi premi e cotillon, è tornato.
Il blitz in Assemblea, benedetto dal presidente ed ex ministro della Funzione pubblica, Brunetta – lo stesso che ha regalato l’assist a Giorgia Meloni per affossare la legge sul salario minimo – ieri è andato in porto con 34 voti favorevoli, 12 contrari e 4 astenuti (più 14 consiglieri assenti): i rappresentanti dei sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno votato contro, quelli di Usb e Ugl si sono astenuti, mentre i componenti legati alle organizzazioni di categoria (Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, ecc.) si sono espressi favorevolmente.
Grazie a questo schema si torna quindi allo status determinato dalla legge 936 del 1986. L’indennità del presidente del Cnel sarà equiparata a quella dei presidenti dei cosiddetti organi ausiliari previsti dall’articolo 100 della Costituzione, ossia il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Al presidente di magistrati contabili Guido Carlino per dire, spetta un trattamento economico complessivo che per il 2023 è stato pari a 241 mila euro: l’emolumento del numero uno di Villa Lubin non si discosterà da questa cifra. Ci sono poi i due vicepresidenti (attualmente Floriano Botta di Confindustria e Claudio Risso della Cisl) che guadagneranno, stando alle norme del regolamento, il 20% della cifra spettante al presidente, dunque circa 48 mila euro. Infine, ed è la parte più sostanziosa, i ben 64 consiglieri: il loro stipendio sarà pari al 10% di quello di Brunetta, circa 24 mila euro. Il che vuol dire che solo per le indennità dei vertici di Villa Lubin se ne andranno circa 1,8 milioni di euro l’anno su un bilancio che attualmente è di complessivi 7. Ma c’è di più. All’articolo 3 dello schema di regolamento si legge che “l’Assemblea del Cnel (…) in sede di approvazione del bilancio annuale di previsione, può adeguare le indennità (…) al tasso di inflazione registrato nell’anno precedente”, che con il tasso galoppante degli ultimi anni promette lauti scatti per i fortunati consiglieri.
Poi c’è tutto il capitolo dei rimborsi spese, che si sommano agli stipendi ma non fanno cumulo rispetto al limite del tetto dei 240 mila euro annui fissato dalla legge. A iniziare dai pasti giornalieri. “Al Presidente, ai vicepresidenti e ai consiglieri del Cnel – si legge all’articolo 7 – in caso di partecipazione a missione esterna, anche in delegazione, spetta il rimborso dell’importo per ciascun pasto fino a un massimo di euro 30,55”, che diventano 61,10 euro se i pasti sono due e la missione supera le 12 ore. Rimborso totale anche per le spese di trasporto: aerei, treni, auto. Ma attenzione ai taxi: ci deve essere la “documentata assenza di trasporto pubblico”.
L’approvazione del documento ieri ha creato un gran caos nel Cnel. Cgil, Cisl e Uil, come detto, hanno votato contro. I rappresentanti di Cgil e Uil hanno proposto di girare le proprie indennità per integrare i compensi dei lavoratori che prestano servizio all’interno dell’organismo. Ma il tema resta il conto per il nuovo corso del Cnel che necessiterà di nuova linfa da parte del ministero dell’Economia anche per quel che riguarda i progetti relativi alle nuove assunzioni in animo a Brunetta, che pensa sempre in grande. Le vie della “casta” sono infinite quando paga Pantalone.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
SIAMO ALLA FOLLIA: “LA REPRESSIONE E’ DEGNA DEI REGIMI”
La Lega vuole vietare l’uso di immagini o disegni che riproducano la pianta di canapa su cartelli, manifesti e magliette. Un emendamento al Ddl sicurezza presentato dal deputato del Carroccio Iezzi prevede una pane da sei mesi a due anni di reclusione e una multa pari a 20 mila euro.
«È repressione più totale degna dei regimi. Il leghista Iezzi, quello che vuole il carcere per chi protesta contro il ponte, ha presentato un emendamento che prevede 2 anni di carcere per chi indossa magliette o fa immagini con il logo della cannabis. Sì può dire che è uno schifo?», fa sapere Angelo Bonelli di Avs.
Nei giorni scorsi il governo aveva presentato un altro emendamento al Ddl in cui vietava la vendita per usi non industriali.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2024 Riccardo Fucile
NE ABBIAMO PARLATO CON IL LEADER OLANDESE VAN DEN OEVER E L’ITALIANO PAIS
Prima ancora che alle elezioni europee, Bruxelles sembra prepararsi a una sorta di guerriglia urbana. A poco più di una settimana dall’appuntamento elettorale dell’8 e 9 giugno, la città-simbolo dell’Unione europea stringe i denti in vista di una nuova (e temuta) protesta dei trattori. Camminando tra le sedi delle diverse istituzioni europee, spuntano strane strutture di metallo appoggiate ai lati delle strade. Si tratta di barriere, con tanto di filo spinato, che le forze di polizia possono dispiegare in mezzo alla carreggiata per sbarrare il percorso ai manifestanti. Martedì 4 giugno, migliaia di agricoltori provenienti da tutta Europa si sono dati appuntamento per tornare a invadere le strade di Bruxelles. E questa volta, memori dei disordini dello scorso febbraio, le autorità hanno tutta l’intenzione di farsi trovare pronte.
La manifestazione a Bruxelles
In realtà, non tutte le associazioni di categoria hanno aderito alla protesta del 4 giugno a Bruxelles. Le grandi confederazioni agricole, a partire dall’italiana Coldiretti, hanno fatto sapere che non saranno presenti alla manifestazione. Clare Carlile, reporter investigativa di DeSmog, è stata la prima a rivelare che tra gli organizzatori delle proteste della prossima settimana c’è anche la MCC Brussels, un think tank riconducibile al premier ungherese Viktor Orbán che – scrive Politico – nega l’esistenza dei cambiamenti climatici e punta a radunare nella capitale belga l’ala più radicale del movimento dei trattori. Gli organizzatori si aspettano che alla manifestazione prendano parte 20/25mila persone, provenienti da undici diversi Paesi europei. «Ci saranno circa 3.500 trattori. Anche noi abbiamo già iniziato a portarne alcuni su a Bruxelles, dall’Italia saremo in 400/500 persone», spiega a Open Salvatore Pais, leader del gruppo Agricoltori Italiani.
Il rischio di nuovi scontri
A protestare per le strade di Bruxelles ci sarà anche il controverso Mark van den Oever, agricoltore olandese e fondatore della Farmers Defence Force, una delle organizzazioni più in vista nelle proteste dei mesi scorsi. Quando gli agricoltori hanno sfilato per le strade della capitale belga lo scorso 1° febbraio, le immagini della protesta assomigliavano a scene di guerriglia urbana, con incendi, roghi e una statua abbattuta e data alle fiamme. Succederà anche questa volta? «Non credo. Stiamo facendo una campagna per i diritti degli agricoltori, non per far sì che la gente voti contro di noi. Le rivolte non piacciono a nessuno», prova a rassicurare van den Oever, che si trova ancora in Olanda ma sta facendo i preparativi per arrivare a Bruxelles la prossima settimana. Salvatore Pais, però, è di tutt’altro avviso. «Sicuramente qualcosa succederà. Non credo ci sia intenzione di fare azioni forti, ma se anche fosse, noi siamo pronti ad appoggiarle», dice il leader di Agricoltori Italiani.
La pressione sulle istituzioni Ue
Le proteste dei trattori hanno catturato l’attenzione mediatica a inizio 2024, quando le manifestazioni hanno iniziato a diffondersi a macchia d’olio in diversi Paesi europei. Nel mirino dei manifestanti ci sono questioni economiche – a partire dallo scarso potere negoziale con i colossi della grande distribuzione nella determinazione del prezzo dei prodotti agricoli – ma anche le leggi a tutela dell’ambiente approvate proprio a Bruxelles. Tra le richieste portate avanti dagli olandesi della Farmers Defence Force, per esempio, c’è la revoca pressoché totale del Green Deal, il pacchetto legislativo Ue per la lotta ai cambiamenti climatici. In risposta alle proteste, la Commissione europea è andata incontro a molte delle istanze avanzate dagli agricoltori, per esempio ritirando la contestata legge sull’uso dei pesticidi e proponendo una riforma – approvata a tempi record – della Politica agricola comune. Due mosse molto criticate dai movimenti ecologisti.
La scelta dell’astensionismo
Le rivolte dei trattori dei mesi scorsi sono state cavalcate soprattutto dai partiti di destra, che in sede europea hanno spesso votato contro i provvedimenti ambientali. E chi scenderà in piazza a Bruxelles sicuramente non nutre molta simpatia nei confronti dei gruppi ambientalisti. «Vivono nel mondo delle favole, non sanno quanto è dura. Un raccolto di successo richiede molto lavoro, mentre la forza della natura può distruggere tutto in un attimo», osserva van den Oever. Ci sono gruppi però che insistono nel definirsi rigorosamente apartitici. «Basta guardare a quello che ha fatto Fratelli d’Italia. Ha vinto le ultime elezioni politiche anche grazie ai voti degli agricoltori e ora ci volta le spalle», fa notare Salvatore Pais. La sfiducia nei confronti della politica è pressoché totale. Ed è per questo che alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno molti agricoltori hanno deciso di non recarsi alle urne. «Purtroppo, e lo dico molto a malincuore, la nostra linea è di non andare a votare», aggiunge il leader di Agricoltori Italiani. Insomma, una parte dei manifestanti preferisce far sentire la propria voce non in cabina elettorale, ma fuori, portando in strada il proprio trattore. «La protesta del 4 giugno – aggiunge Pais – serve a questo. È un’iniziativa per far capire a chiunque comanderà dopo il 9 giugno che noi ci siamo».
(da agenzie)
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