Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
LEGA SALVA-TOTI: L’INCHIESTA DANNEGGIA LE CORONARIE DI SALVINI CHE VOLEVA IL FEDELISSIMO RIXI SUL TRONO DI PRESIDENTE DELLA REGIONE LIGURIA E GETTA OMBRE SUL DOPPIO PROGETTO DIGA DI GENOVA-PONTE SULLO STRETTO
L’aspetto, per ora, rimasto in ombra sulla Tangentopoli al pesto legata al porto di Genova, è: che fine hanno fatto i soldi che avrebbero oliato il Sistema-Toti?
Per gli addetti ai livori, i 22 soggiorni a Montecarlo di Paolo Emilio Signorini, pagati da Aldo Spinelli, potrebbero essere solo la punta dell’iceberg e non solo un trastullo di “fiche e fiches”.
Il Principato, infatti, è uno di quei Paesi con un sistema bancario e finanziario dove la parola d’ordine è: “discrezione” (che è vicina di casa dell’opacità).
È molto difficile per la magistratura, se non impossibile, ottenere una rogatoria dall’Italia per avere, ad esempio, informazioni su un conto corrente monegasco (solo la Francia, agitando le manette, riesce a esercitare una certa influenza sui vicini).
C’è da chiedersi se i dipendenti delle banche del Principato siano così solerti da respingere un cliente che si presenta allo sportello con una valigetta con un milione di euro in contanti: avvertirebbero le autorità o lo accoglierebbero a braccia aperte? La seconda ipotesi è quella giusta. Quel che si sa, invece, è che gran parte delle intercettazioni, pur diffuse generosamente ai giornali, sono ancora nel cassetto dei pm…
Come mai una delle prime dichiarazioni politiche di sostegno al governatore, Giovanni Toti, ex Forza Italia ora traghettato a Noi Moderati, è arrivata dal segretario leghista Matteo Salvini?
Innanzitutto perché il Carroccio ha sempre considerato la Liguria “roba sua”: l’uomo più fidato del “Capitone” è il viceministro genovese Edoardo Rixi, che è anche plenipotenziario della Lega in Regione.
È stato Rixi, infatti, a spingere affinché Paolo Emilio Signorini (uomo di raccordo tra Toti e il sindaco di Genova, Marco Bucci) restasse alla guida del porto invece di traslocare alla multiutility Iren.
L’accordo politico tra Salvini e Toti era talmente solido da spingere a un’intesa di massima per il futuro della Regione: se non fosse stato concesso, come avvenuto, il terzo mandato ai governatori, sarebbe stato Rixi il candidato Lega-Toti per la presidenza.
Inoltre, il gruppo di potere locale costruito in dieci anni da Toti era composto principalmente da uomini vicini alla Lega: l’inchiesta a orologeria che, a pochi mesi dalle Europee lo ha detronizzato, è un siluro più al Carroccio che a Forza Italia, di cui è Toti è stato coordinatore fino al 2019 (il fu partito del Cav ha come suo referente il sindaco di Genova, Marco Bucci).
Salvini si agita anche in quanto ministro delle infrastrutture: il “modello Genova”, in particolare il progetto sulla maxi diga finanziato dai fondi Pnrr (1,3 miliardi), è nel mirino dei magistrati europei, e potrebbe essere applicato anche all’appalto per il ponte sullo Stretto, opera su cui il “Capitone” ha puntato tutte le sue carte.
(da Dagoreport)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL PIANO PREVEDEVA LA TRASFORMAZIONE DEL TERMINAL “RINFUSE” IN TERMINAL “CONTAINER”: “NON CI CREDE NEANCHE PINOCCHIO CHE CI TENIAMO LE RINFUSE PER TRENT’ANNI”, DICEVA ALDO SPINELLI. E TOTI RISPONDEVA: “GRAZIE DI TUTTO, EH? ALDINO!”… ALTRI DIECI INDAGATI NELL’INCHIESTA, TRA LORO ANCHE PAOLO PIACENZA, COMMISSARIO STRAORDINARIO DEL PORTO DI GENOVA DALL’8 SETTEMBRE 2023
Ci sono almeno altri dieci indagati, oltre ai 25 indicati nell’ordinanza, nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Tra questi Paolo Piacenza, dall’8 settembre 2023 commissario straordinario dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale. E’ indagato per abuso d’ufficio. Gli uffici e la residenza di Piacenza sono stati perquisiti dalla guardia di finanza.
Spuntano anche gli affari attorno alla costruzione della diga foranea, il maxi progetto finanziato dal Pnrr e dal fondo complementare, portati avanti dagli imprenditori Spinelli con l’appoggio del presidente della Liguria, nelle intercettazioni agli atti dell’indagine per corruzione e corruzione elettorale della Procura di Genova sul sistema Toti.
Come riporta l’ordinanza con cui il gip Paola Faggioni ha disposto gli arresti domiciliari per il Governatore ligure e il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani e per Aldo Spinelli, mentre il figlio Roberto è tra i destinatari di misura interdittiva, il reale progetto era riconvertire il Terminal Rinfuse, in “contrasto” con il piano con cui è stata rinnovata per trent’anni la concessione agli imprenditori in cambio di “una mano” al Comitato Toti, “in Terminal container”.
E questo “in previsione della realizzazione della nuova diga foranea, che incrementerà – annota il giudice – i volumi dei traffici di contenitori” .
Un piano questo che però doveva rimanere segreto per “non suscitare la contrarietà e quindi l’ostruzionismo degli altri concorrenti attivi nel Porto di Genova” e che Toti aveva “messo a fuoco” tant’è che in una conversazione telefonica aveva affermato: “non ci crede nessuno che teniamo le rinfuse per trent’anni…. ah ah (NDS ride)…ma non ci crede nessuno…neanche…ma neanche Pinocchio”
E sebbene l’operazione, per dirla con le parole di Cozzani (RPT: Cozzani), “non è nell’interesse di Genova” ma di “privati”, a dicembre venne deliberata la concessione e a seguire i bonifici dal Gruppo Spinelli al Comitato Toti: “Grazie di tutto, eh? Aldino!”, sono le parole del Governatore invitato a prendere un “caffè” prima di Natale.
(da Dagoreport)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
PROBABILE CHE ABBIA FIRMATO UN BUON CONTRATTO DI RISERVATEZZA
Il provolone affumicato di Mediaset, Andrea Giambruno, è stranamente silenzioso: non dà interviste, non spiffera retroscena agli amici giornalisti, si limita a “far sentire la presenza” di tanto in tanto a un evento pubblico (ultimo, la presentazione del libro di Francesca Fagnani al Teatro Quirino in compagnia dell’inseparabile “best friend” Davide Vecchi).
Un basso profilo curioso considerando la temperie guascona del personaggio e l’amara delusione per non aver ottenuto la conduzione di un programma politico su Rete4.
A far rumore tra gli “addetti ai livori” è soprattutto il tenore di vita dell’ex “meloncino del giorno”. Sempre tirato a lucido, con un guardaroba discutibile ma oneroso, lo si può ammirare mentre sgomma con la sua Porche fiammante in giro per Roma.
A Cologno solo qualche anima bella ipotizza che cotanto silenzio e cotanta Dolce Vita siano dovuti a un sostanzioso aumento di stipendio che, si dice, Mediaset abbia riconosciuto al merlo maschio Giambruno. Casomai dovrebbe essere Pier Silvio a chiedere un “risarcimento” per il “threesome-gate”.
Più gettonata l’ipotesi che il gagà di Sesto Marelli abbia firmato davanti a un avvocato un buon contratto di riservatezza…
(da Dagoreport)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
GESTIVA IMPIANTI A SAVONA… SI APRE ANCHE IL FRONTE DELLA NUOVA DIGA
Tra i finanziatori di Change, la Fondazione che faceva capo al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, e il Comitato Giovanni Toti oltre agli imprenditori portuali ci sono anche quelli che si occupano di rifiuti e discariche.
Come Pietro Colucci, imprenditore campano che nel 2021 gestiva alcune discariche nella provincia di Savona destinate allo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi con recupero di materiali e di energia elettrica da biogas.
È in quell’anno che la procura di Genova lo indaga, per finanziamento illecito ai partiti (in particolare alla formazione politica del presidente) e con Toti per corruzione.
L’episodio viene riportato nell’ordinanza del giudice che ha disposto i domiciliari per il governatore ligure. Secondo gli investigatori tra il 2016 e il 2020 Colucci, tramite le sue società, aveva finanziato con 195 mila euro Toti. In quello stesso periodo “le società riconducibili al gruppo Colucci – si legge nell’ordinanza – avevano avuto come interlocutore istituzionale la Regione Liguria, competente al rilascio di autorizzazioni in materia di gestione delle discariche”.
In quel procedimento gli investigatori riportano una telefonata tra Matteo Cozzani (capo di gabinetto anche lui ai domiciliari) e Toti in cui “quest’ultimo faceva esplicitamente riferimento alla necessità di parlare a voce con (o di) tale Colucci in merito ‘alla roba della discarica’”. Toti: “Digli che se li convoco io qua lunedì, martedì sera anche a cena, Ripamonti, Vaccarezza, Olivieri, che la chiudiamo su tutto… su tutta la situazione, così mettiamo in fila l’Ato idrico, la cosa, anche perché poi ci si infila dentro anche roba della discarica di Colucci, che voglio parlargliene a voce…”.
“Tutti i finanziamenti provenienti dalle società del gruppo riconducibile a Colucci e diretti al Comitato Change e al Comitato Giovanni Toti Liguria non erano stati deliberati dai rispettivi organi sociali e, in alcuni casi, non erano neppure stati inseriti in bilancio”.
Al via i primi interrogatori
Il presidente Toti, da ieri agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione, sarà interrogato venerdì in procura a Genova dalla giudice Paola Faggioni. Il primo, domani, a essere convocato per l’interrogatorio di garanzia è invece l’ex presidente dell’Autorità portuale e ad (sospeso) di Iren, Paolo Emilio Signorini detenuto nel carcere di Marassi. Sono infine previsti per la giornata di sabato gli interrogatori del capo di gabinetto del presidente Toti, Matteo Cozzani e dell’imprenditore genovese Aldo Spinelli, entrambi ai domiciliari.
(da Il Secolo XIX)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
CAROZZI CHE SI OPPONEVA ALL’IPOTESI RITENENDOLA “UNA PORCATA” CAMBIA IDEA DOPO LA TELEFONATA DEL SINDACO DI GENOVA, BUCCI … PER LA PROCURA, “GIANLUIGI APONTE CHIAMAVA ALDO SPINELLI E GLI RIFERIVA DI AVER PARLATO CON IL SINDACO BUCCI, IL QUALE LO AVEVA RASSICURATO CHE ERA TUTTO A POSTO”… OTTENUTA LA CONCESSIONE, SPINELLI AVEVA PRONTO UN PIANO CHE CHIAMA LA “DIVISIONE DEI PANI E DEI PESCI” E PENSAVA DI APPOGGIARSI AL MINISTRO GIORGETTI
C’è un signore di 84 anni che si muove sui moli del porto di Genova con la stessa forza di volontà di un camallo. Aldo Spinelli va all’assalto dei terminal, cioè le banchine del porto dove si movimentano le merci. E’ per questo suo attivismo forsennato che finisce agli arresti domiciliari, insieme al figlio Roberto. Per la procura di Genova è il grande corruttore del porto, e non solo.
Alla fine del 2021, pur di aggiudicarsi la concessione del Terminal Rinfuse per 30 anni con la società di cui ha la maggioranza (55%) e il suo socio è Gianluigi Aponte di Msc con Itaterminaux (45%), Spinelli, secondo le carte della procura trasforma la vita del presidente dell’Autorità Portuale Paolo Emilio Signorini in un’eterna vacanza: soggiorni a Montecarlo con massaggi in camera, biglietti per i tornei di tennis più esclusivi, migliaia di euro in fiches nei casinò di Las Vegas e pure un finanziamento per il matrimonio della figlia visto che Signorini (stipendio annuo da 230 mila euro) dice di essere rimasto senza soldi.
Signorini è dalla sua parte ma per ottenere la concessione bisogna convincere un riottoso membro del board portuale, Giorgio Carozzi, rappresentante del sindaco di Genova Marco Bucci.
Così Spinelli telefona al socio Aponte a Ginevra: «Io lotto da solo! lei non m’aiuta ma io…lotto a tutte le maniere eh! con…contro tutti perché se non passa i trent’anni guardi che andiamo…noi… ci… ci prepariamo con gli avvocati e andiamo in tribunale!… perché è impossibile che dopo due anni che noi stiamo dietro, che c’è il comitato approvato e tutto, che ci sia questo Carozzi… questo ex giornalista che vota contro…veda di parlare lei col sindaco perché è…è l’uomo del sindaco, ha capito?».
Carozzi che qualche settimana prima si opponeva all’ipotesi ritenendola frutto «della corruzione di Signorini… una porcata….piuttosto mi dimetto», cambia idea dopo la telefonata di Bucci. Ecco come la procura ricostruisce l’episodio accaduto a fine novembre 2021: «Gianluigi Aponte chiamava Aldo Spinelli e gli riferiva di aver parlato con il Sindaco Bucci, il quale lo aveva rassicurato che era tutto a posto e che avrebbe dato istruzioni per trent’anni (“…Guardi, mi ha detto: “Stia tranquillo, darò istruzioni per trent’anni… Finito!”) ».
Ottenuto il Terminal Rinfuse, pochi mesi dopo, a maggio 2022, Spinelli è di nuovo in movimento. Si prospetta una separazione dal socio Aponte ma sarà consensuale e, per non perdere fette di mercato di contenitori, Aldo ha pronto un piano che chiama la “divisione dei pani e dei pesci” e pensa di appoggiarsi ad un ministro, come spiega ad un manager di Hapag Lloyd: «…perché noi adesso…domani… glielo dico a lei perché abbiamo qui in ufficio da noi il Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti alle 15:45…e io presento il progetto… viene anche l’Autorità Portuale, io presento il progetto… stamattina ho parlato con Aponte della divisione dei pani e dei pesci.. detto “mandami il preliminare…siamo d’accordo” quindi…non…non ci sono ostacoli a fare il milione e tre, il milione e quattro…ha capito?…».
Il pesantissimo coinvolgimento di Paolo Emilio Signorini in queste ore fa tremare dalle fondamenta anche un altro progetto fortemente inseguito da Spinelli che in una intercettazione dice io la voglio da 30 anni. È il progetto della nuova maxi diga, l’opera al momento più costosa finanziata dal Pnrr in Italia: 1,3 miliardi, già suscettibili di varianti.
Al termine di una lunga indagine e di un non tenero confronto epistolare con Signorini e il suo staff, l’Autorità Anticorruzione ha emesso una delibera che contesta una raffica di violazioni riguardanti le procedure seguite (o meglio non seguite) per l’assegnazione dell’appalto, nonché la possibilità per Webuild, affidataria dei lavori, di ottenere automaticamente delle varianti, con ulteriori esborsi pubblici, in relazione alle facilmente prevedibili, secondo Anac, problematiche geologiche collegate alle operazioni di basamento a fondali fangosi di 50 metri di profondità.
Scelta tecnica, quest’ultima contestata da uno dei più noti ingegneri portuali mondiali, il professor Piero Silva. L’Anac ha mandato l’intero dossier anche alla procura di Genova a quella regionale della Corte dei Conti e soprattutto alla nuova Procura Europea, Eppo, che ha come obbiettivo primario verificare eventuali abusi nell’utilizzo dei fondi Pnrr. Una mossa che ha agitato anche il governo e in particolare il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini visto che i magistrati europei sarebbero in allerta poiché il “modello diga” potrebbe essere applicato anche all’appalto per il ponte sullo Stretto.
(da La Repubblica)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
E I PROVVEDIMENTI BLOCCA-INCENTIVI SONO STATI SMONTATI DAI PARTITI DI MAGGIORANZA … LA SPESA DEL SUPERBONUS ESPLOSA CON MELONI: DEROGHE E RINVII CI COSTANO 66 MILIARDI
Chissà se stamattina Giancarlo Giorgetti riuscirà dove fino ad ora ha sempre fallito. Se cioè, davanti ai senatori della commissione Finanze, difenderà l’ennesimo decreto “blocca-Superbonus” dalle richieste di deroga alla stretta. Rivendicato dal ministro dell’Economia, lo stop. Evaporato però nei fatti e nei numeri. E non solo nelle aule parlamentari, come si vuol far credere.
Tutto inizia in via XX Settembre. Qui vengono scritti i sei provvedimenti “groviera” targati Meloni. Talmente pieni di buchi e scappatoie da far lievitare deficit e debito. Per poi lamentarsi di malasorte, eredità politiche e colpe dei tecnici.
I numeri fanno chiarezza. La spesa per il bonus edilizio più generoso d’Europa non solo non si è ristretta. Al contrario è esplosa durante i 18 mesi della destra al governo. Sui 117,2 miliardi di investimenti ammessi a detrazione fino a fine marzo, ben 66 fanno riferimento al governo Meloni, si può dedurre dalla ricostruzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio.
Quasi il doppio di quanto resta in capo ai due esecutivi precedenti, Conte II e Draghi. E nel conteggio c’è da aggiungere la coda di inizio aprile, non registrata da Upb.
La destra voleva stringere i rubinetti e invece ha finito per allagare la casa dei conti pubblici. Deroghe dentro le norme scritte al Mef. E porte aperte in Parlamento. Così la spesa mensile è passata dai 3,8 miliardi dell’ottobre 2022, quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi, ai 5,7 miliardi di marzo, con picchi a ridosso delle presunte strette.
Ma chi ha lasciato quei varchi aperti? Chi ha vanificato la lotta al «mostro abnorme» lanciata da Giorgetti? Il governo Meloni, insediato da pochi mesi a fine 2022, interviene due volte sul Superbonus, con un decreto legge e nella sua prima legge di bilancio.
Allunga a cinque il numero di cessioni del credito consentite e anticipa il décalage dello sconto che dal 110% passa al 90, per poi planare al 70 e al 65, già decisi da Draghi. Il momento della verità arriva dopo, il 17 febbraio 2023 con il decreto 11. L’allarme sui conti è alle stelle. Giorgetti annuncia il blocco definitivo della cessione dei crediti. La spesa del solo Superbonus è già a 75 miliardi rispetto ai 35 stimati in pandemia.
Ma quel decreto 11 nasce già con il vulnus. «Ampie deroghe», le definisce Upb. Che poi diventano ancora più ampie e insostenibili in Parlamento, spinte da tutti i partiti della maggioranza. Prima le villette, poi le case Iacp, i lavori già avviati, le aree terremotate, le barriere architettoniche e così via. Da quel febbraio comincia la grande corsa ai ripari.
Altri tre decreti legge per tamponare la falla. L’ultimo di aprile è ora in discussione al Senato. Il Superbonus nel frattempo si è mangiato otto punti di Pil, dovevano essere due.
Al punto che al Mef è partita la grande “caccia” al colpevole, fino ad individuare il capro espiatorio nel Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta. A lui Giorgetti rimprovera mancati alert. Ma lui, il Ragioniere, sostiene il contrario: decreto dopo decreto, ha informato costantemente il ministro sui rischi legati alle deroghe.
E se è vero che la Ragioneria ha messo il suo bollino sotto le norme che hanno finito per allargare le maglie, è altrettanto vero che quei testi sono stati scritti dall’ufficio legislativo del ministero, la sede dell’indirizzo politico. In molti, in via XX settembre, hanno iniziato a chiedersi se la Ragioneria stia diventando una “succursale” al servizio dei governi che si susseguono.
Spostare il problema più in là. Caricarlo sul prossimo governo, sperando che non sia ancora il centrodestra a guidarlo perché altrimenti l’espediente dello “Spalma-crediti” si trasformerebbe in un boomerang.
(da la Repubblica)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
NONOSTANTE L’INDAGINE FOSSE TRAPELATA SUI GIORNALI, MELONI E DONZELLI HANNO PIAZZATO IN LISTA DI FRATELLI D’ITALIA PER LE EUROPEE … GLI EX MISSINI DA MANETTARI SONO DIVENTATI PEGGIO DI BERLUSCONI: VIA LIBERA A PREGIUDICATI, INDAGATI, CORROTTI
Per Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d’Italia e responsabile organizzazione del partito, Vittorio Sgarbi è irrinunciabile, «un genio liberale difficile da inquadrare». Per questo, dopo il passo indietro da sottosegretario al ministero dei Beni culturali, il critico d’arte è stato candidato da FdI alle europee nella circoscrizione Sud.
Ma la magistratura, che ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di Sgarbi per esportazione illecita di opera d’arte, preludio alla possibile richiesta di rinvio a giudizio, sembra evidenziare un’immagine dell’ex sottosegretario diversa da quella di un «genio liberale».
Insomma, Sgarbi è uscito dalla porta per rientrare dalla finestra delle elezioni del prossimo 8 e 9 giugno. Le dimissioni erano arrivate dopo le notizie, raccontate dal Fatto Quotidiano, relative agli incarichi retribuiti ricevuti mentre era sottosegretario, una cifra intorno ai 300mila euro per la partecipazione a una trentina di iniziative. Attività che l’Antitrust ha definito «incompatibili con il suo ruolo».
Ma c’era dell’altro. Il Fatto Quotidiano aveva infatti raccontato anche la storia di un dipinto trafugato, la Cattura di San Pietro di Rutilio Manetti. L’opera, sottratta dal castello di Buriasco, in Piemonte, nel 2013, era riapparsa nel 2021 in una mostra curata dal critico a Lucca, ed era stata presentata come inedita. Sgarbi sostiene di averla trovata all’interno di una villa.
Per questa vicenda è indagato per furto di beni culturali, ma è da Imperia, dove il critico d’arte è coinvolto in un procedimento per esportazione illecita di opera d’arte, che è arrivata l’ultima novità sui guai giudiziari del candidato del partito di Giorgia Meloni. La procura, come risulta a Domani, ha firmato un avviso di conclusione delle indagini preliminari per quattro persone e tra queste c’è proprio Sgarbi. Cosa gli viene contestato?
Le quattro persone sono ritenute responsabili di aver esportato illegalmente nel Principato di Monaco – in assenza del previsto attestato di libera circolazione – il dipinto attribuito a Valentin De Boulogne dal titolo Concerto del bevitore, del valore di cinque milioni e mezzo. Anche in questo caso il critico d’arte ha realizzato un affare ingente, avendo comprato l’opera, tramite il suo autista, per una cifra di 10mila euro. Il quadro è stato poi sequestrato dagli inquirenti, nel 2021, mentre era in viaggio per Montecarlo senza il necessario attestato di libera circolazione.
Sgarbi ha sempre dichiarato di non essere proprietario di quel quadro e che l’opera fosse, in realtà, una copia. Ora potrà chiarire la sua posizione [
L’ex sottosegretario, «genio ribelle» per Donzelli, ha fatto dimenticare a Meloni e sodali la stagione in cui chiedevano le dimissioni di chiunque finisse coinvolto in un’indagine, a prescindere dal merito, ma anche per questioni minori
«Pugno duro con i lavoratori in piazza, carta bianca per facinorosi, clandestini e per chiunque voglia organizzare mega party illegali: questo è il modello Lamorgese. Fratelli d’Italia continua a chiedere le immediate dimissioni di un ministro incapace», diceva Donzelli quando era all’opposizione.
Il deputato di Fratelli d’Italia era scatenato e non trascurava neanche le questioni locali. «Il sindaco di Piombino ha utilizzato gli strumenti pubblici per favorire sua moglie. Non ci stancheremo di denunciare politicamente casi come questo: si tratta di un vergognoso favoritismo familistico che non può che portare alle dimissioni del sindaco», diceva di una vicenda che ha visto poi scagionato il primo cittadino.
L’elenco sarebbe lungo, come Donzelli anche Meloni, presidente del Consiglio, ha chiesto le dimissioni di sindaci, presidenti di regione, ministri a ogni piè sospinto. Archiviato il passato da moralizzatori ora è il tempo del comando e dei voti. Così ecco il candidato Sgarbi plurindagato. Il critico è infatti coinvolto a Roma in un terzo procedimento per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Negli anni Novanta aveva rimediato anche una condanna definitiva per truffa ai danni dello stato. [
(da Domani)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
DA PIETRO SALINI, AD DI WEBUILD, A CLAUDIA GERINI, DA GIAMPAOLO ANGELUCCI, FIGLIO DEL DEPUTATO DELLA LEGA ANTONIO ANGELUCCI, A IVA ZANICCHI… POI KAMEL GHRIBI, VICEPRESIDENTE GRUPPO SAN DONATO, IL SACERDOTE DI CAIVANO DON PATRICIELLO, TAREK BEN AMMAR, IL PRESIDENTE DELLA SIAE SALVO NASTASI, GLI SPORTIVI DI FRANCISCA E MAGNINI
Tutti alla corte del premierato. Oggi la “madre di tutte le riforme” arriva nell’Aula del Senato. Una discussione generale, che non prevede voti. Il momento clou della giornata avverrà però alla Camera dei deputati, dove è in programma un convegno dal titolo “La costituzione di tutti. Dialogo sul premierato”, che sarà concluso dall’intervento di Giorgia Meloni, con un parterre di volti noti e anche di imprenditori.
Gli organizzatori della giornata di discussione sono le fondazioni De Gasperi e Craxi, presiedute da due ex ministri, Angelino Alfano e Margherita Boniver. E i relatori sono di chiaro livello accademico: il costituzionalista Francesco Clementi, il politologo Giovanni Orsina, la giurista Anna Maria Poggi, oltre all’ex presidente della Camera Luciano Violante.
A dare grande risonanza all’evento è stato direttamente Palazzo Chigi, che prima ha inserito nell’agenda ufficiale della presidente del Consiglio questo appuntamento e poi ieri lo ha descritto con grande enfasi in un documento fornito ai giornalisti: «In una effettiva democrazia è necessario che al mandato degli elettori corrisponda una legislatura stabile, dove il programma che ha ottenuto la fiducia degli elettori trovi piena attuazione».
Insomma, la narrazione di Fratelli d’Italia.
Nel documento di due pagine partito dalla sede del governo si legge: «Il tema del futuro della Nazione, del suo ammodernamento, verrà discusso dinanzi ad una platea composta da imprenditori, professionisti, accademici, scienziati, artisti e sportivi: uno spaccato rappresentativo delle classi dirigenti». L’elenco dei personaggi coinvolti dalle fondazioni e amplificato da Palazzo Chigi è lungo.
Al capitolo “imprese” figurano tra gli altri Pietro Salini, l’Ad di WeBuild (impresa incaricata di costruire il Ponte sullo stretto di Messina) e Marco Hannapel di Philip Morris. Mentre alla voce sanità ecco spuntare Kamel Ghribi, vicepresidente gruppo San Donato (di cui lo stesso Alfano è presidente) e Giampaolo Angelucci, presidente della finanziaria Tosinvest, figlio del deputato della Lega Antonio Angelucci, editore di varie testate di area di centrodestra e in trattativa con Eni per l’acquisto dell’agenzia di stampa Agi.
Un passaggio di proprietà che ha suscitato le proteste dei giornalisti e l’allarme sull’indipendenza dei media in Italia da parte delle maggiori testate internazionali. Nell’elenco diffuso da Palazzo Chigi c’è anche il presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, nonché marito della ministra Calderone, oltre ai sacerdoti di Caivano, Maurizio Patriciello e , Tor Bella Monaca, Antonio Coluccia.
L’idea che Palazzo Chigi vuole diffondere è che il dibattito sulla riforma del premierato debba essere esteso anche al di là degli addetti ai lavori. Tanto che tra gli invitati ci sono anche il produttore cinematografico Tarek Ben Ammar (già socio di Silvio Berlusconi), il presidente della Siae Salvo Nastasi, gli sportivi Elisa Di Francisca e Filippo Magnini, la cantante Iva Zanicchi e l’attrice Claudia Gerini, già ospite dell’evento elettorale di Fratelli d’Italia a Pescara.
Il percorso delle riforme intanto prosegue. Nella maggioranza crescono i dubbi di una prima approvazione del premierato in tempo per le Europee. Dietro alle questioni di calendario ce ne sono alcune politiche ben più rilevanti. Oggi si capirà se la Lega presenterà o meno un emendamento con la propria richiesta sulla cosiddetta norma “antiribaltone”. Il Carroccio ieri ha dovuto digerire la decisione del rinvio [certo del voto definitivo sul ddl sull’autonomia differenziata. Tutto rimandato a dopo le elezioni.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL DECRETO FITTO CANCELLA I FINANZIAMENTI PRONTI DA TEMPO… CON LA MINISTRA CARFAGNA, IL GOVERNO DRAGHI AVEVA AVVIATO IL PERCORSO PER LE RISORSE AL SUD
Il governo conferma il taglio di oltre 3 miliardi e mezzo di euro destinati al Mezzogiorno per la costruzione di strade, aeroporti, acquedotti. Ma anche per la riduzione dei gap sui servizi per la scuola e la sanità. Nessuna marcia indietro sulla cancellazione dell’apposito fondo messo a disposizione per le infrastrutture al Sud.
Dietro la propaganda si svela il volto di una destra che osteggia il Meridione. E, mistificando i fatti, Giorgia Meloni racconta addirittura di aver stanziato delle risorse. In un video, diffuso sui suoi canali social, parla «dell’istituzione del fondo perequativo infrastrutturale». Solo che il fondo è stato solo rinominato per essere svuotato. E cancellato per sempre.
«Con il governo Meloni siamo oltre il gioco delle tre carte. Da mesi denunciamo il taglio del fondo perequativo infrastrutturale e oggi il governo rilancia con orgoglio la nascita di un fondo perequativo infrastrutturale. Peccato che non sia nulla di diverso rispetto al vecchio fondo in cui era rimasto circa un miliardo di euro, che continua a non essere rifinanziato», ribadisce a Domani Marco Sarracino, deputato del Pd.
ADDIO SOLDI
L’operazione era stata orchestrata in legge di Bilancio. L’esecuzione è maturata solo ora, tra aprile e maggio, nel decreto Coesione, uno degli ultimi provvedimenti approvati in Consiglio dei ministri. A oggi non è stata decisa la destinazione delle risorse tagliate.
Resta agli atti il battage di Matteo Salvini e degli alleati sul Ponte sullo Stretto per inseguire una maxi opera dai tempi indefiniti, a discapito di cantieri che potevano essere aperti fin dai prossimi mesi. La firma ufficiale sul taglio di oltre 3 miliardi e 600 milioni di euro è stata apposta dal ministro Raffaele Fitto, competente per materia, che pure ha la sua roccaforte elettorale nel Meridione.
Il testo del decreto Coesione, approvato la scorsa settimana, mette nero su bianco il progetto della destra meloniana: viene abrogata definitivamente la dotazione di 4,6 miliardi di euro prevista da una legge del 2009. La disposizione è stata firmata da Roberto Calderoli, che l’aveva confezionata per dare attuazione al federalismo fiscale varato dal governo Berlusconi.
Le risorse avrebbero dovuto garantire, dal 2022 fino al 2033, degli interventi per costruire o potenziare le infrastrutture di vario tipo nel Mezzogiorno. Al posto di quel fondo il governo Meloni ne ha effettivamente istituito un altro, con lo stesso nome, e che sostituisce il precedente.
La differenza è nella sostanza: ci sono 940 milioni da spendere in totale per il prossimo decennio. Un raffronto impietoso rispetto ai precedenti stanziamenti. Nel 2024 il plafond, indicato dal governo in carica, ammonta a 50 milioni di euro e a 140 milioni nel 2025, calando a 100 milioni annui fino al 2033.
Nella precedente versione, lo stanziamento era di 300 milioni di euro all’anno dal 2024 fino al 2027, per salire a 500 milioni annui dal 2028 al 2033. La cifra che Meloni mette sul piatto in totale vale meno di un triennio rispetto al fondo precedente. Insomma, una mannaia che si abbatte sullo sviluppo del Sud, spazzando via preziose risorse.
Questa volta non funziona nemmeno lo scaricabarile su chi c’era prima, una strategia perseguita costantemente sul Pnrr. Il governo Draghi aveva lasciato una buona eredità, dando la possibilità di rendere esecutivi gli investimenti e recuperando i ritardi accumulati negli anni precedenti.
La norma, in effetti, era stata lasciata a bagnomaria da vari governi ed è stata recuperata dall’allora ministro Francesco Boccia, durante il Conte II. Ma ancora di più Mara Carfagna, da ministra del Sud, ha dato impulso alla ricognizione infrastrutturale prevista dalla legge. Lo scopo era di indicare le priorità degli interventi e collocare le risorse su progetti concreti per offrire delle risposte tempestive. Una sorta di Pnrr in miniatura ante litteram.
BANDIERA AMMAINATA
Così, nel giugno del 2022, i decreti attuativi erano dati in dirittura d’arrivo per stabilire una volta per tutte il riparto pluriennale delle risorse. Si attendevano, dunque, gli ultimi passaggi formali. Le tensioni politiche nella maggioranza di larghe intese hanno però bloccato tutto.
La caduta del governo Draghi e le conseguenti elezioni hanno messo il fondo in stand-by. Dalla destra meloniana, che ha sempre sventolato la bandiera del rilancio del Sud, si attendeva però la ripresa di quel filo. Magari con maggiore vigore. La storia è andata diversamente. Nella manovra, come svelato da Domani, il fondo perequativo risultava già depotenziato.
Il partito di Meloni ha sempre negato, nonostante l’evidenza. «I tagli non rappresentano un definanziamento della crescita del Sud, ma fanno parte di una riprogrammazione delle risorse che riguarda anche i fondi del Pnrr», aveva dichiarato il senatore di Fratelli d’Italia Nicola Calandrini. Nei fatti occorreva il colpo del ko al fondo arrivato nel decreto Coesione.
«Altro che patrioti. Dopo il taglio del reddito di cittadinanza, il no al salario minimo, l’accentramento della zes, la cancellazione di “decontribuzione sud” e l’autonomia differenziata, siamo dinanzi all’ennesimo atto e all’ennesima presa in giro nei confronti del Mezzogiorno», incalza Sarracino.
Insomma, l’ennesimo sgarbo al Sud.
(da editorialedomani.it)
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