Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
L’AFFONDO DEI SOCIALISTI: “MAI ALLEANZE O COALIZIONI CON LE FORZE NAZIONALISTE DI DESTRA”
Mai alleanze con le destre nazionaliste in Europa e massima allerta per le relazioni pericolose tessute dai partiti popolari e liberali con l’estrema destra. È questo il messaggio che arriva dall’evento organizzato ieri a Berlino dai socialisti europei del Pse a cui ha partecipato la segretaria del Pd Elly Schlein. «Per noi è molto importante essere qui oggi con la famiglia socialista a dire mai ad alleanze o coalizioni con le forze nazionaliste di destra» ha esordito la segretaria dei democratici, sbarcata nella capitale tedesca per mettere di suo pugno la firma sulla dichiarazione congiunta che impegna i partiti socialdemocratici europei a «non sedersi mai al tavolo delle trattative» con queste forze.
«E questo vale sia per i conservatori guidati da Giorgia Meloni che per il gruppo Identità e Democrazia di cui fa parte Matteo Salvini e Marine Le Pen», continua la segretaria del Partito democratico, incontrando a margine i giornalisti. La dichiarazione comune firmata nella capitale tedesca lancia anche «un segnale molto forte ai popolari e ai liberali dicendo basta con la normalizzazione della destra nazionalista», prosegue la segretaria del Partito democratico. Il documento di Berlino «è la risposta più forte alle gravi dichiarazioni di qualche giorno fa di Ursula von der Leyen, che invece ha aperto alle forze conservatrici e nazionaliste» continua Schlein
Lunedì scorso infatti la presidente della Commissione Ue e candidata di punta del Ppe aveva ufficializzato l’apertura ad alleanze con il gruppo europeo presieduto dalla premier Meloni, chiarendo che «se aprirò una collaborazione con il gruppo Ecr dipenderà da come sarà la composizione dell’Eurocamera e da chi sarà nel gruppo». La presenza in sala ieri a Berlino del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz avrebbe dovuto controbilanciare […] il peso delle parole di Von der Leyen con un monito altrettanto chiaro alle forze moderate a non cadere nella tentazione di stringere accordi con chi mina le basi di un progetto comune europeo.
«Fino a che punto siete disposti come partiti popolari e liberali – si chiede Schlein – a tradire la vostra stessa storia per queste alleanze politiche che negano alla radice i fondamenti dello stare insieme nell’Unione europea?». Perché di questo si tratta: tradire il progetto europeista di una progressiva integrazione fondata su valori e su investimenti comuni o tornare indietro a nostalgie nazionalistiche e illiberali.
Venerdì notte a Dresda il candidato di punta del Spd della Sassonia, Matthias Ecke, è stato aggredito da quattro sconosciuti a calci e pugni mentre affiggeva manifesti elettorali socialdemocratici, e finendo in ospedale in condizioni serie. E non è un caso isolato. Dall’inizio della campagna elettorale il ministero degli Interni della Sassonia conta 51 casi analoghi di violenza.
(da La Stampa)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
RISPETTO AL RESTO D’EUROPA, LA PERCENTUALE DI PERSONE COSTRETTE AGLI STRAORDINARI PER ARRIVARE A FINE MESE E’ PIÙ ALTA DEL 2.5% … IL DATO PEGGIORA, E SALE 29,3%, SE SI PRENDONO IN CONSIDERAZIONE SOLO I LAVORATORI AUTONOMI
Cinquanta ore a settimana. Per il 9,6% dei lavoratori italiani è la normalità. Due punti e mezzo in più della media europea. La mappa di Eurostat restituisce una situazione occupazionale che non è soltanto deprimente da un punto di vista salariale, dato che gli stipendi sono stagnanti, ma che diventa desolante sotto gli altri aspetti.
Come quello dell’equilibrio fra vita professionale e privata. Nella penisola si lavora, a livello nominale, tanto. Ma la produttività resta ferma al palo. L’occupazione è ai massimi grazie agli autonomi. Ma i problemi di sostenibilità nel lungo periodo restano.
L’interpretazione italiana era e rimane negativa. I dati di Eurostat fotografano che i lavoratori della penisola fra i 20 e i 64 anni, nel 9,6% dei casi, hanno avuto una media settimanale di 49 ore, se non di più. Non è il massimo, visto che in Grecia la percentuale superare quota 10 di 1,6 punti. E non siamo nemmeno al livello della Francia, dove per un decimale si è passata la doppia cifra. Ma la questione italiana riguarda la produttività oraria.
La realtà è che, molto spesso, la finestra standard di 36/40 ore è un miraggio per tanti italiani. Nelle tabelle Eurostat sui lavoratori che fanno orari di lavoro lunghi emerge che il dato è legato alla consistenza del lavoro autonomo che tradizionalmente è impegnato per un numero di ore maggiori rispetto alla media (il 29,3% degli autonomi nel complesso lavora almeno 49 ore).
I dati, freddi e crudi, restituiscono uno scenario con divergenze rilevanti. Nel nostro Paese i dipendenti che lavorano almeno 49 ore la settimana in media sono il 3,8% (3,6% in Ue) mentre gli autonomi con dipendenti che lavorano con questi orari sono il 46% del totale (41,7% la media Ue). Di contro, le partite Iva senza dipendenti che lavorano 49 ore alla settimana sono il 27,4% (23,6% in Ue) mentre quelli impegnati in un lavoro di aiuto all’attività familiare che raggiungono le 49 ore sono il 20,1% (14% in Ue).
La percentuale degli “stacanovisti” di italica accezione cresce se l’osservazione statistica riguarda solo gli uomini con il 12,9% degli occupati che lavora almeno 49 ore a settimana (9,9% in Ue). Nella fattispecie delle partite Iva con addetti al seguito, la percentuale supera il 50% in Italia (50,8%) e si attesta sul 46,3% in Ue.
Ci sono diversi modi per leggere il fenomeno, secondo Andrea Garnero, economista dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Da un lato, più salari. Dall’altro più tempo libero. «Per questo motivo i Paesi relativamente più ricchi sono anche quelli dove si lavora di meno», sottolinea.
Questo elemento, spiega, riflette scelte valoriali precise. «Gli Stati Uniti per esempio pur essendo una delle nazioni più ricche al mondo hanno scelto implicitamente di essere una di quelle dove si lavora di più», fa notare Garnero. Grazie alla ricchezza patrimoniale, afferma, si può decidere di ridurre l’esposizione oraria negli uffici. «La variabile che non va dimenticata è che non conta quanto si lavora, bensì quanto bene si produce», dice l’esperto. Un concetto di base che è stato a più riprese rimarcato tanto dalla Banca centrale europea quanto da Via Nazionale.
(da La Stampa)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
LASCERANNO L’ITALIA PER ANDARE A GUADAGNARE DI PIU’ ALL’ESTERO, ISRAELE E STATI UNITI IN TESTA… ATTUALMENTE SONO ALMENO 38 MILA I MEDICI ITALIANI FUORI DAI CONFINI NAZIONALI
«L’ultimo l’ho firmato due giorni fa», si duole Domenico Crisarà, presidente dell’Ordine dei medici di Padova. Si riferisce ai certificati «di buona condotta» (termine improprio ma che rende l’idea) con il quale un professionista può richiedere al ministero della Salute il good standing, cioè la carta di onorabilità professionale per andare all’estero. Crisarà di moduli così ne rilascia tre o quattro a settimana e ogni volta prova una fitta nell’assistere impotente all’emorragia di giovani colleghi che lasciano l’Italia dopo la laurea o la specializzazione. Un fenomeno in rapido aumento.
I numeri dell’esodo Lo ha fotografato andando a spulciare i numeri Antonio Magi, presidente del maggiore ordine dei medici d’Europa, quello di Roma, 145 mila iscritti. «Nei primi tre mesi dell’anno i nostri sportelli hanno rilasciato la documentazione di via a 500 richiedenti. Per il 90% giovani tra i 35 e i 40 anni. Se va avanti così nel 2024 ne perderemo quasi 20 mila a livello nazionale».
Ormai i giovani medici non protestano più. Se ne vanno e chiudono se le condizioni di lavoro fossero migliori non ci sarebbe bisogno di lasciare i reparti ospedalieri: Israele, Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera, Belgio, Svezia, Canada e Irlanda le dieci nazioni in cima alla lista delle mete preferite dai nostri dottori migranti. Secondo i dati riportati dal sindacato Sumai in una pubblicazione uscita a inizio 2024, dal 2019 al 2021 sono andati all’estero in 21.397, fra i quali 14.341 specialisti (esclusi quelli partiti per motivi di studio).
La fuga, dopo la pausa legata al Covid, sta di nuovo accelerando. Dal 2022 i medici emigrati stabilmente all’estero «sono nuovamente aumentati, forse anche delusi per non aver visto concretizzarsi la stabilizzazione del loro rapporto di lavoro legato all’emergenza pandemica».Attualmente fuori sarebbero in almeno 38 mila, stima Anelli. A portarli altrove è anche, ma non solo, la prospettiva di stipendi migliori e di contratti a tempo indeterminato. La remunerazione media degli specialisti in Italia è al terz’ultimo posto di una graduatoria elaborata, sulla base di dati del ministero della Salute, dall’Ocse. Alle colonnine più basse del grafico sono abbinati Portogallo e Grecia.
In testa Lussemburgo, con sensibile distacco, Islanda, Olanda, Danimarca, Finlandia, poi Germania e Regno Unito. Il Belgio è nono, al dodicesimo la Svizzera seguita dalla Francia, tra le mete più ambite dai nostri grazie alla vicinanza geografica.
Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine di Milano, reputa che la corsa verso l’estero sia ripresa a ritmi «impressionanti, il 30% in più dei nostri giovani se ne vanno rispetto agli anni precedenti la pandemia».
Poi c’è l’esodo più ristretto dei pensionati. Quel 10% di migranti che si stanno attrezzando, o lo hanno già fatto, per raggiungere i Paesi del Golfo, programmando di restarci per un breve periodo per arrotondare le entrate. Qui gli stipendi sono doppi o tripli rispetto all’Italia. La retribuzione dei medici in Arabia è tra 14mila e 20 mila euro al mese oltre ai benefit quali casa, inserimento scolastico per i figli, agevolazioni fiscali, burocrazia snella. Non è un caso che in questi lidi il 90% dei sanitari siano stranieri.
(da agenzie)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
NEI DOCUMENTI, ACCANTO ALLE PAROLE SCRITTE IN ITALIANO, C’E’ ANCHE LA TRADUZIONE IN ARABO. PERCHÉ GIULIO AVREBBE SCRITTO E TRADOTTO QUELLE PAROLE POCO PRIMA DI MORIRE?
Spia. Torture. Morte. Appunti con parole scritte in italiano, e accanto la traduzione in arabo. Un presagio, letto oggi. Un dettaglio ancora più inquietante se guardato con la lente della famiglia che, in quelle quattro pagine di appunti, non riconosce la scrittura di suo figlio.
Nel processo per il sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni emerge un nuovo, inquietante particolare: negli atti allegati all’inchiesta c’è infatti un documento — che oggi Report, su Rai 3 alle 20.55, in un servizio a firma di Daniele Autieri, mostrerà per la prima volta — apparentemente innocuo ma che potrebbe raccontare una storia diversa.
Perché Giulio aveva scritto e tradotto quelle parole, apparentemente scollegate tra loro, poco prima di morire? E soprattutto: è stato lui a farlo? «Sicuramente in italiano non è la grafia di Giulio e quindi non ci spieghiamo come siano lì» spiega l’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini ai microfoni di Report. Qualcuno deve averle quindi scritte. Ma chi? E soprattutto quando? Prima del rapimento o dopo? E ancora: qualcuno che gli faceva ripetizioni di arabo voleva mandargli un messaggio?
È un mistero in una storia che continua ad avere ancora molti buchi neri. Seppur nella ricostruzione precisa che la procura di Roma ha fatto e che ora sta emergendo nelle aule del tribunale, la dinamica delle cose sembra essere abbastanza chiara.
Pur mancando ancora un movente chiaro e soprattutto mancando il vero mandante. Certo, Giulio era circondato da persone che lo hanno tradito. Noura Wahby, la sua migliore amica egiziana: ricercatrice come lui a Cambridge, è lei che gli apre le porte del Cairo, è lei che lo accompagna nei passi della sua ricerca sui sindacati del Cairo che la professoressa Maha Abdelrahman, la sua tutor di Cambridge, gli aveva commissionato come progetto di ricerca.
È Noura, hanno ricostruito le indagini italiane, ad avere contatti, per il tramite di una terza persona, nei giorni precedenti alla scomparsa di Giulio con alcuni agenti della National security. È Noura, nelle ore immediatamente successive alla sparizione del ricercatore italiano, a muoversi e a suggerire di contattare immediatamente i Servizi egiziani. Forse provando anche a depistare.
A proposito di traditori, un ruolo lo ha avuto sicuramente anche il coinquilino di Giulio, l’avvocato Mohamed Khaled El Sayyad. È in contatto con agenti della National Security, prima dello scomparsa. E anche dopo: quando apre casa di Giulio. In casa ci sono anche i genitori, Paola e Claudio. E a tradirlo è stato Mohammed Abdallah, il sindacalista a cui Giulio — indirizzato da Oda Kamel — si rivolge per la sua ricerca.
E che poi si traveste da spia per conto della National security, registrando un loro incontro: «Capo — dice, mentre prova a togliersi i microfoni nascosti, al termine del famoso video raccontato da Repubblica negli anni scorsi e che oggi Report propone integralmente — vorrei che qualcuno mi chiamasse per spiegarmi su cosa fare con questo coso. Ho paura di chiuderlo e di cancellare qualcosa. Voglio sapere se devo chiuderlo».
A proposito dell’indagine: agli atti — come mostrerà stasera Report — c’è anche il documento lanciato dall’allora ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, nel quale si lancia l’allarme per la sparizione di Regeni il 28 gennaio.
Tra i destinatari, con la dicitura «Urgente», c’è anche la presidenza de Consiglio. Ma l’allora premier, Matteo Renzi, ha sempre raccontato di aver saputo della scomparsa del ragazzo soltanto il 31 gennaio. «Se lo avessi saputo prima, avrei potuto fare qualcosa di più per salvarlo» ha detto. Ecco, ma perché allora dal 28 al 31 nessuno lo ha informato?
(da La Repubblica)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA DURA REPLICA SINDACALE: “PAROLE DA PADRONI DELLE FERRIERE”
Eccola qui in purezza la manovra a tenaglia di Rai Tele-Meloni per reprimere ogni dissenso nella tv pubblica: da una lato il tentativo di sabotaggio dello sciopero di domani da parte del piccolo sindacato di destra Unirai, che sta invitando chi è di riposo ad andare a lavorare durante la protesta, mandando avanti così la normale programmazione; dall’altro l’azienda stessa, sempre più a trazione governativa, che con con un video di due minuti – il doppio rispetto a quanto consentito alla rappresentanza sindacale – che verrà trasmesso nei tg attacca frontalmente Usigrai, la rappresentanza sindacale maggioritaria, 1.600 iscritti sui 2 mila giornalisti Rai: «Scioperano per motivazioni ideologiche e politiche, nulla che riguardi i diritti dei lavoratori».
Secondo i vertici Rai «non c’è stata alcuna censura o bavaglio» come denunciato da organi di stampa, Fnsi, sindacato europeo, Usigrai ad esempio sul caso Antonio Scurati-25 aprile, e lo sciopero «espone il servizio pubblico a strumentalizzazioni politiche, privando i cittadini del fondamentale diritto dell’informazione».
Eppure a ben vedere nel comunicato di proclamazione di sciopero di Usigrai sono diverse le motivazioni strettamente sindacali che hanno portato la rappresentanza sindacale, dopo molti anni, a indire la mobilitazione: «Si accorpano testate senza discuterne con il sindacato, l’azienda non sostituisce chi va in pensione e maternità, non c’è una selezione pubblica per le assunzioni e non si stabilizzano i precari». Dicono ancora i lavoratori, sul caso della censura allo scrittore il giorno della Liberazione dal nazifascismo: «Preferiamo perdere uno o più giorni di paga piuttosto che perdere la libertà, la Rai è di tutti».
Dopo la risposta di viale Mazzini, l’esecutivo Usigrai ha preparato una nota per giornali e agenzie dove si risponde che «quando non si hanno contenuti, la si butta sull’accusa stantia di fare politica e di far circolare fake news, un’accusa gravissima nei confronti di tutti i giornalisti e le giornaliste della Rai, che punta a screditare un’intera categoria. E si mettono in fila argomenti, questi sì, che non reggono alla prova dei fatti». Quali? L’azienda sta già riducendo gli organici non sostituendo le uscite per pensionamento; alle selezioni pubbliche preferisce le chiamate dirette per le prime utilizzazioni in rete; intanto però nega il riconoscimento del giusto contratto a decine di precari della cosiddetta fase 2; la proposta aziendale sul premio di risultato sottrae ai giornalisti una parte economica riconosciuta invece agli altri dipendenti; su censure e bavagli, basta leggere i giornali italiani e internazionali delle ultime settimane. A proposito, che fine hanno fatto i “provvedimenti drastici” annunciati dall’amministratore delegato dopo il caso Scurati?». Per Vittorio Di Trapani, presidente di Fnsi, quelli dell’attuale vertice Rai sono “comportamenti dal sapore antisindacale che riportano ai padroni anni ’50-’60”.
(da La Repubblica)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
L’INCREMENTO È SOSTENUTO DA OVER 50 E DA AUTONOMI E QUESTO FA PENSARE CHE CI SIA UNA BELLA FETTA DI PERSONE CHE HA BISOGNO DI UN SECONDO IMPIEGO O ALL’ESIGENZA DI GIOVANI PENSIONATI DI REINSERIRSI NEL MERCATO DEL LAVORO … AUMENTANO GLI INATTIVI TRA I 15 E I 49 ANNI E POI C’E’ IL PREOCCUPANTE TASSO DI DISOCCUPAZIONE TRA DONNE E GIOVANI
A marzo continua la corsa dell’occupazione, ma cambia direzione, perché 55 mila dei nuovi 70 mila occupati sono autonomi. Il tasso di occupazione raggiunge un nuovo record nelle serie Istat, arriva al 62,1%, anche se si mantiene la consueta enorme distanza tra quello delle donne (lentamente risalito al 53%) e degli uomini (71,1%).
In numeri assoluti, si traduce in 23 milioni 849 mila lavoratori, 425mila in più rispetto all’anno scorso. Ma in realtà la crescita molto modesta dei dipendenti, sia a tempo indeterminato che determinato, fa pensare a una frenata dell’andamento degli ultimi mesi. Mentre è difficile interpretare il balzo concentrato tra gli autonomi: ci prova il centro studi Adapt.
«Resta da esplorare il fenomeno della crescita degli occupati over 50 e dei lavoratori autonomi, – ragiona il presidente, Francesco Seghezzi – che farebbe pensare alla necessità di una parte della popolazione di un secondo lavoro, all’esigenza di giovani pensionati di reinserirsi nel mercato del lavoro, o ad esclusi dal mercato del lavoro che cercando nuovi spazi di inserimento».
Gli autonomi sono in calo da molto tempo, soprattutto dall’inizio della pandemia, e un aumento così consistente non è frequente. È più di un campanello d’allarme anche l’aumento degli inattivi: rispetto a febbraio ce ne sono 12 mila in più.
Potrebbero sembrare pochi, il problema è che però quel numero costituisce una media tra gli over 50, in decisa diminuzione, e la fascia 15-49 anni, dove l’aumento coinvolge 41 mila persone, con la maggiore concentrazione tra i 25 e i 34 anni
Per il tasso di disoccupazione under 25 siamo in fondo alla classifica, preceduti solo da Spagna, Grecia, Portogallo e Svezia (Paese dove però la partecipazione al mercato del lavoro è molto più alta, e il numero di inattivi non è paragonabile al nostro).
Per il tasso di disoccupazione femminile peggio dell’8,8% italiano ci sono solo i tassi di Grecia e Spagna. «La partecipazione delle donne al mercato del lavoro si mantiene al di sotto del 60%, un valore ancora troppo distante dalle medie europee», sottolinea l’ufficio studi di Confcommercio.
(da La Repubblica)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
RENZI E CALENDA SOSTENGONO LA RIFORMA DA CUI E’ STATA ESPUNTA L’IPOTESI DI RENDERE L’AZIONE PENALE NON OBBLIGATORIA MA DISCREZIONALE
Il Guardasigilli pm nella vita snobba le toghe. O forse ha paura dei fischi che potrebbero investirlo a Palermo. All’assemblea dell’Anm con un migliaio di giudici e pm che si sfogheranno contro un governo che li svilisce e li pesta. Ma Carlo Nordio […] non ci va. Perché veste i panni del “carnefice” che firma la riforma più aborrita, la separazione delle carriere
ùLui resta nella “sua” Venezia, dopo aver chiuso il G7 sulla giustizia. Un aereo di Stato potrebbe portarlo in Sicilia. «Farebbe in tempo», dicono all’Anm con sorpresa. [ Non vuole sentire i “buuuhhh…” che il garbato presidente Giuseppe Santalucia di certo non solleciterebbe. Ci sarà Sergio Mattarella.
Sicuro è che la riforma più odiosa per le toghe porterà la firma di Nordio. Anche se Matteo Renzi fa mostra di scetticismo. E lo sfiducia. «Siamo anche disposti a dare una mano se la faranno, ma non la fanno. Con Nordio purtroppo stiamo solo perdendo tempo e mi dispiace perché io continuo a sostenerlo ma da lui zero risultati». Iv come Azione voteranno sì. Come sempre la maggioranza si allarga sulla giustizia. Voteranno pure per cancellare l’abuso d’ufficio che sarà legge entro le Europee. Separazione delle carriere.
Due Csm. Sorteggio “secco” per i togati. Alta corte di giustizia per punire le toghe. L’azione penale resta obbligatoria, niente discrezionalità.
Come dice una buona fonte «Meloni è troppo furba per fare una riforma che mette in sospetto il suo popolo pronto a prendere le distanze da chi chiede di indagare sui poveracci ma mette in salvo i colletti bianchi». Meglio non strafare. Visto che s’addensano le nubi fosche dell’opposizione. Premierato ai FdI, autonomia alla Lega, separazione a FI. Di certo Antonio Tajani è entusiasta.
Elettoralmente la separazione giova ai meloniani? Non è mai stata un loro grido di guerra, ma non l’hanno neppure avversata. Per i referendum radical-leghisti dissero no a sopprimere la Severino e la custodia cautelare. Da responsabile Giustizia di FdI Andrea Delmastro propose il sorteggio secco «per eradicare la cancerogena mal pratica del potere correntizio e liberare i giudici che non si vogliono sottoporre al gioco delle correnti». Sulla separazione non si spesero, ma non remarono contro.
(da la Repubblica)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
LA DUCIONA DI FRANCIA VORREBBE ALLONTANARE I TEDESCHI DAL GRUPPO “IDENTITA’ & DEMOCRAZIA” E IPOTIZZA UN BLOCCO UNICO CON ECR DI GIORGIA MELONI DOPO IL VOTO EUROPEO DEL 9 GIUGNO… ANCHE I LEGHISTI SONO IN IMBARAZZO: NON POSSONO PIU’ CHIUDERE GLI OCCHI SULL’IMPRESENTABILE AFD
Venerdì il capolista della Spd in Sassonia, Matthias Ecke, è stato riempito di botte al grido di «frocio» mentre attaccava manifesti elettorali. È stato aggredito a Dresda da quattro individui vestiti di nero.
Nel land chiamato alle urne in autunno dove l’Afd svetta al 35%, non è il primo attacco squadrista. Con l’Afd cominciano ad avere problemi persino i compagni di banco europei, gli Identitari. Dopo gli ultimi scandali intorno allo spitzenkandidat Afd Maximilian Krah, ribattezzato «cavallo di Troia di Putin», gli Identitari stanno costruendo intorno alla destra tedesca un cordone sanitario.
E considerano Krah «una variabile impazzita», racconta una fonte. Dopo le europee, la destra tedesca potrebbe essere persino cacciata dal gruppo dei sovranisti
Una prospettiva che sta drammaticamente spaccando il partito guidato da Alice Weidel e Tino Chrupalla.
All’ultima cena degli Identitari prima delle elezioni, la settimana scorsa, un esponente dell’Afd si è sentito dire da un collega francese che non solo Krah, ma «i vostri primi tre nomi sulla lista sono impresentabili, per Marine Le Pen». Perché sospettati, come il capolista Krah e il numero due, Petr Bystron, di essere «marionette russe». Oppure, come il numero tre René Aust, di essere fedelissimi del leader della Turingia, Bjoern Hoecke – un «fascista» secondo la sentenza di un tribunale tedesco.
La fonte racconta anche di malumori crescenti nella Lega: quando Krah è stato sospeso per la seconda volta dagli Identitari per un caso di corruzione, Marco Zanni è stato decisivo. Anche per il partito al governo in Italia, insomma, l’Afd comincia a essere motivo di forte disagio. Jordan Bardella, presidente del Rassemblement, non fa mistero di pensare a un divorzio dall’Afd, e aggiunge che «la questione delle alleanze dipenderà dalle forze presenti»: dai risultati. «Se il Rassemblement otterrà 30 deputati o più, avremo un potere di attrazione molto forte nel gioco europeo» sottolinea Thibault François, a cui Le Pen ha delegato per i rapporti internazionali a Strasburgo
L’attuale spartizione tra gruppi Id ed Ecr potrebbe cambiare o addirittura essere superata. «L’obiettivo è formare una minoranza di blocco di 135 deputati, indipendentemente dall’appartenenza». Al Rassemblement c’è la ragionevole speranza di rimescolare le carte, anche con una parte di Ecr. Al momento Giorgia Meloni ha scelto Reconquête, il partito di Eric Zemmour, come alleato francese.
«Non si capisce perché abbia accolto nel suo gruppo uno come Zemmour, che potrebbe ispirare un cordone sanitario causa posizioni radicali». Una scelta che potrebbe rivelarsi poco lungimirante: Reconquête è poco al di sopra della soglia di sbarramento del 5%. Meloni potrebbe arrivare ad avere una delegazione con una trentina di eurodeputati, diventando l’altro polo di attrazione. In mezzo c’è Orban, con una delegazione che potrebbe avere 15-20 eurodeputati.
(da la Repubblica)
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Maggio 5th, 2024 Riccardo Fucile
PIERO PITTARO E’ SCOMPARSO ALL’ETA’ DI 89 ANNI… LA SUA AZIENDA VINICOLA FAMOSA IN TUTTO IL MONDO
«Io ho quello che ho donato»: questa è la frase formulata da Gabriele d’Annunzio e scelta per il proprio necrologio dall’imprenditore del vino Piero Pittaro, scomparso all’età di 89 anni lo scorso 24 marzo. Poche sintetiche parole che racchiudono un approccio alla vita, riflesso in maniera coerente anche con le ultime volontà del «mago dello spumante», che ha scelto di lasciare la maggior parte della sua eredità ai suoi nove più fedeli collaboratori. Un vero e proprio tesoro: come ricostruito da Repubblica, la “Vigneti Pittaro” si estende su 85 ettari e produce 300 mila bottiglie l’anno, tra spumanti, bianchi e rossi fermi. Vanta clienti in tutta l’Unione Europea, ma anche negli Stati Uniti e a Singapore. Pittaro, insieme al noto vignaiolo friulano Girolamo Dorigo, fu il primo a introdurre il metodo classico nella spumantistica regionale.
«Ogni tanto ce lo diceva: “Us lassi dut a vualtris” (“Lascio tutto a voi”). Ma mai avremmo immaginato che meditasse davvero di farlo», ha commentato incredulo l’enologo Stefano Trinco, che ha affiancato Pittaro per oltre 40 anni. «Con questo gesto, ha confermato la coerenza che lo ha contraddistinto per tutta la sua vita: premiava sempre chi riteneva meritevole e amava trasmettere la bellezza e la perfezione dei nostri prodotti», ha aggiunto Trinco. Che figura tra i destinatari della fortuna assieme al perito agrario, all’addetto commerciale, al responsabile della lavorazione dei vigneti e agli operai, tre dei quali già a riposo. E alla contabile Jenny Pez, che ricorda come il clima in azienda fosse coeso, quasi familiare: si condivideva ogni momento di festa, «dal compleanno, al Natale e a ogni fine vendemmia».
Però una famiglia «Pieri» ce l’ha davvero, al di là delle metafore: una moglie, una figlia, due nipoti e un pronipote. Per il momento nessuno ha voluto rilasciare dichiarazioni sull’accaduto. Ma, scrive Repubblica citando alcune indiscrezioni, in quanto legittimari sarebbero valutando un contrattacco. Mentre i nove dipendenti, con l’assistenza legale dell’avvocato Irene Lenarduzzi, valutano la costituzione di una nuova società, per formalizzare il passaggio e permettere al marchio di sopravvivere alla scomparsa del suo fondatore.
(da agenzie)
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