Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
“ANCHE LE TRIBU’ DELLA PREISTORIA AVEVANO UN CAPO, MA LA DEMOCRAZIA E’ UN’ALTRA COSA”
È un duro attacco alla riforma della Costituzione che progetta la maggioranza, quello sferrato oggi dalla senatrice a vita Liliana Segre. La testimone di Auschwtiz è intervenuta oggi in Aula a Palazzo Madama nel corso della discussione generale sul progetto di premierato proposto dal governo Meloni per sottolineare come questo «presenta vari aspetti allarmanti, e io non posso e non voglio tacere». Assicurata la fiducia nelle «buone intenzioni della cara amica Elisabetta Casellati», l’ex presidente del Senato oggi ministra per le Riforme cui è affidato il dossier, Liliana Segre è poi entrata nel merito dei suoi rilievi. «Il capo dello Stato non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare», sostiene la senatrice a vita, secondo cui «non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo”». Poi l’affondo più pesante, a sfondo storico, verso il progetto di riforma voluto dal governo: «Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate».
Come (non) fare una riforma della Costituzione
Per progettare e condurre in porto ambiziose riforme costituzionali, ha messo in luce in Aula Liliana Segre «occorrono non prove di forza o sperimentazioni temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione». Ecco perché la senatrice a vita è poi entrata nel merito della sua disamina nei minimi dettagli dei cambiamenti che la riforma potrebbe indurre. «Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti», ha sviscerato Segre: il primo è «una stabilità fittizia», il secondo «il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del Parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale». Secondo la senatrice a vita, «la proposta governativa è tale da non scongiurare il primo rischio e da esporci con altissima probabilità al secondo.
Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato».
Dittatura della maggioranza?
La senatrice ha ricordato le due leggi elettorali bocciate dalla Consulta perché «lesive del principio dell’uguaglianza del voto. E dunque, mi chiedo, come è possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una legge elettorale destinata a produrre quella stessa illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare». Quanto al ruolo del capo dello Stato, ha insistito Segre, «la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza. Ciò significa che il partito o la coalizione vincente sarebbe in grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia. Il tutto sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento». Fumo negli occhi di chi ha vissuto e sofferta sulla propria pelle le conseguenze di un sistema autocratico. Non si paventando rischi del genere, certo, ma resta il fatto che «nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere», ha sottolineato Segre. Ecco perché risulta secondo lei impossibile «ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di governo che proponeva il presidenzialismo un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione. Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori».
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
LE RISORSE ANDRANNO TROVATE CON NUOVE ENTRATE O CON TAGLI DI SPESA: FINORA, BASTAVA CHE IL PARLAMENTO AUTORIZZASSE NUOVO DEFICIT “SENTITA” LA COMMISSIONE. ORA SERVE L’OK DEL CONSIGLIO EUROPEO, CIOÈ DEGLI STATI
Dopo quasi cinque anni in cui tutti i governi hanno potuto finanziare le proprie politiche “a debito”, facendo spesa aggiuntiva per quasi 300 miliardi, torna il vincolo esterno dei parametri europei.
Domani la Commissione presenterà le previsioni economiche di primavera. Sarà il primo documento che gli Stati avranno a disposizione per capire la correzione dei conti a cui saranno chiamati con le nuove regole comunitarie. Il 19 giugno ci sarà l’annuncio di un certo numero di procedure di infrazione.
E l’Italia, con un debito a ridosso del 140% del Pil e un deficit sopra il 4%, sarà nella lista. L’estate per il governo sarà di lavoro e particolarmente calda. Entro il 20 settembre dovrà presentare ai partner europei il suo Piano di bilancio strutturale. Un documento che dovrà tracciare la rotta che intende seguire sui conti pubblici per tutta la legislatura.
Una rotta basata sul contenimento della spesa corrente, e che dovrà mettere sotto stretto controllo le uscite per pensioni, personale pubblico, enti locali, e dalla quale sarà difficile deviare. Lo ha ben spiegato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio la settimana scorsa in Parlamento, dove ha consegnato una lunga e approfondita relazione sugli impatti della nuova governance europea.
Fino ad oggi, in caso di circostanze eccezionali, bastava che il governo si facesse autorizzare il nuovo deficit dal Parlamento a maggioranza assoluta dei presenti, “sentita” la Commissione europea.
La scorsa legislatura, con i governi Conte e Draghi, il Parlamento ha autorizzato ben 18 scostamenti. Il governo Meloni ne ha chiesti e ottenuti altri tre. Sono serviti a finanziare tutte le misure degli ultimi cinque anni: dall’emergenza sanitaria, al Superbonus, agli aiuti per le bollette fino al taglio del cuneo contributivo. Questa stagione è finita.
Dai nuovi Piani strutturali di Bilancio si potrà deviare solo se si sarà autorizzati dal Consiglio europeo, quello dove siedono gli Stati membri. «In base alla nuova parte preventiva del piano di stabilità e crescita», ha spiegato l’Ufficio parlamentare di bilancio, «ogni scostamento dal percorso di spesa inizialmente concordato che sia attribuito all’insorgere di eventi eccezionali (o di carattere generale o che interessano il singolo Paese) deve essere preventivamente approvato dal Consiglio della Ue».
Dunque il Parlamento può solo autorizzare una trattativa con il Consiglio, non deficit o nuove spese. Trattative che non saranno semplici. Basta vedere le posizioni da “falco” che la Germania e i Paesi del Nord stanno già assumendo (ieri il ministro delle finanze Lindner ha subito detto il suo «no» a nuovo debito comune europeo e a sussidi finanziati dai contribuenti).
Non sorprende, insomma, che a Strasburgo quando c’è stato da approvare le nuove regole di Bilancio quasi tutti i parlamentari italiani si sono astenuti o hanno votato contro. Scrivere in questo quadro la prossima legge di Stabilità non sarà semplice. Servono 18 miliardi di euro solo per rifinanziare il taglio del cuneo contributivo, il bonus mamme e le altre misure in scadenza a fine anno.
Se non si potrà fare deficit, le risorse andranno trovate con nuove entrate o con tagli di spesa. Interventi mai popolari. L’emendamento di venerdì notte è stato un antipasto. Per correggere il deficit, le detrazioni per i lavori di ristrutturazione edilizia sono state riportate al 36 per cento dall’attuale 50 per cento, e dal 2028 scenderanno al 30 per cento. Così come scenderà da 96 mila a 43 mila euro il tetto per la detrazione. È un primo taglio delle spese fiscali, sempre annunciato ma che mai nessun governo aveva attuato.
Ce ne saranno altri. Anche l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto, che sarà “riformata” potrebbe candidarsi a fornire nuove entrate. Poi c’è il capitolo spesa, ancora più delicato. All’inizio dell’estate la Commissione presenterà il “Codice di condotta”, le regole attuative del nuovo Patto. Già si sa che sarà chiesto un «aggiustamento maggiore» non solo per i Paesi ad alto debito o deficit, ma anche per quelli con «passività potenziali legate all’invecchiamento». Insomma per la prima volta sarà evidenziato esplicitamente come un aumento atteso in futuro della spesa per le pensioni – legato all’invecchiamento della popolazione comporterà uno sforzo fiscale maggiore. E l’Italia di certo non guida le classifiche della natalità. Meglio scordarsi riforme che anticipino l’età di uscita.
(da il Messaggero)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
COZZANI, BRACCIO DESTRO DI TOTI, AVEVA FATTO INCETTA DI VOTI PROMETTENDO POSTI DI LAVORO, MA POI E’ SPARITO SENZA RISPETTARE GLI IMPEGNI… LA RABBIA DEI RIESINI E I RAPPORTI CON I CLAN
“Anche se mi hai bloccato, quando ti vedo, perché vengo a cercarti, ti sputo in faccia”. È il 25 maggio 2021, dalle elezioni regionali in Liguria sono passati ormai otto mesi. Matteo Cozzani, braccio destro del governatore Giovanni Toti, ha fatto incetta di voti nel quartiere genovese di Certosa promettendo posti di lavoro, ma poi, diventato capo di gabinetto, è sparito senza rispettare gli impegni.
Non solo: ha addirittura bloccato su whatsapp il contatto di Maurizio Testa, emissario bergamasco della comunità di Riesi (Caltanissetta) che, insieme al gemello Arturo, ha procurato valanghe di preferenze alla lista “Cambiamo con Toti”.
Così Maurizio lo insulta via sms. E subito dopo chiama Arturo per sfogarsi: “Artu’ ave na vita (è una vita, ndr) che lo inseguo, da marzo eh… cioè nun rispunne eh (non risponde)”.
Il fratello tenta di calmarlo, gli dice che forse è stato “un po’ pesantuccio”, che facendo così ha dato a Cozzani la scusa per tagliare del tutto i ponti, “tanto l’obbiettivo lo raggiungè”, lo ha raggiunto.
Ma Maurizio non ci sente: “Tanto l’avrebbe fatto lo stesso, chiustu ormai voliva (questo ormai voleva) chiudere perché ho capito che era un buccazzone, e la storia de li colloqui era tutta ’na farsa…”.
Il riferimento è ai colloqui di lavoro procurati da Cozzani presso un’importante società edile genovese, la Cosme spa, a quattro soggetti “riesini” segnalati dai Testa, che però non vengono assunti perché privi di esperienza. Arturo allora gli suggerisce di rivolgersi ad Alessandro Sorte, il deputato che li ha presentati a Cozzani: “Tu chiamalo a Sorte e ci dici ‘Fammillo fare un incontro cu iddu (con lui), cussì vedimmo cu è (così vediamo chi è)’, pizzo di mmerda, pizzo di stronzo”. L’incontro però non ci sarà mai.
Per questa vicenda i due Testa e il capo di gabinetto sono accusati di corruzione elettorale con aggravante mafiosa: secondo la Procura di Genova hanno agevolato “l’attività di Cosa nostra, segnatamente il clan Cammarata del mandamento di Riesi”, accordandosi con il referente della cosca, l’ex sindacalista Venanzio Maurici. Lo stesso reato, senza l’aggravante, è contestato a Toti.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
LE INTERCETTAZIONI: LE DONNE RICEVEVANO IN REGALO (DIRETTAMENTE DA SPINELLI) BRACCIALETTI CARTIER E BORSE CHANEL, MA ANCHE CADEAUX PIÙ MODESTI DA PARTE DI MAURO VIANELLO, PRESIDENTE DELL’ENTE BACINI: “MI VAI A PRENDERE UN APPLE WATCH? PER UN TROIONE DI TRENT’ANNI. FAGLI FARE UN PACCHETTO”
«Hanno dell’argento vivo queste ragazze qua…», diceva Paolo Emilio Signorini ad Aldo Spinelli che gliele presentava. Tutte donne piuttosto giovani, frizzanti, con le quali trascorrere i fine settimana nel Principato di Monaco, le vacanze a Las Vegas, prenotare un tavolo al ristorante “Le Grill” affacciato sul mare di Montecarlo: «Ma in un angolo riservato…». Sanno molto, quelle donne, tanto che sono entrate nell’inchiesta sulla corruzione elettorale e sulle tangenti.
Tre di queste sono state interrogate. Sicuramente hanno raccontato dei regali ricevuti e di tanto altro: dei massaggi da mille euro a botta, eppoi Cartier da 10 mila euro e borse Chanel.
Omaggi alle accompagnatrici, per compiacere il presidente del porto, Signorini, alle quali però si chiedevano i telefonini, da usare per non essere intercettati. E le compagne e le fidanzate, lasciate a casa: «Ti volevo dire che partiamo senza di te, gioia, che ci dispiace a tutti… lo capisci?», diceva Aldo Spinelli. Bugie: «Eh, vado con la T. (la fidanzata di Signorini, ndr), partiamo all’una con il presidente».
L’84enne imprenditore del porto dice alla compagna che non potrà portare lei e si mostra dispiaciuto. Ma lei, infuriata: «Mi rimpiazzi con le altre!». «Eh, belin — ribatte Spinelli — gioia, ma io c’ho anche… per me sono impegni di lavoro, quello di domenica, eh?». Subito dopo, però, telefona al suo “amico” presidente dell’Autorità portuale e gli dice di stare attento a non rivelare che questa volta sarebbe arrivata M.V., una romagnola di 32 anni. E, per non farsi scoprire, il trucco: «Lei parte da Cesenatico da sola, ci siamo dati appuntamento a Montecarlo».
Inoltre ci sono «le due ragazze che ci stan… rimangono male anche loro», da presentare sempre a Signorini. «C’è la Jolanda che mi ha chiamato se il weekend la invito, perché poi parte per il Cil… per la Columbia. E ancora ti faccio vedere la Diana, guarda qui cosa c’ha, guarda qui… ».
Nelle novemila pagine di indagini non ci sono soltanto tangenti e voto di scambio. Non c’è uno spaccato di olgettine, ma sì di vita dorata pagata con i soldi pubblici e regali a quattro zeri. E attorno a questo gravitava almeno una dozzina di donne. Tutte ricambiate con i regali pagati dal miliardario imprenditore: «Le ho fatto un bel regalo… sai… invece di farlo a Signorini, l’ho fatto a lei…».
Omaggi che Signorini si intestava come se li facesse lui. Nobiltà e miseria. Parlava di una borsa di Chanel per l’amica imprenditrice del ponente ligure che il presidente si era portato a Montecarlo. E, ancora, di un Cartier che la fidanzata di Signorini sfoggiava sui social. E S.D., irritata, parla all’amica A.P.: «Le ha regalato 10mila euro di braccialetto! E lei lo ha messo apposta nella foto su Instagram! L’han comprato a Monaco! Perché Cartier a Genova non c’è! Gliel’ha comprato il vecchio, sicuro! ».
Per tenersi buono Signorini, gli omaggi arrivano anche da Mauro Vianello, presidente di Ente Bacini, che però raccomanda al figlio: «Un Apple Watch di 300, di più non spendere. Sì, uno piccolo… me ne vai a prendere uno da donna? L’amore è importante!».
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
“IL PD TAGLI I LEGAMI CON SPINELLI. ORLANDO? NESSUNA PRECLUSIONE”
A poche ore dall’arresto di Giovanni Toti per corruzione aveva già lanciato un post con la frase: “Io lo avevo detto”. Quasi fosse stato pronto da tempo.
Per Ferruccio Sansa, giornalista prestato alla politica con la pesante eredità del padre Adriano, la bufera giudiziaria che ha travolto il vertice della Regione e il porto di Genova ha il sapore di una rivalsa, dopo aver perso senza appello le elezioni del 2020 ed essere rimasto pressoché isolato dal resto dell’opposizione per l’integralismo delle sue battaglie sui conflitti d’interesse, portate avanti nell’aula del consiglio e nel mondo dei social.
Sansa, come si sente dopo quello che è successo?
Da una parte c’è soddisfazione, perché è da quattro anni che ad ogni seduta parliamo a Toti dei soldi. Dall’altra c’è la grandissima amarezza di vedere che la Liguria per l’ennesima volta è protagonista di scandali: prima Teardo, poi le Colombiane, poi il caso Festival, poi i 49 milioni della Lega, la questione Carige… e spesso i protagonisti sono gli stessi. Vedo che i liguri sono molto smarriti o feriti, questa è una grandissima occasione di rinnovamento totale. Ma prima bisogna che si facciano tutti da parte.
Tutti chi?
Anche Cozzi si deve dimettere, si deve dimettere Ansaldi. Deve essere un’occasione per un totale rinnovamento della classe dirigente. Ora dobbiamo fare proposte politiche in cui non ci sia nessuno che andava a parlare su uno yacht e che ha preso finanziamenti dal mondo coinvolto nell’inchiesta.
Però andare su uno yacht non è un reato…
Ma le decisioni devono essere prese in modo trasparente, nell’interesse di tutti e non solo di chi dà soldi. Chi andava su quello yacht sapeva chi era Spinelli. Non è un reato ma è una scelta, totalmente inopportuna, e noi non ne abbiamo più voglia. È giustissimo che la politica e gli imprenditori si parlino, ma ognuno deve avere un proprio ruolo. Il punto è che c’era un colossale conflitto di interessi. La politica adesso dà la colpa alla magistratura, ma la verità è che dovrebbe essere la politica a regolarsi perché ha tutti gli strumenti per farlo. Non tutto ciò che è legale è giusto, ci sono cose legali che sono indecenti e repellenti e quello è lo spazio della politica.
Quindi si riferisce anche agli esponenti del Pd?
C’è una parte del centrosinistra che va a braccetto con Spinelli da trent’anni. Nel Pd e nel centrosinistra ci sono tantissime persone in gamba, sono i primi che auspicano un totale cambio di direzione. Tutto questo mondo deve fare una scelta senza condizioni.
Secondo lei oggi lo stanno facendo?
Se vogliamo stare insieme politicamente, se vogliamo vincere, la prima condizione dev’essere voltare pagina. Mi sembra che persone come Natale e Orlando siano fuori da questo mondo. Se non tagliamo tutti noi qualunque legame con quel mondo, io di certo non ci sarò.
Dunque Orlando secondo lei potrebbe essere un buon candidato?
Non credo che abbia contatti con quel mondo lì. Non ho preclusioni nei confronti di Orlando.
Con che programma?
Penso che oggi possiamo davvero proporre un’idea diversa di Liguria. Quella del centrosinistra è una Liguria in stile Mediaset: noi non siamo così, c’è una Liguria basata sulla solidarietà, su uno sviluppo che coinvolga tutti, siamo la regione che ha dato vita alla resistenza. Vorrei recuperare quello spirito e proporre una regione proiettata verso il futuro, investire nella trasparenza politica, pensare a un utilizzo sano e moderno di tutte le aree dismesse. Ci sono enormi spazi, a Genova si può fare un distretto extra-doganale, a Savona ampliare l’università che sta già dando risultati straordinari, La Spezia è la città che ha la maggiore estensione di aree per ospitare industrie di nuova generazione. Lì si gioca la partita per uno sviluppo economico diverso.
Prima però dovrebbe dimettersi Toti e per ora non è successo.
I liguri sono disorientati perché il presidente della Regione è agli arresti, Signorini è agli arresti e Bucci è un sindaco dimezzato. È vero, non è indagato, ma andava a braccetto con questi ed è lui che ha sostenuto la nomina di Signorini a Iren.
Dovrebbe dimettersi anche Bucci?
No, ma c’è la questione giudiziaria e quella politica e morale. Deve accettare di avere un’enorme responsabilità politica.
Lei pensa di ricandidarsi in qualche modo se ci saranno nuove elezioni a breve
Il mio desiderio è cercare di far sì che inizi un’esperienza nuova. In questi mesi cercherò di dare il mio contributo per formare uno schieramento nuovo, con candidati nuovi non compromessi. Cercherò di unire e di incoraggiare, di fare una proposta per una Liguria che si sviluppa, che torna a investire in sanità pubblica, con trasparenza assoluta. Io ce la metto tutta per dare mio contributo e unire, e se si andrà in quella direzione deciderò poi cosa fare.
Ultimamente i vostri rapporti col resto dell’opposizione non sono stati buoni. Perché secondo lei?
Tanti parlano di unità, ma l’unità è la conseguenza. Prima bisogna avere come chiarissimo punto di partenza la necessità di voltare pagina. Gli elettori del centrosinistra ce lo chiedono tutti, l’importante è che noi facciamo percepire questo momento come crisi e opportunità: se non la prendiamo ora non la prendiamo più, non possiamo aspettare un altro scandalo. Ho il dubbio che a comandare Genova siano stati gli Spinelli, non la destra o la sinistra. Ora dobbiamo essere certi e dare un segno di discontinuità assoluto.
Lei crede realisticamente che nel 2020 avrebbe vinto le elezioni se Toti avesse avuto le sue stesse risorse per fare campagna elettorale?Secondo me c’è stato un furto di democrazia. Noi avevamo circa un quarantesimo dei soldi di Toti e lo stesso vale per Dello Strologo. Ma non solo: avevamo tutto il potere della città, il porto e il mondo dell’informazione non favorevoli. Certi imprenditori sono stati molto miopi, speravano di fare affari coltivando l’interesse particolare, mentre la nostra era una proposta di sviluppo che avrebbe fatto bene a tutti.
Il caso Liguria ripropone il problema di come si sostiene l’attività politica. Crede sia giusto tornare al finanziamento pubblico
L’esperienza dei 5 Stelle aveva insegnato che si può fare politica spendendo meno. Il problema è il cortocircuito: ho il terrore che adesso si dica che è inevitabile prendere soldi, altrimenti non si può fare politica. Non è vero, ci sono mille modi di fare politica senza farsi condizionare, si possono fare diverse rinunce. Per troppi anni i partiti sono stati finanziati in Italia con scorciatoie che non andavano bene. Il punto è che hanno pochissima credibilità: anzitutto devono recuperare credibilità e cercare persone che sostengono la politica per passione.
(da Genova24)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
IL MEGAPROGETTO FORTEMENTE VOLUTO DA SPINELLI PER GARANTIRSI NUOVI SPAZI IN PORTO VIENE CITATO INNUMEREVOLI VOLTE
Le ombre della maxi inchiesta sulla corruzione in Liguria si allargano e avvolgono anche il progetto della nuova diga di Genova, l’opera più importante dal punto di vista economico a livello nazionale e che, secondo gli estimatori del progetto, cambierà il futuro del porto di Genova.
Una aspettativa ripetuta più volte in questi anni, ma che ad oggi, alla luce delle carte della Procura di Genova, sembra avere solamente una certezza: serve (o serviva) a Spinelli per poter ampliare il proprio business sulle banchine del porto di Genova.
Una realtà che emerge dall’inchiesta: il mega progetto spunta molteplici volte nelle decine di intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte dagli investigatori in questi anni.
E da quanto riportato, emerge chiaramente il pressing quasi asfissiante di Aldo Spinelli nei confronti di Toti e Signorini, che in qualche modo cercando di tenerlo a bada. “E’ già in gara, sappiamo già anche chi la farà però non te lo dico – risata – Però c’è la gara quindi non si può”.
Questa le parole di riposta di Giovanni Toti ad Aldo Spinelli. La telefonata è datata 28 settembre 2021, e in qui giorni in realtà il progetto era appena avviato alla valutazione di impatto ambientale. Ma già l’opera era al centro delle manovre di tutti gli operatori portuali, primo su tutti Spinelli, che con l’allargamento dello spazio portuale potrebbe ottenere il riempimento del porto a pettine di Sampierdarena, con nuovi enormi spazi da gestire.
L’interesse dell’imprenditore per l’opera, e il suo pressing indomabile non si arresta. Ne parlano il presidente di Autorità Portuale Paolo Signorini e il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti. I due, secondo quanto emerge dagli atti dell’inchiesta, commentano il pranzo che Aldo Spinelli ha avuto con l’ex presidente della Regione Claudio Burlando. Secondo quanto emerge dalle carte tra i due si commentava il fatto che Burlando pareva intenzionato a sostenere la linea dell’inutilità della nuova diga. “Così impara Spinelli a farci i suoi pranzi, visto che la diga sostanzialmente è per Spinelli“, ha poi commentato lapidario Toti.
La situazione però si complica, quando l’opera viene messa a gara, non suscitando la corsa delle imprese ad accaparrarsi il progetto. Il 10 giugno del 2022 gli investigatori intercettano questa conversazione tra Toti e Signorini, dove il governatore riferisce di aver sentito Pietro Salini, numero uno di WeBuild.
Il bando è aperto ma ci sono dei problemi legati al prezzo dell’opera, considerato troppo basso e poco remunerativo: “Lui vuol capire se poi noi glieli diamo sto 20 per cento di incremento dei prezzi, perché se no dice poi come ca…o facciamo?».
Paolo Signorini però lo rassicura immediatamente: “Noi la Diga la finanziamo in ogni modo”. I due poi si salutano d’accordo nel prendere un appuntamento con lo stesso Salini di li a pochi giorni per risolvere la questione. Il tutto a gara aperta.
Qualcosa però va storto: il 30 giugno il bando va deserto. I due principali raggruppamenti in gara per l’opera (Webuild-Fincantieri più Fincosit e la cordata di Acciona, Gavio e Rcm ) non partecipano. Ne parlano Signorini e Aldo Spinelli il 7 luglio. “Ieri è venuto Salini e mi ha detto “Minchia Paolo! Mi ha chiamato tutto il governo, mi hanno fatto un culo grande quanto una capanna… m’ha detto, lui, il 18% ce l’ha CDP e quindi gli dicono…ma tu decidi di non andare alla gara e non ci dici un cazzo”.
Spinelli, navigato, lo rassicura: “Eh va bè ma…tira ad aumentare il prezzo che è normale Paolo…». E poi rilancia: “Poi i soldi si trovano Paolo, non è il problema, con Toti che ha buoni rapporti”.
Le conversazioni sul tema proseguono. Signorini in una telefonata riporta quelle che potrebbero essere le reazioni dello stesso Salini: “Lui ha detto “no no dobbiamo sistemare tutto entro luglio…” uno quattro e cinquanta…poi lui stesso dice “…va bè ma…con clausole di bando possiamo anche scendere…”…ma io sono convinto, come dice lui, che il rischio geologico”.
Alla fine la realtà è nota: il progetto della diga sarà diviso in due fasi, la cui prima, andata in gara per circa 900 milioni, con la possibilità di varianti, sarà aggiudicata alla cordata di WeBuild, e nonostante i ricorsi vinti al Tar dalla cordata concorrente, la normativa del Pnrr blinderà l’appalto. E i lavori potranno incominciare, per la gioia di Spinelli.
(da Genova24)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
“TERMINA LA LUNGA E VERGOGNOSA CATENA DI PRETESTI, DILAZIONI, E RITARDI STRUMENTALI CHE HA PENALIZZATO LE IMPRESE, LE FAMIGLIE, I COMUNI DELLA CAMPANIA”… ORA FITTO AVRÀ 45 GIORNI PER CHIUDERE L’ACCORDO CON DE LUCA E SBLOCCARE I FINANZIAMENTI
Il Consiglio di Stato ha accertato con una sentenza l’obbligo del Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnnr “di definire il procedimento di stipula dell’Accordo di coesione con la Regione Campania per la destinazione dei fondi”.
La Regione Campania aveva fatto ricorso lo scorso gennaio lamentando il ritardo nella conclusione dell’accordo, stipulato invece con la maggior parte delle altre Regioni e Province autonome, “e l’impossibilità di finanziare numerosi interventi strategici per il territorio campano”. Il Tar per la Campania accolse il ricorso con sentenza oggi confermata dal Consiglio di Stato.
“Il Consiglio di Stato ha confermato pienamente le tesi della Campania, ha censurato i ritardi, e stabilisce l’inaccettabilità delle procedure messe in campo dal Governo. E’ il risultato della battaglia di civiltà e di dignità nella quale si sono impegnati in questi mesi centinaia di sindaci, amministratori, semplici cittadini. E’ un motivo di grande speranza e di grande soddisfazione per quanti hanno creduto nella giustizia amministrativa del nostro Paese”.
Così il governatore Vincenzo De Luca sulla decisione del Consiglio di Stato in relazione ai fondi per la Campania, giudicata una “straordinaria vittoria” dopo mesi di polemiche.
Il Consiglio di Stato, ricorda ancora De Luca, “ha considerato pretestuosa la sopravvenienza dell’articolo 10 del Decreto coesione: smantellata la norma che surrettiziamente introduceva la vicenda Bagnoli nel Fondo di sviluppo e coesione”.
“Ci si augura che a questo punto sia terminata la lunga e vergognosa catena di pretesti, di dilazioni, di ritardi strumentali, che ha penalizzato e penalizza le imprese, le famiglie, i Comuni della Campania. Ci si augura di poter cominciare a lavorare nell’interesse delle nostre comunità”, conclude il presidente della Regione.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
LA DUCETTA SPERA CHE LA PROBABILE BATOSTA ALLE ELEZIONI DELLA LEGA FRENI LE AMBIZIONI DI SALVINI… “DETTA GIORGIA” NON VUOLE STRAPPI PRIMA DELLE URNE
Ferrovie, Cassa depositi e prestiti e soprattutto la Rai: Giorgia Meloni decide di non decidere. Le nomine, quelle pesanti, arriveranno dopo le europee. Quando, si augura, le pretese della Lega dovranno fare i conti con il risultato delle urne. Stesso discorso per Forza Italia.
In questo mese scarso che la separa dal voto, Meloni vuole camminare sulle punte. Scontri interni ridotti al minimo e rapporti di buon vicinato con il Colle. Si spiega anche così il contatto telefonico avuto sabato scorso con il presidente Sergio Mattarella per cercare di chiudere l’incidente sul decreto Agricoltura […] tanto caro al ministro Francesco Lollobrigida.
Palazzo Chigi è arrivato a un compromesso: la guida dei forestali, dal ministero dell’Ambiente a quello della Sovranità alimentare, rimarrà nel decreto, nonostante i dubbi sollevati all’inizio dagli uffici legislativi del Quirinale.
Al contrario l’accorpamento della società Sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell’agricoltura (Sian) nell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) scomparirà dal testo per essere riproposta in sede di conversione con un emendamento.
Nel desiderio meloniano di troncare e sopire, c’è una strategia precisa. Il valzer della Rai per esempio lo vuole evitare ora, anche se sembra avere le idee chiare: oltre a indicare nel cda Giampaolo Rossi, destinandolo poi al ruolo di amministratore delegato, per l’altro membro del consiglio d’amministrazione ha in mente una donna: l’amica Valeria Falcone, portavoce ai tempi del ministero della Gioventù, dal primo febbraio in Enel con il ruolo di responsabile delle strategie di sponsorizzazione della società pubblica.
Anche su Cdp e Ferrovie la premier ha idee che suonano così: noi scegliamo o confermiamo (nel caso di Dario Scannapieco) gli ad, i presidenti li indicano, con il nostro via libera, Lega e Forza Italia.
Tuttavia le beghe del Palazzo possono aspettare, Meloni punta più che altro alla formula pop. A rivolgersi ad altri mondi. Si spiega così il parterre – Gerini, Pupo, Zanicchi, Magnini – del convegno sulla riforma costituzionale del premierato. E anche l’intervista con il videopodcast di Diletta Leotta in occasione della festa della mamma.
Ecco perché a Palazzo Chigi c’è chi prende in considerazione la proposta di Will, piattaforma Instagram da 1,6 milioni di follower, di ospitare il bis del faccia a faccia con Elly Schlein già in programma il prossimo 23 maggio nel salotto di Vespa
Nel dubbio oggi la premier sarà a Milano per farsi intervistare dal direttore Maurizio Belpietro alla festa del quotidiano La Verità, nel tentativo di sottrarre voti al salvinismo vannacciano.
Domenica invece la premier volerà a Madrid per partecipare in presenza alla festa di Ecr, partito che presiede (dove è atteso anche il presidente argentino Milei). Meloni non poteva non ascoltare il richiamo di Vox, e sarà di nuovo come nell’ottobre del 2021 “yo soy Giorgia, soy una madre, soy cristiana”, ma intanto non più una mujer.
(da il Foglio)
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Maggio 14th, 2024 Riccardo Fucile
PERCHÉ IL POLIZIOTTO PENITENZIARIO, AMICO FEDELE DI ANDREA DELMASTRO, NON È STATO SOTTOPOSTO AL TEST STUB SULLA POLVERE DA SPARO? I TESTIMONI (IMPARENTATI CON MORELLO) AVEVANO SUBITO PUNTATO IL DITO SU POZZOLO, CAPRONE ESPIATORIO PERFETTO
Dopo quattro mesi e mezzo dallo sparo di Capodanno, Emanuele Pozzolo rivela alla procura il nome a cui ha sempre alluso, ma che finora non aveva mai pronunciato. Quello di Pablito Morello, il poliziotto penitenziario che fa da capo scorta al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.
Sarebbe stato Morello, secondo il deputato (sospeso) di Fratelli d’Italia, a fare esplodere in maniera accidentale dal revolver regolarmente detenuto da Pozzolo, il colpo che nella sede della pro loco di Rosazza ferì alla coscia il genero di Morello, Luca Campana.
Il colpo di scena sul veglione di Capodanno, una festa organizzata da Delmastro, è accaduto ieri. Pozzolo, l’unico indagato, è stato convocato in procura a Biella per l’interrogatorio nel primo pomeriggio. Era stato lo stesso politico, due settimane fa, a chiedere di essere sentito dopo la chiusura dell’indagine, pochi giorni prima che scadessero i termini.
L’interrogatorio è durato oltre quattro ore. E questa volta Pozzolo ha risposto alle domande. «È stato Morello a prendere in mano l’arma e a fare partire accidentalmente un colpo», ha detto il deputato. Una versione che ora verrà verificata dagli inquirenti.
Nella stanza dello sparo, all’una e mezza del primo gennaio, quando partì il colpo, c’erano una decina di persone. Ma di queste, soltanto tre erano vicine tra loro, di fronte a un tavolo: Pozzolo, Morello e Campana. Ad accusare Pozzolo di avere sparato sono stati, dall’inizio, Morello e Campana.
La versione del ferito, che è il compagno della figlia del capo scorta di Delmastro, è stata giudicata attendibile dagli inquirenti.
Campana ha querelato Pozzolo quattro giorni dopo il fatto. Durante l’indagine è spuntato anche un terzo testimone che ha accusato Pozzolo, ammettendo però di non avere visto la scena dello sparo: Maverick Morello, il figlio del capo scorta.
I testimoni non imparentati con Morello, i politici di Fratelli d’Italia Davide Zappalà (assessore comunale a Biella) e Luca Zani (consigliere comunale) hanno dichiarato di non avere visto da quale mano partì il colpo della North american arms LR22 di Pozzolo.
Molti hanno dichiarato di avere visto l’arma nelle mani del deputato, circondato da invitati curiosi che volevano capire se quella pistola così piccola fosse vera.
«Non sono stato io a sparare», ha ribadito per quattro mesi Pozzolo. Ma come mai, fino a ieri, non aveva fatto nomi?
Il deputato in procura ha spiegato che si aspettava che fosse Morello a farsi avanti, ad auto accusarsi. E perché si è avvalso della facoltà di non rispondere? Pozzolo ieri ha risposto che, vedendo sui giornali una “fuga di notizie” non a suo favore, non si sarebbe sentito sereno. Da quel giorno sono passati tre mesi e mezzo.
Il primo esame svolto è stato lo stub, che ha dato esito positivo per Pozzolo. Ma lo stub, se non viene fatto a tutte le persone presenti in un ambiente chiuso, potrebbe essere poco incisivo.
Poi è arrivata la prova del Dna: sulla pistola sono state trovate tracce di tre profili diversi. La perizia balistica dell’accusa ha invece “inchiodato” Pozzolo, stabilendo che la versione del ferito fosse concordante con le tracce lasciate sul tavolo dall’arma. La contro perizia della difesa ha confutato questa tesi.
(da agenzie)
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